F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 2 – 3 -5 e 6 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 033/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it 39) RICORSO DEL CALC. VINCENZO ITALIANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, E 5, C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA PADOVA – GROSSETO DEL 23.3.2010, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite - 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 2 – 3 -5 e 6 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 033/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it
39) RICORSO DEL CALC. VINCENZO ITALIANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, E 5, C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA PADOVA – GROSSETO DEL 23.3.2010, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE - NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)
Il calciatore Vincenzo Italiano, all’epoca dei fatti in contestazione tesserato per la società Calcio Padova S.p.A. di Padova, ha proposto ricorso nei termini abbreviati di cui al Com. Uff. n. 153/A/2012, avverso quanto deciso, nei suoi confronti, dalla Commissione Disciplinare Nazionale, così come riportato in epigrafe, lamentando l’assoluta ingiustizia della sanzione, asseritamente irrogatagli sulla base delle sole dichiarazioni accusatorie del giocatore Filippo Carobbio, ritenute prive di qualsiasi attendibilità e riscontro. La difesa del calciatore, rappresentata dall’avv. Mattia Grassani, ha chiesto l’integrale riforma della decisione del giudice di primo grado deducendo che la Commissione Disciplinare Nazionale avrebbe inflitto la sanzione con una decisione “priva di qualsivoglia presupposto, logico e giuridico, idoneo a supportare i provvedimenti adottati”. Ci si duole, in particolare, del fatto che la Commissione Disciplinare abbia fondato la sua decisione commettendo gravi errori di valutazione, distorsione di fatti storici e accreditando come vere e indiscutibili delle circostanze apprese de relato senza conferire alcun rilievo alle dichiarazioni di smentita dei giocatori Marco Turati e Vincenzo Italiano. A conforto di queste ultime e dell’assenza di qualsiasi progetto illecito ha instato per accertamenti istruttori mediante acquisizione di dichiarazioni del dott. Gino Nassuato, medico sociale del Calcio Padova e del citato calciatore Marco Turati. L’articolata doglianza è rivolta, quindi, avverso una decisione che si reputa palesemente affetta da insuperabile carenza probatoria e motivazionale e si chiede che, in riforma, la squalifica inflitta al giocatore Italiano venga annullata. La vicenda in esame merita di essere puntualizzata, sia dal punto di vista della sua
contestualizzazione materiale che in ordine al suo sviluppo processuale. Il procedimento, che vive la sua fase di appello dinanzi questa Corte, è stato originato dal provvedimento di deferimento della Procura Federale che, sulla base di quanto previsto ex art. 2 della legge n. 401/89 e dell’art. 116 c.p.p. ha chiesto e ottenuto, dall’Autorità Giudiziaria di Cremona, la trasmissione degli atti relativi ad una complessa attività di indagine – che peraltro costituisce il prosieguo di altre investigazioni già riferite alla Procura Federale nella primavera estate del 2011 e già oggetto di cognizione da parte di questa Corte (vedi fra gli altri, Com. Uff. n. 061/CGF – n. 043/CGF e n. 056/CGF) - riguardante una capillare associazione delinquenziale finalizzata ad alterare, tramite il fattivo coinvolgimento di tesserati, i risultati di molte partite del campionato italiano di calcio delle diverse categorie e, per effetto delle scommesse effettuate sul loro esito, finale o parziale e sul numero delle reti realizzate, trarre ingenti profitti illeciti. Sulla base di tale documentazione la Procura Federale ha poi proceduto a svolgere autonoma attività di accertamento a conferma dei comportamenti illeciti dei tesserati della Federazione che ha consentito, secondo l’impianto accusatorio posto alla valutazione del giudicante, l’acquisizione di elementi di oggettivo conforto sulla sussistenza sia della predetta associazione, costituita anche in dispregio di quanto previsto dall’art. 9 C.G.S., sia della fitta rete di contatti stabili tra i tesserati, tutti univocamente preordinati al conseguimento delle finalità illecite del sodalizio (ossia quello di alterare il normale contesto agonistico delle partite, anche attraverso un’intensa opera di reclutamento, affiliazione o anche solo episodica partecipazione di altri tesserati) sia, da ultimo, di appurare come il sistema godesse di un’interessata omertà da parte di coloro che, pur non direttamente partecipi al progetto criminoso, ne traevano profitto effettuando scommesse in violazione, anche qui, del divieto imposto dall’art.6 C.G.S.. Su questo quadro di fondo va inserita la specifica vicenda oggetto della presente cognizione anche se, va detto fin d’ora, la difesa contesta recisamente che la partita, presunto oggetto di “combine”, possa trovare idonea collocazione nel più vasto fenomeno criminoso in cui è stata comunque inserita. La Procura Federale, nel suo atto di deferimento alla Commissione Disciplinare Nazionale, ha contestato al sig. Vincenzo Italiano, atleta del Calcio Padova S.p.A. di aver proposto, in cambio di un’imprecisata somma di denaro, di alterare il regolare svolgimento della gara Padova/Grosseto del 23.3.2010, senza concretizzazione dell’intento fraudolento per il rifiuto opposto dai giocatori avversari. Nel provvedimento di accusa la contestazione è stata sostanzialmente formulata con il conforto delle dichiarazioni di Filippo Carobbio, all’epoca giocatore del Grosseto che avrebbe ricevuto le confidenze di Marco Turati, suo compagno di squadra e interlocutore, nella circostanza, dell’Italiano. Nello specifico, il requirente, nel suo atto di deferimento, ha esposto che il Carobbio aveva dichiarato, in data 29.2.2012, ad esponenti di quell’Ufficio che, in occasione della partita Padova- Grosseto, il Turati gli confidò che l’Italiano, giocatore del Padova, lo aveva contattato promettendogli una somma di denaro in caso di sconfitta della squadra toscana, ma che la proposta sarebbe stata rifiutata nella convinzione che sarebbe stato particolarmente deleterio perdere la gara in relazione alla delicata posizione dell’allenatore, al quale venne effettivamente revocato l’incarico dopo l’avvenuta sconfitta. Lo stesso requirente non ha ritenuto credibili le dichiarazioni di Turati e Italiano che, pur ammettendo i loro frequenti contatti telefonici, avevano negato qualsiasi proposta illecita ed ha reputato di trovare argomenti di prova nella posizione deteriore di classifica del Padova, nel legame amicale tra l’Italiano e il Turati, coinvolto in plurimi progetti di alterazione di gare calcistiche, nell’effettività dell’avvenuta conversazione telefonica tra i due, seppur inerente, a loro dire, ad un mero scambio di informazioni tecniche sull’incontro. La Commissione Disciplinare Nazionale ha disposto lo stralcio della posizione del Turati (mentre al Carobbio è stata applicata la sanzione di anni 1 e mesi otto di squalifica su richiesta ai sensi degli artt. 23 e 24 C.G.S.) ed ha sancito la responsabilità del calciatore Vincenzo Italiano per violazione dell’art. 7, commi 1,2 e 5 C.G.S. con conseguente irrogazione della squalifica per anni 3. Analoga e conseguente responsabilità è stata sancita per la società di appartenenza del giocatore Italiano (la calcio Padova S.p.S.) coinvolta a titolo oggettivo. Dinanzi a questa Corte il giorno 3 luglio 2012, l’avv. Grassani ha insistito nella tesi già esposta con articolate e risolute espressioni nel libello difensivo circa l’inattendibilità della dichiarazione del Carobbio, la genuinità delle affermazioni di Italiano e Turati e le incongruenze circa il vantaggio conseguibile dalla commissione dell’illecito in relazione alla reale posizione in classifica delle società interessate e ha concluso per l’assoluzione del suo assistito. Il Procuratore Federale avv. Stefano Palazzi, da parte sua ha ribadito, preliminarmente, di opporsi alla richiesta
istruttoria formulata nell’atto di costituzione di controparte poiché la stessa istanza era già in primo grado inammissibile per mancata articolazione per capitoli della prova per testi e, nel merito, ha confermato la credibilità delle dichiarazioni di Carobbio e l’inattendibilità di quelle assolutorie del Turati (coinvolto in altri episodi illeciti) e dell’Italiano. Ha confermato la propria richiesta di conferma della sanzione inflitta. La Corte esaminati gli atti e valutate appieno le argomentazioni addotte dalle rispettive parti a sostegno delle loro tesi, ritiene che il ricorso proposto dal calciatore Vincenzo Italiano non possa essere accolto in ragione del fatto che, ad avviso di questo Collegio, la commissione del tentativo di illecito p. e p. dall’art. 7 commi 1,2, e 5 C.G.S. sia più che sufficientemente provato attraverso, come richiede la norma evocata, del compimento “con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo”. La difesa dell’appellante ha posto, a sostegno della ritenuta ed aberrante – sotto il profilo della ricostruzione dei fatti materiali – decisione del giudice di prime cure, una serie di articolate argomentazioni che, pur pregevoli per l’intensità del tentativo di demolire la tesi accusatoria e la conseguenze decisione della Commissione Disciplinare, non raggiungono il loro obiettivo anche perché, come si dirà, gli stessi episodi che si vuole accreditare come prova dell’estraneità dell’Italiano alla “combine” possono essere apprezzati anche in segno diametralmente opposto, tanto da fornire congruenza e riscontro logico-deduttivo alla decisione appellata. La decisione di non accoglimento merita però che, preliminarmente, la vicenda sia ascritta in un quadro descrittivo fenomenico e giuridico che ne consenta una migliore intelligibilità di tutta la vicenda. A seguito di notizie stampa circa attività istruttoria condotta dalla Procura Federala della Repubblica di Cremona in merito all’esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva mediante alterazione del corretto svolgimento di partite di calcio dei vari campionati svolgentisi sotto l’egida federale (reato mezzo) ed effettuazione di scommesse in denaro sulle stesse gare, dall’esito scontato alla luce dell’attività presupposta (reato fine), scommesse in ogni caso vietate ai tesserati ai sensi dell’art. 6 C.G.S., il Procuratore Federale aveva richiesto agli inquirenti di poter acquisire copia degli atti di interesse per poter avviare l’azione di propria competenza. Acquisita, nel corso di proficua e prolungata collaborazione, la documentazione messa a disposizione dall’Autorità Giudiziaria ordinaria (Procura della Repubblica ed Ufficio del G.I.P. del Tribunale di Cremona) la Procura Federale ha provveduto ad effettuare attività istruttoria, nel corso della quale i tesserati, che nella precedente sede avevano fornito ampia ed illuminante collaborazione, hanno confermato le loro dichiarazioni autoeteroaccusatorie mentre altri hanno negato il loro coinvolgimento. Va detto, in primo luogo, che non può dubitarsi dell’esistenza di una vasta e radicata organizzazione delinquenziale transnazionale gestita, al vertice, da soggetti estranei all’ordinamento sportivo ma nella quale si collocavano, indubitabilmente in posizione di assoluto rilievo (vedi, da ultimo, ordinanza custodia cautelare in calce emessa dal G.I.P. del Tribunale di Cremona del 2 febbraio 2012), tesserati di questa Federazione, ai quali era stata affidata la responsabilità di coinvolgere altri soggetti, in organico a società calcistiche, in tutte le fasi, preparatorie ed esecutive, del disegno criminoso, nonché di “garantire” il buon esito degli accordi illeciti. Il raggiunto grado di certezza – anche se allo stato di indagini preliminari penali – della sua esistenza, delle sue dimensioni transazionali e della sua pericolosità, ancorché acclarata nell’ambito di un ordinamento giudiziario diverso e indipendente rispetto all’ordinamento sportivo (autonomia dell’ordinamento sportivo confermata dalla Corte Costituzionale in sent. n. 49/2011), non può non essere posto in dubbio e, ancor più, non essere assunto come dato acquisito nel presente procedimento, anche se le risultanze cui si è pervenuti in quella sede debbano essere intese solo come risultato fattuale e senza che questo – in via generale - inibisca all’autorità sportiva di poter procedere ad autonome verifiche e acquisizioni istruttorie sui fatti illeciti addebitati a soggetti giuridici sottoposti a questo ordinamento. Né, del pari, viene meno la possibilità di pervenire, sugli stessi fatti materiali, ad un convincimento proprio, fondato appunto su una distinta valutazione circa la sussistenza o meno di comportamenti costituenti violazione di norme federali. Questo non esclude, ovviamente, che si possa giungere a conformi affermazioni di responsabilità, atteso che norme penali e regole federali hanno, pur con genesi diversa e procedimentalizzazioni perspicue, finalità omogenee quanto al ripristino dell’ordine violato e all’affermazione di principi superindividuali ed essenziali per l’organizzazione sociale.. Principi e regolae iuris che pur esplicando la loro diretta ed immediata incidenza nell’ordinamento che li prevedono, non escludono che la loro essenza possa essere – per la loro forza persuasiva e intrinseca condivisione - trasfusa in ordinamenti diversi nella generale esigenza, propria di ogni società civile, di salvaguardare – sempre e comunque – i valori etici fondanti ogni communitas, antica o moderna che sia. La valenza generale di principi di diritto comune (nel rispetto dell’autonomia degli ordinamenti) fa sì che anche nell’ordinamento sportivo – e federale in questo caso – ogni responsabilità sia affermata in base ad oggettivi riscontri e non mere illazioni, dicerie, congetture che non hanno dignità di prova o di argomento di prova. Nell’implicito richiamo a questo principio cardine di ogni sistema processuale la difesa del calciatore Italiano si lamenta che al suo assistito sia stata comminata una sanzione gravemente afflittiva in base alle sole dichiarazioni di soggetto sodale ad un sistema criminoso, della cui credibilità e attendibilità dubita, dichiarazioni che sarebbero,peraltro, rimaste prive di adeguato riscontro. Ciò detto, se è vero che l’ordinamento giustiziale federale ha tra i suoi criteri fondanti quello di dare celere risposta alle condotte poste in essere in violazione dei suoi canoni, è altresì vero che la risposta non può concretizzarsi in una sorta di giustizia sommaria e meramente indiziaria: celerità e giustizia effettiva non sono termini antitetici di un sistema ma assolutamente complementari in un contesto processuale che ha quale suo essenziale scopo quello di ripristinare l’ordine giuridico vulnerato. Ciò premesso a titolo di inquadramento generale del contesto in cui va valutata la contestazione rivolta al calciatore Italiano, debbono affrontarsi le puntuali censure della difesa allo scopo di verificare se, come dedotto, la stessa contestazione e la decisione che l’ha condivisa siano o meno immuni da censure. In primo luogo si accusa di illogicità e inconsistenza le dichiarazioni accusatorie di Carobbio, smentite da Italiano e Turati, definite prive di qualsiasi conforto anche solo a livello indiziario, consistenti solo in un breve accenno fatto all’interno di lunghissime e circostanziate affermazioni su molti altri episodi illeciti, anche tardive e rilasciate da soggetto (il Carobbio) di cui si dubita credibilità e coerenza. Si afferma questo premettendo che l’incontro calcistico in osservazione non può essere fatto rientrare nel più complessivo fenomeno dell’alterazione delle gare attenzionate dall’A.G. ordinaria. Dato atto che non risulta, per quanto qui rileva, che l’Italiano sia stato attinto da nessuna accusa di illecito ex art. 9 C.G.S., vi è da dire che la fattispecie in esame non solo non può dirsi estranea al più complessivo fenomeno portato alla luce dalle investigazioni – della giustizia ordinaria e della Procura federale – ma non può dirsi neanche che un’eventuale affermazione di responsabilità dello stesso debba scontare giocoforza un presupposto giudizio di responsabilità collettiva: quello che qui rileva è se nell’occasione riferita dal Carobbio il giocatore Italiano abbia o meno compiuto atti idonei e congruenti all’alterazione della gara Padova/Grosseto. Orbene, secondo le dichiarazioni fatte dal calciatore Carobbio al collaboratore della Procura Federale in data 29.2.2012, nel contesto di un’articolata esposizione di plurimi progetti di alterazione di gara, lo stesso riferì che il suo compagno di squadra Turati, in epoca verosimilmente prossima alla gara, gli aveva riportato l’offerta di una somma di denaro per perdere la partita, in programma il 23.3.2010, con il Padova, offerta rifiutata per le plausibili ragioni dallo stesse riportate. La difesa incentra la sua doglianza sia sulla mancanza di adeguato riscontro oggettivo sia sulla credibilità e coerenza del personaggio Carobbio, lamentando l’errata e incongrua decisione della Commissione che avrebbe dato valore a asserzioni prive di effettivo valore probante, rilasciate da un soggetto asseritamente non credibile. Quanto assunto dalla difesa merita alcune precisazioni preliminari. Il parametro cui fare rinvio per valutare le dichiarazioni di Carobbio è quello posto dall’art. 192, commi 3 e 4 c.p.p. e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha avuto costantemente modo di affermare che “In tema di valutazione della prova, allorché il chiamante in correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso soggetto e ripetuti nel tempo, l’elemento esterno di riscontri in ordine ad alcuni di essi fornisce sul piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in relazione agli altri purché sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una
valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione, l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo unico e continuativo. Infatti, gli elementi integratori della prova costituita da dichiarazioni rese da un imputato dello stesso reato o di un reato connesso, ex art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere della più varia natura, e quindi anche di carattere logico, purché riconducibili a fatti esterni a quelle dichiarazioni” (Cass. pen. VI sez., n. 41352/2010 e giurisprud. ivi richiamata). Nello stesso senso Cass. pen. Sez. Vi n. 42705/2010 “In tema di valutazione della chiamata in correità proveniente da un soggetto che abbia reso dichiarazioni complesse, oggetto della valutazione è la dichiarazione globale del chiamante, relativamente ad un determinato episodio criminoso nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei punti dallo stesso riferiti. Ne consegue che per stabilire l'attendibilità di una dichiarazione concernente più chiamate fra loro strettamente collegate, si può tener conto anche solo di alcuni aspetti significativi di essa, in modo che, una volta effettuata l'operazione con esito positivo, il giudice di merito possa legittimamente riconoscere valore probatorio a tutta la dichiarazione e non solo a quella specificamente riscontrata.” La conseguenza, sul piano ermeneutico, è che le dichiarazioni di un soggetto che descrive un complesso fenomenico illecito che, nella sua generalità, si è dimostrato attendibile, non possono essere messe in discussione se, nel riferire una quantità significativa di episodi, incorra in qualche errore di dettaglio o non emerga quel riscontro oggettivo principe quale la c.d. smoking gun o il documento formale di natura negoziale che impegni i sodali allo svolgimento dell’attività criminosa. Nessun rilievo deve essere riconosciuto, poi, al fatto che il Carobbio abbia riferito della telefonata solo in un momento successivo alle sue prime dichiarazioni autoetroaccusatorie perché la circostanza – oltre a non indicare una qualsiasi incongruità ricostruttiva – appare essere assolutamente fisiologica in un contesto investigativo in cui il collaborante riferisce – senza soluzione di continuità – una serie significativa e corposa di eventi illeciti e verso i quali, è naturale, il riferimento prioritario è riservato a quelli di maggior consistenza lesiva. Il riscontro, sul piano logico, di un singolo fatto può essere, poi, ragionevolmente rinvenuto allorché esso si inserisca – senza palesi contraddizioni – in un contesto più generale che ha trovato oggettive e positive verifiche esterne. Nel caso di specie, se è indubitabile – per stessa ammissione di Turati e Italiano - che la telefonata sia effettivamente intervenuta tra di loro alla vigilia dell’incontro, non appare credibile la motivazione che della stessa viene fornita dagli interessati, giustificazione non collimante ma, anzi, suscettiva di essere letta in senso indirettamente conforme a quanto assunto da Carobbio. Infatti, mentre Italiano afferma (verbale al Procuratore Federale del 28.3.2012) di aver “quasi sicuramente” sentito telefonicamente il Turati qualche giorno prima della partita in esame, senza fornire alcuna particolare motivazione, il Turati il 12.3.2012 aveva affermato, allo stesso inquirente, che l’Italiano, “come gli capitava sovente, cercava di ottenere notizie tecniche sulla mia squadra”, tentativo al quale il Turati “faceva orecchie da mercante”, “nel senso che non fornivo le indicazioni che mi chiedeva anche perché per noi era fondamentale vincere quella partita per non far esonerare l’allenatore; preciso che sentivo Italiano in occasione della vigilia di tutte le partite nelle quali saremmo stati avversari, ma non solo, in quanto mi sentivo frequentemente con lui in virtù dei nostri rapporti di amicizia”. Sulle frequentazioni, però, lo stesso Italiano aveva riferito solo di essere “rimasto in contatto” con il Turati ma di non frequentarsi (perché abitavano in città diverse), nulla riferendo in relazione né ai dedotti rapporti di amicizia né sull’assiduità delle telefonate con il Turati, limitate solo alla vigilia degli incontri delle loro squadre. Perplessità induce poi la riportata sete di acquisizione di “notizie tecniche” da parte dell’Italiano e la difesa del Turati di “fare orecchie da mercante” come se i due dovessero parlare di soluzioni tattiche che, apprese dall’Italiano, avrebbero potuto essere efficacemente contrastate dall’allenatore avversario, attività che, verosimilmente, per queste finalità rientrerebbe anche in un’ipotesi di alterazione della gara.Ma a tutto voler concedere, lo stesso Turati conferma la persistente azione informativa dell’Italiano sulle condizioni della squadra dell’ex compagno, “sia dal punto di vista tattico e fisico”(verbale ex art. 391 ter c.p.p. del Turati) la qual cosa è indicativa della “strana” insistenza delle richieste di un giocatore per acquisire notizie che, ove assunte, non avrebbero avuto un particolare significato, essendo le scelte rimesse, in ultima analisi, all’allenatore. Quanto alla credibilità e coerenza del Carobbio è lo stesso difensore dell’Italiano che ricorda come lo stesso abbia riferito del progetto associativo di alterare una serie notevole di incontri di calcio, segno evidente della sua posizione di rilievo nell’ambito del disegno e dell’organizzazione criminosa. Non possono avere efficacia dirimente, poi, come detto le deduzioni circa i tempi e lo “spazio” riservato alla dichiarazione del Carobbio sulla partita in esame, attesa l’ampiezza delle informazioni rese dallo stesso, che non potevano essere fatte tutte in un unico contesto confessorio e la non conoscenza personale del Carobbio da parte dell’Italiano, circostanza questa che oltre a non essere significativa sul piano della veridicità della ricostruzione dei fatti, indurrebbe invece a valutare come insussistenti, da parte del primo, possibili motivazioni revanscistiche al coinvolgimento del secondo. Induce, poi, indiretta conferma, valida sul piano logico-deduttivo, della possibile finalità illecita della telefonata intercorsa il fatto che l’Italiano viene chiamato in causa dal calciatore Gervasoni (verbale al P.M. di Cremona del 27.12.2011) per l’alterazione della gara Padova – Albinoleffe del campionato 2009/2010 e che lo stesso Turati risulterebbe coinvolto, ancorché la sua posizione risulti essere stata stralciata, in diversi tentativi di “combine” delle partite del Grosseto. Elementi questi che, seppur assolutamente indiziari, forniscono possibili e plausibili chiavi di lettura ad una telefonata che, ad avviso del Collegio, non può che essere intesa nel senso riferito dal Carobbio. Né risulta convincente l’articolata deduzione difensiva circa l’effettiva classifica delle due squadre coinvolte perché non appare fuori da logica un tentativo di combine ad 11 gare dalla fine del campionato da parte di due squadre che, per motivazioni differenti ed anche opposte, avevano interesse ad ottenere un risultato favorevole nella gara oggetto di esame. Quanto dedotto in ordine agli elementi di accusa e alle difese dell’Italiano - per le ragioni che seguono - ad avviso di questa Corte appare assolutamente idoneo a concretizzare la responsabilità del calciatore Vincenzo Italiano in ordine alla contestazione mossa dalla Procura e condivisa dal giudice di prime cure il quale, a differenza di quanto assunto dalla difesa, nel valutare la richiesta del requirente, ha, seppur sinteticamente, indicato le ragioni probanti il raggiunto convincimento di quella Commissione Disciplinare. Appare anche a questo Collegio che gli elementi che precedono, tra loro assolutamente congruenti e non assistiti da diversa rappresentazione dei fatti o evidenti contraddizioni, siano idonei a confermare l’affermata responsabilità del giocatore Vincenzo Italiano. Infatti, quanto alla valenza e validità della costruzione accusatoria va ricordato come il TNAS, più volte invocato nel corso del giudizio innanzi questa Corte, abbia affermato, in procedimenti similari a quello odierno che “per ritenere la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva non è necessaria la certezza assoluta della commistione dell’illecito – certezza che, peraltro, nella maggior parte dei casi sarebbe una mera astrazione – né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale. Tale definizione dello standard probatorio ha ricevuto, nell’ordinamento sportivo, una codificazione espressa in materia di violazione delle norme antidoping, laddove si prevede che il grado di prova richiesto, per poter ritenere sussistente una violazione, deve essere comunque superiore alla semplice valutazione delle probabilità , ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A tale principio deve assegnarsi una portata generale, sicché deve ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (TNAS Amodio/FIGC del 10.2.2012, principio confermato in TNAS Signori/FIGC del 26.4.2012 “per irrogare la condanna di un illecito sportivo è sufficiente un grado di prova superiore al generico livello probabilistico, non essendo necessaria, al contrario, né la certezza assoluta dell’ascrivibilità della condotta illecita, né il superamento del ragionevole dubbio. Ciò in relazione alla finalità dell’ordinamento federale di garantire, attraverso una rapida e certa repressione delle condotte antisportive, la regolarità delle gare e, per essa, i fondamentali valori giuridici settoriali della correttezza e lealtà delle competizioni (art. 1 legge n. 401/1998); fine da perseguire peraltro con assai più limitati strumenti di indagine rispetto a quelli a disposizione dell’A.G.O.”). La difesa richiama, in merito quanto affermato da questa Corte nel Com. Uff. n. 43/CGF del 19 settembre 2011 allorché ha osservato, in quella fattispecie, la mancanza di una prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ritenuto limite appena sufficiente, secondo la stessa difesa, ad affermare una responsabilità. In disparte la circostanza che in quella decisione si è riaffermata la piena vigenza dei principi enunciati dalla giurisprudenza sportiva (e sopra ricordati) si è detto che in quell’occasione mancava, comunque, la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”, con intento assolutamente rafforzativo dell’assenza di qualsiasi elemento probatorio o seriamente indiziario concludente e necessario per un’affermazione di responsabilità. Ora, anche a voler trascendere da ogni disquisizione circa l’esatto limite tra probabilità rafforzata e raggiungimento di un convincimento oltre ogni possibile dubbio, si deve affermare che la responsabilità nella commissione dell’illecito sportivo è fattispecie che non può non scontare la difficoltà dell’acquisizione probatoria in senso pieno, essendo essa ontologicamente e funzionalmente legata a comportamenti per loro natura sfuggevoli, che trovano quasi sempre il solo riscontro nelle affermazioni dei partecipi al progetto illecito. Ma la ricordata difficoltà può essere superata ove si acquisisca una serie organica di elementi aventi una loro convergente congruità oggettiva e generale che fanno raggiungere, al giudicante, il sereno convincimento, sulla base delle dichiarazioni e dei riscontri effettuati sulla loro genuinità, dell’ assoluta verosimiglianza di quanto riferito. Nel caso in esame non può mettersi in dubbio che il Carobbio sia stato soggetto a pieno titolo coinvolto nell’organizzazione e che altri tesserati abbiano dato adesione al progetto nel momento in cui la squadra di appartenenza disputava determinati incontri suscettibili di alterazione; che la partita in esame sia stata oggetto di un progetto di “combine” poi non realizzatosi; che non può essere condivisa la tesi che il contatto telefonico tra i giocatori possa essere qualificato come mero tentativo di acquisizione di notizie tattiche e fisiche. Si tratta, quindi, di circostanze che depongono per la genuinità della circostanza riferita dal Carobbio e non negata sostanzialmente dal Turati che ha cercato, in maniera invero puerile, di accreditare un contenuto ed una giustificazione che cozzano contro ogni buon senso. Nel corso del dibattimento, invece, non si è raggiunta alcuna prova, alcun serio indizio, che le complessive dichiarazioni del Carobbio siano state – soprattutto nel caso di specie – vulnerate da gravi contraddizioni oppure costruite ad arte per risentimento personale nei confronti di alcuno. Come dimostrato dal complessivo giudizio di prime cure e a riprova della compiuta, serena valutazione degli elementi accusatori formulati dalla Procura Federale, nel caso in cui le stesse dichiarazioni non abbiano trovato il benché minimo riscontro, il soggetto interessato è stato mandato assolto dallo specifico addebito. Nelle fattispecie oggetto di appello, il riferito coinvolgimento dell’Italiano nel progetto (non realizzatosi) dell’alterazione della gara Padova/Grosseto del 23.3.2010 ha trovato sufficiente conferma sia per effetto della credibilità e coerenza delle dichiarazioni confessorie del Carobbio che dal quadro generale che emerge dagli altri elementi, non distonico rispetto all’ipotesi accusatoria. Non può, da ultimo, darsi ingresso all’istanza istruttoria formulata dalla difesa del calciatore Italiano in quanto la stessa istruttoria è stata, con ogni evidenza, valutata inammissibile in primo grado in ragione della mancata articolazione in capitoli della prova testimoniale richiesta e questo impedisce che in questa sede, possa essa riproporsi ai sensi degli artt 37 e 41.5 C.G.S.. Alla luce della complessiva motivazione sopra riportata, il reclamo del tesserato Vincenzo Italiano deve essere respinto con conferma integrale, sul punto, della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale. Per questi motivi la C.G.F. respinge il ricorso come sopra proposto dal calciatore Vincenzo Italiano e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
Share the post "F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 02/CGF del 2 – 3 -5 e 6 Luglio 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 033/CGF del 27 agosto 2012 e su www.figc.it 39) RICORSO DEL CALC. VINCENZO ITALIANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER ANNI 3, INFLITTA AI SENSI DELL’ART. 7, COMMI 1, 2, E 5, C.G.S., IN RELAZIONE ALLA GARA PADOVA – GROSSETO DEL 23.3.2010, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 8011/33PF11-12/SP/BLP DELL’8.5.2012 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 101/CDN del 18.6.2012)"