F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 084/CGF dell’ 8 Novembre 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 126/CGF del 02 Gennaio 2013 e su www.figc.it 2) RICORSO DEL SIG. DAMASCHI ROBERTO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER MESI 4 INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE ART. 1, COMMA 1, C.G.S. ANCHE IN RELAZIONE ALL’ART. 22 BIS N.O.I.F. (NOTA N. 583/551 PF11-12 GT/DL DEL 27.7.2012) – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 31/CDN del 15.10.2012)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 084/CGF dell’ 8 Novembre 2012 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 126/CGF del 02 Gennaio 2013 e su www.figc.it 2) RICORSO DEL SIG. DAMASCHI ROBERTO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER MESI 4 INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE ART. 1, COMMA 1, C.G.S. ANCHE IN RELAZIONE ALL’ART. 22 BIS N.O.I.F. (NOTA N. 583/551 PF11-12 GT/DL DEL 27.7.2012) - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 31/CDN del 15.10.2012) Con nota, pervenuta via fax il 19.10.2012, il signor Roberto Damaschi, quale Presidente – all’epoca dei fatti in contestazione - della società A.C. Perugia S.r.l. di Perugia, ha prima preannunciato e, poi, ritualmente proposto reclamo il 26 ottobre successivo, avverso la sanzione della inibizione a svolgere qualsiasi attività in seno alla F.I.G.C., a ricoprire cariche federali e rappresentare, nello stesso ambito, le società, per mesi 4. La sanzione che precede risulta essere stata irrogata dalla Commissione Disciplinare Nazionale al termine della riunione dell’11.10.2012, su deferimento del Procuratore Federale (nota n. 583/551 pf11-12 GT/dl del 27.7.2012) per aver contravvenuto agli obblighi di lealtà, probità e rettitudine sanciti dall’art. 1, comma 1 C.G.S. in relazione alla disposizione di cui all’art. 22 bis N.O.I.F. In particolare si addebita al signor Damaschi di aver assunto, nel 2010, la carica di Presidente dell’A.C. Perugia Calcio S.r.l. di Perugia con dichiarazione non corrispondente al vero circa l’assenza di precedenti condanne per comportamenti costituenti fattispecie di reato contemplate nelle disposizioni dell’art. 22 bis N.O.I.F. o, quantomeno, in relazione alle insussistenza di condizioni personali ex art. 2382 c.c.. Si è contestato al signor Damaschi, nello specifico, di aver assunto la carica societaria pur nella consapevolezza di aver subìto, alcuni anni prima, sentenza di condanna, ancorché non definitiva, per il reato di bancarotta fraudolenta con pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale per anni dieci nonché incapacità di esercitare uffici direttivi (Sent. GUP Tribunale Perugia n. 126/06). Ciò è stato ritenuto, dalla Commissione Disciplinare Nazionale, lesivo del precetto di lealtà, correttezza e probità di cui all’art. 1 C.G.S. e, pur prendendo atto della modifica intervenuta, medio tempore, dell’art. 22 bis N.O.I.F., la condotta addebitata è stata valutata meritevole della sanzione comminata, stante la volontà del medesimo di sottacere – consapevolmente – l’esistenza della condanna penale emessa a suo carico. Nella memoria difensiva, redatta per le cure dell’avv. Mattia Grassani, si assume l’insussistenza della violazione ex art. 22 bis N.O.I.F., nel testo ora vigente, per applicabilità – asseritamente pacifica – del principio del favor rei conseguente alla decisione del Consiglio Federale (Com. Uff. n. 123/A del 12.3.2012) di espungere la disposizione già contenuta nel comma 3 del medesimo art. 22 bis N.O.I.F. con la conseguenza che sarebbe venuta meno l’applicabilità consequenziale dell’art. 1 C.G.S. che, invece, la Commissione Disciplinare Nazionale avrebbe ritenuto di poter applicare in via autonoma, malgrado diversa costruzione dell’atto di deferimento che, ad avviso della stessa difesa, avrebbe posto in relazione inscindibile le due norme. In punto di fatto, poi, si contesta la presenta in atti di qualsiasi dichiarazione mendace del signor Damaschi, che supporterebbe la dedotta violazione di canoni di lealtà e correttezza e si conclude perché il prevenuto sia mandato esente da ogni addebito. Nel corso dell’odierna riunione l’avv. Stefano Vitale, in rappresentanza dell’avv. Grassani, ha puntualizzato la tesi difensiva già esposta, confermandone la motivazione afferente la intervenuta, favorevole modifica normativa, l’errata valutazione autonoma della condotta ai sensi dell’art. 1 C.G.S. e l’assenza di qualsiasi dichiarazione non veritiera del signor Damaschi. L’avv. Francesco Di Leginio, rappresentante della Procura Federale, ha preliminarmente ricordato come il Requirente abbia chiesto, in primo grado, la sanzione del signor Damaschi sia ai sensi dell’art. 22 bis N.O.I.F. che ai sensi dell’art. 1 C.G.S.. Ha poi esposto che lo stesso aveva l’obbligo di dichiarare l’esistenza della condanna, seppur non definitiva e che la modifica dell’art. 22 bis citato non ha stravolto il pregresso impianto normativo, per cui rimane intatto l’obbligo di colui che si accinge a chiedere il tesseramento federale di rappresentare l’esistenza di pronunce giudiziarie sfavorevoli nei termini indicati dalle norme che precedono. Ha concluso per la conferma della decisione del giudice di prime cure. La Corte In via preliminare dissente dall’asserzione difensiva relativa alla pacifica e incontestabile trasposizione, nell’ordinamento sportivo, del principio penalistico del favor rei, così come normato dall’art. 2 c.p. che, proprio per la sua collocazione sistematica, non appare suscettibile di applicazione estensiva in altri e autonomi riti, diversi da quello per il quale è stato puntualmente previsto dal legislatore. Al contrario, questa Corte ribadisce il proprio convincimento (cfr. Com. Uff. n. 096/CGF 2012/2013) che, invece, natura, forza ed efficacia di principio generale l’abbia la disposizione di cui all’art. 11 delle preleggi, correntemente indicata col principio del tempus regit actum, con il quale si individua e cristallizza la regula iuris applicabile alla fattispecie venuta ad esistenza sotto la sua vigenza. Che il principio di irretroattività dell’efficacia di una norma sia valore fondante di un ordinamento, ove non sia prevista espressamente una diversa disciplina, lo ribadisce – semmai occorra - la Corte Costituzionale ( ex multis sent. n. 78/2012 il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), costituisce valore fondamentale di civiltà giuridica, pur non ricevendo nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost. e sent. n. 271/2011 “ la retroattività della norma, il cui divieto pure non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo il disposto dell'art. 25, secondo comma, Cost., non trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti.). La conseguenza è che al caso scrutinato deve applicarsi, per quanto di ragione, l’art. 22 bis N.O.I.F. vigente all’epoca della dichiarazione sottoscritta dal sig. Damaschi e che prevedeva al 1° comma “Non possono assumere la carica di dirigente di società o di associazione (art. 21, 1° comma N.O.I.F.) e l’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse (art. 22, 1° comma, N.O.I.F.) e se già in carico decadono, coloro che si trovano nelle condizioni di cui all’art. 2382 c.c…..” mentre al 3° comma (ora abrogato per effetto di quanto disposto dal Com. Uff. n. 123/A del 7.3.2012) ”Restano sospesi dalla carica di dirigente di società o di associazione e dall’incarico di collaboratore nella gestione delle stesse coloro che vengano condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per uno dei delitti previsti dalle leggi indicate al comma precedente…”. La previsione che precede deve però essere letta in modo coerente e coordinato tra le due diverse regole e, soprattutto, con l’opportuna indicazione data dalla Sezione Consultiva di questa Corte nel Com. Uff. n. 128/CGF che, al punto 1 ed al punto 3 delle proprie osservazioni (per quanto riguarda l’art. 22 bis N.O.I.F.) ha espresso l’avviso che una lettura costituzionalmente orientata del reticolo delle disposizioni sanzionatorie che prevedono, tra i requisiti per l’irrogazione di decadenze e sospensioni, l’aver riportato condanne “deve necessariamente intendersi, alla luce dei principi generali, come riferita ad una condanna definitiva e quindi passata in giudicato…” (punto 1) e che una diversa opinione “significherebbe in sostanza l’adozione automatica di una sorta di misura cautelare, di una misura anzi che in effetti anticipa la pena…” (punto 3). Significa, in conclusione e secondo questa Corte, che la previsione di una condanna, quale requisito ostativo all’assunzione o mantenimento di un incarico federale o societario, non può che essere intesa come condanna certa e definitiva. Ma se oggi quanto precede può essere inteso come dato normativo (ed ermeneutico) chiaro ed inequivoco, lo stesso non può dirsi per il periodo antecedente la riforma di cui al Com. Uff. n. 128/CGF e Com. Uff. n. 123/A. Lo testimonia proprio la tesi esposta dalla Procura Federale che ha offerto una lettura della normativa de qua poggiata su un doppio binario, non stravolto, a suo dire, dall’intervenuta riforma, ossia con un differente obbligo che astringerebbe, da un lato, colui che è stato destinatario di una condanna prima della richiesta di tesseramento e omette di denunciarlo (con conseguente sbarramento all’assunzione della carica) e chi è già in carica e deve essere sospeso. Ma, al di là della condivisibilità o meno di quanto precede, quello che si può francamente apprezzare è che esisteva un’obiettiva incertezza interpretativa che poteva condurre a soluzioni non coerenti con i principi di civiltà giuridica che richiedono, per l’applicazione di sanzioni – non per l’adozione di misure cautelari – pronunciamenti irreversibili. Nel caso di specie, la dinamica della fattispecie riprodotta in atti è peraltro sintomatica dello stato di soggettivo convincimento del sig. Damaschi, per il quale causa ostativa all’assunzione delle cariche societarie fosse l’esistenza di una condanna definitiva ma che egli, per il contenuto del certificato del casellario giudiziario e dell’intervenuto indulto, non aveva ritenuto sussistente. La conclusione alla quale si perviene, allora, è quella che, per parte qua, non esisteva, in quel momento, una sentenza definitiva di condanna che potesse fungere da elemento ostativo all’assunzione di incarichi societari e, quindi, violazione dell’art. 22 bis N.O.I.F.. Ma non sussiste, ad avviso di questa Corte, neanche l’autonoma violazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 1 C.G.S.. A tal fine va detto che non coglie l’obiettivo la censura della difesa circa un’errata applicazione della sanzione correlata, ovvero che non sarebbe stata contestata dalla Procura Federale in modo autonomo rispetto alla censura ex art. 22 bis C.G.S., così come quella relativa al fatto che la C.D.N. avrebbe “fatto rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta”. Appare evidente, infatti, come il Requirente abbia prospettato, nel suo atto di deferimento, che il signor Damaschi abbia violato i principi di lealtà, probità e rettitudine sportiva, sanciti dall’art. 1, comma 1 C.G.S. sia in via autonoma che in relazione a quanto contenuto dalle disposizioni ex art. 22 bis N.O.I.F.. Una serena lettura di tale atto sgombra il campo da ogni possibile dubbio. Ciò precisato, deve dirsi che per assumere come concretizzata la violazione dei suddetti principi richiede che, nel momento commissivo, la condotta sia assistita da un elemento psicologico di consapevolezza e determinatezza nel porre in essere atti contrari alla norma che, per quanto detto, questa Corte non ritiene di poter ravvisare nel caso di specie. Può, al contrario, reputarsi che il signor Damaschi sia incorso in un errore scusabile sia per effetto dell’obiettiva incertezza normativa che quale conseguenza delle indicazioni ricevute da terzi, riportate nelle dichiarazioni assunte dalla Procura e non smentite da ulteriori accertamenti. Conclusivamente, questa Corte, per le ragioni che precedono e in accoglimento del gravame proposto dal sig. Damaschi, annulla la sanzione della inibizione per mesi 4 (quattro) al medesimo irrogata dalla Commissione Disciplinare Nazionale, come da Com. Uff. n. 31/C.D.N. (2012/2013). Per questi motivi la C.G.F. in accoglimento del ricorso come sopra proposto dal Sig. Damaschi Roberto annulla la delibera impugnata e dispone restituirsi la tassa reclamo.
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