F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 002/CGF del 02-03-05 e 06 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 023/CGF del 7 agosto 2012 e su www.figc.it 45) RICORSO DEL SIG. GIOVANNI ROSATI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI 3 E MESI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, E 5, C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA GROSSETO- REGGINA DEL 15.5.2011, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11- 12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite - 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 002/CGF del 02-03-05 e 06 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 023/CGF del 7 agosto 2012 e su www.figc.it
45) RICORSO DEL SIG. GIOVANNI ROSATI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI 3 E MESI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, E 5, C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA GROSSETO- REGGINA DEL 15.5.2011, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 8011/33PF11- 12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Il sig. Giovanni Rosati, rappresentato e difeso dall’avv. Nazzareno Ciarrocchi, ha proposto ricorso avverso la decisione della Commissione Disciplinare Nazionale pubblicata sul Com. Uff. n. 101/CDN (2011/2012) del 18 giugno 2012, con la quale, per quanto qui rileva, la predetta C.D.N., in esito al relativo deferimento del Procuratore Federale della F.I.G.C., ha inflitto al reclamante la sanzione della squalifica per anni 3, mesi 3, per violazione dell’art. 7, comma 1, 2 e 5, C.G.S., in relazione alla gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011. Come noto, l’indagine federale ha preso avvio dalle notizie di stampa relative all’attività giudiziaria svolta dalla Procura della Repubblica di Cremona in ordine alla individuazione e conseguente repressione di una organizzazione, alquanto articolata e ramificata, essenzialmente finalizzata a ricavare illeciti profitti su scommesse da effettuarsi su partite di calcio. Di tale organizzazione facevano parte diverse persone, alcune delle quali soggette alla giurisdizione della F.I.G.C.. Aperto, pertanto, uno specifico procedimento, la Procura federale provvedeva a richiedere, alla Procura della Repubblica di Cremona, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 401/1989, in relazione all’art. 116 c.p.p., copia degli atti di possibile interesse sportivo, correlativamente procedendo ad una propria «autonoma attività istruttoria, consistente, fra l’altro, nell’analisi e nell’approfondimento della copiosa documentazione ricevuta e nell’audizione dei soggetti coinvolti e/o informati sui fatti» (cfr. atto di deferimento). L’esame del materiale processuale trasmesso dalla Procura di Cremona, alla luce delle emergenze istruttorie acquisite nel corso dell’autonoma attività investigativa svolta dalla Procura federale, consente di ritenere sussistenti, secondo la prospettazione accusatoria, consistenti elementi probatori atti a comprovare la illiceità delle condotte dei soggetti deferiti e ad escludere una qualsivoglia verosimile ricostruzione alternativa dei fatti oggetto d’indagine. Nell'atto di deferimento, dopo il richiamo alle pronunce definitive rese nell'agosto 2011 in ambito federale con riguardo ad altri, connessi, procedimenti per violazioni analoghe, si dava conto degli esiti fino ad allora prodotti dall'indagine svolta dagli uffici giudiziari di Cremona ed in particolare dell'attività investigativa anteriore e successiva all'emanazione, in data 9 dicembre 2011 da parte del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di quella sede, di un'ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di alcuni imputati, cui veniva contestato, con altre persone sottoposte ad indagini, il delitto associativo di cui agli articoli 416, commi 1, 2, 3 e 5 c.p. e 3 e 4 legge 16 marzo 2006, n. 146 rivolto allo scopo di realizzare, anche a livello transnazionale, delitti di frode in competizione sportiva, alterandone i risultati, sì da conseguire vincite in scommesse effettuate avvalendosi dello strumento della “corruzione” di partecipanti a vario titolo alle competizioni. Sul piano generale, osservava la Procura Federale, come nella complessiva valutazione degli elementi emersi in sede di indagini e di giustizia sia ordinaria sia sportiva occorra considerare che le condotte poste in essere dai tesserati sono risultate finalizzate all’alterazione del risultato delle gare o per motivi di classifica o per l’effettuazione di scommesse dall’esito assicurato, evidenziando, anzi, come, talvolta, le due finalità sopra indicate erano perseguite congiuntamente dagli stessi soggetti agenti. Riteneva, in definitiva, la Procura Federale, che all’esito del complessivo ed articolato procedimento istruttorio siano apparse realizzate molteplici condotte finalizzate alla alterazione dello svolgimento e del risultato delle gare, in ordine alle quali, peraltro, l’eventuale mancato conseguimento del risultato “combinato” non può assumere alcun rilievo ai fini della integrazione dell’illecito previsto e punito dagli artt. 7 e 4, comma 5, C.G.S., in virtù della anticipazione della rilevanza disciplinare anche riguardo ai meri atti finalizzati a conseguire tali effetti. In particolare, per quanto qui di rilievo, la Procura Federale deferiva i sigg.ri.: - Antonio Narciso, tesserato dal 1.7.2005 al 27.8.2008 quale calciatore della Società Modena F.C. S.p.A. dal 28.8.2008 al 30.6.2009 tesserato in prestito dalla società U.C. Albinoleffe S.r.l.; dal 1.7.2009 al 30.6.2010 quale calciatore della Società Modena F.C. S.p.A. dal 9.7.2010 al 30.6.2012 quale calciatore dell’U.S. Grosseto FC S.r.l.; - Giovanni Rosati (detto anche Gianni), all’epoca dei fatti collaboratore della società Reggina Calcio S.p.A.; - Juri Tamburini, all’epoca dei fatti calciatore tesserato della società Modena F.C. S.p.A.. Venivano, inoltre, deferite le società Grosseto, Reggina e Modena. I fatti contestati si riferiscono alla gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011 – Stagione Sportiva 2010/2011.
A Juri Tamburini, all’epoca dei fatti calciatore tesserato della società Modena F.C. S.p.A., e Gianni Rosati, all’epoca dei fatti collaboratore della società Reggina Calcio S.p.A., è stata contestata la violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, C.G.S. per avere, prima della gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011, in concorso fra loro, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della stessa, prendendo contatti ed accordi diretti allo scopo sopra indicato. Segnatamente, secondo la prospettazione accusatoria, Tamburini proponeva, per conto di Rosati, l’alterazione della gara prima indicata, a Narciso, eventualmente anche facendo da tramite con i compagni di squadra, e offrendo allo stesso la somma di € 30/35.000,00 per ottenere un impegno a perdere la gara; Rosati chiedendo al Tamburini di prendere contatti con il Narciso per verificare la disponibilità dei calciatori del Grosseto a perdere la gara in cambio di una somma di denaro. Ad Antonio Narciso, all’epoca dei fatti, come detto, calciatore tesserato della società U.S. Grosseto F.C. S.r.l., è stata contestata la violazione dell’art. 7, comma 7, C.G.S. per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011. Alla società Modena è stata contestata la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, C.G.S. in ordine agli addebiti relativi al proprio tesserato Tamburini. Con l’aggravante di cui all’art. 7, comma 6, C.G.S. della pluralità degli illeciti posti in essere. Alla società Reggina Calcio S.p.A. è stata contestata la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 7, commi 4 e 6, e dell’art. 4, comma 2, C.G.S. in ordine agli addebiti relativi al proprio collaboratore Rosati, nonché la responsabilità presunta ai sensi dell’art. 4, comma 5, C.G.S. per quanto posto in essere da Tamburini. Alla società U.S. Grosseto F.C. S.r.l. è stata contestata la responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 4, comma e 2, C.G.S. in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato Narciso. Secondo la Procura Federale è evidente come la suddetta gara Grosseto/Reggina, valevole per il Campionato Nazionale di Serie B della Stagione Sportiva 2010/2011, terminata con il risultato di 0 – 1, sia stata oggetto di un tentativo di combine. Richiamate le dichiarazioni di Antonio Narciso, ascoltato dalla Procura Federale in data 7 marzo 2012, Juri Tamburini, ascoltato dalla Procura Federale in data 28 marzo 2012 ed in data 26 aprile 2012, Gianni Rosati, ascoltato dalla Procura Federale in data 17 aprile 2012, apparirebbe evidente, si legge nell’atto di deferimento, «che il tesserato Tamburini Juri e Rosati Gianni, collaboratore della società Reggina, posero in essere atti diretti ad alterare il regolare svolgimento della gara in questione. Il Tamburini proponendo, per conto del Rosati, l’alterazione della gara in oggetto a Narciso Antonio, eventualmente anche facendo da tramite con i compagni di squadra, e offrendo allo stesso la somma di € 30/35.000,00 per ottenere un impegno a perdere la gara; Rosati chiedendo al Tamburini di prendere contatti con il Narciso per verificare la disponibilità dei calciatori del Grosseto a perdere la gara in cambio di una somma di denaro. È altresì emerso che a Narciso era stato richiesto di attivarsi per l’alterazione della gara ma il medesimo si è rifiutato immediatamente di aderire alla proposta. Pertanto lo stesso deve essere chiamato a rispondere di omessa denuncia. Consegue la responsabilità oggettiva delle società di appartenenza dei predetti soggetti, nonché la responsabilità presunta della società Reggina Calcio per quanto posto in essere dal Tamburini» (cfr. deferimento). Da qui, come detto, il deferimento di Rosati Giovanni (chiamato anche Gianni), all’epoca dei fatti collaboratore della Reggina Calcio, per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, C.G.S.. Con provvedimento del Presidente della C.D.N. l’inizio del dibattimento è stato fissato per il giorno 31 maggio 2012. Nei termini assegnati nell'atto di convocazione sono pervenute, per quanto qui particolarmente rileva, memorie difensive da parte degli incolpati Rosati, Narciso, Tamburini, nonché delle società Modena, Grosseto e Reggina. In particolare, Rosati, nella propria memoria difensiva, evidenziava come, contrariamente a quanto affermato dalla Procura federale, le dichiarazioni rilasciate da Tamburini non risultassero per nulla riscontrate, e neppure concordanti con quelle rilasciate da Narciso, in quanto le due dichiarazioni, quantomeno su alcuni punti, apparivano divergere insanabilmente. In particolare, si sottolineava nella difesa, Narciso aveva dichiarato che Tamburini, nell’avanzargli la proposta di alterazione, gli aveva riferito di parlare per conto di un amico di Bologna, circostanza che non poteva in alcun modo identificare tale soggetto in Rosati, che è nato e risiede nelle Marche e lavora abitualmente a Carpi. Per contro, evidenziava la difesa di Rosati come l’incolpato provenisse da una illustre famiglia di glorie calcistiche, tanto giocatori, quanto allenatori di Serie A e B e come lo stesso, in oltre quaranta anni di tesseramento, non era mai incorso in alcuna vicenda giudiziaria o disciplinare, «mantenendo sempre pulita ed immacolata la propria fedina». Nel corso del dibattimento, alcuni deferiti, tra cui, sempre per quanto possa utilmente rilevare ai fini del presente procedimento, Narciso e Tamburini, nonché le società Grosseto e Modena, hanno presentato istanza di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 23 e 24 C.G.S.. Su dette istanze la C.D.N. ha provveduto con l’ordinanza n. 4, così disponendo: per il Sig. Antonio Narciso, applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della squalifica per mesi 15 (quindici); per il Sig. Juri Tamburini, applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della squalifica per mesi 10 (dieci); per la Società US Grosseto FC S.r.l., applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della penalizzazione di punti 6 (sei) da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013, con ammenda di € 40.000,00 (quarantamila/00); per la Società Modena FC S.p.A., applicazione ex artt. 23 e 24, C.G.S. della penalizzazione di punti 2 (due) da scontarsi nella Stagione Sportiva 2012/2013. La C.D.N. ha, quindi, esaminato le istanze istruttorie proposte dai deferiti, sulle stesse provvedendo con l’ordinanza n. 5, con la quale, per quanto qui interessa, premesso che la formazione della prova nell’ordinamento federale avviene sulla base dei principi previsti dal C.G.S. e, in particolare, dall’art. 35, ha dichiarato le stesse generiche, irrilevanti e non correttamente articolate, ritenendo, invece, ammissibile la richiesta di produzione documentale allegata alle memorie. Illustrate le ragioni del deferimento, la Procura Federale ha chiesto la dichiarazione di responsabilità dei deferiti e l’irrogazione, per quanto interessa ai fini del presente giudizio, delle seguenti sanzioni a carico di Rosati Gianni: inibizione di 4 anni, per l’illecito sportivo, come da incolpazione sub 98, relativo alla gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011 per violazione dell’art. 7, commi 1, 2 e 5, C.G.S.. In dibattimento, i difensori dei deferiti hanno, quindi, illustrato e integrato le rispettive difese, precisando le proprie conclusioni. Al termine della discussione, la Commissione ha dichiarato chiuso il dibattimento e rinviato per la Camera di consiglio, all’esito della quale, ha emesso l’impugnata decisione di cui al Com. Uff. n. 101/CDN «in conformità con il principio di sinteticità sancito dall’art. 34, comma 2, C.G.S.». In via preliminare, la C.D.N. ha ritenuto dover «ribadire le considerazioni generali espresse in occasione del procedimento definito con decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 13/CDN del 9.8.2011, rilevando ancora una volta come, nel caso in questione, emergano comportamenti palesemente incompatibili con i principi di lealtà, correttezza e probità, ai quali l’ordinamento sportivo non può abdicare, pena la sua irrimediabile caduta di credibilità e persino la sua stessa sopravvivenza. Si tratta, in particolare, di comportamenti di intrinseca gravità, che svuotano di significato l’essenza stessa della competizione sportiva, al di là di ogni valutazione in ordine alla intensità dell’elemento psicologico dei singoli deferiti, alla condotta preesistente, simultanea e successiva degli illeciti disciplinari e alle motivazioni che li hanno ispirati: comportamenti che sono espressione di quel clima “omertoso” che troppo spesso permea i rapporti tra i tesserati, nonché tra i tesserati e il “sottobosco” di vari pseudo appassionati e spesso – addirittura – di esponenti della malavita» (cfr. dec. C.D.N.). Ha, poi, osservato la C.D.N. come «gran parte delle difese dei deferiti sollevano eccezioni e propongono istanze sulla base di un presupposto erroneo. Pretenderebbero infatti di applicare al procedimento sportivo norme e principi propri dell’ordinamento penale. Nel processo penale, fondato sul sistema accusatorio, la prova si forma nel dibattimento. Al contrario nel procedimento sportivo ha valore pieno di prova quanto acquisito nella fase delle indagini o prima ancora dell’apertura di esse (ad esempio, i rapporti arbitrali che godono perfino di fede privilegiata) o da indagini svolte in altro tipo di procedimento (ad esempio, atti inviati dall’A.G.). Non può essere reclamata, pertanto, l’applicazione al presente procedimento delle norme previste dal libro terzo del codice di procedura penale. Il principio del contraddittorio si realizza nel rispetto delle forme previste dal C.G.S. e non in base al codice di procedura penale che regola posizioni e diritti di tutt’altra natura e rilevanza. Come più volte ribadito in recenti decisioni del TNAS più avanti citate, lo standard probatorio richiesto per pervenire alla dichiarazione di responsabilità a carico dell’incolpato è diverso da quello richiesto dal diritto penale ed è sufficiente un grado di certezza inferiore ottenuto sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti» (cfr. dec. C.D.N.). Quanto, specificamente, alla fattispecie della violazione dell’art. 7, commi 1, 2, 5 e 6, C.G.S., la Commissione di prime cure ritiene che «dagli atti ufficiali (documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Cremona e audizioni dei tesserati effettuate dalla Procura federale) e dalle risultanze del dibattimento emerge che diversi tesserati hanno svolto attività preordinate ad alterare lo svolgimento e il risultato di competizioni sportive, in violazione dell’art. 7, comma 1, 5 e 6, C.G.S. e dei principi di lealtà, correttezza e probità sanciti dall’art. 1 C.G.S.. In particolare, ciò risulta provato, tra l’altro, dalle circostanze di seguito evidenziate, anche in considerazione del fatto che, per irrogare una condanna di un illecito sportivo, è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio: ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (da ultimo, TNAS, Signori/FIGC del 15.9.2011; Amodio/FIGC del 6.12.2011; Spadavecchia/FIGC del 2.1.2012)» (cfr. dec. C.D.N.). Nel merio, all’esito della camera di consiglio, in relazione alla gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011, la C.D.N. ha ritenuto, per quanto qui interessa, che la stessa sia «stata oggetto di un tentativo di alterazione posto in essere da Tamburini, calciatore del Modena, e da Rosati, collaboratore della Reggina […], mentre Narciso ha omesso di denunciare i fatti alla Procura Federale». Per Rosati, la condotta di cui sopra integra la violazione dell’art. 7, comma 1, 2 e 5. Quanto alla determinazione delle sanzioni, la C.D.N. ha, in via generale, osservato che, ai sensi dell’art. 16, comma 1, C.G.S., gli Organi della giustizia sportiva stabiliscono la specie e la misura delle sanzioni disciplinari, tenendo conto della natura e della gravità dei fatti commessi e valutate le circostanze aggravanti e attenuanti, nonché l’eventuale recidiva. Ai fini della concreta quantificazione delle sanzioni nel caso in questione, la Commissione evidenziato, in via generale, come «le modalità stesse dei comportamenti illeciti suscitino un rilevante allarme generale, tanto più a fronte delle implicazioni che il campionato di calcio comporta sul piano sociale, economico e dell’ordine pubblico», ha inflitto a Rosati Gianni la sanzione della inibizione per 3 (tre) anni e 3 (tre) mesi. Avverso la suddetta decisione della Commissione Disciplinare Nazionale ha proposto ricorso il sig. Giovanni Rosati, come in atti rappresentato e difeso. Con un primo, articolato, motivo d’appello Rosati censura, anzitutto, la decisione impugnata per quanto riguarda l’asserito superamento dei limiti di cui al principio “al di là di ogni ragionevole dubbio” e per il mancato allineamento con la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla «possibilità di esclusione di una qualsivoglia verosimile ricostruzione alternativa dei fatti oggetto di indagine». Erronea si rileverebbe, in tal senso, l’affermazione della C.D.N., mutuata dal deferimento, secondo cui l’accusa troverebbe riscontro nelle dichiarazioni particolarmente circostanziate rese da Tamburini e Narciso dinanzi all’A.G. di Cremona ed alla Procura Federale. Si sofferma, poi, il reclamante, sulle dichiarazioni di Narciso che già di per sé sarebbero sufficienti ad escludere il coinvolgimento nella vicenda di Rosati, atteso che lo stesso non fa mai il nome di Rosati. Peraltro, il citato “amico” di Bologna non potrebbe certo essere individuato in Rosati, considerato che l’appellante risiede nelle Marche e lavora a Carpi. Segnala, inoltre, la difesa del reclamante, che la «dichiarazione del Narciso, oltre ad essere del tutto estranea al Rosati se non addirittura favorevole alla sua tesi di estraneità, costituisce forte elemento di insanabile contrasto con le dichiarazioni del Tamburini il quale dice tutt’altre cose. Quindi il fulcro accusatorio circa la riscontrabilità delle dichiarazioni del coincolpato con quelle di altri, ovverosia l’esistenza di altre ed univoche dichiarazioni che confermino quanto dichiarato dal coincolpato, nel caso di specie non sussiste» (cfr. reclamo). Evidenzia, ancora, il reclamante, come la dichiarazione di Narciso appaia genuina, «in quanto espressione di spontanea volontà liberamente rilasciata», laddove quella di Tamburini, che peraltro, «è cosa nota, risulta coinvolto in altre vicende per il c.d. calcio scommesse», «non appare spontanea in quanto ad egli viene contestata, in sede di audizione, la dichiarazione del Narciso e quindi risulta in qualche modo sollecitata dagli inquirenti che lo convocano proprio per conoscere di quella partita» (cfr. reclamo). Sottolinea, poi, la difesa del reclamante come «il Rosati dopo esserne stato il Direttore Sportivo nella stagione agonistica precedente, si era visto declassare al ruolo di consulente esterno con funzioni di scouting ed il relativo contratto (acquisito agli atti), era in scadenza al 30 giugno di quell’anno. Poteva mai il Rosati pensare di porre in essere attività così delicata ed altamente rischiosa sotto tutti i punti di vista, nonché moralmente riprovevole per favorire una società con la quale aveva ormai esaurito ogni tipo di rapporto?» (cfr. reclamo). Con un secondo ordine di motivi l’appellante lamenta, comunque, l’ingiustizia della decisione. «Invero la totale incensuratezza del Rosati e soprattutto l’afflizione a personaggi rei confessi di pene molto miti (si pensi ai pochi mesi di squalifica inflitti a personaggi rilevantissimi nell’ambito del calcio scommesse quali Gervasoni, Carobbio, ecc.) stridono fortemente con i tre anni e tre mesi inflitti al Rosati il quale, evidentemente, ha avuto il solo torto di credere nella giustizia e sostenere sino in fondo il processo non aderendo alle lusinghe del patteggiamento ex art. 23 o di improbabile collaborazione ex art. 24 per accedere alla mitezza della Procura» (cfr. reclamo). Quindi, reiterate le istanze istruttorie così come formulate nel giudizio di primo grado, il reclamante chiedeva «che Codesta Ecc.ma Corte, qualora non volesse dichiarare il proscioglimento del Sig. Rosati dalla incolpazione per cui è processo, tenuto conto della sua totale incensuratezza, della sua storia personale, della labilità delle prove accusatorie e tenuto altresì conto delle sanzioni inflitte a personaggi di ben maggior spessore, tutti rei confessi di molteplici e reiterate attività illecite, sia sotto il profilo sportivo che sotto quello penale, voglia riformare la decisione impugnata anche sotto il profilo della sanzione applicata riducendola del minimo consentito e ritenuto di giustizia e comunque non superiore a mesi dieci di inibizione» (cfr. reclamo). Alla riunione tenutasi dinanzi alla Corte di Giustizia Federale nei giorni 2 e 3 luglio 2012, difesa e Procura Federale, richiamandosi alle rispettive argomentazioni, hanno chiesto la decisione. In via logicamente preliminare va esaminata la questione delle richieste istruttorie, reiterate anche in questa sede d’appello, e già rigettate dai Giudici di primo grado, in forza dell’esclusione della sussistenza della pregiudiziale influenza del procedimento penale su quello disciplinare sportivo e della riaffermazione dell’applicabilità in questo di regole autonome di formazione e valutazione delle prove secondo le linee direttrici dettate dal Codice di Giustizia Sportiva. La Corte non ha dubbi nel ritenere che le ordinanze dibattimentali emesse nel corso del giudizio di prime cure non meritino alcuna censura, essendosi motivatamente mosse nel solco della costante giurisprudenza federale. Ed infatti, è storicamente radicato il principio secondo cui all’autonomia degli ordinamenti settoriali riconosciuti, come l’ordinamento sportivo, da quello generale debba corrispondere la libera determinazione dei criteri regolatori dell’ammissione della permanenza in essi di chi ne abbia interesse. L’organizzazione, la struttura, il plesso normativo dell’ordinamento settoriale devono, pertanto, riflettere il sistema di valori e fini eletti dall’ordinamento stesso al momento della sua costituzione: proprio il fatto che l’ordinamento generale abbia tradizionalmente ed energicamente, con inequivoche disposizioni legislative e con non meno espliciti orientamenti giurisprudenziali, riconosciuto l’autonomia del diritto sportivo rappresenta la più chiara manifestazione dell’approvazione del sistema di valori e fini posti a fondamento del settore. Il logico corollario dell’autonoma scelta degli obiettivi da perseguire nell’ambito endofederale è l’omologa libertà nella redazione delle tavole delle condotte incompatibili con l’appartenenza soggettiva ad esso e, in via strumentale e necessaria, dei mezzi e delle forme di tutela dell’ordinamento sportivo dalle deviazioni che si dovessero verificare al suo interno. È, infatti, da reputare intimamente ed immancabilmente connessa con l’autonomia dell’ordinamento sportivo la sua idoneità a munirsi in via indipendente di un circuito normativo che reagisca alla negazione dei valori del mondo dello sport: anche questa pronta capacità di replica alla rottura delle regole interne è implicita condizione del riconoscimento e della salvaguardia provenienti dall’ordinamento statale. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale sportivo, porta ad affermare in linea generale la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento sportivo ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie. Ed infatti, l’ordinamento sportivo, da un canto, è estraneo alle previsioni normative generali che nascono con riguardo ad ambiti tipicamente ed esclusivamente statali (come il procedimento penale e le regole che per esso sono dettate per governare i rapporti con altri procedimenti svolgentisi in ambito generale, quali quelli civili, amministrativi, disciplinari ecc.); esso, d’altro canto, è libero di perseguire la propria pretesa punitiva nei confronti degli appartenenti che si sottraggano al rispetto dei precetti con autonomi mezzi di ricerca e valutazione della prova che non necessariamente debbono identificarsi con quelli propri dell’ordinamento statale, fatta ovviamente salva l’osservanza del diritto di difesa, costituzionalmente protetto. Non vi è, quindi, alcun bisogno di ammettere le richieste istruttorie ripetute dall’appellante. Ad esse ha esattamente, ed in omaggio ad una giurisprudenza che ha resistito nel corso di lunghi anni, replicato la Commissione di primo grado osservando che le regole del procedimento sportivo, cui gli organi di giustizia sono tenuti ad uniformarsi, non prevedono il dovere del giudicante di allargare l’orizzonte del materiale probatorio già acquisito, se questo soddisfa a suo avviso le esigenze del giudizio, né di sentire – come nel caso di specie – altri tesserati o, addirittura, coincolpati, in ipotesi indisponibili a sostenerlo, anche considerato che essendo gli stessi, appunto, anch’essi parti del giudizio o, comunque, destinatari dell’atto di deferimento, non potrebbero, in ogni caso, assumere la veste di teste. Da questo punto di vista, non rappresenta in alcun modo violazione del diritto di difesa, apprezzabile in sede di giudizio di impugnazione, la circostanza che il procedimento si svolga sulla base degli atti acquisiti e, più in generale, nel rispetto delle norme del Codice di Giustizia Sportiva: il che è indubbiamente avvenuto nel corso del giudizio di primo grado. A rafforzare il convincimento appena espresso sta, infine, la considerazione che alla difesa non è mai precluso il concorso alla formazione della prova mediante produzione documentale, come è reiteratamente accaduto nei due gradi del presente giudizio. In sintesi, quindi, del tutto priva di pregio è la questione, agitata dal ricorrente nell’atto di appello, circa l’esigenza di completare il quadro probatorio. Istanza, come detto, che non può trovare comunque accoglimento perché presuppone, erroneamente, l’automatica applicazione di tutti i principi che regolano il giudizio penale al procedimento disciplinare, che a quello sicuramente si informa senza però costituirne una pedissequa e scontata ripetizione che sarebbe, in tal caso, assolutamente inutile e si potrebbe tradurre in una lesione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue caratteristiche di tipicità e specialità. Tutto ciò senza trascurare di considerare che, ad ogni buon conto, in ordine alle prove testimoniali qui richieste è intervenuta preclusione, non essendo stati i testi citati e che il riferimento all’oggetto della prova appare, comunque, generico, oltre che di non decisiva rilevanza ai fini del giudizio. Con la conseguenza della inammissibilità delle istanze istruttorie, come formulate. Ciò premesso, la Corte osserva che la decisione impugnata non merita alcuna delle censure mosse e che, pertanto, debba essere confermata, per effetto del rigetto dell’impugnazione. Ed invero, le approfondite e capillari indagini, utilmente riversate nel presente procedimento disciplinare, hanno consentito di ritenere raggiunta la prova della sussistenza dell’illecito contestato a Gianni Rosati con riferimento alla gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011. L’attenta e dettagliata attività investigativa, della giustizia ordinaria prima e di quella federale poi, ha consentito di mettere a disposizione degli organi giudicanti una serie consistente e preziosa di elementi suscettibili di specifica valutazione da parte degli stessi predetti organi, nell’ambito della loro autonomia di giudizio, onde pervenire, nei singoli casi e con riferimento a ciascun soggetto deferito, alle conclusioni di proscioglimento o di affermazione di responsabilità per tutti o parte degli addebiti ascritti. In questo quadro di riferimento complessivo si inserisce la condotta, oggetto di autonomo esame nel presente procedimento, che, ritiene questa Corte, si traduca nell’illecito (sussumibile nella previsione dell’art.7 C.G.S.) consistente nell’attentato all’integrità della gara di cui trattasi, interamente addebitabile all’appellante. Dal coacervo degli elementi suscettibili di valutazione da parte di questa Corte emerge, in una sintesi complessiva, l’esistenza di solidi elementi probatori per ritenere fondata l’affermazione di responsabilità di Rosati in ordine alla incolpazione di cui all’art. 7, commi , 2 e 5 C.G.S., per aver, in concorso con Tamburini, posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara sopra indicata. Rosati, come lo stesso conferma alla Procura Federale dalla quale è stato sentito il 17.4.2012, è stato Direttore sportivo della Reggina dall’ottobre 2009 al 30 giugno 2010. Con la predetta società ha poi stipulato, da quest’ultima data e fino al 31.12.2011, un contratto di consulenza attraverso la società Team Service s.n.c. di cui è il titolare e che ha sede a Carpi. Siffatta società svolge essenzialmente attività di scouting. In ordine alle contestazioni allo stesso mosse nell’atto di deferimento, sentito dalla Procura Federale il 17.4.2012, Rosati nega decisamente qualsiasi coinvolgimento nel tentativo di combine della gara in oggetto, non essendogli ciò stato chiesto da nessuno e non facendo parte del suo modo di “vivere il calcio”. Ammette, tuttavia, di conoscere Tamburini, avendolo seguito nella sua carriera ed avendolo qualche volta incontrato a pranzo. Siffatto tentativo di sminuire la portata ed assiduità dei rapporti di amicizia con Tamburini è però smentito dallo stesso predetto calciatore che, sul punto, afferma: «voglio precisare che gli incontri con il Rosati avvenivano, con una discreta frequenza, almeno due volte al mese, e a cui, a volte, partecipava anche la mia fidanzata, presso il circolo tennis Sporting Carpi di cui so essere Rosati socio. Durante questi incontri si parlava di argomenti vari ma sempre legati al mondo del calcio» (cfr. aud. 26.4.2012). sull’episodio oggetto del capo di incolpazione di cui trattasi, Antonio Narciso, ascoltato dalla Procura federale in data 7 marzo 2012, così afferma: «Nella Stagione Sportiva 2010/2011 giocavo con il Grosseto. Nella settimana precedente la gara Grosseto/Reggina ricevetti un sms dal numero di Juri Tamburini che era stato mio compagno nel Modena. Con lo stesso avevo instaurato un rapporto di amicizia tanto che più volte siamo andati a pescare insieme. Con il messaggio lo stesso mi invitava a richiamarlo ad un numero che era indicato nello stesso sms. La sera ho effettivamente richiamato senza però avere risposta. Subito dopo, sempre da quel numero, sono stato richiamato dal Tamburini che mi disse che chiamava per conto di un suo amico di Bologna. Nel corso della conversazione lo stesso mi chiese, prima in maniera allusiva e poi sempre più nel concreto, se ero disponibile a perdere la partita con la Reggina anche facendo da tramite con i miei compagni di squadra. Anche se non in maniera chiara mi propose una somma da € 30/35.000,00. Io gli dissi che non ero disponibile a nessun tipo di accordo illecito, tanto che Tamburini si scusò chiudendo in breve la conversazione. Circa un anno dopo ho incontrato il Tamburini sul campo di calcio in occasione della gara Grosseto/Ascoli, a cui ho chiesto le ragioni di quella proposta. Lo stesso non nascondendo l’imbarazzo, mi chiese scusa dicendo che aveva avuto un momento di debolezza e di cui si era pentito». Inequivoco, poi, il racconto di Tamburini. Nell’audizione del 28 marzo 2012 dichiara alla Procura federale di conoscere Antonio Narciso, avendo con lo stesso giocato insieme nel Modena 3 o 4 anni prima, anche se la conoscenza medesima non era connotata da assidua frequentazione, considerato che lui era scapolo, mentre Narciso ero coniugato. Ricorda di una pesca sportiva in un laghetto, ma non di cene specifiche con lo stesso, né di averne conservato il numero di cellulare. Quanto, in particolare, ai contatti precedenti la gara Grosseto/Reggina del 15 maggio 2011, Tamburini così testualmente riferisce: «Si effettivamente ho cercato un contatto con Narciso. Voglio dire, senza alcuna reticenza, che il motivo di quel contatto, che ho chiesto al calciatore attraverso un’utenza diversa dalla mia, era dovuto ad una richiesta che ho ricevuto da Gianni Rosati che, mi sembra di ricordare, fosse o fosse stato il Direttore Sportivo della Reggina. Con questa persona ero in contatto da tempo e lo stesso si era sempre offerto di aiutarmi a trovare una idonea collocazione in qualche squadra. Nella settimana precedente la partita Grosseto/Reggina, mi incontrai con il Rosati che mi chiese se potevo verificare la disponibilità del Grosseto a perdere la partita. A tal proposito mi chiese se conoscessi qualche giocatore del Grosseto ed io gli riferii di aver giocato con il portiere Narciso. Mi disse, quindi, di provare a contattarlo e ad offrirgli del denaro, di cui non ricordo la cifra precisa. Non mi disse se l’iniziativa partiva direttamente dalla società ovvero fosse una sua iniziativa autonoma. Né mi specificò chi avrebbe stanziato i denari che avrei dovuto offrire a Narciso. Come ho detto prima, atteso che il Rosati avrebbe potuto aiutarmi a trovare un’idonea sistemazione, essendo io in scadenza di contratto con il Modena, non ebbi la forza di rifiutare la proposta. Contattai quindi il Narciso ed a tal riguardo posso confermare le modalità di quanto riferito nel verbale di cui l’ufficio mi da lettura. Tengo a precisare che corrisponde a verità che, in un momento successivo, mi scusai con il Narciso per la proposta fatta della quale, tengo a precisare, io non avrei ricevuto alcuna utilità, tanto meno economica. Devo dire che mi sentii subito sollevato dal fatto che Narciso avesse rifiutato la proposta ed esternai questo sentimento anche alla mia fidanzata che aveva sentito la telefonata. Al Rosati in un momento successivo riferii del rifiuto del Narciso e lo stesso prese atto della cosa senza aggiungere altro. Volendo fornire la massima collaborazione all’Ufficio fornisco spontaneamente l’utenza cellulare del Rosati in mio possesso che è la 393 ******. Tengo a precisare che non sento il Rosati dall’estate del 2011. Non ho altro da aggiungere e voglio precisare di non essermi mai trovato, né prima né dopo, in situazione analoghe al fatto che ho narrato». In ordine alla contestazione della Procura Federale sulle risultanze scaturenti dalle dichiarazioni di Tamburini, Rosati, nell’anzidetta audizione del 17.4.2012, afferma: «Non ricordo di avere incontrato il Tamburini nel periodo in cui questi ha riferito all’Ufficio. In ogni caso se pure l’ho incontrato sicuramente non gli ho chiesto di combinare la gara Grosseto/Reggina del 15.5.2011 (…) Non so fornire spiegazione sul motivo per il quale il Tamburini abbia fatto dichiarazioni di cui mi è stata data lettura». Nella già sopra richiamata audizione di Tamburini del 26.4.2012, riferendosi a Rosati, questi precisa ulteriormente: «Nella settimana precedente la partita mi fece la domanda relativa alla mia conoscenza di qualcuno del Grosseto a cui proporre la manipolazione della partita. Nonostante il mio imbarazzo ho aderito alla sua richiesta perché pensavo che in seguito, lo stesso mi avrebbe potuto aiutare per trovare una collocazione, considerato che ero in scadenza di contratto. Non ricordo esattamente la cifra che mi propose ma sicuramente mi arlò di soldi da dare in cambio della vittoria della Reggina». Anche in questa circostanza, dunque, la ricostruzione operata da Narciso in ordine al tentativo di combine della gara di cui trattasi trova solidi riscontri. Specialmente, il tentativo viene confermato dallo stesso Tamburini, chiamato in correità, che ammette chiaramente di aver agito per conto ed in base alla richiesta di Rosati, rispetto al quale, non solo conservava rapporti di amicizia, ma nutriva anche la speranza di un suo aiuto per una nuova collocazione in altra società, attesa la sua scadenza contrattuale con il Modena. La successione logica dei fatti, non smentita nella sua storicità, appare coerente con l’incolpazione: Narciso ammette (spontaneamente) di essere stato richiesto da Tamburini, suo ex compagno nel Modena, di combinare, a favore della Reggina, il risultato della gara Grosseto/Reggina del 15 magio 2011; Tamburini conferma di aver, a tal fine, contattato Narciso, per conto di Rosati, suo amico ed ex D.S. della Reggina, con il quale, smentendo lo ste sso Rosati, ammette di avere assidue frequentazioni. Fatti, questi, poi supportati da intuibili e presumibili solide motivazioni rintracciabili a base dei comportamenti dei soggetti coinvolti: Tamburini, in scadenza di contratto con il Modena, auspica di essere ricompensato da Rosati che si era offerto di trovare allo stesso adeguata collocazione; Rosati, spera che, ben “operando” a vantaggio della Reggina, possa “spendere” tale “credito” in sede di discussione per il rinnovo del suo contratto di collaborazione con la medesima società, rispetto al quale aveva ricevuto sentore o, addirittura, la società aveva allo stesso espressamente manifestato la propria intenzione di interrompere il rapporto di collaborazione medesima. Di nessuna pregnanza probatoria, dunque, sotto tale profilo, la tesi difensiva secondo cui Rosati, avendo soltanto un contratto di collaborazione (e non essendo più il D.S. della Reggina) non rivestiva alcun interesse a “comprare” un risultato vantaggioso per la Reggina. Anzi, come detto, proprio il tentativo di “accreditarsi” presso la società di cui trattasi può essersi rivelata la “molla”, la ragione che ha indotto il reclamante ad attivarsi per combinare il risultato della partita in questione. Come altrettanto fragile ed inconsistente, alla luce delle complessive emergenze processuali, si rivela l’altra argomentazione difensiva relativa alla circostanza che Narciso avrebbe dichiarato che Tamburini, nell’avanzargli la proposta di alterazione, gli aveva riferito di parlare per conto di un amico di “Bologna”, mentre Rosati risiede nelle Marche e lavora a Carpi. Del pari, di alcun rilievo giuridicamente apprezzabile in questa sede di impugnazione federale, la circostanza dell’eventuale mancato passaggio di denaro o effettiva realizzazione dell’alterazione della gara. Infatti, l’ipotesi delineata dalla norma di cui all’art. 7 C.G.S. configura, come noto, un illecito in ordine al quale non è necessario, ai fini dell’integrazione della fattispecie, che lo svolgimento od il risultato della gara siano effettivamente alterati, essendo sufficiente che siano state poste in essere attività dirette allo scopo. Recita, infatti, la norma: «Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo». Si tratta, dunque, di illecito c.d. formale, per il cui perfezionarsi non occorre un conseguente evento in senso naturalistico, né l’accettazione di denaro od altre utilità. Un’ipotesi, in altri termini, di illecito di pura condotta o, detto altrimenti, a consumazione anticipata, che si realizza (rectius: consuma) anche con il semplice tentativo e, quindi, al momento della mera messa in opera di atti diretti ad alterare il fisiologico svolgimento della gara, od il suo risultato, ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica. L’aggregazione di ciascuno degli elementi probatori appena passati in rassegna conducono la Corte a ritenere dimostrata la robustezza del fondamento dell’accusa. Nessun dubbio può, pertanto, ragionevolmente sussistere circa la colpevolezza del reclamante, esattamente affermata dai primi Giudici. Sussiste, in definitiva, ampia prova della responsabilità del ricorrente per gli addebiti a lui ascritti. Gli elementi tratti dalle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie di Tamburini, concordano con quelle di Narciso e si inseriscono come sufficienti elementi di prova in un convergente complessivo contesto già di per sé ampiamente ed univocamente indiziario. Del resto, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte, premesso, sul piano generale, che la prova di un fatto, specialmente in riferimento ad un illecito sportivo, può anche essere e, talvolta, non può che essere, logica piuttosto che fattuale, nel caso di specie, come detto, sono rinvenibili sia elementi di fatto che deduzioni logiche, gli uni soccorrenti le altre, come, sia pure succintamente, dato atto nella decisione di primo grado. Per inciso, peraltro, questo Collegio ritiene comunque condivisibili le considerazioni della C.D.N. sull’attendibilità delle dichiarazioni, di natura in parte anche autoaccusatoria, rilasciate sull’illecito di cui trattasi da Tamburini. La valutazione in termini di attendibilità deve, infatti, essere effettuata nel suo complesso e avuto particolare riguardo al materiale acquisito al presente procedimento, dal quale, come correttamente evidenziato dalla Procura federale nel corso del dibattimento, emerge l’atteggiamento pienamente collaborativo dello stesso. Dichiarazioni, quelle rese da Tamburini, che hanno, peraltro, condotto all’applicazione, nei suoi stessi confronti, della sanzione della squalifica. Si aggiunga che anche la giurisprudenza ordinaria prevalente è orientata nel senso della attendibilità della dichiarazione testimoniale, salvo prova contraria (cfr., ad es., Cassazione pen., 6 aprile 1999, in Cass. pen., 2000, p. 2382). In particolare, secondo diverse pronunce, il giudice deve considerare come veritiera la deposizione, a meno che non risultino specifici elementi che facciano ritenere il contrario, come, ad esempio, quando si tratta di teste che ha interesse a mentire. E, come detto, nel caso di specie, Tamburini non ha alcun interesse a mentire, ma, anzi, con le deposizioni di cui si è detto, confessa -di fatto- anche di aver posto egli stesso in essere gli illeciti sportivi contestati. La stessa Corte di Cassazione ha, poi, avuto modo di precisare - sia in passato (n. 231/1991), sia di recente (n. 41352/2010) - che la chiamata in correità, laddove circostanziata, non richiede un riscontro probatorio specifico. Del resto, a prescindere dal contesto probatorio di cui si è detto, non appare in alcun modo suscettibile di accoglimento la diversa versione nella quale, con vari e suggestivi argomenti finalizzati ad evidenziare incongruenze e contraddizioni della ricostruzione accusatoria, si è impegnata la difesa, nella prospettiva di mettere in discussione la verosimiglianza della dinamica ricostruttiva di cui si è detto. Pienamente condivisibile è, infine, la natura e l’entità della pena applicata, anch’essa da confermare, anche considerata la gravità della condotta contestata, che appare capace di minare la credibilità degli eventi sportivi ed alterare la stessa regolarità di svolgimento dei campionati di calcio. In conclusione, l’appello va rigettato, con integrale conferma della decisione impugnata e conseguente incameramento della tassa. Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal signor Giovanni Rosati e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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