CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 8 Marzo 2007 – Pasquale Foti contro F.I.G.C.

CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 8 Marzo 2007 – Pasquale Foti contro F.I.G.C. IL COLLEGIO ARBITRALE Avv. Ciro Pellegrino Presidente del Collegio Arbitrale Prof. Francesco Tufarelli Arbitro Avv. Enrico Ingrillì Arbitro nominato ai sensi del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (“Regolamento”), riunito in conferenza personale in data 8.03.2007 presso la sede dell’arbitrato in Roma, ha deliberato all’unanimità il seguente L O D O nel procedimento di Arbitrato (prot. n. 1974 del 13.11.2006) promosso da: Sig. Pasquale Foti rappresentato e difeso sia congiuntamente sia separatamente dagli Avv.ti Prof. Franco Gaetano Scoca, Giuseppe Panuccio, Carlo Morace e Stefano Salvatore Scoca ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via G. Paisiello n. 55 ricorrente contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del legale rappresentane pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Mario Gallavotti e Luigi Medugno, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Via Po 9 resistente FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO ARBITRALE Con atto datato 7.08.2006 il Procuratore Federale deferiva alla Commissione d’Appello Federale Pasquale Foti «per la violazione dell’art. 1, comma 1 C.G.S. e la violazione dell’art. 6, commi 1 e 2 C.G.S. per aver posto in essere unitamente a Paolo Bergamo …nelle rispettive qualità ricoperte all’epoca dei fatti, le condotte come descritte nella parte motiva … consistite, tra l’altro, nell’aver intrattenuto i contatti sopramenzionati; condotte contrarie ai principi di lealtà, probità e correttezza e, al contempo, in concorso formale, dirette a procurare un vantaggio in classifica in favore della società Reggina, mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità e indipendenza tipici della funzione arbitrale. Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 C.G.S. per la pluralità delle condotte poste in essere». In esito all’istruttoria, la CAF con decisione del 14.08.2006, pubblicata nel C.U. n. 5/C del 17.08.2006 dichiarava P. Foti colpevole delle violazioni di cui all’art. 1 CGS, escludendo gli addebiti ex art. 6 CGS, e infliggeva la sanzione dell’inibizione per anni 2 e mesi 6 e dell’ammenda nella misura di € 30.000,00. Avverso la statuizione, il Foti presentava ricorso alla Corte Federale la quale confermava in toto il precedente decisum (C.U. n. 6/Cf del 26.08.2006). Con atto depositato in data 13.11.2006 (prot. n. 1974) Foti, esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, proponeva domanda di arbitrato, ai sensi dell’art. 7 del Regolamento, nei confronti della F.I.G.C. «per l’annullamento e per il riesame della decisione emessa dalla Corte Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio in data 26 Agosto 2006 e di cui al C.U. n. 4/CF del 26 Agosto 2006, nonché per l’annullamento ed il riesame connessa, presupposta o conseguente, ai fatti oggetto del suddetto comunicato e della suddetta decisione», dando così avvio al presente arbitrato. Indicati come Collegio Arbitrale i componenti della Camera Arbitrale del Coni e preso atto dell’indisponibilità degli stessi a decidere la controversia, la F.I.G.C., costituitasi il 27.11.2006 con memoria ex art. 10 del Regolamento (prot. n. 2110), nominava Arbitro di parte l’Avv. Enrico Ingrillì, mentre il Foti, in data 30.11.2006, nominava il Prof. Francesco Tufarelli. Successivamente, il 4.12.2006, il Presidente della Camera, visti gli artt. 12 dello Statuto del CONI, 11 comma 2 e 23 comma 1 del Regolamento della Camera, nonché le nomine degli arbitri effettuate dalle parti rispettivamente nell’istanza di arbitrato e nella memoria di costituzione, nominava Presidente arbitrale l’Avv. Ciro Pellegrino. Gli Arbitri nominati formulavano l’accettazione di cui all’art. 14 del Regolamento e per il giorno 26.01.2007 veniva fissata la prima udienza presso la sede della Camera arbitrale. Il Foti, nella domanda di arbitrato, riepilogati i termini della vicenda, lamentava in via preliminare l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte nel procedimento penale nell’ambito del procedimento disciplinare della F.I.G.C., per violazione del diritto costituzionalmente garantito della inviolabilità e segretezza delle comunicazioni (artt. 2 e 15 Cost.) e del divieto imposto dall’art. 270 c.p.p. di utilizzare i risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli in cui sono stati disposti. L’istante evidenziava, inoltre, l’inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p. delle intercettazioni disposte nel procedimento penale pendente a suo carico presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli, non rientrando nei ristretti limiti di ammissibilità tratteggiati dall’art. 266 c.p.p. l’ipotesi per la quale il Foti è stato indagato: la frode sportiva (art. 1 Legge n. 409/89). Il Foti censurava, ancora in via preliminare, la nullità dell’interrogatorio, del deferimento e del giudizio disciplinare per violazione del diritto di difesa, non essendo stato posto, tra l’altro, in condizione di verificare la legittimità delle intercettazioni sotto il profilo della ricorrenza di presupposti delle stesse, stante il rigetto dell’istanza di accesso agli atti del procedimento penale e la conseguente impossibilità di assolvere l’onere probatorio imposto dalla giustizia sportiva. Nel merito, il ricorrente censurava la decisione della Corte d’Appello Federale del 14.08.2006 (C.U. n. 5/C), confermata dalla Corte Federale (C.U. n. 4/Cf del 26.08.2006 e n. 6/Cf del 1°.09.2006), con cui il Foti è stato ritenuto responsabile della violazione dell’art. 1 CGS e, per l’effetto, condannato alla sanzione di anni 2 e mesi 6 di inibizione e al pagamento di € 30.000,00 a titolo di ammenda. In particolare, nell’istanza di arbitrato si rilevava l’insussistenza delle condizioni di cui all’art. 1 con riferimento alle condotte poste in essere dal Foti, siccome prive del carattere di slealtà e scorrettezza richiesto dalla norma, in relazione tra l’altro al contesto in cui si svolse la vicenda, e al rapporto “paritario” e di lunga amicizia tra l’allora Presidente della Reggina Calcio e il Designatore arbitrale Bergamo. Si osservava, inoltre, nelle suddette condotte l’assenza del necessario elemento psicologico. In via subordinata, si lamentava l’errore in punto di diritto e nella valutazione della natura e gravità delle violazioni riconosciute sussistenti a carico di P. Foti, auspicando l’attenuazione della responsabilità dello stesso alla luce dei parametri di cui all’art. 133 c.p., il riconoscimento della causa di giustificazione della legittima difesa o della circostanza attenuante dell’avere agito in conseguenza dei torti e delle ingiustizie subite, nonché del beneficio della continuazione tra le singole telefonate. Al costituendo Collegio Foti, dunque, formulava le seguenti richieste istruttorie, consistenti nell’acquisizione: 1) delle trascrizioni delle testimonianze scritte e audio-video registrate dei testi Riccardo Bigon e Walter Mazzarri rese in data 19.09.2006 in sede di indagini difensive e relativa trascrizione peritale; 2) della rassegna stampa sugli errori arbitrali relativi alle partite Lazio-Reggina, Chievo-Reggina, Milan-Reggina, Messina- Reggina, Brescia-Reggina, Sampodoria-Reggina, già acquisita dalla CAF ma, per comodità, allegata; 3) delle dichiarazioni rese all’Ufficio Indagini da Paolo Bergamo; 4) della richiesta avanzata dalla difesa di Pasquale Foti di accesso agli atti, e del relativo provvedimento di rigetto. Avanzava, infine, le seguenti conclusioni: «1. In riforma dei C.U. n. 2/C della CAF della Federazione Italiana Giuoco Calcio e n. 6 della Corte Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio e previo riesame dell’intera vicenda disporre il proscioglimento di Foti Pasquale dalle incolpazioni allo stesso ascritte. 2. In via subordinata, sempre in riforma dei provvedimenti descritti e previo riesame della questione applicare una sanzione diversa dall’inibizione oppure ridurla al minimo unitamente all’ammenda. 3. Condannare la controparte alle spese e competenze del giudizio». Con memoria depositata il 27.11.2006 (prot. n. 2110), si costituiva in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio, la quale rilevava, di contro, l’infondatezza della domanda di arbitrato sotto il profilo sia dell’inutilizzabilità delle intercettazioni sia dell’insussistenza di condotte sanzionabili a carico del Sig. Foti ex art. 1 C.G.S., rassegnando le seguenti conclusioni: «Voglia il Collegio Arbitrale costituito rigettare in toto il ricorso, in quanto infondato in fatto e in diritto. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di difesa oltre alla refusione alla FIGC di tutte le somme già versate o che verranno versate in corso di giudizio a titolo di diritti amministrativi e di spese e competenze del Collegio». Nel corso della prima udienza, tenutasi il 26.01.2007 presso la sala Tribuna Autorità dello Stadio Olimpico, acquisiti i documenti prodotti dalla parte istante unitamente all’atto introduttivo dell’arbitrato, il Presidente del Collegio evidenziava la presenza di questioni pregiudiziali relative all’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e alla legittimità delle stesse. Il Collegio, dunque, per meglio valutare l’eccezione, invitava il Foti a produrre documentazione utile per verificare il titolo di reato in base al quale erano state disposte le intercettazioni a carico dello stesso, assegnandogli termine fino al 20.02.2007. Altro termine (fino al 28.02.2007) era assegnato alla F.I.G.C. per controdedurre sia in ordine alle eccezioni sulla utilizzabilità delle intercettazioni sia sulle altre questioni evidenziate da controparte. Il Collegio, poi, avvisava entrambe le parti che, oltre i termini suindicati, non avrebbero più potuto depositare documenti se non previo accordo tra loro o con l’autorizzazione del Collegio medesimo rilasciata su istanza motivata e sentita l’altra parte. Esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, le parti si riservavano la possibilità di chiedere al Collegio Arbitrale di pronunciare secondo equità. La F.I.G.C., con atto datato 15.02.2007 (prot. n. 328 del 16.02.2007), chiedeva al Collegio Arbitrale di decidere il procedimento de quo anche secondo equità, invitando a tal uopo la parte ricorrente a manifestare la propria adesione alla richiesta. Alla successiva udienza dell’8.03.2007, il Sig. Foti, delegando i suoi difensori a formalizzare la relativa dichiarazione, accettava che la decisione fosse assunta secondo equità, e dichiarava che, pur avendo richiesto la certificazione relativa ai titoli di reato contestati nel procedimento penale, non aveva ricevuto alcuna risposta in merito. Depositava, peraltro, copia della richiesta di proroga delle indagini resa nel procedimento penale dalla quale risultano i titoli di reato per i quali il Foti è indagato. Invitate le parti a precisare le proprie conclusioni, l’attore si riportava alle difese già prodotte in atti e concludeva, in via principale, perché fosse dichiarata l’estraneità dello stesso ai fatti e annullata la sanzione; in via subordinata, perché fosse rideterminata la sanzione dell’inibizione nella misura del periodo già sofferto, e l’ammenda in una somma non superiore a € 20.000, considerata la disponibilità del ricorrente a devolvere la predetta somma alla formazione delle attività giovanili nella provincia di Reggio Calabria e il 50 % degli incassi pubblicitari di un torneo giovanile che lo stesso si impegnava a organizzare. La Federazione Italiana Giuoco Calcio ribadiva la sua posizione chiedendo il rigetto dell’istanza di Arbitrato e confermando la richiesta di pronunciare secondo equità. Ai sensi dell’art. 20, comma 6 del Regolamento le parti consentivano la proroga di pronuncia del lodo di novanta giorni. Al termine dell’udienza il Collegio si riservava. MOTIVI 1. In via preliminare, si evidenzia che il presente lodo, come accennato in narrativa, sarà emesso secondo equità, atteso l’accordo raggiunto in tal senso dalle parti. Il ricorso al giudizio di equità consente a questo Collegio di valutare la vicenda de quo svincolato dalle norme federali, statutarie e regolamentari, irrogando la sanzione che appare più adeguata in relazione alla peculiarità del caso concreto a prescindere dalla stretta applicazione della normativa di riferimento. 2. Tanto premesso, il Collegio ritiene di richiamare quanto già statuito nei lodi arbitrali emessi nell’ambito della nota vicenda conosciuta come “Calciopoli”. In particolare, il Collegio, condividendo pienamente la decisione assunta nel procedimento di Arbitrato promosso contro la F.I.G.C. da Leonardo Meani relativamente alla questione di ammissibilità - nell’ambito del giudizio disciplinare - dei risultati delle intercettazioni telefoniche disposte a carico del Foti nel procedimento penale instaurato presso la Procura del Tribunale di Napoli, ritiene di dover svolgere le seguenti considerazioni. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 266 c.p.p. per non essere annoverato, tra i reati per i quali è consentito disporre le intercettazioni, il delitto di frode sportiva di cui all’art. 1 Legge n. 401/1989 e per il quale il Foti è stato indagato. Con conseguente inutilizzabilità delle stesse ex art. 271 c.p.p. Osserva il Collegio che ai sensi dell’art. 267, requisito di legittimità delle captazioni è la sussistenza dei «gravi indizi di reato» che - come più volte precisato dalla giurisprudenza di legittimità - non attengono alla colpevolezza di un determinato soggetto bensì alla esistenza dell’illecito. Ne segue che il ricorso alle intercettazioni può essere validamente disposto anche qualora gli indizi in parola (nel caso di specie, relativi al delitto di cui all’art. 416 c.p.) non siano posti a carico di una persona determinata o della persona “intercettata” (il Foti) (cfr. Cass., Sez. II, 19 Ottobre 2005, n. 39275, Zito; Sez. V, 7 Febbraio 2003, n. 38413, Alvaro e altri, Rv. 227413; Sez. VI, 18 Giugno 1999, n. 9428, Patricelli, Rv. 214127). Sussiste, in sintesi, la legittimità del mezzo di ricerca della prova e, dunque, la sussumibilità tra i «mezzi di accertamento legali» di cui all’art. 36 C.G.S., stante che soltanto con prognosi ex ante può affermarsi la legalità della prova. Residua, invece, un problema di utilizzabilità attuale, che impone la tecnica della c.d. prognosi postuma, suscitando il bisogno della verifica ex post. Qui è indispensabile precisare che non è della utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni contro il Foti nel procedimento penale che mette conto occuparsi [il che rimane - a quanto consta - attualmente sub judice], tanto più considerando che in rapporto alla fattispecie penale addebitabile al ricorrente vige un esplicito principio di non interferenza dei procedimenti di giustizia sportiva e penale, secondo l’art. 2, commi 2 e 3, L. n. 401/89: «L'inizio del procedimento per i delitti [di frode in competizioni sportive] non preclude il normale svolgimento secondo gli specifici regolamenti del procedimento disciplinare sportivo (comma 2). Gli organi della disciplina sportiva, ai fini esclusivi della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura penale fermo restando il divieto di pubblicazione di cui all'articolo 114 dello stesso codice (comma 3)». È noto che l’art. 270 c.p.p., nell’imporre il generale divieto di utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello nel quale sono state disposte, esprime l’esigenza di evitare - secondo l’autorevole insegnamento della Corte Costituzionale - che l’autorizzazione del mezzo di ricerca della prova, difettando, con riferimento al fatto diverso, la garanzia del previo intervento del giudice, diventi «un’inammissibile autorizzazione in bianco» (C.C. nn. 63/1994 e 366/1991). Orbene, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che le limitazioni probatorie di cui alla norma su richiamata, inerenti a un «procedimento diverso», si riferiscono a procedimenti nascenti da una nuova notitia criminis e aventi a oggetto un diverso fatto di reato (cfr., di recente, Cass. pen., Sez. II, 2.02.2006, P.), in cui, dunque, si richiede la valutazione della responsabilità penale del soggetto. Come già rilevato nel citato giudizio Meani c/F.I.G.C., «persino verso altri procedimenti in senso lato restrittivi di libertà garantite viene affermata la possibilità di far migrare in utilibus le intercettazioni (benché) inutilizzabili allo scopo di accertamento dei reati, come nel caso di procedimento di applicazione di misure di prevenzione che tragga fondamento da risultati (benché) non spendibili nel giudizio di responsabilità penale contro la stessa persona (cfr., tra varie, Cass. pen., VI, 29 aprile 1999, n. 718, Contino)». L’art. 270 c.p.p. sancisce, pertanto, «un principio nell’ambito del processo penale la cui applicazione non è estensibile ad altri procedimenti, come quelli disciplinari, e in particolare, a quelli che si svolgono nell’ambito di un ordinamento di giustizia privato come quello sportivo» (cfr, tra gli altri, Lodo arbitrale del 12.12.2006 in Reggina Calcio c/F.I.G.C.), e che dunque non costituisce ostacolo all’utilizzazione degli esiti delle intercettazioni contro il Foti. Nella vicenda che occupa il Collegio, occorre piuttosto accertare se, pur non trattandosi di intercettazioni disposte «fuori dei casi consentiti dalla legge», possa comunque assumere rilievo, nell’ambito del presente arbitrato, la circostanza che i risultati di quelle intercettazioni appaiono, in rapporto alla parte promotrice, esorbitanti ab origine i “limiti di ammissibilità” dal momento che l’unica ipotesi di reato prevista a carico del Foti non ne avrebbe consentito - per ragioni di pena edittale - l’impiego in funzione di prova (art. 266 c.p.p.). In altri termini, si richiede di considerare la sorte, qui e ora, di risultati di intercettazioni legittime ex ante che siano però - almeno astrattamente - esposte alla sanzione di inutilizzabilità già nell’ambito del procedimento per il quale le intercettazioni sono state disposte. La giurisprudenza di legittimità, invero, ritiene inutilizzabili i risultati quante volte le intercettazioni, pur nell’ambito di un procedimento formalmente unico, vengano spese come prova di altri reati (non semplicemente derubricati all’esito delle indagini preliminari, bensì sin dall’iniziale ipotesi) insuscettibili, quoad poenam, di essere provati con siffatti mezzi di ricerca. Perciò, si rinviene sancito expressis verbis che «in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la circostanza che non possano considerarsi pertinenti a "diverso procedimento" risultanze concernenti fatti strettamente connessi a quello cui si riferisce l'autorizzazione giudiziale, e che dunque non rilevino i limiti di utilizzabilità fissati all'art. 270 cod. proc. pen., non esclude che siano applicabili, anche a tale proposito, le condizioni generali cui la legge subordina l'ammissibilità delle intercettazioni. Ne consegue che, quando nel corso di intercettazioni autorizzate per un dato reato emergono elementi concernenti fatti strettamente connessi al primo, detti elementi possono essere utilizzati solo nel caso in cui, per il reato cui si riferiscono, il controllo avrebbe potuto essere autonomamente disposto a norma dell'art. 266 cod. proc. pen.» (Cass. pen., Sez. VI, 6 febbraio 2004, n. 4942, Kolakowska, in Arch. nuova proc. pen., 2004, 423; e conf. Id., Sez. I, 23 dicembre 1999, n. 14595, Toscano, dove si afferma il principio generale che «l’inutilizzabilità dei risultati illegittimamente acquisiti non consente nessuna differenza nel regime sanzionatorio in relazione alla utilizzazione delle intercettazioni nello stesso procedimento ne quale sono state disposte, ovvero in altro procedimento:in entrambi i casi il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni deve intendersi sussistente […] quando esse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge»). La presente sede di giustizia è non soltanto diversa da quelle propriamente disciplinari e collocate a livello della singola Federazione, ma anche certamente diversa da una sede di giustizia connotata da pubblicità: l’arbitrato è fenomeno privato, non autoritativo, la cui natura rende naturalmente applicabile alla disciplina che l’ordinamento vi riserva - come sostenuto anche in dottrina (cfr. Riv. dir. proc., 2002, 1142 ss.) - la necessaria integrazione della tutela della riservatezza delle parti, ovvero, altrimenti dicendo, della necessaria cogenza del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196). Nel “trattamento” dei dati personali di P. Foti, cui il Collegio è chiamato sì «per ragioni di giustizia» ma senza integrare alcun «uffici[o] giudiziari[o]» (artt. 8, comma 2, lett. g, e 47), appaiono, allora, esercitabili dall’“interessato” vuoi i poteri di «blocco» vuoi quelli di «oppo[sizione]» rispettivamente previsti dai commi 3, lett. b, e 4, lett. a, dell’art. 7 del Codice. Premesso che la difesa del ricorrente ha dato conto delle ragioni che integrerebbero “violazione di legge” ove i risultati delle intercettazioni fossero utilizzati ulteriormente contro il Foti nell’ambito del procedimento penale in cui quelle intercettazioni sono state disposte (ove, seppur legittimo il mezzo, appaiono comunque esposti alla sanzione di inutilizzabilità i relativi risultati per le viste ragioni di pena corrispondente alla ipotesi di reato), ricorre nella presente sede di giustizia (almeno) un caso di esercizio del diritto di opposizione dell’interessato (art. 8, comma 1) «per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta» (art.7, comma 4, lett. a). In breve, in relazione al Sig. Foti, e limitatamente alla peculiare conformazione del presente giudizio arbitrale, non sarebbe conforme alle «regole per tutti i trattamenti» - le quali impongono ai «titolari» e agli «incaricati» di conformarsi al principio di c.d. «non ecceden[za]» (art. 11, comma 1, lett. d), e cioè di adottare soluzioni che concretino un uso non esuberante dei dati personali «rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o successivamente trattati» - l’utilizzazione di quegli stessi dati che appaiono di insicura utilizzabilità già “in relazione agli scopi [di giustizia penale] per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati» (art. 7, comma 3, lett. b). Questo Collegio, che non è un soggetto dotato di supremazia né è titolare di alcun procedimento ratione obiecti assolto dall’osservanza dei principi in materia di privacy e la cui decisiva natura privata riesce oltremodo esaltata dalla connotazione irrituale del presente giudizio (cfr. art. 52, comma 6, Cod. privacy), non può, insomma, utilizzare i risultati delle intercettazioni che lo stesso procedimento entro il quale sono state disposte appare ancora capace di obliterare. In altri termini, poiché non deve al contempo garantire una finalità di giustizia rilevante per l’ordinamento generale (finalità alla quale è costantemente dato altro statuto disciplinare), questo Collegio, ove non ritenesse - allo stato - inutilizzabili ai sensi dell’art. 11, comma 2, Cod. privacy i dati contenuti nelle trascrizioni delle «chiamate» (art. 4, comma 2 lett. b) di P. Foti, potrebbe sostanziare una «violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali», con eventuali sequele anche in termini di responsabilità (art. 15). 3. Tanto premesso, venendo a esaminare nel merito la responsabilità del Sig. Foti, si rileva anzitutto che, anche nell’ottica di un giudizio equitativo, permane la necessità di analizzare gli specifici comportamenti tenuti dal ricorrente e, più in generale, le circostanze di fatto della vicenda che lo ha visto coinvolto e, su cui, quindi, si incentra il thema decidendum. Al Collegio, infatti, pur quando a esso sia tolta la diretta possibilità di attingere alla trascrizione delle intercettazioni telefoniche acquisite non è inibita la cognizione dei fatti riconosciuti, anche nella stessa istanza di arbitrato, da P. Foti. Si tratta, invero, quanto alla presente sede, di un giudizio civile entro il quale la sostanziale disponibilità della situazione reclamata in causa appare pienamente compatibile col valore legale di verità della affermazione di fatti contra se e favorevoli all’altra parte (art. 2730 c.c.). Ebbene, il contenuto delle conversazioni, appreso pur tramite la mediazione degli atti del presente procedimento che risultano sottoscritti dalla parte personalmente, rende ammissibile un giudizio di disvalore rispetto alla condotta del Sig. Foti in contrasto coi doveri generali di lealtà e probità sportiva, che il Collegio ritiene sussistente. Si condivide, pertanto, la ricostruzione dei fatti svolta dagli organi della giustizia sportiva che - esclusa la perpetrazione dell’illecito sportivo di cui all’art. 6 CGS - hanno ravvisato nel comportamento del Foti plurime violazioni dei doveri di lealtà, correttezza e probità ai sensi dell’art. 1 CGS. In particolare nelle condotte ascritte al ricorrente, afferma la Corte Federale, «si ravvisano in modo grave, ripetuto e irriducibile una concezione strumentale del rapporto di consuetudine con Bergamo, la cinica volontà di approfittarne per ottenere informazioni o indicazioni ad altre società precluse, il disinvolto proponimento di effettuare “raccomandazioni” nella piena consapevolezza che proprio la cordiale conoscenza con il designatore avrebbe escluso le sue rimostranze o reazioni che impedissero l’ostinata prosecuzione delle postulazioni, la ricerca di indebiti privilegi rispetto ad altre società» (C.U. n. 6/Cf). Il carattere sleale e scorretto dell’attività sportiva espletata dall’allora Presidente della Reggina non può non essere ravvisato nell’instaurazione di un canale diretto con soggetti deputati alla designazione della terna arbitrale e capaci pertanto di condizionare direttamente l’atteggiamento di gara della medesima, pur nella almeno putativa convinzione di dover reagire a “torti” subiti e di poterlo fare avviando contatti non trasparenti e oggettivamente ambigui diretti a ottenere impropriamente “attenzione” da parte degli arbitri. Il punctum pruriens dell’intera vicenda, dunque, è che il Foti non si è limitato a dolersi - in particolar modo con il designatore arbitrale Bergamo - di puntuali contestazioni relative a fatti di gara pregressi, ma si è spinto ben oltre, avanzando continue richieste di ‘rassicurazione’ sulla composizione della terna arbitrale e la successiva direzione di gara. Sicché i contatti avviati, per la loro plurima e costante reiterazione, hanno travalicato i limiti di «una comunque superflua e sicuramente anomala sollecitazione all’esercizio di un potere-dovere del designatore arbitrale in merito alla formazione di terne arbitrali adeguate e alla preparazione tecnica, fisica e psicologica delle direzioni di gara, assumendo un carattere anche solo oggettivamente discriminatorio in assenza di analoga ‘sollecitazione’ da parte della squadra di volta in volta avversaria» (cfr. Lodo Reggina Calcio c/F.I.G.C.). In proposito, non riveste rilevanza decisiva la considerazione secondo cui il suddetto contatto sarebbe stato istituzionalmente sollecitato dagli stessi designatori arbitrali, atteso che non risultano agli atti provvedimenti formali o comunicati ufficiali che, allora come ora, individuino nei designatori i soggetti preposti alla ricezione di reclami delle società per presunti torti arbitrali. Né tanto meno tali soggetti potevano istituzionalmente considerarsi destinatari di raccomandazioni preventive circa la composizione della terna arbitrale o lo svolgimento della direzione di gara. 4. Il Collegio arbitrale ritiene, tuttavia, in accordo con la statuizione relativa all’Arbitrato Reggina Calcio c/ F.I.G.C., che «il contenuto e il tenore delle pur scorrette richieste di ‘rassicurazione’ avanzate da P. Foti, nella almeno putativa convinzione di dover reagire a “torti” subiti, non rivelano l’esistenza di un compiuto disegno criminoso inteso all’alterazione delle competizioni sportive né alcuna capacità di seriamente condizionare o alterare la condotta istituzionale del designatore arbitrale». Alla luce di quanto appena osservato e di una valutazione, anche in via equitativa, dei fatti posti in essere dall’attuale istante, il Collegio reputa di dover ridurre la sanzione di anni 2 e mesi 6 di inibizione inflitta dagli Organi della Giustizia Federale. Più segnatamente, si ritiene di poter riconoscere particolare rilevanza alle motivazioni che hanno indotto il Foti a contattare il Designatore arbitrale. Come accennato, l’elemento psicologico che ha sorretto le condotte del ricorrente appare fortemente condizionato dalla convinzione di reagire alle ipotetiche ingiustizie arbitrali subite dalla Soc. Reggina, e dall’esigenza di cercare confronti tranquillizzanti e rassicuranti circa l’integrità e la correttezza della terna arbitrale. Le considerazioni svolte inducono Codesto Collegio ad attenuare la sanzione già inflitta al Sig. Pasquale Foti. Si ritiene, più convenientemente, e ispirandosi a una valutazione equitativa, doversi riformare la statuizione degli Organi di Giustizia Sportiva nella parte relativa alla sanzione che si stima più giusta ed equa nella misura di 1 anno e 1 mese di inibizione. 5. Quanto alla sanzione pecuniaria già inflitta dagli Organi della Giustizia Sportiva, il Collegio arbitrale si dichiara incompetente a pronunciarsi, rimanendo pertanto essa ferma nella misura di € 30.000. 6. Tutte le altre domande ed eccezioni devono intendersi assorbite. 7. La pronuncia secondo equità, ricorrendone giusti motivi, consente di stabilire la integrale compensazione delle spese del procedimento e per assistenza difensiva tra le parti. 8. Appare altresì equo al Collegio che le parti siano tenute in egual misura, con vincolo di solidarietà, al pagamento dei diritti degli arbitri, come separatamente liquidati, nonché dei diritti della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport integralmente compensate tra le parti. 9. I diritti amministrativi versati devono essere incamerati dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. P.Q.M. Il Collegio Arbitrale all’unanimità, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione, così provvede: a) In riforma della decisione della Corte Federale di cui al Comunicato ufficiale n. 6/Cf del 1°.09.2006, applica a Pasquale Foti la sanzione dell’inibizione temporanea per anni uno e mesi uno; b) Dichiara la propria incompetenza a pronunciarsi sul ricorso del Sig. Foti nella parte relativa alla sanzione pecuniaria; c) Dispone la integrale compensazione tra le parti delle spese di difesa e del presente procedimento arbitrale; d) Dispone che le parti siano tenute in egual misura, con vincolo di solidarietà, al pagamento dei diritti degli arbitri, come separatamente liquidati, nonché dei diritti della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport; e) Dispone che tutti i diritti amministrativi versati siano incamerati dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Così deciso in Roma, in conferenza personale degli arbitri, il giorno 8.03.2007. Il presente lodo è stato preventivamente sottoposto al controllo formale della Camera ai sensi dell’art. 20 del Regolamento e sottoscritto in numero di tre (3) originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati. F.to Ciro Pellegrino F.to Francesco Tufarelli F.to Enrico Ingrillì
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