FIGC – Commissione d’Appello Federale – CAF – 2002/2003 – Decisione pubblicata sul Comunicato ufficiale FIGC n. 20/C del 13/01/2003 n. 3 e sul sito web: www.figc.it – 3 – APPELLO DELL’ALLENATORE CAPELLO FABIO AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI e 15.000,00 INFLITTA A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti – Com. Uff. n. 173 del 12.12.2002)

FIGC – Commissione d’Appello Federale – CAF – 2002/2003 - Decisione pubblicata sul Comunicato ufficiale FIGC n. 20/C del 13/01/2003 n. 3 e sul sito web: www.figc.it - 3 - APPELLO DELL’ALLENATORE CAPELLO FABIO AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI e 15.000,00 INFLITTA A SEGUITO DI DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Nazionale Professionisti - Com. Uff. n. 173 del 12.12.2002) Con atto del 18.11.2002 il Procuratore Federale deferiva alla Commissione Disciplinare presso la L.N.P. Fabio Capello, allenatore della A.S. Roma S.p.A., in relazione agli artt. 3, comma 1 e 4, commi 1 e 3, C.G.S. per avere pubblicamente espresso, nel corso di dichiarazioni rese ad organi di informazione (“Il Messaggero”, “Corriere dello Sport-Stadio”, “La Gazzetta dello Sport”, “Tuttosport”, “Il Tempo”, “Il Giornale” e “La Stampa” del 18.11.2002) giudizi gravemente lesivi della reputazione di altre persone e di organismi operanti nell’ambito federale; giudizi idonei a ledere il prestigio, la reputazione e la credibilità dell’istituzione federale nel suo complesso e tali da negare la regolarità delle gare, l’imparzialità della procedura di designazione dei Direttori di gara e la correttezza dello svolgimento dei campionati. Con lo stesso atto il Procuratore Federale deferiva la A.S. Roma S.p.A. in relazione agli artt. 3, comma 2 e 2, comma 4 e 4, comma 5, C.G.S. per responsabilità oggettiva in merito alle dichiarazioni fatte dal suo tesserato. Con la delibera di cui al Com. Uff. n. 173 del 12 dicembre 2002 la Commissione respingeva l’eccezione di incompetenza prospettata dal difensore del Capello in sede di discussione. Rilevava, in sintesi, che la competenza del Comitato Esecutivo del Settore Tecnico di cui agli articoli 47 C.G.S. e 33 del Regolamento di detto Settore “non è assoluta ed esclusiva (nei confronti dei tecnici)” e che il comportamento del Capello “è riconducibile - e, quindi, ‘inerente’ - alla sua attività agonistica”, sì da giustificare la propria competenza a norma dell’art. 33, comma 1, del Regolamento. Quanto al merito, riteneva la responsabilità del Capello e, di riflesso, della A.S. Roma osservando, in breve, che “alcune delle espressioni utilizzate da Capello travalicano il lecito diritto di critica perché, considerate unitariamente, si risolvono in una forma di denigrazione dell’ordinamento federale nel suo complesso, accusato di parzialità e, addirittura, di premeditazione in danno della Soc. Roma”. Condannava pertanto il Capello e la società A.S. Roma all’ammenda di e 15.000,00 ciascuno. Con atto del 12.12.2002 impugnava tale decisione presso la C.A.F. l’allenatore della A.S. Roma che tornava eccepire in via reliminare la carenza di giurisdizione (rectius di competenza) della Commissione Disciplinare presso la L.N.P.. Rivestiva la qualifica di tecnico – faceva presente - e per questa ragione doveva essere assoggettato al giudizio del Comitato Esecutivo del Settore Tecnico a norma degli artt. 1, 2 e 33, comma 2, del relativo Regolamento (che sono norme speciali rispetto alle N.O.I.F. ed al C.G.S.), posto che le dichiarazioni all’origine del deferimento, certamente estranee all’“attività agonistica” tipica di un allenatore, non integravano la deroga di cui all’art. 33, comma 1 seconda ipotesi, del Regolamento. Osservava nel merito di non aver pronunziato la frase “tanto non vi fanno arrivare in fondo”, secondo l’accusa rivolta a calciatori della squadra avversaria; che la frase “aveva ragione Sensi” aveva contenuto indefinito, da non potersi necessariamente collegare ad una piuttosto che ad un’altra precedente affermazione del Presidente della A.S. Roma; che la frase “ormai siamo presi di mira. Ci stanno facendo pagare le battaglie di Sensi” era riferita al clima di accerchiamento da parte dei mass media; che le frasi “ormai sarebbe un successo arrivare in coppa UEFA” e “in nove giornate abbiamo avuto sei rigori contro” altro non erano che considerazioni sulla situazione di classifica della squadra e mera constatazione di un dato di fatto; da ultimo, che la frase “l’arbitro si è inventato un calcio d’angolo” costituiva il lecito esercizio del suo diritto di critica verso una decisione non condivisa. Chiedeva pertanto che in riforma della decisione impugnata questa Commissione dichiarasse la carenza di giurisdizione (rectius l’incompetenza) della Commissione Disciplinare della Lega; nel merito ed in subordine, che lo prosciogliesse dalle accuse della Procura Federale; in ulteriore subordine, che riducesse la sanzione inflittagli. Alla seduta del 13 gennaio 2003, presenti il Procuratore Federale e della persona delegata dall’appellante, il procedimento veniva ritenuto in decisione. L’impugnazione del Tecnico della A.S. Roma, Fabio Capello, proposta ritualmente e nel rispetto dei termini procedimentali, è ammissibile ma non può essere accolta. A proposito della questione fatta valere in via preliminare bisogna dire che sia l’art. 47 C.G.S. che l’art. 23 N.O.I.F. fanno in effetti salva la competenza del Comitato Esecutivo del Settore Tecnico nei confronti (com’è ovvio) dei soggetti sottoposti al suo ambito di efficacia normativa per cui, anche a prescindere dalle implicazioni poste dal principio “lex specialis derogat legi generali” (peraltro correttamente risolte dall’appellante) deve concludersene che, per effetto della sua qualità di tecnico, Capello era ed è certamente soggetto rientrante nella competenza disciplinare dell’anzidetto Comitato Esecutivo. A condizione, tuttavia, che detta competenza sia giustificata dalle norme regolamentari del Settore Tecnico (art. 47 del C.G.S.) e che non si tratti di “infrazioni inerenti l’attività agonistica” (art. 23 delle N.O.I.F.); posto che il Regolamento del Settore Tecnico (richiamato, come detto, dall’art. 47 C.G.S.) deroga alla competenza del Comitato Esecutivo in presenza (per quanto qui interessa) delle medesime “infrazioni inerenti all’attività agonistica” richiamate dalle N.O.I.F., alla condizione sostanzialmente unica che le affermazioni fatte da Capello in relazione alla gara del giorno 16 precedente non riguardino “l’attività agonistica”. Come sostenuto dalla Commissione Disciplinare e come contestato invece dall’appellan- te, sulla base del rilievo che “attività agonistica” di un tecnico è soltanto quella correlataall’“attività agonistica” del calciatore quale descritta dall’art. 94 ter delle N.O.I.F.; è soltanto quella, cioè, che si “concretizza nella preparazione dei giocatori della propria squadra” e che consiste nell’“allenamento dei giocatori in vista della gara ed alla conduzione ‘tecnica’ della squadra durante la partita”.“...qualsiasi azione compiuta da un tecnico al di fuori di tali momenti - è la conclusione dell’appellante - non attiene all’attività agonistica, ma a comportamenti diversi”. La tesi sostenuta dal Tecnico Capello non può essere condivisa. È ben vero che nell’ordinamento federale non esiste una definizione di “attività agonistica”, ma a parte l’utilità di una simile definizione, l’assunto secondo cui l’“attività agonistica” dovrebbe concettualmente variare a seconda dei diversi soggetti che operano nell’ambito sportivo, di talché sarebbe una, con certi contenuti, in relazione ai tecnici ed altra, con contenuti diversi, in relazione a ciascuno degli altri soggetti, non è sostenibile. Come non è meritevole di apprezzamento l’affermazione - appena vista - secondo cui una qualsiasi azione compiuta da un tecnico al di fuori della preparazione dei giocatori e della conduzione della squadra durante la partita “non attiene all’attività agonistica, ma a comportamenti diversi”. Limitazione come questa non trova ragion d’essere in alcuna norma federale, comprese quelle richiamate dall’appellante, laddove in nessuna è dato rinvenire che il concetto di “attività agonistica” debba estrinsecarsi in modo diverso in relazione al soggetto o ai soggetti di volta in volta presi in esame. Non è giustificata, soprattutto, dall’interpretazione logico-sistematica dell’espressione “attività agonistica” per come utilizzata in ogni circostanza dal legislatore federale, dal momento che, assenti tutte le volte connotazioni particolari che ne delineino in qualche maniera il contenuto o lo delineino in relazione a singole categorie di soggetti, la stessa fa esclusivo riferimento concettuale ad ogni e qualsivoglia comportamento oggettivamente riconducibile all’agòne, al combattimento, alla lotta; alla partita di calcio, per il caso che qui interessa. A giudizio di questa Commissione è inerente all’attività agonistica, pertanto, non solo la preparazione della squadra, da parte del tecnico, in funzione delle singole partite, ma ogni e qualsiasi altra attività che abbia riferimento diretto ed immediato alle stesse partite, come le dichiarazioni giornalistiche, per quanto riguarda il caso in esame, che abbiano ad oggetto le partite ancora da disputarsi o già disputate. Non è contestabile, come affermato dall’appellante in altra parte dell’impugnazione, che “le interviste rilasciate alla stampa, attengono alla sfera personale dei rapporti del tecnico con i terzi e non già al comportamento che il medesimo deve tenere negli spazi e nei tempi riservati alle gare”. Va detto, però ed in primo luogo, che la limitazione ai soli spazi ed ai soli tempi riservati alle gare perché possa ravvisarsi nel comportamento di un tecnico “attività inerente all’attività agonistica” è del tutto arbitraria, certamente non giustificata dalla dizione letterale e/o dall’interpretazione logica dell’espressione usata dal legislatore federale; espressione (“attività inerente all’attività agonistica” giova ripetere) che non fa riferimento alcuno, sia esplicito che implicito, a spazi ed a tempi di alcun genere. Non si vede perché, poi, condotte che attengono ai rapporti personali del tecnico con terzi non possano riguardare anche l’attività agonistica nel cui ambito il tecnico stesso presta la sua attività lavorativa, come dimostrano in maniera evidentissima proprio le interviste giornalistiche relative ad una gara; interviste che, al di là dei rapporti personali dell’intervistato con l’intervistatore, riguardano specificamente e dunque “inseriscono” non a fatti personali dell’uno o dell’altro od a fatti estranei all’attività agonistica costituita dalla gara, ma proprio a quest’ultima. Così stando le cose, non vi è dubbio che la Commissione Disciplinare presso la L.N.P. ha correttamente ritenuto la propria competenza in merito all’infrazione contestata a Capello, dal momento che questi, rilasciando dichiarazioni riguardanti in modo diretto e specifico la gara disputata appena il giorno prima della sua squadra, ha tenuto una condotta certamente inerente all’attività agonistica. E ciò a norma del combinato disposto di cui agli artt. 47 C.G.S. e 33, comma 1, del Regolamento del Settore Tecnico, prima che dell’art. 23 delle N.O.I.F.. Ha rilevato Capello che al pari del C.G.S. il Regolamento del Settore Tecnico disciplina la violazione dei principi di correttezza e delle norme di comportamento da parte dei tecnici (art. 32) e che in applicazione del principio lex specialis derogat legi generali, e più in particolare del disposto di cui al comma 3 dello stesso art. 32 (“In caso di violazione delle norme di comportamento il Comitato esecutivo del Settore Tecnico adotta nei confronti degli iscritti... i provvedimenti disciplinari...”), avrebbe dovuto essere giudicato dal Comitato Esecutivo e non dalla Commissione Disciplinare della Lega. Ha rilevato pure che alla stregua della tesi seguita dalla Commissione Disciplinare una “qualsiasi attività del tecnico con una qualche attinenza alla propria professione di allenatore (sarebbe) inerente all’attività agonistica”, di talché risulterebbe “svuotato di qualsiasi contenuto il potere disciplinare speciale” riconosciuto al Comitato Esecutivo del Settore Tecnico. Più per completezza che per effettiva necessità alla luce di quanto rilevato in precedenza, è appena il caso di osservare: - che l’art. 32 del Regolamento fa salva la competenza del Comitato Esecutivo in fatto di violazione delle norme di comportamento, ma “nei limiti e secondo le modalità di cui all’art. 33 del presente Regolamento” e cioè a condizione che non si verta in tema di “infrazione inerente all’attività agonistica”, come non è nel caso in esame; - che oltre alle violazioni di cui all’art. 35 del Regolamento, al Comitato Esecutivo è riconosciuta la competenza in merito alle infrazioni commesse dal tecnico non tesserato per società ed a quelle inerenti alle molteplici e varie altre attività rientranti, a norma dell’art. 1 del Regolamento, nelle attribuzioni e nelle funzioni del Settore Tecnico della F.I.G.C.; infrazioni suscettibili di essere commesse da tutti i Tecnici di cui alla classificazione fatta dall’art. 13 dello stesso regolamento, per cui è priva di fondamento l’affermazione che, sottratte alla sua competenza le violazioni “inerenti all’attività agonistica”, risulterebbe svuotato il suo potere disciplinare; - quanto agli allenatori professionisti, che le loro condotte, pur attenendo in larga misura all’attività agonistica, non si esauriscono in questa e che le possibili infrazioni, considerati i molteplici versanti e gli svariati soggetti verso i quali possono indirizzarsi le loro azioni, ben possono rientrare nella competenza del Comitato Esecutivo del Settore Tecnico, come nell’ipotesi - per rimanere nel caso all’origine del presente procedimento - di dichiarazioni giornalistiche; dichiarazioni che, prescindendo da una gara, siano gravemente lesive del prestigio e della reputazione, ad esempio, di colleghi allenatori. Alla luce delle considerazioni svolte l’eccezione di incompetenza della Commissione Disciplinare deve essere, dunque, respinta. Nel prendere in esame il merito della questione sottoposta all’esame di questa Commissione occorre rilevare preliminarmente che le affermazioni di Capello, come di chiunque altri in situazione analoga, vanno considerate nel loro insieme e con riferimento al fatto storico che ne è logicaente e cronologicamente all’origine, pena, in caso contrario, l’alterazione del loro s ignificato, prima ancora che del giudizio sul loro contenuto, rispetto al pensiero di chi le abbia fatte ed al senso attribuito loro da chi le abbia ascoltate e da chi ne abbia letto in un resoconto giornalistico. Detto questo e valutate nel loro insieme, non vi è dubbio che le dichiarazioni fatte da Capello appena il giorno dopo la gara della sua squadra con la Internazionale e con riferimento specifico ad errori arbitrali commessi durante il suo svolgimento (poco importa se reali o supposti) sono state, negli intendimenti dello stesso Capello e per il significato loro attribuito da chi le ha ascoltate o lette, gravemente lesive della credibilità dell’istituzione federale e del prestigio di quanti operano nel suo ambito e talmente forti da ingenerare sospetti sulla regolarità complessiva dello stesso campionato. Dopo la denunzia di (veri o presunti poco importa) errori arbitrali, sì da ritenere alterato il risultato finale della partita, altro senso non è possibile attribuire ad affermazioni che, richiamandone altre dal contenuto egualmente denigratorio del Presidente della soc. Roma, suonano testualmente: “Aveva ragione Sensi: la direzione di gara di Racalbuto ha legittimato quanto il nostro presidente va dicendo da tempo. E pensare che io non ci volevo credere e invece...”; “...io so soltanto che gli arbitri stanno legittimando le parole di Sensi. Adesso sarebbe un successo arrivare in Coppa Uefa, ma così è dura. Ormai siamo stati presi di mira. Ci stanno facendo pagare le battaglie di Sensi: le ha perse ed ora ce ne accorgiamo...”; “In nove giornate abbiamo ricevuto sei rigori contro. Dato che l’Inter non riusciva ad entrare in area, stavolta l’arbitro si è inventato un calcio d’angolo...”. È ammirevole il tentativo della difesa che, dissociando l’una affermazione dalle altre, ha tirato in ballo ora l’incertezza delle affermazioni del Presidente Sensi richiamate da Capello, ora il clima di accerchiamento da parte dei massmedia, ora ancora innocue considerazioni sulla situazione di classifica della squadra, da ultimo il lecito esercizio del diritto di critica verso una decisione non condivisa. Il vero è che alle dichiarazioni di Capello, lette nel loro insieme e con riferimento al presunto atteggiamento persecutorio riservato alla sua squadra (atteggiamento pesantemente denunziato in precedenza dal Presidente della sua stessa squadra) altro significato non è possibile attribuire che di rinnovata (da parte sua) e denigratoria denunzia delle scorrettezze di cui sarebbe vittima la soc. Roma, della conseguente inaffidabilità di arbitri, designatori, dirigenti e quant’altri e dell’irregolarità complessiva del campionato. Senza che incida più di tanto, in un contesto come questo, soffermarsi sulla dichiarazione che Capello sostiene non aver fatto (ma la smentita giunta tardivamente) e senza che serva prendere in esame la tesi del legittimo esercizio del diritto di critica. Come efficacemente rilevato dalla Commissione Disciplinare, nel caso in esame le espressioni usate da Capello hanno ampiamente oltrepassato i limiti entro i quali è consentito esprimere liberamente la propria opinione perché, considerate unitariamente e per il significato da ciascuna assunto in relazione alle altre, si sono tradotte in forma di denigrazione dell’ordinamento federale; ordinamento accusato agli occhi del lettore di parzialità e di premeditazione nei confronti della soc. Roma. Considerato, in definitiva, che le dichiarazioni rilasciate da Capello con riferimento alla gara Roma/Inter del 16.11.2002 integrano la fattispecie di cui agli artt. 3, comma 1 e 4, commi 1 e 3, C.G.S., l’appello proposto va, quanto a giudizio di responsabilità, respinto. Merita accoglimento, invece, per ciò che riguarda l’entità della sanzione. Le affermazioni di Capello sono state molteplici e tutte particolarmente gravi. Bisogna riflettere, tuttavia, che sono state fatte in un momento di particolare amarezza e con lo stato d’animo di chi vede sfumare un risultato positivo che oramai ritiene acquisito. Sanzione più adeguata alla reale gravità dei fatti appare, dunque, quella di e 10.000,00 di ammenda. Quanto alla soc. Roma, in assenza di impugnazione della decisione della Commissione Disciplinare, non è possibile operare nei suoi confronti analoga riduzione della sanzione. L’accoglimento dell’appello proposto da Capello, sia pure parziale, importa a norma dell’art. 29, punto 13, C.G.S. che la restituzione allo stesso Capello della relativa tassa. Per questi motivi la C.A.F. accoglie parzialmente l’appello dell’allenatore Capello Fabio riducendo ad Euro 10.000,00 la sanzione dell’ammenda già inflitta dai primi giudici. Ordina la restituzione della tassa.
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