F.I.G.C. – Commissione d’Appello Federale – CAF – 2006-2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale FIGC n. 41/C del 19/03/2007 5. RECLAMO CALCIO CATANIA S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE INFLITTA DELLA SQUALIFICA DEL CAMPO DI GIUOCO FINO AL 30.6.2007, CON L’OBBLIGO DI DISPUTARE LE GARE A PORTE CHIUSE E AMMENDA DI € 20.000,00 (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 236 del 22.2.2007)

F.I.G.C. – Commissione d’Appello Federale – CAF – 2006-2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale FIGC n. 41/C del 19/03/2007 5. RECLAMO CALCIO CATANIA S.P.A. AVVERSO LA SANZIONE INFLITTA DELLA SQUALIFICA DEL CAMPO DI GIUOCO FINO AL 30.6.2007, CON L’OBBLIGO DI DISPUTARE LE GARE A PORTE CHIUSE E AMMENDA DI € 20.000,00 (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 236 del 22.2.2007) Con atto 12.3.07, preannunciato a mezzo telefax il 23.2.07, il Calcio Catania S.p.A. proponeva reclamo avverso la decisione di cui in epigrafe emessa dalla Commissione Disciplinare e pubblicata a mezzo Com. Uff. n. 236, in virtù di 3 specifici motivi: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 11 comma 6 del C.G.S.; b) violazione dell’art. 11 comma 3 e dell’art. 13 C.G.S.; c) violazione e falsa applicazione art. 11 comma 3 e 5 C.G.S.. La C.A.F. fissava l’udienza del 19.3.07 per la trattazione del procedimento ed alla detta udienza compariva il rappresentante della Procura Federale, che chiedeva il rigetto del reclamo, nonché il segretario generale del Calcio Catania S.p.A. ed il prof. Grasso, che ribadiva tutti i motivi di cui al reclamo, chiedendone l’accoglimento, con congrua riduzione delle sanzioni irrogate, e la totale eliminazione dell’obbligo di disputa delle gare a porte chiuse. MOTIVI DELLA DECISIONE Il reclamo è infondato e come tale va rigettato. Non è necessario soffermarsi in questa sede sull’indubbia ed inaudita gravità dei fatti oggetto di giudizio, nell’ambito dei quali ha trovato la morte un Ispettore della Polizia di Stato, che hanno destato indubbio sconcerto e sgomento nell’intera collettività, ed a cui, peraltro, sono seguiti provvedimenti cautelari straordinari e immediati di sospensione riguardanti l’intero settore calcistico. Nel particolare dei motivi dedotti, si osserva quanto di seguito: IN ORDINE AL PRIMO MOTIVO DI RECLAMO Pur nella valutata assoluta gravità dei fatti, la sanzione inflitta è stata quantificata in termini ben lontani dai massimi edittali. Se, infatti, a fronte della sanzione massima della squalifica del campo di due anni prevista in astratto per fattispecie gravissime come quella che oggi ci occupa, la pena concretamente inflitta è stata di gran lunga inferiore, è evidentemente perché si è tenuto conto di elementi che hanno portato a rendere meno gravosa la stessa. D’altronde, non è fondamentale che nella motivazione il Giudice dia conto in maniera analitica di tutte le singole componenti che possano aver concorso a determinare la minor pena. La pronuncia, anche a prescindere dalle singole esplicitazioni, appare corretta e idoneamente motivata, e come tale, immune da censure, se risulta che nella sostanza, in presenza di elementi indubbi, idonei astrattamente a ridurre la pena, la stessa sia stata effettivamente irrogata in misura consistentemente ridotta. Può dirsi che quanto rilevato assorbe, quindi, la specifica circostanza che la società reclamante abbia fornito la propria effettiva collaborazione per l’individuazione dei responsabili, non potendosi sostenere che il Giudice a quo non ne abbia tenuto del tutto o adeguatamente conto. D’altronde, non potendosi negare che i detti elementi possano essere stati valorizzati nell’irrogazione di una pena, che a fronte dell’intrinseca assoluta gravità dei fatti è comunque inferiore ad un terzo della pena edittale massima, non può tacersi delle circostanze recidivanti che il Giudice sportivo ha tassativamente ed analiticamente elencato e di cui ha puntualmente tenuto conto anche il Giudice di secondo grado, valutandoli espressamente per giustificare che non hanno avuto efficacia dissuasiva le sanzioni già inflitte nel corso della corrente stagione calcistica alla società Catania, per pregressi atti di violenza commessi dai suoi sostenitori. La stessa, infatti, era stata già diffidata in relazione alla gara del 21.09.2006 disputata a Palermo per lesioni arrecate ad alcuni addetti della società ospitante e, soprattutto, aveva già subìto la squalifica del campo in occasione della gara disputata contro il Messina il 26.9.2006, “per gravi lesioni cagionate ad appartenenti alle Forze dell’Ordine, brutalmente aggrediti mentre coadiuvavano dei barellieri nel soccorrere uno spettatore”. A ciò, comunque, aggiungasi che le opere poste in essere a spese della reclamata (installazione delle telecamere) e che pur debbono considerarsi meritorie, perché hanno in effetti contribuito in maniera sensibile ad individuare molti responsabili dei gravissimi fatti, non rappresentano un quid puris in un contesto di normalità, ma un vero e proprio atto dovuto da ritenersi pressoché indefettibile. Risulta, infatti, dal rapporto dell’Osservatorio Nazionale delle Manifestazioni Sportive, che già in data 25.01.2007 il Questore di Catania aveva sollecitato un’ulteriore verifica in seguito alla segnalazione del GOS (Gruppo Operativo di Sicurezza) su svariate carenze dello stadio, tra le quali “grave inefficacia del sistema di videosorveglianza”, che alla data del giorno 01.02.2007 (giorno anteriore alla gara di cui trattasi) era ancora presente. Ove le dette carenze (e tra queste specificamente anche quella attinente al servizio di videosorveglianza) non fossero state rimosse, non vi sarebbe stata, probabilmente, l’idoneità dell’impianto in questione per poter ospitare la gara. Non è compito di questa Commissione affermare chi dovesse provvedere ad eseguire le opere necessarie per garantire la sicurezza e sarà pur vero che alcune opere siano state eseguite in via diretta ed a spese della società reclamante, ma non va taciuto che senza le dette opere, quasi sicuramente non vi sarebbe stato il nullaosta per l’utilizzo dello stadio. In definitiva, la specifica doglianza risulta infondata, sia perché nei fatti è stata comunque irrogata una sanzione che appare ben lontana dai massimi edittali che la gravità assoluta dei detti fatti avrebbe potuto giustificare, sia perché alle circostanze ex adverso dedotte quali attenuanti idonee in astratto a ridurre la sanzione, si contrappongono oggettive circostanze aggravanti (diffida e pregressa squalifica), che, per altro profilo, avrebbero potuto concorrere ad aggravarla. IN ORDINE AL SECONDO MOTIVO DI RECLAMO Pur facendo riferimento ad un autonomo motivo, con apparente richiamo a diverse violazioni di legge, la società reclamante reitera le doglianze già per intero espresse con il primo motivo, aggiungendo altre circostanze di cui non si sarebbe adeguatamente tenuto conto per poter determinare in minor misura le sanzioni inflitte. Le dette ulteriori doglianze possono ritenersi per intero assorbite da quanto innanzi argomentato relativamente al primo motivo di gravame. Qualsiasi circostanza attenuante pretesa si infrange sulla considerazione che la pena inflitta può apparire già di per sé sufficientemente tenue in relazione alla gravità dei fatti e ciò anche a voler tacere le specifiche circostanze aggravanti ricorrenti nella fattispecie. IN ORDINE AL TERZO MOTIVO DI RECLAMO In disparte la considerazione che, prevedendo la norma di cui all’art. 11, comma 3, C.G.S. che “in caso di fatti particolarmente gravi” alla società responsabile per fatti violenti in occasione della gara da propri “sostenitori” “ è inflitta inoltre la squalifica del campo”, si può pervenire alla conclusione dell’applicabilità della sanzione aggiuntiva immediatamente inferiore alla squalifica del campo (ovvero l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse, di cui all’art. 13, comma 1, lett. e) C.G.S. considerando il principio secondo cui il più contiene il meno e che tale misura affittiva viene ad essere collocata dall’ordinamento sportivo di settore in una posizione intermedia tra l’ammenda (applicabile nei casi ordinari) ed appunto la squalifica del campo (applicabile in caso di recidiva o di fatti particolarmente gravi), rileva che l’esame dello specifico motivo può ritenersi precluso dall’esistenza di un giudicato interno. Ed invero, pur avendo richiesto l’odierna reclamante, innanzi alla Commissione Disciplinare, l’eliminazione della sanzione accessoria dell’obbligo di disputare la gara a porte chiuse, nessuna motivazione in punto di diritto e di legittimità è stata avanzata al riguardo. Orbene il gravame può sussistere non come domanda in sé, diretta a riformare una pronuncia sfavorevole o un capo della stessa, ma in quanto si indichi il motivo di doglianza, ovvero la critica che si vuole portare alla decisione impugnata, con la conseguenza che le domande nuove, dedotte per la prima volta in ultimo grado, sono inammissibili (si veda, in proposito il chiaro dettato dell’art. 33, comma 4, C.G.S.). Nel pregresso grado di giudizio, al di là della mera richiesta inserita nelle conclusioni, non una sola parola è stata spesa per illustrare il motivo di doglianza in relazione alla pena accessoria ed in siffatta situazione l’appello devesi ritenere, sul punto specifico, come non proposto, tenendo conto anche dell’espresso disposto dell’art.29 comma 5 prima parte C.G.S., a fronte del quale “tutti i reclami ed i ricorsi debbono essere motivati”. Con il reclamo innanzi a questa Commissione d’Appello Federale, in effetti la società Calcio Catania S.p.A. ha proposto uno specifico e dettagliato motivo in relazione alla presunta inapplicabilità della pena accessoria delle c.d. “porte chiuse”, ma lo stesso non può essere esaminato perché, non avendo costituito motivo di appello, si appalesa davanti al Giudice di ultima istanza come domanda nuova, espressamente preclusa dal citato disposto dell’art.33, comma 4, C.G.S. E’ noto, del resto, che con il reclamo in ultima istanza non si possono sanare irregolarità processuali relative ai precedenti gradi di giudizio (art.33, comma 6, C.G.S.). Per questi motivi la C.A.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal Calcio Catania S.p.A. di Catania e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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