LEGA PROFESSIONISTI SERIE – C – STAGIONE SPORTIVA 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.lega-calcio-serie-c.it e sul COMUNICATO UFFICIALE N.307/C DEL 5 GIUGNO 2007 DECISIONI DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE DEFERIMENTO DELLA PROCURA FEDERALE DELLA F.I.G.C. A CARICO DI ENRICO PREZIOSI QUALE EX DIRIGENTE DELLA COMO CALCIO S.P.A.-.

LEGA PROFESSIONISTI SERIE – C – STAGIONE SPORTIVA 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.lega-calcio-serie-c.it e sul COMUNICATO UFFICIALE N.307/C DEL 5 GIUGNO 2007 DECISIONI DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE DEFERIMENTO DELLA PROCURA FEDERALE DELLA F.I.G.C. A CARICO DI ENRICO PREZIOSI QUALE EX DIRIGENTE DELLA COMO CALCIO S.P.A.-. Il Procuratore Federale ha deferito il sig. Enrico Preziosi, che ricoprì sino al 18/10/2003 la carica di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Calcio Como S.p.a., fallita in data 22/12/2004, per l’applicazione di quanto disposto all’art. 21, commi 2 e 3 delle N.O.I.F.-. Questo deferimento segue altro procedimento che coinvolgeva ex dirigenti del Calcio Como S.p.a., fra i quali il Preziosi, cui seguì la rituale convocazione davanti a questa Commissione, la quale, con deliberazione 26/1/2007 (C.U. n.157/C del 9/2/2007), dispose lo stralcio della posizione del deferito Enrico Preziosi, non comparso, per irregolarità della notifica sia dell’atto di deferimento da parte della Procura e sia dell’avviso di convocazione davanti alla Commissione, a causa di erronea indicazione degli indirizzi del recapito postale. L’Enrico Preziosi ha fatto pervenire tempestiva memoria difensiva con la quale dopo aver eccepito alcune pregiudiziali di carattere processuale in ordine alla natura del rinnovato deferimento ed alla legittimità della nuova documentazione prodotta dalla Procura che peraltro ritiene irrilevanti, nega la sussistenza dei presupposti in fatto perchè si addivenga ad una pronuncia sanzionatoria, affermando che se responsabilità di gestione dovessero sussistere, le stesse andrebbero addebitate ad altra figura, delegata dell’amministrazione. Infine sostiene l’errore di quell’orientamento interpretativo della norma richiamata secondo il quale la “preclusione”, o “inibizione”, consegua automaticamente, semplicemente quale effetto della revoca dell’affiliazione e/o dell’intervenuta dichiarazione di fallimento, mentre tali misure sarebbero applicabili soltanto dopo esame di merito del comportamento gestionale dell’incolpato. Richiama allo scopo la decisione della C.A.F. (C.U. n. 29/C del 16/1/2006 - Pieroni), le decisioni di questa Commissione Disciplinare (C.U. n. 72/C del 29/11/2001 - Galli - Rolandelli ed altri; C.U. n. 302/C del 13/6/2003; dirigenti A.S. Ischia Isolaverde S.r.I.), la decisione della Commissione Disciplinare presso il Comitato Interregionale (C.U. n.10 del 29/7/2002 - dirigenti del Casarano). Conclude nel merito chiedendo il proscioglimento, o in subordine la limitazione della sanzione della inibizione al minimo edittale. All’adunanza odierna il difensore del Preziosi, avv. Grassani ha richiamato le difese contenute nella memoria e I’avv. Taddeucci Sassolini, in rappresentanza della Procura Federale, ha contestato le eccezioni pregiudiziali della difesa. Ha dato atto che allo stato vi sono due interpretazioni dell’art.21, l’una propugnata dalla Procura che la sanzione va applicata indipendentemente dalla prova di atti di “mala gestio” dei deferiti, essendo la sanzione applicabile quale conseguenza della revoca dell’affiliazione e/o della dichiarazione di fallimento; l’altra adottata da questa Commissione secondo la quale la sanzione della inibizione va applicata soltanto quando siano provate dall’accusa atti di “mala gestio”. Esiste infine una terza interpretazione recente della C.A.F. secondo la quale non è necessario che siano dimostrati atti di “mala gestio”, ma è sufficiente verificare la potenziale incidenza degli atti compiuti dal deferito. Conclude affermando che la Procura si associa a tale ultima pronuncia e chiede l’applicazione al Preziosi della sanzione di cinque anni di inibizione, con proposta al Presidente Federale acchè venga dichiarata la preclusione del deferito alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. stante la gravità dei fatti addebitati. Pregiudizialmente la Commissione rileva che le norme contenute nell’art. 21 delle N.O.I.F. hanno dato luogo, anche per effetto del succedersi in uno spazio di tempo relativamente breve di modifiche apportate al 3° comma di notevole rilevanza, a discordanti interpretazioni da parte degli organi giudicanti, specialmente in ordine al tipo di sanzione, così almeno definita, alla competenza dell’organo che deve irrogarla, alla identificazione dei presupposti e dei fatti a base del deferimento da parte della Procura Federale ed alla spettanza dell’onere della prova di tali fatti. E’ utile intanto far precedere l’esposizione dell’excursus storico dall’art. 21, comma 3, N.O.I.F. a quella delle più significative pronunce degli organi della giustizia sportiva: a) Il testo iniziale, che riproduceva sostanzialmente analoga norma contenuta nell’art.42, 2° comma, del vecchio Regolamento Organico (ora N.O.I.F.), era il seguente (da Corte Federali Ediz. 1995): “La preclusione del precedente comma concerne gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli in carica nel biennio precedente. La preclusione cessa trascorsi cinque anni dalla data della deliberazione o della sentenza”. b) A seguito di successiva modifica (da Carte Federali - Ediz. 2000), il terzo comma divenne: “Possono essere colpiti dalla preclusione di cui al procedente comma gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli in carica nel precedente biennio. Competente a decidere in prima istanza è la Commissione Disciplinare ed in ultima istanza la C.A.F. su deferimento della Procura Federale nell’osservanza delle disposizioni previste dal codice di Giustizia Sportiva”. Risulta pertanto all’evidenza che quel “Possono” introduttivo del comma esclude ogni automatismo nell’applicazione della preclusione e che demandando la pronuncia agli organi di giustizia sportiva ed il potere di deferimento alla Procura Federale, il procedimento, prima di natura amministrativa, entra a pieno titolo nella giurisdizione sportiva. Scompare nel nuovo testo il limite massimo di durata della preclusione pari a cinque anni. c) Altra più che significativa modifica al detto terzo comma venne deliberata dal legislatore sportivo (C.U. n. 12/A del 17 luglio 2002 della F.I.G.C.). Precisamente: “Possono essere colpiti dall’inibizione di cui al precedente comma, nei limiti e con le modalità di cui all’art. 14 del Codice di Giustizia Sportiva, gli amministratori in carica al momento della deliberazione della revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli in carica nel precedente biennio. Competente a decidere in prima istanza è la Commissione Disciplinare ed in ultima istanza la C.A.F. su deferimento della Procura Federale nell’osservanza delle disposizioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva”. La misura della “preclusione” viene sostituita quindi espressamente da quella della “inibizione” e pertanto al già avvenuto riconoscimento della giurisdizione sportiva si affianca il pieno richiamo delle sanzioni disciplinari di cui all’art. 14 C.G.S. talchè la eventuale preclusione non poteva essere applicata dall’organo giudicante ma, ricorrendone i presupposti, dal Presidente Federale cui andava trasmessa la proposta aggiuntiva alla sanzione irrogata con limite massimo di 5 anni dall’organo disciplinare. d) Infine il terzo comma, con altrettanto significativa modifica da parte del legislatore sportivo (C.U. n. 16/A del 3 luglio 2003), è divenuto del seguente tenore: “Possono essere colpiti dalla preclusione di cui al precedente comma gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli in carica nel precedente biennio. Competente a decidere in prima istanza è la Commissione Disciplinare ed in ultima istanza la C.A.F. su deferimento della Procura Federale nell’osservanza delle disposizioni previste del codice di Giustizia Sportiva”. Si è quindi tornati alla formulazione previgente (sopra sub b) “con abrogazione tacita (per incompatibilità e/o nuova regolamentazione) di quei disposti, in particolare con l’eliminazione della “inibizione di cui al precedente comma, nei limiti e con le modalità di cui all’art. 14 del Codice di Giustizia Sportiva”. Questa Commissione, interpretando la norma vigente ha affermato, nelle due più recenti deliberazioni (C.U n. 157/C del 9/2/2007 - Deferimento Cataldo e altri, ex dirigenti del Taranto Calcio S.r.l. e deferimento Massimo D’Alma e altri, ex dirigenti Como Calcio S.p.a.): “…con la vecchia norma (ci si riferiva a quella illustrata sopra sub a) la cosiddetta “preclusione” concerneva la perdita dei requisiti di onorabilità da parte del dirigente in quella determinata condizione, una sorta di incapacità ad incarichi societari ed ai rapporti sportivi nell’ambito della Federazione, invece con la vigente norma acquista natura di «sanzione» e quindi presuppone un comportamento che venga a violare i doveri ed obblighi di correttezza, nei casi di specie, di corretta gestione sociale. Il mancato coordinamento nella formulazione del predetto 3° comma, col Codice di Giustizia Sportiva fà sì che si continui a chiamare “preclusione” ciò che sostanzialmente è “inibizione” (art. 14 C.G.S.), da cui discende anche il limite di durata massima di cinque anni e non già indeterminatezza del termine. Quanto alla prova dei fatti oggetto del deferimento proseguiva: “La Commissione ritiene poi che, come in tutti i procedimenti disciplinari, spetti all’accusa la prova di comportamento di “mala gestio”, prova che non è stata data in quanto l’unico documento fornito è la visura camerale di certificazione storica dalla quale è dato di desumere unicamente i nomi degli amministratori della Calcio Como S.p.a. e la durata delle loro cariche. E’ d’altra parte necessaria la prova, anche con indizi di comportamenti gestionali anomali perché la prova dello stato insolvenza della società che ha portato alla dichiarazione di fallimento non costituisce, nè può costituire, in sè e per sè prova certa di una cattiva gestione da parte di chi ha amministrato ai fini dell’applicazione della sanzione di cui alla richiamata norma”. - La decisione, su reclamo del Procuratore Federale è stata parzialmente riformata dalla C.A.F. (C.U. n. 50/C del 4/5/2007) la quale ha affermato che “…malgrado le difformi ed imprecise locuzioni utilizzate, la sanzione in questione debba qualificarsi, per l’ipotesi, qui in discussione, di soggetti che siano stati amministratori di società cui sia stata revocata l’affiliazione per intervenuto fallimento, come inibizione, non foss’altro per il regime di tipicità delle sanzioni emergenti, quanto alle persone fisiche, dall’art. 14 C.G.S. che fissa altresì la durata massima della inibizione in anni cinque (comma 2). Quanto alla ricostruzione del precetto recato dalla norma invocata (art. 21 N.O.I.F.), ritiene questa Commissione che sia errata la tesi, accolta dalla Commissione Disciplinare, circa la natura innovativa della nuova formulazione dell’art. 21 che richiederebbe, a differenza che nella sua originaria formulazione, la prova, a carico dell’accusa, di specifici comportamenti di mala gestio commessi dagli incolpati e casualmente efficienti o concorrenti nella produzione del dissesto societario. Le modifiche regolamentari che hanno inciso sull’art.21 N.O.I.F., non consentono infatti di apprezzare significative innovazioni nel senso del passaggio da un regime di automatismo di applicazione della sanzione ad un regime di necessaria cognizione piena dell’efficienza causale di condotte attribuite agli ex amministratori di società fallite, con onere della prova a carico della Procura. Ritiene questa Commissione sia l’originario che l’attuale testo dell’articolo 21 N.O.I.F. non importi un automatismo tra la carica di amministratore della società fallita al momento del dissesto o nel biennio precedente e la sanzione della inibizione qui in esame, ma richiede che il giudicante accerti, per irrogare la sanzione, che i deferiti si siano trovati non solo ad aver formalmente rivestito le predette cariche societarie, ma altresì in una situazione di potenziale effettiva incidenza sulla gestione societaria e dunque in una posizione fattuale tale da poter aver determinato o aver potuto impedire il dissesto”. Con precedente pronuncia la C.A.F. (C.U. n. 29/C del 16/1/2006 - Pieroni), negando il detto automatismo della applicazione della preclusione, aveva affermato: «E’ la gestione, comunque inadeguata, della società da parte del dirigente che rileva ai fini della sanzione, che discende concettualmente di conseguenza, non dalla verifica della sussistenza di meri dati di fatto (il fallimento e la revoca dell’affiliazione) quanto da una condotta (anche alla luce delle altre ipotesi di cui all’art.16 citato) ritenuta comunque inadeguata alla sana ed utile gestione di una società sportiva ed al conseguimento dei fini generali del movimento calcistico. E’ dal giudizio evidentemente negativo sulle capacità del dirigente delle società che prende le mosse l’ordinamento federale, per comminare al dirigente medesimo la sanzione che non può che far consistere nel sostanziale allontanamento da ogni responsabilità da ogni rapporto nell’ambito delle attività sportive federali. Da ultimo la sanzione che, genericamente indicata come preclusione dall’art. 21 N.O.I.F., deve assumere natura e caratteristiche di una delle sanzioni tipizzate dal C.G.S. ed esattamente da quell’art. 14 che prende in esame la violazione da parte (tra gli altri) dei dirigenti dello Statuto, delle norme federali o di ogni altra disposizione loro applicabile (e riserva al Presidente Federale l’eventuale preclusione)». La Commissione Disciplinare del Comitato Interregionale della Lega Nazionale Dilettanti ( C.U. n. 10 del 29/7/2002 - Filograna, D’Astore e altri - fallimento Casarano Calcio) ha ritenuto, in contrario, che la preclusione (e non già l’inibizione) deve intendersi automatica per i dirigenti che si trovino o si siano trovati nelle situazioni di cui all’art. 21 in relazione all’art. 16 N.O.I.F. “salvo che venga dimostrata la esclusione di ogni partecipazione all’attività societaria da parte degli stessi” ponendo pertanto a carico dei deferiti la prova liberatoria, non solo ma, in osservanza del significato della norma fatta palese dal significato proprio delle parole, comminando nel caso di specie la “preclusione”, ha necessariamente escluso ogni riferimento all’art.14, comma 2 C.G.S. e quindi alla competenza e discrezionalità del Presidente Federale quanto alla pronuncia della preclusione, come sanzione aggiuntiva. A fronte di quanto sopra si pone intanto un doveroso ripensamento da parte di questa Commissione della interpretazione della norma contenuta nelle sue decisioni più recenti. Un più preciso excursus storico delle norme in esame, rispetto a quelle cui viene fatto riferimento in quelle due decisioni, consente di affermare che la modifica del ridetto comma 3, introdotta in ultimo dal legislatore sportivo con la deliberazione pubblicata nel C.U. n. 16/A del 31 luglio 2003 della F.I.G.C., ha carattere abrogativo del precedente per palese incompatibilità. E’ sufficiente il semplice raffronto dei due testi. Quindi appare azzardato il tentativo di superamento del termine letterale “preclusione” con la diversa locuzione “inibizione” col sussidio di un riferimento all’art. 14 C.G.S. non solo non menzionato nella norma vigente ma proprio eliminato dalla precedente, da cui discende stravolgimento del senso fatto palese dal significato della parola, soprattutto quando, con l’emanazione della nuova norma, il legislatore sportivo ha manifestato il chiaro intendimento di sostituire alla “inibizione” la “preclusione” con ritorno alla formulazione ancora precedente a quella innovata con la deliberazione di cui al C.U. n.22/A – F.I.G.C. pubblicato il 17/7/2002 ed ora da considerarsi abrogata. Conseguentemente non appare possibile sostenere che col vigente comma 3 dell’art. 21 si possa stabilire una durata ed una competenza, ai fini dell’applicazione della sanzione, diverse da quelle fatte palesi dalla lettera della norma. Infatti la decisione C.A.F. pubblicata su C.U. n. 50/C del 4/5/2007 a conferma dell’interpretazione in proposito dalla precedente pubblicata su C.U. n.29/C del 16/1/2006, dopo aver definito ingiustamente la stesura della norma vigente affetta da “difformità ed imprecisione delle locuzioni utilizzate” (tesi peraltro seguita erroneamente anche da questa Commissione nella decisione parzialmente riformata dallo stesso giudice di appello), ritiene così di poter superare la letteralità e l’intenzione del legislatore quale emerge dalla inequivoca efficacia abrogativa della nuova norma, affermando: “non foss’altro per il regime di tipicità della sanzione emergente, quanto alle persone fisiche dall’art. 14 C.G.S.”; motivazione che, a dir poco, è insufficiente pel superamento del dato letterale. Deve aggiungersi che la collocazione della norma, non già nel Codice di Giustizia Sportiva bensì nelle N.O.I.F., la sua contiguità, non soltanto materiale, al successivo art. 22 bis (Disposizioni per la onorabilità) ma anche funzionale avendo riguardo sostanzialmente ad ipotesi di perdita della onorabilità non previste nell’art. 22 bis, depongono per una tipizzazione nella quale sono presenti, non solo ipotesi costituenti violazione della disciplina sportiva e quindi inadeguatezza sportiva, ma anche ipotesi irrilevanti ed estranei a tale disciplina, come sopravvenute mancanze di requisiti o di particolari presupposti e condizioni di appartenenza all’organizzazione federale (ad es. nei casi in cui sia stata revocata l’affiliazione prevista nell’art. 16, commi 1, 2 e 7 delle N.O.I.F.). Anche sotto tale profilo la fattispecie considerata dalle norme in esame, va ritenuta autosufficiente nella sua autonomia, rispetto al “regime di tipicità delle sanzioni emergenti, quanto alle persone fisiche, dell’art.14 C.G.S.” sostenuta invece dalla C.A.F. nonché da questa stessa Commissione in precedenti deliberazioni. Concludendo, appare necessario che la Corte Federale venga investita del problema interpretativo dell’art. 21, commi 2 e 3, delle N.O.I.F. che questa Commissione propone sui seguenti quesiti. a) Se la “preclusione” ivi prevista sia l’unica sanzione applicabile e se la Commissione Disciplinare in primo grado e la C.A.F. in secondo grado abbiano competenza non solo nell’accertamento, ma anche nell’irrogazione di tale sanzione, con esclusione pertanto nella soggetta 307/1034 materia della competenza del Presidente Federale prevista invece dal 2° comma dell’art. 14 C.G.S.; b) Se, nella particolare ipotesi di ex dirigente di società dichiarata fallita, la pronuncia di preclusione possa essere emessa solo nei casi in cui vengano accertati compimento di atti e fatti, ascrivibili agli ex dirigenti deferiti, di tale gravità ed efficienza causale da avere determinato o contribuito a determinare il dissesto della società e quindi la successiva dichiarazione di fallimento. c) Se la Procura Federale con l’atto di deferimento debba onerarsi non solo della enunciazione specifica degli atti o fatti anomali di cui sopra, ma anche della prova degli stessi per il cui raggiungimento possa anche ricorrersi a presunzioni che abbiano il contenuto di cui all’art. 2729 del Codice Civile. Per tali motivi la Commissione, sospeso il procedimento disciplinare fino alla pronuncia della Corte Federale sui quesiti interpretativi sopra proposti. d e l i b e r a di rimettere gli atti alla Corte Federale ai sensi dell’art.22 comma 1/a) ai fini dell’interpretazione univoca dell’art.21 comma 3 delle N.O.I.F. in relazione all’art.14 comma 2 C.G.S. -.
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