CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 9 del 11/05/2012 – Sig. L.M. / Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Alta Corte di Giustizia Sportiva - Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it – Decisione n. 9 del 11/05/2012 - Sig. L.M. / Federazione Italiana Giuoco Calcio L’Alta Corte di Giustizia Sportiva, composta da dott. Riccardo Chieppa, Presidente dott. Alberto de Roberto, dott. Giovanni Francesco Lo Turco prof. Massimo Luciani prof. Roberto Pardolesi, Relatore ha pronunciato la seguente DECISIONE nel giudizio introdotto dal ricorso iscritto al R.G. Ric. n. 21/2011, presentato il 28 luglio 2011 dal sig. L. M. contro la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) avverso la decisione emessa dalla Corte di Giustizia Federale della FIGC di cui al C.U. 002/CGF del 9 luglio 2011, che ha confermato la decisione della Commissione Nazionale Disciplinare della FIGC resa con C.U. n. 96/CDN del 15 giugno 2011, nonché per l’annullamento della delibera di cui al C.U. 143/A del 3 marzo 2011, adottata dal Consiglio Federale della FIGC, con la quale si è disposta l’attivazione di un procedimento disciplinare anche nei confronti del ricorrente al fine di definire le proposte di preclusione formulate sino alla data di entrata in vigore del Nuovo Codice di Giustizia Sportiva, ed ogni atto ad essa comunque connesso, vista la costituzione in giudizio della parte resistente – FIGC - rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli, udito nella udienza del 27 marzo 2012 il relatore, Roberto Pardolesi, uditi per il ricorrente – sig. L. M. – l’avv. Paco D’Onofrio, il prof. avv. Federico Tedeschini, l’avv. Maurilio Prioreschi, l’avv. Flavia Tortorella e l’avv. Paolo Rodella, uditi per la parte resistente – FIGC- l’avv. Luigi Medugno e l’avv. Letizia Mazzarelli, visti il ricorso introduttivo del 28 luglio 2011 con riserva dei motivi, poi depositati il 31 agosto 2011, a seguito della conoscenza del testo integrale della decisione impugnata della Corte di Giustizia Federale, nonché le deduzioni della FIGC e le successive memorie delle parti; Ritenuto in fatto Con atto 28 luglio 2011, depositato in pari data, L.M. ha proposto ricorso a questa Alta Corte di Giustizia Sportiva, nei confronti della FIGC, per la riforma della sentenza della Corte di Giustizia Federale (della FIGC) emessa a seguito della udienza 9 luglio 2011, il cui dispositivo pubblicato in data 9 luglio 2011 (C.U. n. 2/2 CGF 2011) contiene conferma della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale (FIGC) pubblicata il 15 giugno 2011 con erogazione della sanzione a carico di A. G. della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC, nonché per l’annullamento della delibera di cui al Comunicato ufficiale 143 /A del 3 marzo 2011 della FIGC. Il ricorso, proposto con la conoscenza del solo dispositivo della decisione impugnata (il cui testo integrale è stato pubblicato con C.U. n. 028/CGF del 3 agosto 2011), è stato successivamente integrato con l’indicazione dei motivi di appello di seguito sintetizzati: A) mancata disapplicazione della delibera del Consiglio federale in forza di parametri normativi sovraordinati alle norme federali; B) violazione del principio di imparzialità, nonché di correttezza e ragionevolezza, conseguente a disparità di trattamento riservato ad altri tesserati in procedimenti similari; C) intervenuta prescrizione; D) estinzione del potere sanzionatorio; E) illogicità della motivazione conseguente al fatto che la delibera di cui al C.U. 143/A: i) ripropone un procedimento a formazione progressiva viziato da numerose criticità, quali la violazione del precetto di ne bis in idem, compressione dei principi di immediatezza del giudizio e stabilità delle situazioni giuridiche subiettive; ii) introduce un nuovo thema decidendum (gravità del disvalore, da valutare sul piano tecnico, laddove il previgente procedimento prevedeva una valutazione politica e discrezionale) ma limita il thema probandum, con violazione dei principi del diritto alla prova, al contraddittorio e alla difesa; F) assenza di motivazione, non sanata per relationem dal riferimento alle “sentenze rese”; G) travisamento dei fatti nelle “sentenze rese”, assunte come presupposti inoppugnabili del presente giudizio; H) violazione dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sotto il profilo dell’eccessiva lunghezza del processo, della lesione del diritto all’immagine e della reputazione del ricorrente; I) erronea interpretazione della delibera di cui al C.U. 143/A, con attualizzazione riferita all’interesse della Federazione all’espulsione dell’incolpato dai ranghi federali piuttosto che alla posizione attuale del ricorrente; J) contrarietà alla disciplina FIFA, che, ex art. 59 del Codice disciplinare, limiterebbe la preclusione ai soli casi di corruzione. La FIGC, regolarmente costituitasi in giudizio, ha ampiamente confutato le censure proposte. In via preliminare ha contestato la sussistenza, in capo al ricorrente, dell’interesse a coltivare l’azione impugnatoria, dacché, per essersi lo stesso dimesso il 16 maggio 2006 al fine di sottrarsi ai procedimenti disciplinari a suo carico, opera nei suoi confronti il divieto di tesseramento di cui al novellato testo dell’art. 16, comma 3, dello Statuto federale, con la conseguenza di rendere inutile, nei suoi confronti, l’eventuale annullamento della sanzione espulsiva. In particolare, la FIGC si richiama alla ricostruzione della disciplina transitoria contenuta nella decisione di questa Alta Corte n. 11/2011 (su ricorso M.); all’inapplicabilità, per quel che attiene all’irrogazione della sanzione aggiuntiva della preclusione, del termine prescrizionale di cui al previgente art. 18 del Codice di giustizia sportiva; all’insussistenza di previsioni normative che riconnettano effetto estintivo del potere sanzionatorio a specifiche cadenze temporali; alla mancanza di duplicazione e sovrapposizione di giudizi con diverso thema decidendi, con conseguente esclusione di bis in idem; alla non configurabilità come normativa ad personam; all’inammissibilità di qualsivoglia tentativo di rimettere in discussione la pronuncia con la quale il ricorrente è stato condannato alla sospensione per cinque anni oltre proposta di preclusione; al difetto di motivi di doglianza sul mancato esercizio di potere di disapplicazione da parte degli organi di giustizia endoassociativi, in quanto la questione sarebbe assorbita dalla insussistenza dei vizi denunciati, sotto tutti i profili di contrasto con i principi e regole dell’ordinamento generale nazionale o comunitario; alla attualizzazione non sul contegno dell’incolpato in costanza di interdizione, ma unicamente sulla soglia di gravità attinta, in termine di disvalore deontologico e nella prospettiva di un rientro ipotetico nei ranghi federali, al fine anche di una verifica se i fatti, ritenuti illo tempore meritevoli di proposta di esclusione-radiazione, conservino oggi, per l’allarme sociale suscitato dalle condotte accertate, una preesistente attitudine ostativa a ricoprire ranghi federali; all’insussistenza di contrasto con la disciplina FIFA. La FIGC conclude per la inammissibilità o comunque per il rigetto del ricorso. Con ordinanza collegiale n. 28 / 2011, prot. n. 00417, questa Alta Corte, richiamata la decisione n. 11 del 23-27 maggio 2011, riservato l’esame sulle questioni dedotte, ritenuta l’esigenza di integrare la documentazione esistente agli atti, ha disposto l’acquisizione di: 1) verbali dei procedimenti di primo e secondo grado federale (relativi alla irrogazione della preclusione); 2) copia del ricorso con i motivi di impugnazione avverso la decisione, che ha definito l’anzidetto primo grado, ed eventuali istanze istruttorie avanzate dall’attuale ricorrente in primo e secondo grado; 3) curriculum documentato relativo all’attività comunque svolta dal ricorrente dopo l’irrogazione della inibizione quinquennale; 4) chiarimenti documentati sui rimedi esperiti, anche in sede arbitrale, dal ricorrente avverso la decisione di secondo grado federale con la quale è stata irrogata l’inibizione temporanea con proposta di preclusione; 5) chiarimenti relativi allo stato del procedimento avanti al Tar con certificazione delle istanze presentate e di eventuale esito di istanze cautelari; 6) ogni eventuale altro elemento comunque utile, ai fini della valutazione della gravità e dell’attualizzazione della posizione del ricorrente, contenuto in decisioni o sentenze o altri accertamenti, successivi alla decisione definitiva della giustizia sportiva (con irrogazione dell’inibizione quinquennale e proposta di preclusione); 7) prospetto delle proposte di preclusione che sono rientrate nell’applicazione della disciplina regolamentare transitoria di cui al C.U. n. 143 /A del 3 marzo 2011, con il relativo esito o con lo stato di pendenza di eventuali procedimenti disciplinari e relative impugnazioni; 8) eventuale relazione ed atti preparatori sia della novella del 2007, relativa all’attribuzione agli organi della giustizia sportiva federale del potere di disporre la preclusione, sia della anzidetta disciplina transitoria del 2011; assegnando il termine di: a) trenta giorni per gli adempimenti a cura della parte che ha la principale disponibilità degli anzidetti elementi (n. 1, 2, 7, 8: FIGC; n. 3, 4, 5 e 6: ricorrente); b) quindici giorni (termine successivo alla scadenza dei trenta giorni) per eventuali integrazioni a cura dell’altra parte; c) dieci giorni per eventuali memorie in ordine alle nuove produzioni. A seguito degli adempimenti predetti e delle memorie previste è stata fissata la nuova udienza di discussione del ricorso per il 27 marzo 2012, nella quale i difensori delle parti hanno ampiamente illustrato le rispettive tesi difensive. In apertura di udienza, su espressa domanda del Presidente le parti hanno aderito a considerare la sentenza del Tribunale di Napoli, depositata il 3 febbraio 2012 e acquisita al presente giudizio. Ritenuto in diritto 1.- Preliminarmente anche ai fini della individuazione esatta dell’ambito del presente giudizio e dei poteri di sindacato di questa Alta Corte di Giustizia sportiva, deve essere posto in rilievo quanto segue: a) il presente giudizio di ultimo grado avanti all’Alta Corte ha natura impugnatoria, nell’ambito di procedimento disciplinare con le garanzie processuali, avente la delimitazione nelle questioni legittimamente introdotte nel precedente grado di appello o che dovevano essere oggetto di esame dal giudice di appello e riproposte con i motivi e i motivi aggiunti di ricorso, naturalmente con le preclusioni endoprocessuali verificatesi nei precedenti gradi. Da tale carattere deriva che in questa sede (così come nel precedente grado appello) si instaura non un nuovo giudizio, ma solo un sindacato con effetto devolutivo sulla decisione impugnata nei limiti dei motivi dedotti. Naturalmente questo sindacato non è circoscritto a profili di sola legittimità, ma può, senz’altro, estendersi anche ai profili attinenti al merito, quantomeno in quanto inserito in un procedimento disciplinare, che non è originato da impugnazione di atto o provvedimento di organo di amministrazione o di gestione. Egualmente può estendersi alle valutazioni dei fatti contenute nella decisione impugnata e con interventi suscettibili di condurre anche a rettifiche, correzioni ed integrazioni delle valutazioni e motivazioni anche di fatto, sempre nell’ambito dei motivi e deduzioni ritualmente introdotti in questo grado, ferme ovviamente le preclusioni verificatesi all’interno della stessa procedura caratterizzata da una pluralità di gradi; b) l’ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo ed indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione Italiana e negli atti anche essi fondamentali della Unione europea, dovendo, invece, interpretare ed applicare le norme dello stesso ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela. (cfr. al riguardo la decisione di questa Alta Corte n. 15/2011, su ricorso relativo alle elezioni FISI, sul punto che riguarda i principi del giusto processo); c) i principi di diritto, posti alla base delle decisioni dell’Alta Corte, come ultimo grado della Giustizia sportiva, devono essere tenuti in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva, di modo che, ancorché affermati tra parti diverse e non assolutamente vincolanti, non possono essere ignorati o semplicemente resi privi di valore senza esauriente ed adeguata motivazione sul dissenso applicativo, soprattutto quando siano espressamente invocate in giudizio. 2. Col motivo sub B), il ricorrente denuncia di aver subito una disparità di trattamento che inficerebbe il procedimento di giustizia sportiva culminato nell’irrogazione della sanzione espulsiva oggetto del presente contenzioso. La denuncia è argomentata attraverso il riferimento a quattro casi in cui la FIGC avrebbe trattato in modo significativamente diverso, e cioè più benevolo, i protagonisti di vicende, in tesi, analoghe a quelle che hanno visto coinvolto il sig. M.. Il motivo viene presentato per la prima volta in questa sede. Ma alla statuizione della sua inammissibilità, per contrasto con la su ribadita natura impugnatoria del presente giudizio, osta la novità dei fatti addotti, in quanto venuti a conoscenza del ricorrente solo a valle del provvedimento impugnato. Nondimeno, il motivo di ricorso appare infondato nel merito. Va precisato, in limine, che, se intendimento del ricorrente fosse quello di evidenziare, nelle vicende evocate, eventuali deviazioni (nel senso di eccesso d’indulgenza nei confronti dei beneficiari di tali procedure di conciliazione) dalla disciplina da applicare, tale traiettoria argomentativa risulterebbe sterile. In primo luogo, perché le vicende in parola, e le connesse supposte deviazioni sarebbero comunque sottratte alla ricognizione rimessa a questa Corte nell’ambito del presente contenzioso. E, inoltre, perché l’astratta ricorrenza di irregolarità non varrebbe a esimere dalla corretta applicazione della disciplina rilevante al caso di specie. Va da sé che finanche il riscontro inoppugnabile di deviazioni pregresse non sarebbe idoneo a fondare la legittima aspettativa ch’esse abbiano a ripetersi. Di là da questa precisazione, il motivo –nella misura in cui lamenta la mancata adesione del provvedimento impugnato a precedenti determinazioni di segno opposto- s’infrange contro le ragioni di seguito sinteticamente riportate. L’Alta Corte, nell’esercitare le sue funzioni, deve –come ricordato in premessa- applicare le regole dell’ordinamento sportivo in conformità con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico statale ed europeo, senza che l’eventuale esistenza di precedenti giurisprudenziali o di comportamenti tenuti da organi o soggetti dell’ordinamento sportivo possa influenzare la puntuale applicazione delle regole in parola. Ciò, ovviamente, non significa che l’Alta Corte possa svolgere la sua funzione in modo impermeabile alle sollecitazioni provenienti dagli orientamenti giurisprudenziali (sia con riferimento alla giustizia sportiva che a quella statale) ovvero dalla osservazione di prassi maturate nel mondo sportivo. Se così fosse, infatti, l’Alta Corte verrebbe meno proprio alla suddetta funzione, che è per l’appunto quella di fare corretto governo delle regole dell’ordinamento sportivo, posto che queste ultime, considerata la complessità del sistema di riferimento, possono ben avere matrice giurisprudenziale o consuetudinaria. Sotto questo aspetto, l’autonomia e indipendenza dell’Alta Corte (al di là d’ogni considerazione sulla natura amministrativa dei suoi atti, impugnabili innanzi al giudice amministrativo) vanno declinate, in ragione del carattere giustiziale delle funzioni esercitate, in termini affatto coerenti a quelli ricavabili dall’art. 101 della Costituzione, a tenore del quale “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Come noto, detta formula evidenzia, in primo luogo, che qualsiasi provvedimento giurisdizionale deve essere fondato sul dettato legislativo, che il giudice è chiamato ad interpretare ed applicare. In secondo luogo, l’avverbio “soltanto” rimanda, innanzitutto, al concetto di indipendenza “esterna” del giudice, vale a dire alla sottrazione da qualsiasi interferenza estranea alla legge. Il giudice è, in altre parole, libero di decidere il caso concreto in piena autonomia di giudizio e coscienza. D’altro canto, l’avverbio in questione richiama anche l’indipendenza “interna” del giudice, ossia l’assenza di vincoli e condizionamenti derivanti da precedenti decisioni giurisdizionali. In ragione di quanto sin qui evidenziato, non si può dubitare che, in considerazione dell’attuale assetto del sistema delle fonti dell’ordinamento sportivo, l’Alta Corte, nell’esercizio delle sue funzioni, debba -al fine di rispettare i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico statale, incluso quello della parità di trattamento – tenere in debito conto i precedenti giurisprudenziali e anche, qualora concretamente verificabili, le prassi dell’ordinamento sportivo idonee a generare nei consociati la c.d. opinio juris sive necessitatis, ovvero anche soltanto a determinare negli stessi un legittimo affidamento o una legittima pretesa di parità di trattamento rispetto a tutti gli altri. Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente, al fine di argomentare l’asserita disparità di trattamento subita, non ha portato all’attenzione dell’Alta Corte precedenti giurisprudenziali o prassi dell’ordinamento sportivo, bensì si è limitato a citare quattro episodi – di cui, peraltro, tre relativi al medesimo tesserato– nei quali la Federazione sportiva coinvolta avrebbe trattato il tesserato sanzionato in maniera significativamente più benevola, per quel che attiene all’esito finale, rispetto a quanto fatto con il sig. M.. Mette conto osservare, da un lato, che si tratta di quattro casi in punto di fatto non assimilabili a quello qui in esame (e che anzi, per quanto è dato intendere sulle base delle notizie riportate, esibiscono pregnanti elementi di differenziazione, a partire dall’ambiente conciliativo in cui essi si sono sviluppati e senza tralasciare le diversità di contingenze e connotazioni soggettive). Dall’altro lato, è evidente che sempre e solo di episodi si tratta, e non già di una prassi federale astrattamente idonea ad ingenerare un legittimo affidamento, o quanto meno a supportare una lagnanza di disparità di trattamento. Una tale lagnanza, per avere rilevanza giuridica, dovrebbe essere articolata, almeno in ipotesi, evidenziando la discriminazione subita dal singolo denunciante rispetto a tutti gli altri consociati che si sono trovati a versare nella sua stessa situazione, e non rispetto a pochi soggetti tra gli altri che hanno sperimentato una qualche procedura sanzionatoria e ne hanno potuto lenire, in fase conciliativa, gli effetti. In definitiva, alla luce di quanto appena osservato, il motivo in esame non sembra contenere gli elementi di fatto e di diritto indispensabili perché sia valutabile l’effettiva sussistenza, o non, della denunciata disparità di trattamento. Pertanto, il motivo in esame deve essere dichiarato infondato nel merito. 3. Con ulteriore motivo d’impugnazione (sub C), il ricorrente denunzia l’intervenuta prescrizione del potere sanzionatorio della FIGC. L’art. 18 del Codice di giustizia sportiva, nella versione vigente all’epoca dei fatti e applicabile nel caso presente, prevedeva, al comma 1, il termine massimo, in caso di valido atto interruttivo della prescrizione, della sesta stagione successiva alla commissione dell’ultimo atto illecito; termine che si vuole scaduto al tempo in cui è intervenuto il procedimento per l’irrogazione della sanzione espulsiva. Come peraltro correttamente rilevato dalla decisione impugnata, il precetto di cui al citato art. 18, comma 1, correlava la portata estintiva della prescrizione al mancato accertamento dell’infrazione entro un prefissato termine temporale, quale manifestazione del venir meno dell’interesse ordinamentale alla punizione in ragione dell’inutile decorso del tempo. Orbene, nella circostanza che ne occupa, detto termine è stato osservato, con l’irrogazione tempestiva della sanzione sospensiva quinquennale. Rimane ancora da definire –e su questo s’impernia l’odierno contenzioso- la sanzione aggiuntiva della preclusione, che si poneva originariamente come ultronea ed eventuale in un procedimento bifasico e ora, per il nostro caso, in vista della sopravvenienza della nuova disciplina, è regolata dalla disposizione transitoria dettata dal C.U. n. 143/A/2011. La tempestività dell’accertamento dell’infrazione può dunque darsi per acquisita, senza che l’art. 18, comma 1, abbia allora a incidere sulla definizione della misura del trattamento sanzionatorio aggiuntivo, per la quale, se mai, potrebbe porsi il diverso problema della mancata individuazione del termine entro il quale detta preclusione vada decisa. Escluso, infatti, che questo coincida col succitato termine prescrizionale, rispetto al quale l’interesse dell’ordinamento alla tempestiva chiarificazione dei rapporti è pienamente soddisfatto dalla condanna del 2006, ci si potrebbe interrogare, sotto vari profili, sulla legittimità di una dilazione eccessiva. In effetti, è dato rilevare come sia intercorso un non breve lasso di tempo tra la proposta di esclusione-radiazione, la procedura per l’adeguamento a più garantistiche esigenze dei Principi di Giustizia Sportiva del CONI con il nuovo Codice di Giustizia Sportiva e il trasferimento della competenza, cui sono seguite la richiesta di pareri e l’inizio della procedura per l’irrogazione della sanzione aggiuntiva. Tuttavia, il ritardo non appare irragionevole in vista della successione dei diversi eventi e delle cautele alle quali la Federazione ha ritenuto di attenersi in relazione al contenzioso sorto nelle diverse sedi per effetto delle diverse condanne, come di seguito riassunte: a) condanna con la proposta di preclusione-radiazione in C.U. 14 luglio 2006, confermata sul punto con decisione della Corte Federale n. 2/CF del 4 agosto 2006), insieme ad altre decisioni connesse, che hanno dato luogo ad un ampio contenzioso in sede arbitrale (lodo 27 ottobre 2006; 7 marzo 2007) e poi avanti alla Giustizia amministrativa (Tar del Lazio) ancora pendenti, contenzioso proseguito per la sospensiva, per un caso, avanti al Consiglio di Stato (ordinanza 30 marzo 2007 caso M., con conferma (sottolineando il prolungato iter della sospensiva) del rigetto della sospensiva del Tar Lazio 22 agosto 2006; b) procedura per l’elaborazione e l’approvazione del nuovo Codice di giustizia sportiva entrato in vigore il 1° luglio 2007, con trasferimento della competenza degli organi amministrativi di gestione (nella specie, del Presidente Federale) per l’irrogazione delle sanzioni più gravi e quindi della espulsione-radiazione; c) a seguito di dubbi e difficoltà, sorte per l’applicazione del trasferimento per le proposte di preclusione-radiazione rimaste non definite al 30 giugno 2007, la Federazione ha avanzato successive richieste di parere prima alla Corte di Giustizia Federale, parere reso il 28 aprile 2010 (C.U. 231/CGF, 2009-2010, nel senso della trasformazione della proposta in automatico provvedimento di radiazione); detto parere, tuttavia, non è stato recepito dalla Federazione e risulta seguito poi da richiesta di un nuovo parere a questa Alta Corte, tramite il CONI in data 17 gennaio 2011, dichiarato inammissibile il 1° febbraio 2011 per il rischio di proposizione di ricorso alla stessa Alta Corte (art. 15, comma 3, lett. a, Codice Alta Corte), come in effetti si è verificato; d) procedimento per adozione da parte della FIGC della disciplina regolamentare transitoria per i procedimenti di preclusione-radiazione non definiti con il Codice di Giustizia sportiva vigente fino al 30 giugno 2007, conclusosi con il regolamento di cui al C.U. n. 143/A del 3 marzo 2011; e) attivazione del procedimento per la preclusione/radiazione in qualsiasi rango o categoria della FIGC, con provvedimento 11 aprile 2011 del Procuratore Federale. In un siffatto contesto, deve assumersi rispettosa di un limite di ragionevolezza l’irrogazione della sanzione aggiuntiva, come decisa in prime cure, anteriormente al termine di scadenza della sospensione quinquennale irrogata dalla giustizia federale. 4. Con riguardo al motivo sub D), va rilevato che il principio della separazione tra i poteri di gestione e di giustizia federale era sancito (all’epoca dei fatti) dal vecchio art. 18 dei Principi Fondamentali CONI, ora art. 3, comma 6, dei Principi fondamentali CONI. Incombeva, dunque, alla Federazione di applicare il principio innovativo con il trasferimento agli organi di giustizia della competenza del Presidente federale in ordine alla sanzione espulsiva, come si è fatto con l’art. 19, comma 3, del Codice di giustizia sportiva del 2007, entrato il vigore il 30 giugno 2007. Ai detti organi di giustizia federale - che in precedenza erano stati oggetto di una completa riforma organizzativa e compositiva (con la conseguenza anche di escludere in radice ogni problema di incompatibilità per la valutazione sulla radiazione per i casi di precedente proposta)- restava devoluta ed unificata la potestà di irrogare, valutata la gravità, anche la sanzione aggiuntiva di maggiore afflittività nell’ambito sportivo. In tal modo si assicuravano più efficienti garanzie attraverso un procedimento giustiziale dotato di autonomia ed indipendenza dagli organi federali. Pertanto, lo strumento regolamentare di attuazione della suddetta separatezza delle funzioni (solennemente sancita dall’art. 3 dei Principi fondamentali del Codice di Giustizia sportiva entrato in vigore il 30 giugno 2007, utilizzato dalla FIGC) ha assunto un esclusivo ambito di trasferimento della competenza alla irrogazione della sanzione aggiuntiva (rimasta sostanzialmente identica nel contenuto e negli effetti e nel coesistente fine di prevenzione) ad organo di giustizia sportiva. Questa competenza doveva essere necessariamente esercitata con le forme processuali proprie del singolo organo in materia disciplinare e con le garanzie del contraddittorio. Per i successivi procedimenti disciplinari e per quelli nella fase iniziale non è sorto alcun problema pratico attuativo, a differenza dei procedimenti che si erano conclusi con il precedente sistema con una proposta di espulsione, non ancora valutata dal Presidente federale e non definita con una qualsiasi determinazione positiva o negativa. Contestualmente al trasferimento della competenza non era stata, invero, adottata una qualsiasi disciplina transitoria da parte della Federazione, il che, di per sé, non impediva la possibilità di determinare successivamente norme transitorie, come confermato dalla casistica, tutt’altro che eccezionale, di norme transitorie o di attuazione successive ed anche a distanza di tempo. Il trasferimento della suddetta competenza - con implicita conferma della sanzione aggiuntiva, cui si riferiva il trasferimento, accompagnata dal semplice cambiamento formale della denominazione (esclusione-radiazione, ma con identicità di portata degli effetti preclusivi) - non poteva minimamente assurgere a espressione di una pretesa consumazione del potere o di una implicita volontà abrogativa o eliminativa della stessa sanzione aggiuntiva per il passato ovvero di volontà assolutoria ed estintiva per le proposte di espulsione rimaste non definite dall’organo amministrativo federale, privato ormai della competenza. Allo stesso modo nessun rilievo può essere mosso rispetto all’intervento accusatorio del Procuratore federale, essendo questo elemento connaturale del sistema accusatorio nella procedura giustiziale disciplinare improntata alla separatezza di funzione decisoria e requirente. Di qui anche l’ambito dell’intervento della Procura federale, che per una iniziativa corretta non era tenuta a formulare alcun nuovo capo di contestazione o di imputazione. In realtà, trattandosi di seconda fase, è sufficiente il richiamo alla prima sentenza di condanna, alla proposta inevasa seguita da una semplice richiesta di questa fase, diretta esclusivamente a verificare, come in appresso chiarito, la “gravità”. Va altresì considerato, e si tratta di considerazione assorbente, che una lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina comporta la presupposizione di una norma transitoria implicita, perché altrimenti verrebbe a determinarsi un’irragionevole franchigia –e, per conseguenza, un’inammissibile disparità di trattamento- per gli autori dell’illecito che venissero a fruire della lacuna. Inoltre, deve essere rilevato, con ulteriore argomentazione autonoma per il rigetto del motivo, che in mancanza di espressa indicazione regolamentare, non può ritenersi esistente, a seguito del trasferimento della competenza, un effetto consumativo della facoltà di irrogare la sanzione aggiuntiva per i casi in pendenza di definizione da parte del Presidente federale: ciò anche in caso di ritardo nella concreta applicazione (tale da non assumere un sicuro valore di volontà estintiva o preclusiva o di rinuncia), come appresso meglio specificato. E, anzi, trattandosi di innovazione normativa su disposizione procedimentale sulla competenza, questo effetto doveva applicarsi – ovviamente in difetto di espressa previsione di proroga transitoria della competenza o di esenzione indiscriminata o parziale dall’applicazione per i procedimenti in corso – a tutte le fasi procedimentali non ancora compiute, in quanto la competenza di organo amministrativo deve persistere al momento del compimento dell’attività ancora da svolgere nella nuova fase e dell’emanazione dell’atto. Ed ancora, come profilo ulteriore ed indipendente di infondatezza della censura, trattandosi di innovazione normativa su disposizione procedimentale sulla competenza (per una fase autonoma), questo effetto innovativo deve applicarsi ove sussistano i seguenti presupposti (argomentando da Cons. Stato, VI, n. 694 del 1999, n. 4163 del 2004; Ad. Plen., n. 9 del 2011): I) si tratti di un procedimento espressamente distinto in fasi autonome e nettamente separate, ovviamente in difetto di espressa previsione di proroga transitoria della competenza o di perpetuatio competentiae o di esenzione indiscriminata o parziale dall’applicazione per determinati procedimenti in corso; II) la nuova autonoma fase sia ancora da svolgere, soprattutto quando non risulti compiuto alcun atto di questa autonoma fase e vi sia stata (come nella specie) solo una iniziativa-proposta che non abbia avuto seguito alcuno e quindi non vi sia un limite di intangibilità di situazioni giuridiche ormai definite o valutate; III) non si tratti di procedura retta da bando ad hoc non specificatamente modificato; IV) la norma sopravvenuta sia diretta, proprio per il suo carattere transitorio ad incidere necessariamente sulla fase autonoma ancora non svolta, in quanto destinata a regolare proprio quelle situazioni giuridiche emergenti in fase autonoma ancora da svolgere. Sulla base delle predette autonome considerazioni deve essere dichiarato infondato il profilo di ricorso qui considerato. 5. Il complesso motivo sub E) tocca svariati profili, trattati anche in altre censure. Non v’è dubbio, però, che l’asse intorno al quale ruota il discorso sia costituito dall’asserita violazione del principio ne bis in idem. 5.1. Si tratta di un principio processuale fondamentale, risalente al diritto romano, secondo cui non si può esperire due volte azione per lo stesso oggetto, cioè in modo per esteso, bis de eadem re agi non potest, ovvero ne sit actio, essendo fin d’allora chiaro che doveva trattarsi di eadem re e che il soggetto che aveva agito non poteva pretendere il riconoscimento dello stesso diritto sulla base dello stesso fatto giuridico (ex eadam causa). Il principio, secondo cui non si poteva esercitare di nuovo un’azione già esercitata, si noti, dallo stesso soggetto, era inizialmente una conseguenza diretta della consumazione dell’actio, per effetto della litis contestatio e della funzione della res iudicata, considerata meramente formale, cioè riferita all’azione esercitata e al soggetto che l’aveva esercitata. Man mano, pur mantenendosi l’efficacia consuntiva della litis contestatio, si arrivò ad un concetto più ampio della res iudicata, per cui non si poteva porre in discussione davanti ad un nuovo giudice un punto già regolarmente deciso tra le stesse parti: la identità di questione tra le stesse parti non necessitava, in modo assoluto, la identità dell’oggetto della lite. Con il progressivo svuotamento della contestazione della lite e del conseguente effetto consuntivo, si è passati, nel diritto romano giustinianeo, a una prospettazione imperniata esclusivamente sulla questione dedotta in giudizio, allargandosi la causa di estinzione anche all’effettivo concorso di altre azioni tendenti alla eadam rem, come nel caso di danno arrecato da un comodatario con colpa in faciendo al proprietario, suscettibile di azione per violazione del contratto (actio ex commodato) o per lesione della sua proprietà (actio de lege Aquilia). Veniva, tuttavia, ridimensionato l’effetto consuntivo, escludendolo quando i diversi rimedi avessero un differente risultato quantitativo, per cui rimaneva la possibilità di agire per la differenza esperibile con l’altra azione più remunerativa. 5.2. Il principio del ne bis in idem, è stato, in tempi recenti, considerato come principio generale dell’ordinamento giuridico e orientamento di sistema, dettato al fine di evitare sia “duplicazione dello stesso processo” (Cass., S.U. pen., n. 34655 del 2005), sia di decisioni e di provvedimenti per lo stesso fatto contro la stessa persona, e quindi con possibilità di conflitti e di pronunce tra loro contrastanti. Sotto tali esigenze e finalità il principio è man mano risorto nel diritto contemporaneo, confermandosi ed arricchendosi, dapprima in modo deciso nel diritto processuale, anche per effetto e a seguito delle proclamazioni costituzionali delle garanzie della persona umana e della tutela dei diritti, ed in modo significativo in quello processuale penale. Il principio progressivamente si è esteso ad ogni tipologia di processo e procedimento nelle forme e con le garanzie giustiziali (processo tributario; processo contabile avanti alla Corte dei Conti, procedimenti disciplinari: v., da ultimo, Cass., 22 ottobre 2010, n. 21760, nei rapporti di lavoro; Cons. Stato, 1. 10. 2004, n. 6403, in materia di pubblico impiego) e ha assunto speciale rilevanza anche in sede di rapporti internazionali tra le giurisdizioni (v. art. 739 c.p.p. ed in una serie di accordi internazionali, che lo hanno codificato: dalla VI Convenzione tra gli Stati del Trattato NATO di Londra 19 giugno 1954 alla Carta di Nizza 7 dicembre 2000); ed ancora in modo più incisivo in sede di giustizia europea (v., in materia penale, l’art. 54 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, ratificato con l. n. 388 del 1993 con riferimento a giudicato con sentenza definitiva) e con riferimento agli aspetti non solo processuali, ma anche sostanziali. E’ riemerso in modo decisivo, da un canto, il profilo della preclusione-consumazione con allargamento non limitato alla cosa giudicata risultante da sentenza definitiva (v.,in materia penale, Cass., S.U., n. 34655 del 2005; in precedenza, benché isolata, Cass. Pen., V, 10 luglio 1995), ma esteso anche alla esistenza o coesistenza di un giudizio sulla stessa controversia o alla successiva e separata previsione ripetitiva e punitiva dello stesso fatto, unificato nella identica regiudicanda, ancorché in ordinamenti diversi e con varietà di configurazioni sostanziali ed effetti sanzionatori, allo scopo – per le anzidette ultime ipotesi - di evitare conflitti tra giurisdizioni diverse in ambito europeo ed insieme un duplicato del medesimo processo sulla medesima regiudicanda. Nel suddetto ambito si è affermata l’applicazione anche nelle procedure di estinzione dell’azione penale da parte del p.m., pur senza intervento del giudice, nelle c.d. transazioni penali sotto forma di patteggiamenti ed accordi, previste in taluni ordinamenti (Corte Giust. C.E., 11 febbraio 2003, n. 187). Peraltro nello stesso ambito è stata esclusa l’applicabilità del principio del bis in idem ad una decisione di sospensione del procedimento penale, qualora la decisione secondo il diritto nazionale dello Stato non estingua definitivamente la azione penale (Corte Giust. C.E., 22 dicembre 2008, Causa C-491/07), riemergendo così la connessione con la consumazione ed esaurimento dell’azione ed insieme la mancanza di effetti definitivamente risolutivi della questione, come regiudicanda (o domanda a seconda del tipo di procedimento) dedotta in giudizio. D’altro canto, si è rafforzato un divieto di reiterazione dei procedimenti penali e delle decisioni sulla identica regiudicata, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturale al sistema secondo un principio generale dell’ordinamento (v. Cass., S.U. pen., n. 34655 del 2005, cit.). Tale principio ha assunto valore garantistico generale, volto da un canto a tutelare l’individuo dai rischi connessi alla possibilità di duplicazione a suo carico di processi per la stessa regiudicanda, relativa allo stesso fatto e dall’altro è stato giustificato da esigenze di economia processuale, per cui gli Stati non sono tenuti a far funzionare a vuoto i propri organi di giustizia, così prevedendosi una serie di preclusioni. L’elemento comune può essere tendenzialmente identificato nel divieto di ritornare sul già deciso, di ripetere un giudizio, in altri termini di compiere una seconda volta (un bis) un’attività svolta, o in via di svolgimento, in quanto forma di sovrapposizione ripetitiva e successiva con un nuovo giudizio processuale sulla medesima regiudicanda, al di fuori, si noti, di una serie procedimentale prevista espressamente (pluralità di gradi o di fasi in un sistema di impugnazione o di riesame o di separazione di giudizi). Pertanto il divieto del bis in idem, non può, in modo assolutamente certo, essere riferito a tutte le previsioni di successive fasi processuali o gradi di procedimento espressamente previste (principio di legalità) nei diversi sistemi processuali (rimedi e specifici istituti di carattere impugnatorio, o di revisione, o di riesame o di separazione). Ed ancora, in modo più particolare per il caso in esame, il divieto non può applicarsi quando vi sia una previsione normativa di possibilità di separazione di questioni derivanti da pregiudizialità necessaria o da possibilità di distinzioni e separazioni di oggetti delle pronunce per esigenze di economia processuale, ancorché per questioni connesse e dipendenti, come nella ipotesi di condanna generica e successiva separata liquidazione, ovvero di condanna seguita da misure di prevenzione o di sicurezza normativamente previste, collegate ai fatti su cui è intervenuta una prima sentenza. In altri termini assume rilevanza, per applicare o meno il ne bis in idem, non tanto che il giudizio verta solo sullo stesso rapporto o sulla medesima causa petendi, ma che la regiudicanda – o una sua parte - intesa anche come questione o domanda (a seconda del tipo di procedimento) sia enucleabile (in base a normativa unitaria e non stratificazione di interventi punitivi) e sia rimasta da decidere, perché non poteva o non doveva essere ricompresa nel thema decidendum del primo giudizio, in modo da essere giuridicamente (conformemente a previsione normativa) e logicamente compatibile e non sovrapponibile con la precedente procedura e decisione. Di conseguenza risulta un primo profilo autonomo di piena infondatezza delle censure che si ricollegano al divieto del bis in idem. 5.3. Passando all’esame particolare del caso di specie, relativo alla applicazione della espulsione-radiazione in ambito sportivo della FIGC e alle relative censure dedotte nel ricorso, occorre anzitutto sottolineare che questa Alta Corte, con la decisione n. 11 del 27 ottobre 2011 – non a caso invocata dalla difesa di tutte le parti presenti nel presente giudizio - ha espressamente inquadrato l’ambito e la valenza delle previsioni regolamentari di cui al C.U. 143/A del 3 marzo 2011 con la delibera del Consiglio Federale della FIGC, affermando: “è la stessa normativa federale – che, si noti, ha inciso sulla competenza ad irrogare la sanzione aggiuntiva, a seguito dei nuovi principi di giustizia prima, e poi con la disposizione transitoria impugnata - che ha affidato ad un (precostituito) sistema organico di tutela giustiziale in materia disciplinare il compito di valutare la sussistenza delle condizioni per l’irrogazione della ulteriore misura sanzionatoria accessoria ed aggiuntiva consistente nella radiazione (rectius preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C).” “Tale sanzione aggiuntiva non è stata innovata nella previsione strutturale: ne è stata variata la competenza dell’organo, che certamente non resta vincolato ad irrogare la sanzione stessa; la stessa sanzione non può pertanto configurarsi come atto dovuto e vincolato senz’altra valutazione rispetto alla precedente condanna disciplinare accompagnata da proposta”. “L’applicazione della ulteriore misura sanzionatoria ha come presupposto la precedente condanna disciplinare (ed i fatti rilevanti disciplinarmente ivi accertati), ma comporta necessariamente un’ulteriore valutazione discrezionale e perciò con maggiore obbligo di motivazione in relazione alla posizione attualizzata su cui incide”. “D’altro canto sarebbe stato inutile e non ragionevole affidare ad un organo giustiziale un compito meramente applicativo privo di una necessaria valutazione discrezionale. “ “Giova precisare che il sistema configurato non comporta affatto una preclusione della successiva tutela avanti a questa Alta Corte (o al TNAS a seconda delle possibili ipotesi di censure o di posizioni tutelate prospettabili) da parte dei soggetti ai quali è applicabile la norma federale, il cui procedimento giustiziale disciplinare dalla fase iniziale potrà passare a quelle successive”. “Detta tutela (avanti all’Alta Corte o al TNAS) potrà intervenire pienamente da ultimo in sede di impugnativa della decisione di secondo grado che eventualmente irrogherà o confermerà la sanzione aggiuntiva, salvi tutti i rimedi e le eccezioni esperibili nell’ambito della giustizia federale.” Sulla base delle predette considerazioni, rispetto alle quali non vi sono motivi per andare in contrario avviso, per quanto riguarda l’esame della situazione dei procedimenti disciplinari finalizzati alla definizione delle proposte di preclusione intervenute sino alla data di entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia Sportiva ed ancora all’epoca non definite, occorre ulteriormente precisare che: a) immutata era rimasta la disciplina sostanziale della sanzione aggiuntiva della radiazione-sospensione, essendo sopravvenuto solo un trasferimento di competenza da organo amministrativo di gestione ad organi di giustizia, che come tale dovevano agire mediante una procedura con garanzie giustiziali; detti organi sono stati individuati tra quelli di giustizia sportiva già esistenti e quindi precostituiti, e non creati ad hoc; b) gli anzidetti organi di giustizia hanno, nel nuovo giudizio, un preciso compito, a carattere discrezionale, concernente l’ esistenza delle condizioni per irrogare la sanzione aggiuntiva, valutando in modo specifico la gravità della posizione attualizzata del responsabile dell’illecito accertato con la precedente decisione ormai definitiva secondo l’ordinamento sportivo. Deve, quindi, essere esclusa ogni possibilità di riesaminare i fatti su cui si erano basate la condanna e la sanzione principale. Ne consegue che ogni sindacato sulla legittimità della precedente condanna e dei fatti ivi accertati sarebbe non solo abusivo, ma ricadrebbe anche nel divieto del bis in idem invocato, sia pure ad altri fini, dal ricorrente. Risulta infatti evidente, come ulteriore conseguenza, che la anzidetta e separata attuale fase processuale della irrogazione della sanzione aggiuntiva (espulsione–radiazione), non si sovrappone e non può e non deve essere né una ripetizione, o una reiterazione, né ancora una revisione (neppure per eventi sopravvenuti) del deciso nel precedente giudizio di condanna del 2006, avente per oggetto la responsabilità per illecito sportivo dell’attuale ricorrente. Detto “primo” giudizio aveva come thema decidendum esclusivo di accertare l’illecito disciplinare e la responsabilità e, in caso positivo di colpevolezza, di determinare ed irrogare la sanzione della sospensione temporanea fino ad un massimo di cinque anni, oltre di esercitare eventualmente una facoltà di semplice proposta non vincolante di sanzione ulteriore aggiuntiva. La proposta non comportava alcun vincolo per il Presidente Federale, ma si limitava ad attivare un procedimento amministrativo diretto a valutare la gravità dell’illecito accertato e conseguentemente a stabilire la “esclusione-radiazione” del soggetto condannato disciplinarmente. L’accertamento della responsabilità e la condanna alla pena principale temporanea non potevano essere riesaminate o riviste nella fase successiva, in quanto il Presidente Federale aveva una competenza solo sulla ulteriore misura accessoria e a tali fini doveva valutare la gravità del comportamento per irrogare la relativa sanzione aggiuntiva, che si noti era prevista fin dall’origine dalla stessa ed unica previsione sanzionatoria, per cui non si pone, né si poteva porre, un problema di previsione nuova e retroattiva di una sanzione per un fatto già sanzionato. Solo se ciò si fosse verificato con una diversa norma punitiva ed una innovativa previsione di nuova sanzione con un rinnovato giudizio sulla responsabilità (anche se da ordinamento diverso) sarebbe sorto un contrasto con il divieto di bis in idem sotto il profilo sostanziale punitivo e sotto quello della ripetizione di giudizio sugli stessi fatti (questo è stato il caso esaminato dal TAS di Losanna, Court of Arbitration for Sport 2011/O72422, USOC c. IOC). Nella specie considerata, invece (ed è opportuno chiarire ulteriormente), era previsto fin dall’inizio un procedimento diviso in due fasi, la prima di accertamento dei fatti e della responsabilità con una prima sanzione temporanea; la seconda fase (derivata da iniziativa-proposta del giudice della prima fase) di apprezzamento sulla gravità dell’illecito, così come nei fatti era stato accertato, per determinare, anche alla luce dell’attività e comportamento successivo, la radiazione come misura accessoria. Questa nuova fase ha avuto solo un mutamento di competenza per dare le garanzie proprie di organo giustiziale per la decisione sulla radiazione. 6. L’ampiezza dei poteri affidati a questa Alta Corte, di legittimità e di merito, nonché le facoltà correttive ed integrative nelle prove delle fasi procedenti e nella motivazione della decisione impugnata (naturalmente nei limiti dei motivi di ricorso e delle preclusioni verificatesi) - come enunciati al punto 1, lett. b)- consentono di considerare superate le censure sub E) e F) attinenti agli asseriti difetti di ammissione di prove ed altri profili meramente procedurali, come quelli attinenti alla motivazione, in quanto con l’ordinanza collegiale n. 28 del 27 ottobre 2011, è stata riaperta ogni possibilità di prove, con pienezza di deduzioni in pieno contraddittorio e di strumenti di difesa per tutte le parti, consentendosi alle stesse di superare ogni asserito difetto dei precedenti gradi (sempre per gli aspetti relativi alla irrogazione della preclusione-radiazione). Pertanto la valutazione in senso negativo delle censure anzidette può essere compiuta sulla base della constatazione di un amplissimo esercizio del diritto di difesa e di prova accordato in questo grado di giudizio. 7. Il ricorrente denuncia (motivo sub G) il travisamento dei fatti, come accertati nelle “sentenze rese”, alla luce di quanto risulta dalla pronuncia del Tribunale di Napoli (n. 14692/11). In una memoria autorizzata depositata il 20 dicembre 2011 (prot. n. 00467), quando cioè le motivazioni del giudizio penale di prima istanza non erano ancora note, la difesa del ricorrente aveva argomentato risolutamente nel senso della necessità che la sentenza penale rimanesse estranea al presente giudizio. La linea difensiva sul punto è mutata dopo la pubblicazione della sentenza penale nella sua integralità, appuntandosi ora sullo svuotamento delle decisioni sportive, e quindi delle “sentenze rese” presupposte dal presente giudizio, ad opera delle circostanze acclarate dal giudice partenopeo. Quest’ultimo profilo è stato sviluppato doviziosamente nell’udienza del 27 marzo 2012. Si è così rilevato che: a) mentre i giudici sportivi ipotizzavano condotte plurali poste in essere al fine di procurare un vantaggio in classifica alla società Juventus, la sentenza napoletana procede in ordine a un’associazione costruita sull’interesse personale del sig. M.; b) la supposta interferenza nella fase di predisposizione della ‘griglie’ degli arbitri designabili non ha trovato conferma; c) l’episodio del ‘sequestro’ di un arbitro nello spogliatoio a fine partita è risultato non corrispondente al vero; d) l’informazione tempestiva sull’esito di sorteggi, rilevata dai giudici sportivi in diverse circostanze, non implica manipolazione dei sorteggi stessi; e) l’episodio delle ammonizioni pilotate, allo scopo di indebolire l’organico della squadra da affrontare, non trova conferma nelle risultanze dibattimentali; f) la supposta manipolazione del risultato finale del campionato 2004-2005 non è stata suffragata dai riscontri probatori e dibattimentali. Sul punto, questa Corte osserva, preliminarmente, che la sentenza resa in prime cure dal giudice partenopeo non è, all’evidenza, inoppugnabile e, in quanto tale, non fa stato. E rileva, in ogni caso, che laddove le risultanze del processo penale, quando approdato a sentenza passata in giudicato, dovessero smentire il quadro probatorio su cui si sono fondate le sentenze sportive del 2006, si schiuderebbero al ricorrente i rimedi revocatori previsti dall’ordinamento sportivo. Allo stato, le “sentenze rese” sono inoppugnabili nell’ordinamento sportivo e devono restare estranee al perimetro del presente procedimento, che muove dal presupposto del pieno accertamento degli illeciti imputati al sig. M. e si appunta, piuttosto, sul profilo della perdurante gravità del disvalore socio-sportivo legato alle sue condotte ai fini dell’irrogazione della sanzione aggiuntiva della radiazione. Di scorcio, con rilievo che sarà ripreso anche rispetto ad altro motivo di ricorso, sarà comunque il caso di sottolineare che, mentre è vero che la sentenza napoletana ‘rivede’ taluni degli elementi fattuali su cui si erano basate le sentenze sportive del 2006, essa accredita comunque un quadro complessivo di estrema gravità delle condotte del ricorrente. 8. Il ricorrente lamenta, dapprima in termini generali (motivo sub A) e poi con riferimenti più puntuali (motivo sub H), la violazione di norme C.E.D.U.. Male avrebbe fatto la Corte di Giustizia Federale FIGC a non disapplicare l’atto impugnato, in particolare in ragione del contrasto con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (sulle condizioni e i requisiti necessari al fine di assicurare il rispetto del principio del giusto processo quale diritto fondamentale dell’uomo) sub specie di irragionevole durata del processo e di sua indebita ripetizione, con ricadute pregiudizievoli sull’immagine e la reputazione del ricorrente. In proposito, giova ricordare come allo stato (in attesa, cioè, che abbia a completarsi l’iter di adesione della UE alla Convenzione), secondo un inequivoco insegnamento della Corte costituzionale, la normativa C.E.D.U. debba riguardarsi, in forza dell’art. 117, comma 1, Cost., alla stregua di parametro costituzionale in qualità di fonte interposta, sicché spetta certamente al giudice, anche a quello sportivo di interpretare le norme domestiche in modo conforme alla disposizione internazionale. Qualora, poi, tale operazione ermeneutica sia impedita dai limiti imposti dal dato testuale, il contrasto risultante legittima il giudice statale (non già a operare la diretta disapplicazione della norma, ma) a investire la Consulta, ove ne ricorrano gli estremi in relazione al valore legislativo, del relativo giudizio di legittimità costituzionale: traiettoria, quest’ultima, evidentemente preclusa al giudice sportivo, il che pone un interrogativo, neppure banale, su come procedere quando si riscontri, per l’appunto, l’assoluta incompatibilità dell’atto sportivo con i principi della Convenzione. Utili spunti, al riguardo, possono derivarsi da una recente decisione del TAS nel caso Amos Adamu v. FIFA (CAS 2011/A/2426), relativo a un provvedimento disciplinare assunto nei confronti di un membro del Comitato esecutivo della FIFA sulla base di registrazioni operate in asserita violazione dei diritti tutelati dalla C.E.D.U.. Il tribunale rileva che “i trattati internazionali sui diritti dell’uomo [...], intesi a proteggere i diritti fondamentali degli individui nei confronti delle autorità governative […], sono di per sé inapplicabili con riguardo a vicende disciplinari gestite dagli enti che governano gli sports, che sono caratterizzati giuridicamente come entità soltanto private” (“international treaties on human rights […] meant to protect the individuals’ fundamental rights vis-à-vis governmental authorities […] are inapplicable per se in disciplinary matters carried out by sports governing bodies, which are legally characterized as purely private entities”). Salvo poi precisare: “In ogni caso, il Collegio tiene presente che talune garanzie assicurate in relazione a procedimenti civili dall’articolo 6.1 della C.E.D.U. sono indirettamente applicabili persino innanzi ad un tribunale arbitrale –tanto più in vicende disciplinari- perché la Confederazione Svizzera, come parte contraente della C.E.D.U., deve assicurare che i propri giudici, quando chiamati a delibare lodi arbitrali (in fase di esecuzione o in occasione di un procedimento d’impugnazione), verificano che alle parti di un arbitrato sia garantito un giusto procedimento entro un termine ragionevole da parte di un tribunale arbitrale indipendente e imparziale. Questi principi procedurali concorrono così a formare l’ordine pubblico processuale svizzero. Invero, i collegi TAS si sono sempre sforzati di assicurare che i principi fondamentali della giustizia processuale siano rispettati nei procedimenti disciplinari sportivi, in conformità con l’ordine pubblico processuale determinato dal Tribunale Federale svizzero (§§ 65-7)” (“However, the Panel is mindful that some guarantees afforded in relation to civil law proceedings by article 6.1 of the ECHR are indirectly applicable even before an arbitral tribunal – all the more so in disciplinary matters – because the Swiss Confederation, as a contracting party to the ECHR, must ensure that its judges, when checking arbitral awards (at the enforcement stage or on the occasion of an appeal to set aside the award), verify that parties to an arbitration are guaranteed a fair proceeding within a reasonable time by an independent and impartial arbitral tribunal. These procedural principles thus form part of the Swiss procedural public policy. Indeed, CAS panels have always endeavoured to ensure that fundamental principles of procedural fairness are respected in sports disciplinary proceedings, in accordance with the notion of procedural public policy as determined by the Swiss Federal Tribunal” (§§65-7)). D’altronde, ulteriori indicazioni –sempre nel senso di assicurare la piena giustiziabilità sportiva dei principi C.E.D.U. per il tramite di indici normativi di contenuto sostanziale assimilabile e di sicura applicabilità- potrebbero rinvenire dalla circostanza che i diritti fondamentali di cui è parola sono largamente recepiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v., per quanto qui interessa, art. 47 ss.), il cui rango di normativa sovraordinata è assolutamente indiscutibile. Ad ogni buon conto, il su cennato quesito può rimanere qui impregiudicato perché la previsione di cui al C.U. 143/A si presta, come si desume dalla considerazioni sviluppate con riguardo ai motivi che seguono, a essere interpretata in conformità alla disciplina internazionale e costituzionale sul giusto processo, senza quindi integrare gli estremi di un insanabile contrasto da comporre con interventi traumatici di disapplicazione. 9. Con motivo di ricorso sub I), il ricorrente lamenta che l’attualizzazione, come richiesta da questa Alta Corte nella su ricordata sentenza n.11/2001, sia stata riferita al perdurare dell’interesse della Federazione all’espulsione del ricorrente dai propri ranghi, mentre si sarebbe dovuta focalizzare sulla posizione attuale del ricorrente. In ordine alla valutazione della “gravità” e alla sua “attualizzazione” da effettuarsi per decidere sulla sanzione aggiuntiva della espulsione-radiazione deve essere richiamato il principio sorvra affermato, secondo il quale in questa sede è escluso qualsiasi nuovo esame dei fatti accertati dalla decisione sulla responsabilità del ricorrente per illecito disciplinare e conseguente condanna alla sanzione di sospensione temporanea. La valutazione che spetta al giudice di questa fase ulteriore (seconda fase) riguarda il solo apprezzamento della “gravità”, partendo da un dato di fatto, che deve rimanere fermo, derivante dalle decisioni emesse in ordine ai fatti e sulla responsabilità (divenute definitive per l’ordinamento sportivo). La “gravità” attualizzata deve essere riguardata sotto un duplice aspetto: l’uno oggettivo riguardante la persistenza della configurazione normativa sia dell’illecito sportivo in base alla quale è intervenuta la condanna, sia della previsione della sanzione aggiuntiva (e della sua preesistenza normativa), nonché la rispondenza del giudizio di “gravità” in un confronto con le esigenze e le problematiche delle attività sportive nel momento della irrogazione della sanzione aggiuntiva. In altri termini, deve essere compiuta una valutazione quantitativa rispetto all’attuale stato dell’ordinamento sportivo, tenendo conto che la misura aggiuntiva da adottare riveste una valenza non solo sanzionatoria, ma anche preventiva. In questo esame può essere introdotto anche – ove ne risultino le possibilità in base agli atti raccolti e dedotti dalle parti - un apprezzamento sui rischi del ritorno ad attività nel campo sportivo o di conduzione manageriale in organismi ufficiali dello sport in ambito Federazione sportiva e CONI. L’altro elemento è quello soggettivo attinente al comportamento e alla personalità dell’incolpato che ha subito la condanna, sulla base di elementi successivi (e quindi nuovi) rispetto alla decisione di condanna irrevocabile, sempre – sia chiaro - senza alcun potere di controllo o di revisione della stessa decisione, che costituisce solo un presupposto come base di partenza (non modificabile) della nuova valutazione. Può, pertanto, essere considerata nella valutazione qualsiasi espressione concreta di ravvedimento operoso o di risarcimento o di riparazione del danno, ed ogni altro elemento da cui possa ritenersi, in misura inequivocabile, l’abbandono attivo anche esternamente manifestato, e la ripulsa da comportamenti che inducono discredito dell’ambiente sportivo. Inoltre può acquistare notevole rilevanza, ai fini della “gravità”, la posizione soggettiva rivestita dall’incolpato nel campo dello sport, soprattutto quando sia (stato all’epoca) elemento di spicco nella organizzazione ufficiale dello sport o delle società affiliate di notevole risonanza o sia soggetto nel contempo assai qualificato per le sue capacità manageriali o di conoscenza approfondita dei problemi ed ambienti che gravitano nello stesso sport, in modo da poter essere considerato assai introdotto ed apprezzato con valenza suggestiva di rischi di modello e di esempio. A conti fatti, per quanto qui interessa, la valutazione attualizzata richiedeva il riscontro di fatti emersi posteriormente alle “sentenze rese” e in grado di incidere sull’apprezzamento della gravità delle condotte illecite. Ovvio che, sotto questo profilo, il fatto più rilevante sia la sentenza resa dal Tribunale di Napoli. Come già rilevato in precedenza, detta pronuncia appare, su più punti, diversamente orientata rispetto alle determinazioni prese a suo tempo dai giudici sportivi. Ma si tratta, come già avvertito, di sentenza non definitiva, che rinvia a ulteriore momento la verifica sulla sussistenza di elementi che giustifichino il ricorso a rimedi revocatori. Per quel che qui è dato apprezzare sommariamente, si può comunque convenire che le divaricazioni evidenziate dalla difesa del ricorrente spostano, sì, ma non smentiscono, in una considerazione d’insieme, la gravità del quadro delle condotte illecite, così come rilevate nella sentenza di Napoli, che ha ritenuto il sig. M. colpevole di: associazione finalizzata al condizionamento del campionato di calcio di serie A e, parzialmente, di serie B; atti fraudolenti finalizzati a influire sull’andamento di partite successive attraverso la procurata penalizzazione di giocatori; atti fraudolenti intesi a predeterminare i risultati di incontri di calcio alterando la procedura di sorteggio del direttore di gara e quella per la designazione degli assistenti; istigazione di arbitri al fine di raggiungere risultati favorevoli alla squadra di cui il sig. M. era direttore sportivo; atti fraudolenti consistenti nell’alterare la procedura di individuazione delle griglie arbitrali”. Ciò che induce a ritenere infondato nel merito il motivo d’impugnazione. 10. A mo’ di ultimo motivo di ricorso (sub J), l’appellante si duole del fatto che la decisione impugnata non abbia rilevato il contrasto della sanzione espulsiva inflitta al sig. M. con la disciplina FIFA. Secondo questa prospettazione, l’art. 35, comma 5, Statuto FIGC dispone che il Codice di disciplina sportiva si conformi, per quanto attiene alle preclusioni per le persone fisiche, al Codice disciplinare FIFA, il quale, ex art. 59, limiterebbe l’irrogazione della sanzione interdittiva a vita ai soli casi di corruzione grave o recidiva. A prescindere dalla condivisibilità dell’interpretazione offerta dal ricorrente per il succitato art. 33, comma 5 (che, come rilevato dalla difesa della FIGC, ha introdotto il riferimento a norme disciplinari FIFA posteriormente ai fatti illeciti cui fa riferimento il presente procedimento), sì deve rilevare che il supposto contrasto è comunque negato dall’esistenza (allora dell’art. 73, oggi) dell’art. 69 del Codice disciplinare FIFA, a tenore del quale la preclusione a vita può essere irrogata in casi gravi di manipolazione dei risultati sportivi: che è appunto l’addebito a base della condanna del sig. M. nel 2006. P.Q.M. L’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA SPORTIVA RIGETTA il ricorso; SPESE interamente compensate. DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica. Così deciso in Roma, nella sede del Coni, il 3 aprile 2012. Il Presidente Il Relatore F.to Riccardo Chieppa F.to Roberto Pardolesi Il Segretario F.to Alvio La Face Depositato in Roma l’11 maggio 2012. Il Segretario F.to Alvio La Face
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