F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2007/2008 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale N. 56/CGF DEL 11 DICEMBRE 2007 RICORSO DELL’ A.C. AREZZO S.P.A. AVVERSO LA DECISONE DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE CHE HA INFLITTO AL PRESIDENTE, SIG. PIERO MANCINI, L’INIBIZIONE PER ANNI 1, E ALLA SOCIETA’, LA PENALIZZAZIONE DI PUNTI 3 (Stag. Sport. 2007/2008) E L’AMMENDA DI € 15.000.00 A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Com. Uff. n.11/CDN del 9.10.2007)
F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2007/2008 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it
e sul Comunicato ufficiale N. 56/CGF DEL 11 DICEMBRE 2007
RICORSO DELL’ A.C. AREZZO S.P.A. AVVERSO LA DECISONE DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE CHE HA INFLITTO AL PRESIDENTE, SIG. PIERO MANCINI, L’INIBIZIONE PER ANNI 1, E ALLA SOCIETA’, LA PENALIZZAZIONE DI PUNTI 3 (Stag. Sport. 2007/2008) E L’AMMENDA DI € 15.000.00 A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE
(Com. Uff. n.11/CDN del 9.10.2007)
Fatto. Il Procuratore Federale, con decisione del 7 Agosto 2007, deferiva alla Commissione Disciplinare Nazionale 1) il sig. Piero Mancini, Presidente e Legale rappresentante della società A.C. Arezzo; 2) la società A.C. Arezzo s.p.a, per rispondere:
- il primo della violazione degli artt. 27, 2° e 4° comma, dello Statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio (ora art. 30) e 11-bis del Codice di Giustizia Sportiva (ora art. 15), per aver contravvenuto ed eluso gli obblighi di accettare la piena e definitiva efficacia dei provvedimenti degli Organi di giustizia sportiva e soggetti delegati della F.I.G.C. proponendo i ricorsi di cui alla parte motiva del presente provvedimento, in assenza di preventiva autorizzazione della F.I.G.C.;
- la società Arezzo s.p.a. a titolo di responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 2, comma 4 Codice Giustizia Sportiva (ora art. 4, comma 1) in ordine agli addebiti contestati al suo presidente e rappresentante legale. Rilevava, invero, il Procuratore Federale, che la società A.C. Arezzo risultava aver proposto innanzi al TAR Lazio ricorso (depositato il 14 febbraio 2007; R.g. n. 1308/2007) per ottenere l’annullamento:
a) della decisione in data 12 dicembre 2006 (prot. CONI 2234), con cui la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport presso il CONI ha confermato la decisione della Corte federale della FIGC, pubblicata il 1° settembre 2006, recante irrogazione all’anzidetta società della sanzione di sei punti di penalizzazione nella classifica del campionato italiano di calcio (serie B) da scontare nella stagione sportiva 2006-2007;
b) della predetta decisione della Corte federale (Com. Uff. 7/Cf);
c) della decisione del 17 agosto 2006, con cui la Commissione di appello federale ha irrogato all’Arezzo la penalizzazione di nove punti (Com. Uff. 6/C);
d) nonché, nei limiti dell’interesse, di alcune disposizioni dello Statuto FIGC e del Codice di Giustizia Sportiva in materia di nomina dei componenti degli organi di giustizia federali e in materia di “responsabilità presunta” (artt. 6, comma 4, e 9, comma 3, CGS). Rileva, altresì, il Procuratore Federale, che avverso la sentenza emanata dal TAR Lazio, la società Arezzo, in data 2 luglio 2007 proponeva ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’annullamento degli atti impugnati, previa sospensiva degli effetti delle sanzioni irrogate (punti di penalizzazione), e, in subordine, il risarcimento del danno nella misura di quindici milioni di euro; il Consiglio di Stato, con decisione del 31 luglio 2007, ha respinto l’istanza cautelare. La base giuridica del deferimento è il previgente testo dell’art. 27 Statuto federale (ora trasfuso nell’art. 30); le norme sul “vincolo di giustizia”, espressive del generale principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, hanno il fine di “evitare contrasti di decisioni provocati dalla condotta volontaria” di un appartenente alla Federazione; il sopravvenuto art. 2 d.l. n. 229 del 2003 (convertito nella L. n. 280/’03).
Il Procuratore Federale muoveva la propria decisione:
1) dall’analisi della giurisprudenza civile che ribadiva la natura negoziale del vincolo di giustizia previsto nello Statuto FIGC;
2) dalla sua fondamentale rilevanza per l’ordinamento sportivo, essendo
“ontologicamente finalizzato a garantirne l’autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale, autonomia riconosciuta generalmente necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi, sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte”; ciò alla luce della “dimensione sostanzialmente privatistica della giustizia sportiva” e quindi della “origine contrattuale, e non autoritativa, dell’accettazione dei regolamenti federali, quale portato di un atto di adesione spontanea alla comunità sportiva”;
3) dalla posizione assunta in merito dal giudice amministrativo che “appare non ancora del tutto chiara” secondo la Procura federale;
4) dal dissenso con la giurisprudenza amministrativa che riteneva (e ritiene) la propria giurisdizione anche in materia riservata all’ordinamento sportivo attraverso -a giudizio del Procuratore- una lettura non conforme delle norme indicate, “non essendo suscettibile di influire sulla perdurante vigenza dell’obbligo statuario dei tesserati di non varcare il perimetro della giustizia sportiva allorquando vengano in rilievo questioni riservate al relativo ordinamento, non essendo certo ipotizzabile, al di là del tenore testuale dell’art. 2 d.l. citato, che l’esistenza di una posizione azionabile innanzi al giudice statale sia desunta dagli “effetti indiretti” dei provvedimenti sanzionatori; in tal caso, infatti, il discrimine tra possibilità di accedere alla giurisdizione e difetto assoluto della stessa verrebbe inammissibilmente a dipendere da una decisione del giudice su situazioni in ipotesi differenziabili solamente per il tipo o l’entità della sanzione in concreto irrogabile”. Conseguentemente, anche alla luce della nuova normativa, il Procuratore federale riaffermata la perdurante sussistenza ed efficacia del “vincolo di giustizia”, concretatesi nel duplice obbligo incombente sugli appartenenti all’ordinamento sportivo, in caso di controversie con la Federazione o tra di loro:
a) di esperire solamente i rimedi di autodichia;
b) di non adire la giurisdizione statale se non all’esito dei rimedi interni e soltanto previa autorizzazione federale.
Considerava, dunque, che la norma sanzionatoria contenuta nell’art. 11-bis CGS (oggi sostituito dall’art. 15) non potesse che condurre al riconoscimento della responsabilità diretta della società A.C. Arezzo, ai sensi dell’art. 2, comma 4, CGS (oggi art. 4, comma 1). La Commissione Disciplinare Nazionale (CDN), con decisione pubblicata in data 9 ottobre 2007 (Com. Uff. 11/CDN) in accoglimento del deferimento del Procuratore federale ha irrogato le sanzioni della inibizione per anni 1 al Presidente dell’Arezzo comm. Piero Mancini e della penalizzazione di punti 3 in classifica da scontarsi nella stagione 2007/2008 e l’ammenda di € 15.000,00 a carico della A.C. Arezzo Spa, per violazione degli artt. 27, 2° e 4° comma, dello Statuto FIGC (ora art. 30 nuovo Statuto FIGC) e 11-bis del CGS (ora art. 15): al primo “per aver contravvenuto ed eluso gli obblighi di accettare la piena ed effettiva efficacia dei provvedimenti degli Organi di Giustizia Sportiva e soggetti delegati della FIGC”, proponendo ricorsi dinanzi al TAR Lazio e al Consiglio di Stato in assenza di preventiva autorizzazione; ed alla società a titolo di responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 2, comma 4 CGS (ora art. 4, comma 1) in ordine agli addebiti contestati al sig. Piero Mancini, Presidente e legale rappresentante della società stessa. Ha ritenuto, invero, la CDN la fondatezza del deferimento in quanto volto a sanzionare il comportamento del Presidente Mancini e della Società A.C. Arezzo in quanto volti ad eludere il vincolo di giustizia; conseguentemente statuiva il seguente principio:
“Ritenuto, che alla luce di una attenta valutazione delle problematiche in esame, appare corretto affermare che se, da una parte, deve essere sempre consentito impugnare liberamente dinanzi al Giudice Statale provvedimenti federali riguardanti materie “non riservate all’Ordinamento Sportivo” (logicamente esauriti i gradi di giudizio dinanzi alla giustizia sportiva), deve sicuramente opporsi la esistenza del vincolo di giustizia nel caso in cui le controversie sottoposte al Giudice Statale siano “riservate” all’ordinamento sportivo (leggi questioni di carattere disciplinare). Valutato che la fattispecie che ha dato origine ai procedimenti in sede sportiva a carico della società AC Arezzo aveva natura prettamente disciplinare, così come peraltro confermato dai deferiti nelle proprie memorie difensive in atti, ragion per cui, vertendosi in “materia riservata”, l’attivazione dei giudizi dinanzi al Giudice Amministrativo, in difetto di preventiva autorizzazione federale, deve ritenersi come comportamento volto ad eludere il vincolo di giustizia. Ritenuto che i comportamenti sopra descritti comportano l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali, avendo cura di applicare nella fattispecie l’art. 11 bis CGS, e non l’art.15 nuovo CGS, in quanto più favorevole ai deferiti, P.Q.M. in accoglimento del deferimento, irroga le sanzioni della inibizione per anni 1 al Presidente sig. Piero Mancini, della penalizzazione di punti 3 in classifica da scontarsi nella stagione sportiva 2007-2008 e l’ammenda di Euro 15.000,00 a carico della A.C. Arezzo S.p.A.”(così CDN Com. Uff. 11 del 9 ottobre 2007). L’A.C. Arezzo Spa ha presentato ricorso a questa Corte di Giustizia Federale avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale pubblicata in data 9 ottobre 2007 articolando i seguenti motivi: “Diritto di motivazione. Errore nei presupposti di diritto. Violazione dell’art. 30 dello Statuto federale”. In primo luogo deduceva la società Arezzo di non aver coltivato il ricorso giurisdizionale in violazione della c.d. clausola compromissoria e neanche per negare l’efficacia dei provvedimenti federali, benchè a tale riguardo l’atto di deferimento e la CDN lascino intendere il contrario. La società sostiene di aver impugnato il lodo della Camera ottemperando all’art. 30, comma 3, dello Statuto FIGC (già art. 27, comma 3) cioè non ha adito la giustizia statale in luogo dell’arbitrato (violando “l’autodichia”) ma ha contestato quel lodo dinanzi al giudice amministrativo, in quanto “diritto dei tesserati che, oltre a discendere dalla Costituzione (art. 24), è previsto anche dalla legge, ed in specie dall’art. 3, comma 1, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con legge n. 280/2003 secondo cui “esauriti i gradi della giustizia sportiva” ogni controversia “avente ad oggetto atti” del CONI o delle Federazioni sportive è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (vedi anche Corte federale: Com. Uff. 16/Cf). L’Arezzo dunque poteva chiedere, come in effetti ha chiesto, la nullità del lodo dinanzi al giudice amministrativo, deducendo tutti i motivi in rito e nel merito che dinanzi a quel giudice tipicamente possono essere sollevati (proprio perchè si tratta di lodo “pienamente sindacabile”)”. In secondo luogo, rilevava la società ricorrente il difetto di motivazione, ed errore nei presupposti; falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge 280/2003, in relazione anche agli artt. 24, 103, 113. Costituzione.
Nel caso specifico l’Arezzo, impugnando il lodo, non avrebbe inteso tanto “varcare il perimetro della giustizia sportiva”, quanto tutelare posizioni giuridiche soggettive di indubbia rilevanza per l’ordinamento, in base al combinato disposto della norma statutaria (art. 27 ora art. 30 dello Statuto Federale) e della legge 280 del 2003 (art. 1, comma 2, in particolare che codifica il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo salvi i casi di rilevanza anche per l’ordinamento statale). L’impugnativa del lodo reso dalla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del CONI, in quanto prevista dallo Statuto, è stata ritenuta nel caso di specie legittima, e quindi non sanzionabile, in quanto la legge n. 280/2003 prevederebbe il “principio di autonomia dell’ordinamento sportivo”, “salvi i casi di rilevanza” di situazioni giuridico-soggettive anche per l’ordinamento statale. Ne deriverebbe che, in base a tale norma costituente una sorta di “codificazione” di tale “principio di rilevanza”- i provvedimenti emanati dal CONI o dalle Federazioni sportive nei confronti di soggetti ad essi affiliati o tesserati non sarebbero impugnabili innanzi al giudice statale quando essi presentino una rilevanza soltanto interna all’ordinamento sportivo. Sarebbero invece impugnabili innanzi al giudice statale tutti i provvedimenti che presentino una rilevanza anche esterna all’ordinamento sportivo, determinino la lesione non solo di interessi esclusivamente sportivi, ma anche di interessi giuridicamente rilevanti, anche solo connessi con quelli sportivi, cioè la lesione di posizioni giuridico-soggettive riconoscibili come diritti soggettivi o come interessi legittimi. Continua l’Arezzo che “d’altra parte è ormai pacifico che la “rilevanza giuridica” degli interessi lesi vada riconosciuta laddove sia ravvisabile una rilevanza economica oltre che morale, di tali interessi: in sostanza, ad esempio, laddove un provvedimento federale, oltre a ledere interessi sportivi, può dirsi lesivo di interessi anche “economicamente e moralmente rilevanti”, viene comunemente riconosciuta la rilevanza giuridica dello stesso e, per l’effetto, la impugnabilità anche innanzi al giudice statale. E non può davvero essere messo in dubbio che l’Arezzo, che è una società per azioni, ha inteso tutelare, ripetiamo, sia il diritto morale del suo presidente e dei suoi dirigenti a prendere le doverose distanze da un episodio che non vede “protagonista” alcun rappresentante della società (sebbene soggetti ad essa estranei), la cui contestazione non a caso è avvenuta solo a titolo di “responsabilità presunta”, sia l’interesse economico a mantenere la squadra in serie B, anche per prevenire in futuro richieste risarcitorie (si pensi, ad esempio, agli introiti per i diritti televisivi per le riprese, che nel precedente campionato di B erano di notevole entità, data la presenza di numerose e più blasonate squadre di calcio, tra cui la Juventus, ed ancora si pensi all’impatto negativo sui tifosi, con conseguenti minori introiti dovuti al mancato acquisto di abbonamento e biglietti; si pensi, ancora, al maggior costo per le fideiussioni che sopportano le squadre di calcio quando chiedono l’iscrizione alla serie C1 rispetto alla serie B; si pensi, infine, al “minor valore” che inevitabilmente subiscono i calciatori di una squadra che milita in serie C1 rispetto alla serie B, etc.).”. La società ricorrente contestando l’assunto della Procura federale, recepito dalla CDN, in quanto basato su una interpretazione restrittiva e non condivisibile della legge 280/2003, che all’art. 2, comma 1, lett. b), riserverebbe all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni in esame , e richiamando la giurisprudenza amministrativa di segno opposto alle conclusione della CDN, affida “alla saggezza della Corte federale un ulteriore, e confidiamo, rilevante argomento. La società ha impugnato dinanzi al TAR – anche l’art. 9, comma 3 del codice di giustizia sportiva (vecchio testo), vale a dire la norma che istituisce e disciplina la figura della responsabilità presunta. Siamo, evidentemente, a maggior ragione al di fuori dell’ambito di applicazione del vincolo di giustizia non avendo la ricorrente portato all’attenzione del giudice statale la pura e semplice sanzione disciplinare inflitta dalla Federazione, sebbene proprio la norma regolamentare che ne rappresentava il suo presupposto giuridico.” Ulteriore motivo è costituito dalla “Violazione dell’art. 4 del codice di giustizia sportiva. Assenza dell’elemento costitutivo dell’illecito”. I ricorrenti odierni si appellano “anche sotto altro profilo alla saggezza della Corte federale, sollecitando i poteri di riduzione, anche in via equitativa, della sanzione della penalizzazione di punti inflitta alla società rafforzata dalla consapevolezza che la FIGC non avrebbe mosso i rilievi che, invece, oggi muove il Procuratore Federale, e ciò proprio in ragione dei precedenti giurisprudenziali che senza incertezze consentivano il ricorso alla giurisdizione statale, esauriti i gradi interni, anche avverso le sanzioni disciplinari (senza trascurare il precedente del Cosenza Calcio, concluso con la revocazione di provvedimenti disciplinari: C.a.f. – Com. 47/c). E non è certo un caso che la Procura ha atteso l’esito del giudizio di primo grado promosso dall’Arezzo, e della fase cautelare di secondo grado, prima di procedere ad una nuova contestazione di addebiti. La società Arezzo ha ritenuto di adire il giudice statale: ciò, se non altro, dimostra la perfetta buona fede della società e del suo presidente e dimostra, in ogni caso, l’assenza di colpa della società (rammentando che la colpa è elemento indispensabile per l’imputazione della società a titolo di “responsabilità diretta” ex art. 2, comma 4, del codice di giustizia sportiva, ora art. 4, comma 1). Appare eccessivamente gravoso contestare la responsabilità diretta della società Arezzo, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del codice di giustizia sportiva: infliggere una seconda sanzione alla società durante il corso del campionato significherebbe rischiare il compromettere il buon esito della competizione sportiva, che per l’Arezzo significa ritornare nella serie B. La CDN non ha tenuto in conto le deduzioni difensive sul punto”. Inoltre la società ricorrente deduce “Richiesta di disapplicazione delle norme statutarie e del codice di giustizia sportiva rilevanti nel caso di specie”. Motivo di reclamo in quanto anche gli organi di giustizia sportiva devono preferire una interpretazione conforme alla Costituzione ed alle leggi delle suddette norme. Si profilerebbe, in tal caso, infatti, una illegittima limitazione, in senso assoluto, del diritto costituzionale di azione per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art. 24); del diritto costituzionale che consente sempre l’impugnativa di atti e provvedimenti amministrativi dinanzi agli organi di giustizia amministrativa (art. 103 e 113 Cost.).
Diritto. 1- Come è noto l’art. 30 del nuovo Statuto federale al comma 4 prevede che: “Fatto salvo il diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello Stato per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente, il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in deroga al vincolo di giustizia. Ogni comportamento contrastante con gli obblighi di cui al presente articolo, ovvero comunque volto a eludere il vincolo di giustizia comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali”. A sua volta l’art.15 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva (Violazione della clausola compromissoria) disciplina le relative sanzioni. Quanto alle norme nazionali, vanno richiamati gli articoli 1, 2 e 3 della legge n. 280 del 2003.
2. Il Vincolo di giustizia sportiva. 2.1- E’ in questo quadro che vanno definite la natura e la portata del c.d. vincolo di giustizia. Al riguardo, innanzitutto, non si ritiene che sia corretta la prospettazione delle parti incentrata sulla questione dell’esistenza o meno, nella vicenda in esame, di una situazione giuridicamente rilevante suscettibile di tutela dinanzi all’autorità giudiziaria. Di fatti tale accertamento, che secondo le Sezioni Unite della Cassazione (sent. 29 settembre 1997 n. 9550; 15 giugno 1987 n. 5256) costituisce questione di merito e non di giurisdizione, non può che competere all’autorità giudiziaria e sfugge del tutto a qualsiasi verifica da parte della giustizia sportiva, poiché non è ipotizzabile che questa adotti le proprie pronunce sulla legittimità delle sanzioni sulla base di una interpretazione, che potrebbe addirittura essere contrastante con quella del giudice nazionale (come sostiene nel caso di specie la Procura federale). Del resto, la disposizione riprodotta non fa riferimento a tale questione che semmai potrà essere presa in considerazione ai fini del rilascio dell’autorizzazione regolarmente richiesta. In ogni caso, pertanto, deve riconoscersi alle parti il potere di agire in sede giurisdizionale, in primo luogo, per ottenere la qualificazione della natura della situazione soggettiva che si assume lesa, con l’unico limite, imposto appunto dal comma 1 dell’art. 3 della legge n. 280 del 2003, del previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva.
2.2- A questa Corte compete invece accertare in che modo incida su tale potere di azione l’art. 30 dello Statuto federale, laddove sanziona il relativo esercizio in mancanza dell’autorizzazione del Consiglio federale. Sono ipotizzabili due interpretazioni della norma. Una prima, secondo cui le sanzioni previste dall’art. 15 del Codice di Giustizia Sportiva scatterebbero solo nel caso in cui si adisse l’autorità giudiziaria prima dell’esaurimento dei gradi della giustizia sportiva. Un’altra secondo cui la sanzionabilità opererebbe nel caso in cui dopo l’esaurimento dei gradi della giustizia sportiva si adisse l’autorità statale senza la prescritta autorizzazione federale. All’accoglimento della prima opzione ermeneutica ostano ragioni logico - giuridiche, ma anche il dato letterale dell’art. 30 dello Statuto federale. Partendo appunto dal dato letterale, si deve rilevare che l’ultimo comma dell’articolo in questione, pur non affermandolo esplicitamente, dà chiaramente per scontato che l’autorizzazione sia chiesta dopo che siano intervenute le pronunce dei giudici sportivi, né potrebbe fare altrimenti poiché ciò costituisce oggetto di puntuale precisazione della legge n. 280 il cui articolo 3, al comma 1 stabilisce che: “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”. Non avrebbe alcun senso chiedere e tanto meno rilasciare l’autorizzazione per esercitare un’azione che sarebbe comunque inammissibile ai sensi della normativa nazionale. L’oggetto dell’autorizzazione è dunque l’esercizio dell’azione dopo l’esaurimento di tutti i gradi della giustizia sportiva.
3. L’opzione ermeneutica seguita dalla Corte d’altronde si ritiene non sia in contrasto con il diritto di azione e di difesa riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione ed al principio del monopolio statale della giurisdizione, di cui all’art. 102 Cost. Sul presupposto della natura privatistica riconosciuta dalla legge alle Federazioni per le attività loro riservate (decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242 art.15) la giurisprudenza di legittimità, già da tempo, ha infatti affermato la natura negoziale del cd. vincolo di giustizia (v. Cass., n. 4351 del 1993), che costituisce un momento fondamentale dell'ordinamento sportivo, essendo ontologicamente finalizzato a garantirne l'autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale, autonomia ritenuta generalmente necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi, sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte (così Cass. civ. , Sez. I, sent. n. 18919 del 2005). Nel senso della dimensione privatistica della giustizia sportiva, e, quindi, della origine contrattuale, e non autoritativa, disporrebbe, secondo la Cassazione, l'accettazione dei regolamenti federali, quale portato di un atto di adesione spontanea alla comunità sportiva, nonché la natura ormai prevalentemente privatistica delle federazioni sportive. La Cassazione non ha ritenuto che il sopraggiungere del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito, con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003, n. 280, originato dalla esigenza di porre rimedio ad una situazione di estrema incertezza che si era venuta a creare con riguardo, in particolare, alla individuazione delle squadre di calcio aventi titolo a partecipare ai campionati della stagione 2003- 2004, e destinato a definire l'assetto dei rapporti tra l'ordinamento generale e quello sportivo, abbia, sotto il profilo che ne occupa, determinato un sostanziale mutamento del quadro sopra descritto (Cass. civ. n. 18919/05, cit.). In queste condizioni anche la sanzionabilità dell’azione promossa senza autorizzazione deve ritenersi l’effetto di un obbligo liberamente assunto nel legittimo esercizio dell’autonomia privata.
4. L’eccezione della nullità dei lodi. 4.1- Nel caso di specie è stato impugnato davanti al giudice statale un lodo emesso dall’organo arbitrale quale la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport presso il CONI (di seguito “Camera”) e ciò pone il problema ulteriore della interpretazione della prima parte del comma 4 in questione, che esclude la necessità dell’autorizzazione nel caso di azione di nullità dei lodi arbitrali. Deve al riguardo chiarirsi innanzitutto che la eccezione riguarda tutti i lodi del comma 3: sia, cioè, i lodi resi dagli organi arbitrali della Camera, che quelli resi in applicazione delle clausole compromissorie previste dagli accordi collettivi o di categoria o da regolamenti federali. Se è vero infatti che la natura di questi atti è profondamente diversa (lo si vedrà tra poco), è anche incontestabile che il rinvio al comma precedente è generico così da non autorizzare alcuna distinzione.
4.2- Ciò premesso, per verificare l’ambito della eccezione (azione tesa a far valere la nullità dei lodi) occorre soffermarsi sulla natura dei lodi resi dagli organi arbitrali della Camera. Sulla qualificazione del lodo pronunciato dalla Camera e , dopo la riforma del regolamento, dagli organi arbitrali (i collegi) istituiti ed operanti presso di essa, come vero e proprio lodo arbitrale, alternativo alla giurisdizione statale ovvero come decisione amministrativa giustiziale, è sorto subito un dibattito anche giurisprudenziale. Secondo l’orientamento invalso nella giurisprudenza amministrativa si tratterebbe di una decisione emessa dal supremo organo della giustizia sportiva sulla base di principi e garanzie tipiche del giudizio arbitrale, ma che resta soggetta agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate all’ordinamento sportivo, secondo i principi indicati in precedenza ( ex multis Consiglio di Stato, VI, 268 del 2007 decisa nella Camera di Consiglio del 11 luglio 2006, caso Salernitana calcio, rg 6860/2005). Pertanto, la decisione della Camera o degli organi arbitrali operanti presso la medesima, non costituirebbe un vero e proprio lodo arbitrale, ma rappresenterebbe, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, la decisione di ultimo grado della giustizia sportiva, avente quindi il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo negoziale, benché emesso con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbitrale. Di conseguenza, si tratterebbe di atto sindacabile in modo pieno dal giudice amministrativo e non vigerebbe la limitazione dei motivi di impugnazione a quelli di nullità del lodo ex art. 829, c.p.c. (ora 828 c.p.c novellato). Con la successiva decisione 9/2/2006, n. 527, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha ribadito il proprio orientamento, confermando la tesi della natura amministrativa del giudizio degli organi arbitrali della Camera, essenzialmente in ragione della natura di interesse legittimo della posizione giuridica azionata e della incompromettibilità in arbitri di tali posizioni giuridiche soggettive. Da ultimo è intervenuto il Consiglio di giustizia amministrativa siciliana, che con la sentenza n. 1048 dell’8 novembre 2007, ha disatteso l’orientamento suesposto, ritenendo l’insussistenza della giurisdizione amministrativa, e al contempo di ogni altra giurisdizione, e ciò in base alla esegesi degli artt. 1, 2 e 3 del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 17 ottobre 2003, n. 280, in un ricorso azionato dai tifosi del Catania avverso i provvedimenti del giudice sportivo della squalifica del campo fino al 30 giugno 2007 e dell’obbligo di disputare a porte chiuse le residue partite casalinghe. Peraltro, il Tar Lazio, sez. III, , non condividendo l’ipotesi ricostruttiva di un’attività amministrativa in forma arbitrale, con la sentenza n. 2751 del 7 aprile 2004 , era pervenuto alla diversa opzione ermeneutica che ravvisa nella decisione degli organi arbitrali della Camera un lodo irrituale, con conseguente esclusione di un sindacato pieno da parte del giudice statale, che è peraltro consentito nei confronti del provvedimento amministrativo originario, adottato dalla Federazione o dal C.O.N.I.. Ovviamente, a seconda che si attribuisca l’una o l’altra natura al lodo in questione cambia profondamente l’oggetto dell’azione di nullità. Difatti, se ritenuto atto amministrativo, occorrerebbe far capo alla legge n. 241 del 7 agosto 1990 ( e successive modificazioni) e in particolare all’articolo 21 septies (introdotto dalla legge 15 del 2005) ; al contrario se ritenuto lodo in senso tecnico i casi di nullità andrebbero individuati ai sensi degli artt. 808 ter e 828 c.p.c. novellati ovvero , come indicato in dottrina ( Verde, Auletta) anche ai sensi dell’art.1418 c.c. In entrambi i casi peraltro l’azione esercitata dalla Arezzo non può rientra e in questo ambito, poiché attiene chiaramente al merito della questione e cioè alla legittimità della sanzione a suo tempo inflitta. Essa è dunque sanzionabile perché promossa senza la prescritta autorizzazione.
5. Ciò ritenuto in via di principio, occorre tuttavia verificare se in concreto sia meritevole di sanzione la tutela azionata dall’A.C. Arezzo dinanzi il giudice statale priva della preventiva autorizzazione. Si ritiene, al riguardo, dalla Corte che occorra valutare, anche ex ufficio, gli elementi scriminanti a favore della società ricorrente che ha agito sulla base delle disposizione degli artt. 2 e 3 della legge 280 del 2003. Ebbene, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza anche amministrativa, assumono rilievo i contrasti giurisprudenziali in ordine all’applicazione della legge ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile (così Consiglio di Stato, Ad. Pl. , sentenza n. 2 del 14.2. 2001; C.d.S., VI sezione, 10.2.2000 n. 708; C.d.S., Ad Pl. n. 5 del 2002) E non vi è dubbio che, come emerge anche dalla vicenda processuale attuale, l’interpretazione delle norme in questione e in particolare dell’art. 30 (già art.27) è discusso ed oggetto di decisioni contrastanti. Ne consegue, a giudizio del Collegio, l’assenza dell’elemento soggettivo necessario per integrare la sussistenza dell’illecito previsto dall’art. 4 del Codice Giustizia Sportiva in relazione alla violazione del successivo articolo 15. Sussistono, dunque, validi elementi per escludere che la violazione dell’art. 30 dello Statuto della FIGC e dell’art. 15 del Codice di Giustizia Sportiva da parte dell’A.C. Arezzo e del suo presidente meriti la sanzione che è stata loro inflitta. P.Q.M. La Corte di Giustizia Federale accoglie il ricorso e per l’effetto annulla la delibera della Commissione Disciplinare Nazionale; ordina la restituzione della relativa tassa.
Share the post "F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2007/2008 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale N. 56/CGF DEL 11 DICEMBRE 2007 RICORSO DELL’ A.C. AREZZO S.P.A. AVVERSO LA DECISONE DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE NAZIONALE CHE HA INFLITTO AL PRESIDENTE, SIG. PIERO MANCINI, L’INIBIZIONE PER ANNI 1, E ALLA SOCIETA’, LA PENALIZZAZIONE DI PUNTI 3 (Stag. Sport. 2007/2008) E L’AMMENDA DI € 15.000.00 A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Com. Uff. n.11/CDN del 9.10.2007)"