F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 161/CGF del 01 Febbraio 2013 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 215/CGF del 20 Marzo 2013 e su www.figc.it 5. RICORSO DELLA CALC. COLETTA CRISTINA AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 6 ED AMMENDA DI € 500,00 INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DELLA PROCURA FEDERALE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1, COMMA 1, IN RELAZIONE ALL’ART. 15 COMMI 1 E 2 C.G.F., E 30 DELLO STATUTO F.I.G.C. – NOTA N. 1060/1210PF11-12/MS/VDB DEL 3.9.2012 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n.57/CDN del 10.1.2013)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2012/2013 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 161/CGF del 01 Febbraio 2013 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 215/CGF del 20 Marzo 2013 e su www.figc.it 5. RICORSO DELLA CALC. COLETTA CRISTINA AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 6 ED AMMENDA DI € 500,00 INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DELLA PROCURA FEDERALE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1, COMMA 1, IN RELAZIONE ALL’ART. 15 COMMI 1 E 2 C.G.F., E 30 DELLO STATUTO F.I.G.C. – NOTA N. 1060/1210PF11-12/MS/VDB DEL 3.9.2012 (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale - Com. Uff. n.57/CDN del 10.1.2013) La sig.ra Cristina Coletta propone ricorso avverso la sanzione della squalifica di mesi 6 e dell’ammenda di € 500,00 inflittagli dalla Commissione Disciplinare Nazionale con la decisione del 10 gennaio 2013 di cui al Com. Uff. n. 57/CDN. L’impugnata decisione è conseguenza dell’accertamento dei fatti di cui all’atto del 3.9.2012 con cui la Procura Federale ha deferito innanzi alla C.D.N.: 9) il sig. Leuccio Tonarelli, vice presidente dell’A.S.D. Orlandia 97, per rispondere della violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1, C.G.S., per avere pronunciato una frase offensiva all’indirizzo della calciatrice Cristina Coletta e per averla colpita con un violento schiaffo sulla guancia destra, procurandole contusioni, giudicate guaribili in giorni 14, prorogate, successivamente, in ulteriori giorni 10 di riposo; a. la sig.ra Cristina Coletta, all’epoca dei fatti calciatrice dell’A.S.D. Orlandia 97, per rispondere della violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1, C.G.S., in relazione all’art. 15, commi 1 e 2, C.G.S. per essersi rifiutata di partire per Napoli per disputare l’ultima gara del campionato, per aver pronunciato all’indirizzo del sig. Leuccio Tonarelli una frase volgare ed offensiva e per avere sporto la querela contro il medesimo predetto dirigente, che aveva colpito la stessa con un violento schiaffo sulla guancia destra, senza chiedere l’autorizzazione alla F.I.G.C. in deroga alla clausola compromissoria, ai sensi dell’art. 30, comma 4, dello Statuto della F.I.G.C.; b. le calciatrici tesserate con la soc. A.S.D. Orlandia 97, Melania Ricci, Anna Morello, Clara Lazzara, Valentina Minciullo, Maria Cusmà Piccione, Fabiana Vitale, Rita Zodda, Nunziatina Spinella, Diletta Trassari, Gaia Fabio e Alessia Cianci, tutte tesserate, quantomeno all’epoca dei fatti, per l’ASD Orlandia, per rispondere delle violazioni dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1, C.G.S., per essersi rifiutate di proseguire la trasferta per Napoli per disputare l’ultima gara del campionato femminile di serie A2, in segno di solidarietà in favore della collega Cristina Coletta; 10) la società A.S.D. Orlandia 97 (di seguito anche “Orlandia”) per rispondere a titolo di responsabilità oggettiva per le violazioni ascritte ai propri tesserati, ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, comma 2, C.G.S. L’indagine della Procura Federale trova avvio nella denuncia presentata in data 22.5.2012, allo stesso organo inquirente, dalla sig.ra Valeria Catania, presidente dell’A.S.D. Orlandia 97, con cui veniva segnalata la circostanza che in occasione della trasferta a Napoli per l’ultimo incontro di Campionato di Calcio Femminile, Categoria A2, che si sarebbe dovuto disputare il 6.5.2012 con la A.S.D. Carpisa-Yamamay Napoli, era insorta una lite tra il sig. Leuccio Tonarelli, allenatore e vicepresidente dell’Orlandia, e la calciatrice Cristina Coletta. Nell’occasione, quest’ultima, dopo aver pronunciato frasi offensive nei confronti del dirigente, provocandone peraltro una reazione verbale, aveva abbandonato la comitiva dichiarando che non avrebbe partecipato alla trasferta. Le altre atlete, invece, ad eccezione di due, giunto a Messina l’automezzo utilizzato per la trasferta di cui si è detto, avevano manifestato la decisione di interrompere la trasferta medesima e fare, quindi, rientro ai rispettivi propri domicili, giustificando la loro decisione in relazione al loro stato d’animo conseguente alla gravità dei fatti accaduti e, così, obbligando la società a comunicare alla squadra ospitante, la rinuncia a partecipare alla gara, con le conseguenze che tale atto comportava. Vista la denuncia, la Procura Federale attivava una approfondita indagine, provvedendo anche all’audizione dei soggetti in qualche modo coinvolti nella vicenda, e giungeva alle conclusioni di cui all’atto di deferimento, di seguito, in sintesi, riassunte. Le calciatrici Coletta e la Cianci, militanti con l’Orlandia da 3 anni, beneficiavano di un alloggio loro fornito dalla società. Le predette avrebbero dovuto lasciare detto alloggio al termine del campionato in corso. Per questo motivo le due atlete avevano richiesto al Tonarelli di poter portare con sé, in occasione della trasferta a Napoli, i bagagli contenenti gli effetti personali che avrebbero poi consegnato ai famigliari venuti a Napoli per assistere all’incontro di calcio. Secondo la versione dei fatti come rappresentati dalle due calciatrici, il Tonarelli avrebbe risposto evasivamente, riservandosi la decisione prima della partenza. Risposta in realtà mai pervenuta. Il 5 maggio in occasione del raduno per la trasferta, la Coletta e la Cianci erano rimaste presso l’abitazione per il confezionamento dei bagagli contenenti gli oggetti personali, che avevano, poi, inviato insieme alle borse da gioco sull’auto di una compagna di squadra, Nunziatina Spinella. Mentre attendevano l’arrivo del pullman, erano state raggiunte da una telefonata di una loro compagna che le avvisava che, attese le limitate dimensioni dell’automezzo ed il relativo ridotto spazio a disposizione per le borse da gioco, il Tonarelli non aveva caricato il bagaglio, lasciandolo presso la sede della società. Tale decisione avrebbe irritato a tal punto la Coletta che, a suo dire, all’arrivo del pullman, era salita a bordo e recuperata la propria borsa, aveva comunicato al Tonarelli che non sarebbe partita per Napoli, non essendo sua intenzione viaggiare in condizioni “tanto disagiate”. Visto il fermo atteggiamento della calciatrice decisa a non partire, nonostante l’intervento del Tonarelli, quest’ultimo aveva una reazione che culminava in una frase offensiva, pronunciata in siciliano “cacà Coletta” (sostanzialmente equivalente al “vaff……”). A dire della stessa calciatrice, ciò determinava una altrettanto offensiva reazione della stessa, che apostrofava il vicepresidente con un “vaff…… tu”. Sempre a dire della Coletta, in conseguenza di questa frase il Tonarelli si sarebbe scagliato contro la giovane calciatrice e, malgrado la presenza della calciatrice Cianci che si frapponeva tra i due, il Tonarelli sarebbe riuscito a colpire con un “ceffone” la ragazza. Il conseguente parapiglia scatenatosi veniva subito sedato dall’intervento dell’altro dirigente sig. Fogliani, che allontanava il Tonarelli, mentre alcune compagne di squadra cercavano di rasserenare gli animi. Sedata la lite, la Coletta si allontanava mentre il pullman con a bordo le altre calciatrici partiva verso Messina, ove giunto, le calciatrici comunicavano, tramite il loro capitano Anna Morello, l’intenzione di non proseguire il viaggio, considerata la gravità dei fatti accaduti e, anzi, la volontà di fare rientro a Capo d’Orlando con un diverso mezzo di trasporto. Decisione, questa, dalla quale si dissociavano solo due calciatrici (Sardu e Soro). Preso atto dell’accaduto alla società non era rimasto altro che comunicare alla Carpisa- Yamamay Napoli la propria impossibilità di presentarsi per la disputa della gara. La Coletta, riferiti i fatti così come prima esposti indicava, a conferma degli stessi, le persone presenti e, segnatamente, la calciatrice Cianci che, trovandosi a stretto contatto con l’amica, aveva in parte subito l’aggressione del Tonarelli nel momento in cui questi aveva colpito, con un violento schiaffo, la Coletta. Quest’ultima, inoltre, aggiungendo di essere stata, in passato, oggetto di poco gradite espressioni a sfondo sessuale, da parte del Tonarelli, riferiva che dopo l’accaduto, a causa del permanere di un forte dolore al viso, era stata costretta a recarsi al pronto soccorso dell’Ospedale civico accompagnata dalla mamma di una compagna, la sig.ra Vanessa Iuculano, ove le veniva diagnosticata “una contusione Temporo-mandibolare dx post-traumatica con una prognosi di gg. 14”. Successivamente, quindi, si era recata al locale Commissariato di polizia per sporgere denuncia-querela, per i reati di “lesioni, ingiurie e minacce”. La Procura federale sentiva anche il Tonarelli, che, pur sostanzialmente ammettendo la lite, negava di aver rivolto frasi offensive alla Coletta e, soprattutto, di averla colpita con uno schiaffo al volto. Venivano, inoltre, sentiti, oltre al dirigente accompagnatore sig. Fogliani, anche tutte le atlete partecipanti alla trasferta, con esito contrastante non avendo le più, visto o ritenuto di riferire l’episodio dello schiaffo. Ad eccezione delle due calciatrici Sardu e Soro, tutte le altre, però, ammettevano di essersi rifiutate di proseguire la trasferta per Napoli e di rientrare in sede con il pullman. Disposto il deferimento, nei termini sopra precisati, la C.D.N. fissava la seduta per la discussione. Le calciatrici depositavano memoria difensiva con la quale, in via principale, chiedevano il proscioglimento con riferimento alla contestazione di aver rifiutato di proseguire il viaggio alla volta di Napoli e quindi per la mancata partecipazione alla relativa gara di campionato, adducendo di aver assunto la decisione in presenza di uno stato di necessità causato dal fatto ingiusto posto in essere dal Tonarelli, che avrebbe provocato in tutte le giovani il comprensibile timore che potesse compiere atti violenti anche nei loro confronti. In subordine, le calciatrici chiedevano l’applicazione di una sanzione mite. In ordine alla contestazione, mossa alla sola Coletta, di violazione della c.d. clausola compromissoria, prevista dall’art. 30 dello Statuto, per aver sporto denuncia-querela nei confronti del dirigente Leuccio Tonarelli, senza aver prima richiesto ed ottenuto la prescritta autorizzazione F.I.G.C., l’interessata, come rappresentata, richiedeva il proscioglimento sotto un duplice profilo: assenza dell’elemento soggettivo e perseguibilità d’ufficio del reato. All’inizio della seduta innanzi alla C.D.N., Cianci Alessia, Cusmà Piccione Maria, Morello Anna, Radice Melania, Minciullo Valentina, Trassari Diletta, Vitale Noemi Fabiana, Fabio Gaia, Lazzara Clara, tramite il proprio difensore, depositavano istanza di patteggiamento ai sensi dell’art. 23 C.G.S. Su detta istanza la Commissione adottava la seguente ordinanza: “rilevato che, prima dell’inizio del dibattimento, le Signore Cianci Alessia, Cusmà Piccione Maria, Morello Anna, Radice Melania, Minciullo Valentina, Trassari Diletta, Vitale Noemi Fabiana, Fabio Gaia, Lazzara Clara, tramite il proprio difensore [“pena base, per tutte, sanzione della squalifica di 2 (due) giornate ciascuna, da scontarsi in gare ufficiali, diminuita ai sensi dell’art. 23 C.G.S. a 1 (una) gara, da scontarsi in gare ufficiali;]; considerato che su tale istanza ha espresso il proprio consenso il Procuratore Federale; visto l’art. 23, comma 1, C.G.S., secondo il quale i soggetti di cui all’art. 1, comma 1, possono accordarsi con la Procura federale prima che termini la fase dibattimentale di primo grado, per chiedere all’Organo giudicante l’applicazione di una sanzione ridotta, indicandone la specie e la misura; visto l’art. 23, comma 2, C.G.S., secondo il quale l’Organo giudicante, se ritiene corretta la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti e congrua la sanzione indicata, ne dispone l’applicazione con ordinanza non impugnabile, che chiude il procedimento nei confronti del richiedente; rilevato che, nel caso di specie, la qualificazione dei fatti come formulata dalle parti risulta corretta e le sanzioni indicate risultano congrue, P.Q.M. la Commissione disciplinare nazionale dispone l’applicazione delle sanzioni di cui al dispositivo. Dichiara la chiusura del procedimento nei confronti delle predette”. Il procedimento proseguiva, quindi, nei confronti delle altre parti deferite. Il rappresentante della Procura Federale, riportandosi al deferimento, concludeva per l’irrogazione delle seguenti sanzioni: squalifica per 2 giornate ciascuno, da scontarsi in gare ufficiali alle calciatrici Maria Rita Zodda e Nunziatina Spinella; squalifica per mesi 6 e ammenda di € 500,00 alla calciatrice Cristina Coletta; inibizione di anni 1 al dirigente Leuccio Tonarelli; ammenda di € 1.500,00 per la Società A.S.D. Orlandia 97. Il legale della Coletta, si riportava, invece, alle memorie difensive, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate. All’esito del dibattimento la C.D.N. riteneva «ampiamente provati» i fatti nella loro obbiettiva gravità. In particolare, ritiene il giudice di prime cure, che «non sembra potersi revocare in dubbio che il Tonarelli abbia colpito la Coletta con un violento schiaffo, fatto questo estremamente grave che si pone come causa prima di quanto poi accaduto». Secondo la Commissione la circostanza trova conferma non solo nelle affermazioni della Coletta, ma anche nelle affermazioni della Spinella, della Zodda «e soprattutto dalla Cianci (all. 14) le cui dichiarazioni in ordine agli accadimenti, appaiono precise e circostanziate». Ma ciò che elimina ogni residuo dubbio, a dire della C.D.N., «è il certificato del pronto soccorso del nosocomio di S. Agata di Militello rilasciato in data 5.5.2012 alle ore 13,26 (poco dopo i fatti) in cui è riportata la diagnosi di “trauma emivolto dx con sospetta lussazione mandibolare”. La C.D.N. reputa, poi, «ininfluente, ai fini della sanzione, appurare se le espressioni offensive siano state pronunciate prima dal Tonarelli o dalla Coletta, essendo le stesse comunque sufficienti ad integrare, per entrambi la violazione contestata con l’atto di incolpazione; così come, per la Coletta, il manifestato rifiuto di partire e la violazione della clausola compromissoria, realizzatasi con la presentazione della denuncia-querela, costituiscono una palese violazione degli artt. 1 comma 1 e 2 e dell’art. 15 C.G.S.. La Coletta, infatti, ha ammesso di essersi rifiutata di partire per Napoli, di aver profferito frasi offensive all’indirizzo del proprio dirigente Tonarelli ed infine di aver presentato nei confronti di quest’ultimo una denuncia-querela, senza richiedere la prescritta autorizzazione». In ordine alla violazione della c.d. clausola compromissoria, secondo la C.D.N. «non può invocarsi, come prospettato nell’atto difensivo, né la carenza dell’elemento soggettivo essendo la presunta azione della denuncia-querela, un atto assolutamente volontario, né tantomeno la ipotizzata perseguibilità d’ufficio dei fatti essendo gli stessi al momento della presentazione dell’atto introduttivo perseguibili a querela di parte per essere la prognosi indicata dai sanitari del p.s. inferiore ai 20 giorni». Quanto, poi, al rifiuto di partire manifestato dalla calciatrice Coletta ancor prima degli accadimenti di cui trattasi, lo stesso non potrebbe essere giustificato dal diniego espresso dal Tonarelli, di non caricare i bagagli personali. Sotto il profilo sanzionatorio, ritiene la C.D.N. che si debba tener conto del fatto che «le violazioni poste in essere dalla Coletta sono la diretta conseguenza del comportamento assolutamente deprecabile ed insensato compiuto dal Tonarelli, e pertanto potrà essere contenuta nel minimo edittale di mesi sei di squalifica ed € 500,00 di ammenda. Sono altresì responsabili, per il rifiuto di recarsi a Napoli per la gara con la Società A.S.D. Carpisa tutte le calciatrici deferite, la maggior parte delle quali hanno definito il presente giudizio, con il patteggiamento. Alle restanti due Maria Rita Zodda e Nunziatella Spinella deve essere inflitta la sanzione di due turni di squalifica. La sanzione più grave deve essere posta a carico del Tonarelli, non tanto e non solo per aver fatto ricorso alla violenza, ma anche e soprattutto perché per il ruolo rivestito avrebbe dovuto gestire la situazione venutasi a creare con maggior senso di responsabilità. Sanzione equa appare quella di anni tre di inibizione. La società A.S.D. Orlandia 97, deve essere sanzionata con un’ammenda di € 1.500,00». Avverso la predetta decisione propone reclamo, per quanto rileva nel presente procedimento, la sig.ra Cristina Coletta, come rappresentata e assistita. Dopo la ricostruzione dei fatti per cui è procedimento, parte reclamante censura la decisione della C.D.N. nella parte in cui, pur partendo da presupposti chiari, «arriva a negare interamente i propri assunti iniziali, non riconoscendo come giustificato dalla necessità di difendere la propria incolumità il comportamento posto in essere dall’odierna appellante mediante la proposizione della denuncia-querela». Prosegue la reclamante: «quanto poi alla dedotta carenza dell’elemento soggettivo della violazione, la Commissione Disciplinare Nazionale, stravolge il senso degli assunti difensivi della Coletta, laddove valuta la volontarietà del comportamento dell’odierna appellante in relazione alla proposizione della denuncia-querela e non, come invece sostenuto dalla deferita, in relazione alla violazione della c.d. clausola compromissoria. Infine la Commissione Disciplinare Nazionale nega che il comportamento del Tonarelli integri un fatto perseguibile d’ufficio, sulla base dell’assunto che i Sanitari del Pronto Soccorso di S. Agata di Militello abbiano riconosciuto alla Coletta una prognosi inferiore ai 20 giorni (in specie 14 gg. n.d.r.). Anche sul punto, tuttavia, la decisione dell’Organo di primo grado appare parziale e lacunosa e risente di una incompleta valutazione della documentazione probatoria raccolta durante le indagini dalla Procura Federale. Invero, la Commissione Disciplinare Nazionale, omette, senza motivazione alcuna, di considerare il certificato medico rilasciato alla Coletta in data 18.5.2012 dalla Dott.ssa Parnofiello. Tale certificazione, in totale continuità medico-diagnostica con il certificato di Pronto Soccorso, riconosce alla Coletta ulteriori giorni 10 di riposo e cure. Ne deriva che il danno complessivo subito dalla Coletta a seguito dell’aggressione da parte del Tonarelli è stato di totali 24 gg. e, dunque, tale da configurare ai sensi dell’art. 582 c.p. un reato perseguibile d’ufficio. Limitare la valutazione alla prima diagnosi, infatti, appare oltre che del tutto arbitrario, anche totalmente avulso dalla realtà. Invero, ammettere una tale tesi sarebbe come affermare che le patologie mediche sono in generale valutabili integralmente alla prima visita e che non è possibile che successivamente intervengano complicazioni o aggravamenti». Quanto, specificamente, alla contestazione in ordine alla violazione della clausola compromissoria, la reclamante ribadisce che «il Tonarelli ha commesso ai danni della Coletta un fatto integrante un reato perseguibile d’ufficio per la denuncia del quale non vi è necessità di richiedere alcuna autorizzazione alla F.I.G.C.». Richiama, a tal proposito, la reclamante, la disciplina relativa ai rapporti tra l’ordinamento statale e quello sportivo, regolati dalla legge n. 280/2003, ai sensi della quale «la materia penale deve essere rimessa alla giurisdizione dell’Autorità Giurisdizionale Statale». Ne discenderebbe che «la Coletta non era obbligata a richiedere l’autorizzazione, in quanto la denuncia – querela presentata nei confronti del Tonarelli è stata recepita come notitia criminis di diversi reati – che non possono essere consentiti da nessuna norma federale – tra cui il reato di lesioni volontarie guaribili in totali 24 giorni (certificato di PS + certificato della Dott.ssa Parnofiello Antonella) e, dunque, tale da configurare ai sensi dell’art. 582 c.p. un reato perseguibile d’ufficio, con la conseguenza che in tali ipotesi, attesa la rilevanza del diritto leso per l’ordinamento statuale, non vi è necessità di autorizzazione da parte della F.I.G.C. per la denuncia del fatto». Ad ogni buon conto, deduce ancora la reclamante, anche laddove sussistente la violazione di cui trattasi, deve comunque escludersene la punibilità, attesa la carenza dell’elemento soggettivo. A tal proposito, si legge testualmente in reclamo: «La Coletta, terrorizzata e lontana da casa (come dichiarato dalla stessa dinanzi al Dott. Lucarelli in data 13.7.2012), dovendo rimanere a Capo d’Orlando dopo l’aggressione subita, si è rivolta all’Autorità di Pubblica Sicurezza, con la sola intenzione di proteggersi da ulteriori possibili aggressioni ed ignorando, in assoluta buona fede, che tale comportamento potesse integrare la violazione dell’art. 30 dello Statuto Federale. Ed invero, la Coletta ha in seguito dato prova di totale ossequio alle norme dell’ordinamento sportivo e in particolare al “vincolo di giustizia”, laddove, in ordine alle proprie spettanze economiche ha ritualmente adito alla Commissione Accordi Economici presso la L.N.D. come risulta dal documento allegato n. 5 alle memorie di primo grado». Deduce, poi, la Coletta che anche ammesso che la violazione sussista, dovrebbe tenersi conto del fatto che la stessa è «stata costretta dalla necessità di difendersi da un pericolo concreto ed attuale con conseguente esclusione dell’antigiuridicità della condotta», evidenziando come «l’accaduto, non era teso ad eludere le norme federali, ma esclusivamente a difendere la propria persona da un pericolo attuale concreto e, come tale, non sanzionabile». Insomma, «il repentino susseguirsi degli eventi, il fondato timore di subire ulteriori ritorsioni e l’esigenza di prolungare la propria permanenza a Capo d’Orlando al fine di recuperare i propri effetti personali, hanno indotto la Coletta a rivolgersi all’Autorità di Pubblica Sicurezza ovvero ad azionare l’unico strumento di tutela previsto dall’Ordinamento statuale in caso di pericolo per la propria o altrui incolumità». Quanto alla violazione dell’art. 1, comma 1, per aver pronunciato una frase offensiva all’indirizzo del Tonarelli e per essersi rifiutata di partire per la trasferta di Napoli e, dunque, di prendere parte alla partita dell’ultima giornata di campionato, deduce sostanzialmente la Coletta che «è stata una reazione provocata dallo stato d’animo d’ira determinato dall’offesa ingiusta “o caca Coletta” ricevuta dal Tonarelli stesso. Sul punto, dunque, deve essere valutato il contesto generale caratterizzato dai reiterati gravi comportamenti posti in essere dall’allenatore/dirigente e l’effetto che questi hanno avuto nel determinare la replica della calciatrice». In altri termini, espone la reclamante, «in un contesto come quello descritto, infatti, sebbene insultare una persona sia un comportamento da stigmatizzare, la Coletta, intendendo difendersi, ha posto in essere una condotta certamente proporzionata all’insulto proferito nei suoi confronti dal Tonarelli e come tale giustificabile o sanzionabile in misura minima in ossequio al principio di graduazione sancito dal Codice di Giustizia Sportiva e con applicazione dell’attenuante generica dello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto del dirigente/allenatore». Quanto, infine, alla mancata partecipazione alla trasferta, ritiene la reclamante che il fatto non possa essere addebitato alla stessa poiché, a suo dire, «sino a quando non è stata aggredita dal Tonarelli, ha solo minacciato di non partire», mentre «la decisione definitiva della calciatrice è maturata pienamente solo a seguito del violento colpo al volto ricevuto e, a quel punto, non poteva che essere una decisione “obbligata” non essendo più, la Coletta, in condizioni psico-fisiche di idoneità all’attività sportiva». Conclude, quindi, la reclamante chiedendo che l’adìta Corte voglia: «in via principale, prosciogliere e/o mandare indenne da ogni responsabilità, per i motivi indicati in narrativa, la calciatrice Coletta Cristina. In subordine, nella denegata e non creduta ipotesi in cui si riconoscesse una qualche responsabilità della calciatrice Coletta Cristina in relazione alle violazioni ascrittele, si confida nel riconoscimento delle attenuanti generiche, dell’errore scusabile nel quale l’atleta è incorsa nell’interpretazione dell’art. 30 comma 4 dello Statuto Federale, nonché, delle scriminanti di cui agli artt. 52 e 54 c.p. in relazione alla violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S. per non aver partecipato alla trasferta e lo stato d’ira in relazione alla frase offensiva pronunciata all’indirizzo del sig. Tonarelli Leuccio, con conseguente applicazione di sanzioni nella misura di una o due giornate di squalifica, in forza del principio di graduazione sancito dal Codice di Giustizia Sportiva». All’odierna seduta innanzi a questa C.G.F. sono comparsi la sig.ra Cristina Coletta assistita dal proprio difensore di fiducia, avv. Pasqui, nonché il rappresentante della Procura Federale. Parte reclamante, illustrate le ragioni del reclamo e censurata la decisione impugnata, ha insistito sull’accoglimento delle proprie conclusioni, mentre il rappresentate della Procura Federale ha chiesto respingersi il reclamo, con conferma dell’appellata decisione della C.D.N.. Ritiene questa C.G.F. che il reclamo proposto dalla sig.ra Cristina Coletta meriti parziale accoglimento nei termini di seguito meglio precisati. Deve essere, anzitutto, affermata la responsabilità della reclamante in ordine alla violazione di cui ai primi due capi di incolpazione, per essersi rifiutata di prendere parte alla trasferta di Napoli per la disputa dell’ultima gara di campionato e per aver proferito espressioni ingiuriose nei confronti del sig. Leuccio Tonarelli, allenatore e vicepresidente dell’Orlandia. I fatti nel loro svolgersi sostanziale appaiono pacifici e, comunque, ampiamente accertati dalle approfondite indagini espletate dall’organo inquirente federale e dalla relativa documentazione acquisita. In particolare, è certamente provata la sussistenza dell’uso di reciproche espressioni offensive tra Tonarelli e Coletta. Anzitutto, già gli stessi attori protagonisti della vicenda direttamente o indirettamente ammettono lo scambio di reciproche espressioni offensive e, comunque, non contestano il fatto, pur fornendone, ovviamente, opposte versioni, specie al fine di giustificare il proprio rispettivo comportamento ed inquadrarlo nel contesto della replica alle avverse offese. Il Tonarelli, nelle sue dichiarazioni, afferma, tra l’altro, che in occasione dell’animata discussione di cui trattasi, dopo essere stato insultato verbalmente, si era innervosito e diceva alla Coletta di andare via «altrimenti sarei stato capace di picchiarla». Prosegue il Tonarelli: «per tutta risposta la Coletta ritornava sui suoi passi minacciosa e tentava di aggredirmi, intervenivano alcune atlete e il dirigente Fogliani per sedare gli animi». La Coletta, dal canto suo, ricostruisce così i momenti centrali della vicenda: «al momento dell’arrivo dell’autobus sono salita a bordo, ho preso la mia borsa da gara, e sono scesa dicendo al sig. Tonarelli, che era seduto ai primi posti, che non sarei partita per Napoli […] il Tonarelli si alterava sempre di più fino a rivolgersi nei miei confronti con un insulto in siciliano “o caca” […] cui io rispondevo dandogli del “pezzo di merda”; dopo di ciò allontanandomi mi sono resa conto che il Tonarelli Leuccio si era alzato dal suo posto ed era sceso dall’autobus per venirmi addosso […] nonostante vi fosse Alessia di mezzo, mi colpiva al volto con un ceffone a mano piena precisamente alla parte destra della mascella […] ho cercato a mia volta di colpirlo». La circostanza è, poi, confermata da numerose delle atlete presenti, tra le quali, ad esempio, Fabio Gaia, Cusmà Piccione Maria, Radici Melania, Trassari Diletta, che riferiscono che appena il bus della squadra giunse sotto casa delle compagne Coletta e Cianci, a causa della questione legata ai bagagli personali delle stesse si è acceso un diverbio tra Tonarelli e Coletta. Quest’ultima, dunque, si rifiutava di partire per la trasferta di Napoli ed inveiva verbalmente contro il Tonarelli, che replicava rivolgendo alla calciatrice la frase “o caca Coletta”, e quest’ultima rispondeva: “Vaff. ….. stronzo”. Le calciatrici prima indicate dichiaravano, inoltre, che Tonarelli e Coletta stavano per venire alle mani ma la Coletta veniva trattenuta da alcune compagne mentre il Tonarelli dal dirigente Fogliani». La stessa suddetta Alessia Cianci, sentita dalla Procura Federale, dichiarava, tra l’altro, che, una volta giunto il pullman a 18 posti, ovvero il numero dei partecipanti alla trasferta, «la Coletta saliva sul pullman e prendendo il suo borsone da calcio comunicava al Tonarelli che non sarebbe partita per la trasferta; ne scaturiva un diverbio […] e il Tonarelli rispondeva con “o caca Coletta”; la Coletta […] replicava con “stronzo”. La Coletta scendeva dal pullman ed il Tonarelli alzatosi dal suo posto con fare minaccioso la seguiva […] non appena mi sono resa conto delle intenzioni aggressive del Tonarelli ho cercato di fermarlo mentre la Coletta si è girata per andargli incontro; a questo punto il Tonarelli è riuscito a colpire Cristina con un ceffone e Cristina si è difesa colpendolo con una manata e scalciando […] la vicenda proseguiva con uno scambio di insulti». Del pari provato il rifiuto della calciatrice Coletta di prendere parte alla trasferta alla volta di Napoli e, quindi, di disputare l’ultima gara del Campionato di Serie A2 di Calcio Femminile. Decisione, questa, della Coletta, diversamente da quanto sostenuto in reclamo, assunta ancor prima del diverbio e dello scambio di offese, come, del resto, sostanzialmente affermato dalla stessa e confermato dalle precise e circostanziate dichiarazioni dell’amica Alessia Cianci. In relazione ai predetti due capi di incolpazione deve, dunque, essere confermata la decisione della C.D.N. che ha accertato e correttamente ritenuto sussistere la relativa responsabilità della sig.ra Cristina Coletta. Ritiene, invece, questa Corte che sussistano i presupposti per accogliere il reclamo in ordine alla contestazione di cui all’ultima incolpazione (violazione art. 30 dello Statuto F.I.G.C.). Sotto tale profilo, occorre preliminarmente precisare che non possono essere condivise le argomentazioni difensive in relazione all’asserita perseguibilità d’ufficio dei fatti oggetto della denuncia – querela sporta dalla Coletta. A prescindere, qui, dalla disquisizione in ordine alla insussistenza o meno di violazione del vincolo di giustizia nell’ipotesi in cui vengano denunciati fatti di rilievo penale procedibili d’ufficio, nel caso di specie non vi è dubbio che la consumazione dell’illecito di cui trattasi deve farsi risalire al momento della presentazione della querela da parte della Coletta. E, com’è pacifico, a quella data la diagnosi era di giorni 14 e, dunque, rimaneva, fino a quel momento, comunque esclusa ogni procedibilità d’ufficio. Prive di pregio, poi, per inciso, le deduzioni inerenti un, quantomeno sottointeso, presunto contrasto tra la norma federale violata e l’ordinamento generale o costituzionale. Contrasto che potrebbe ravvisarsi, semmai ed eventualmente, laddove vi fosse un divieto assoluto di presentazione di querela da parte dello sportivo con connesso rilievo nel medesimo ordinamento giuridico dello Stato, laddove l’ordinamento federale pone, invece, un semplice divieto di adire l’autorità giudiziaria ordinaria senza la prevista autorizzazione. In altri termini, ben può il tesserato, che si reputi leso nei suoi diritti ed interessi, adire il giudice ordinario, previa richiesta dell’apposita autorizzazione ai competenti organi federali, o comunque, intraprendere direttamente l’azione giudiziaria, essendo in ciò certamente libero, come del resto dimostra quanto accaduto nel caso di specie, in questo caso, però, con la consapevolezza delle connesse conseguenze sul piano disciplinare-sportivo, secondo le regole del relativo ordinamento da ciascun tesserato liberamente accettate all’atto della sua adesione alla comunità sportiva. Detto con diverse parole, la clausola compromissoria non impedisce al tesserato l’esercizio dei propri diritti costituzionalmente garantiti, ma comporta, in caso di sua violazione, esclusivamente la sottoposizione ad un procedimento disciplinare in ambito sportivo. A tal proposito, questa Corte non può che aderire alle considerazioni già esplicitate dalle Sezioni Unite della stessa: «Ed invero, l’ordinamento federale, costituito dall’insieme organico di regole, di carattere tecnico, disciplinare ed economico che disciplina i rapporti tra gli affiliati alla Federazione, vincola tutti i soggetti che ad esso hanno volontariamente aderito a risolvere le controversie che li concernono “attinenti a materie riconducibili allo svolgimento dell’attività federale”, soltanto nell’ambito di tale ordinamento, salvo casi “di grave opportunità”, e ha stabilito a tutela di tale regola, fondamentale per la sua autonomia, tutto un sistema di sanzioni disciplinari con validità ed efficacia all’interno dello stesso ambito federale» (Corte di Giustizia Federale, sez. un., Com. Uff. n. 154/CGF del 8.4.2008). Nessuno contrasto, dunque, con il diritto di azione e di difesa riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione ed al principio del monopolio statale della giurisdizione, di cui all’art. 102 Cost.. Del resto, come già in precedenza affermato da questa Corte, «sul presupposto della natura privatistica riconosciuta dalla legge alle Federazioni per le attività loro riservate (decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242 art.15) la giurisprudenza di legittimità, già da tempo, ha infatti affermato la natura negoziale del cd. vincolo di giustizia (v. Cass., n. 4351 del 1993), che costituisce un momento fondamentale dell'ordinamento sportivo, essendo ontologicamente finalizzato a garantirne l'autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale, autonomia ritenuta generalmente necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi, sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte (così Cass. civ. , Sez. I, sent. n. 18919 del 2005). Nel senso della dimensione privatistica della giustizia sportiva, e, quindi, della origine contrattuale, e non autoritativa, disporrebbe, secondo la Cassazione, l'accettazione dei regolamenti federali, quale portato di un atto di adesione spontanea alla comunità sportiva, nonché la natura ormai prevalentemente privatistica delle federazioni sportive. La Cassazione non ha ritenuto che il sopraggiungere del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito, con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003, n. 280, originato dalla esigenza di porre rimedio ad una situazione di estrema incertezza che si era venuta a creare con riguardo, in particolare, alla individuazione delle squadre di calcio aventi titolo a partecipare ai campionati della stagione 2003/2004, e destinato a definire l'assetto dei rapporti tra l'ordinamento generale e quello sportivo, abbia, sotto il profilo che ne occupa, determinato un sostanziale mutamento del quadro sopra descritto (Cass. civ. n. 18919/05, cit.). In queste condizioni anche la sanzionabilità dell’azione promossa senza autorizzazione deve ritenersi l’effetto di un obbligo liberamente assunto nel legittimo esercizio dell’autonomia privata» (così Corte di Giustizia Federale, sez. un., Com. Uff. n. 56/CGF del 11.12.2007). In tal ottica, peraltro, deve anche ricordarsi come l’autonomia dell’ordinamento sportivo trovi fondamento anche «nella norma costituzionale di cui all’art. 18, concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell’art. 2, relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo» (cfr. Cassazione, 27 settembre 2006, n. 21006, in Guida al dir., 2006, n. 46, p. 59 (s.m.); Cassazione, 28 settembre 2005, n. 18919, in Giust. civ. Mass., 2005, f. 7/8). Se, pertanto, si muove dalla premessa della indiscutibile autonomia dell’ordinamento sportivo, deve riconoscersi alle federazioni sportive nazionali il correlativo potere di emanare norme interne per l’ordinato svolgimento delle competizioni sportive e, di conseguenza, che agli organi delle stesse deve anche essere riservato il giudizio sull’osservanza di siffatte norme. Del resto, è forse opportuno ancora una volta ribadire, per quanto ovvio, che i provvedimenti emanati in conseguenza dell’applicazione delle regole dell’ordinamento sportivo sono destinati a produrre i loro effetti all’interno dell’ordinamento medesimo e solo in via eventuale e, comunque, indiretta gli stessi possono riflettersi nell’ordinamento generale, rispetto al quale, pertanto, non possono che rimanere irrilevanti. Se ne deve, in breve, desumere che «il logico corollario dell’autonoma scelta degli obiettivi da perseguire nell’ambito endofederale è l’omologa libertà nella redazione delle tavole delle condotte incompatibili con l’appartenenza soggettiva ad esso e, in via strumentale e necessaria, dei mezzi e delle forme di tutela dell’ordinamento sportivo dalle deviazioni che si dovessero verificare al suo interno. È, infatti, da reputare intimamente ed immancabilmente connessa con l’autonomia dell’ordinamento sportivo la sua idoneità a munirsi in via indipendente di un circuito normativo che reagisca alla negazione dei valori del mondo dello sport: anche questa pronta capacità di replica alla rottura delle regole interne è implicita condizione del riconoscimento e della salvaguardia provenienti dall’ordinamento statale. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale sportivo, porta ad affermare in linea generale la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento sportivo ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie. Ed infatti, l’ordinamento sportivo, da un canto, è estraneo alle previsioni normative generali che nascono con riguardo ad ambiti tipicamente ed esclusivamente statali (come il procedimento penale e le regole che per esso sono dettate per governare i rapporti con altri procedimenti svolgentisi in ambito generale, quali quelli civili, amministrativi, disciplinari ecc.); esso, d’altro canto, è libero di perseguire la propria pretesa punitiva nei confronti degli appartenenti che si sottraggano al rispetto dei precetti con autonomi mezzi di ricerca e valutazione della prova che non necessariamente debbono identificarsi con quelli propri dell’ordinamento statale, fatta ovviamente salva l’osservanza del diritto di difesa, costituzionalmente protetto» (così Corte di Giustizia Federale, sez. un., Com. Uff. n. 019/CGF del 2 agosto 2012). Ciò premesso, devono essere, invece, riconsiderate le deduzioni della reclamante in relazione all’elemento psicologico. Evidenzia, stavolta correttamente, la reclamante come la C.D.N. abbia si valutato l’elemento della volontarietà del comportamento dell’odierna appellante, ponendolo, però, soltanto in relazione alla proposizione della denuncia-querela e non anche alla violazione della clausola compromissoria. Orbene, sotto tale profilo, questa Corte non ha dubbi sulla intenzionalità della condotta della Coletta, che ha, appunto, di certo volontariamente e liberamente deciso di presentare, nell’immediatezza dei fatti, com’è pacifico, la denuncia – querela di cui trattasi ed acquisita agli atti del presente procedimento: ma tale intenzionale condotta, tuttavia, realizza solo gli estremi materiali dell’illecito. Questa Corte, invece, non ha certezza e ritiene di non poter ammettere come provata l’esistenza dell’intenzione della Coletta di porsi in posizione di antigiuridicità e di contrasto e, comunque, antidoverosa rispetto all’ordinamento federale, anche alla luce del fatto che, come dimostrato, per i suoi interessi di carattere patrimoniale la stessa calciatrice si è rivolta agli organismi endofederali. Occorre, del resto, tenere presente la condizione d’animo fortemente turbato della Coletta, come turbato era lo stato d’animo delle altre calciatrici, molte delle quali hanno, in tal senso, dichiarato che la loro decisione di non proseguire la trasferta alla volta di Napoli era legata «alla gravità dell’episodio che si era creato all’atto della partenza» ed alla relativa «paura» che lo stesso ha in loro determinato. Non può, poi, non tenersi in debito conto il complessivo contesto nel quale è maturata la decisione della Coletta di sporgere querela, e quanto dalla stessa affermato che ha, appunto, escluso ogni volontà di eludere le norme federali, ricollegando il suo comportamento soltanto all’esigenza di difendersi. Del resto, non è difficile immedesimarsi nello stato emotivo della giovane calciatrice che, a caldo, scossa dall’episodio nella quale è stata coinvolta, considerato «il repentino susseguirsi degli eventi, il fondato timore di subire ulteriori ritorsioni e l’esigenza di prolungare la propria permanenza a Capo d’Orlando al fine di recuperare i propri effetti personali» (come dalla stessa riferito in reclamo), hanno verosimilmente indotto la Coletta a rivolgersi all’Autorità di polizia, «ovvero», come dalla stessa affermato, «ad azionare l’unico strumento di tutela previsto dall’Ordinamento statuale in caso di pericolo per la propria o altrui incolumità», ossia lo strumento giuridico che in quel particolare contesto e momento le è apparso come quello più idoneo ad assicurare la propria difesa ed evitare eventuali possibili ulteriori pregiudizi. Insomma, la reclamante prospetta la natura meramente “difensiva” della querela presentata, dalla quale, invece, esula un intento lesivo delle regole federali. In definitiva, contestualizzando il fatto e collocandolo nella sua corretta cifra “emotiva”, alla luce delle complessive acquisizioni del giudizio, sembra potersi escludere un atteggiamento, della Coletta, di contrasto con il sistema e, comunque, deve, quantomeno, ritenersi sul punto sussistere una insufficienza di prova in ordine all’elemento soggettivo, nella dimensione meglio prima precisata. Ne consegue, a giudizio della Corte, l’assenza dell’elemento soggettivo necessario per configurare, in concreto, l’illecito previsto dal combinato disposto costituito dall’art. 30 dello Statuto Federale e dell’art. 15 del Codice di Giustizia Sportiva. Sussistono, quindi, in definitiva, validi motivi per concludere che non vi sono le condizioni per ritenere la reclamante meritevole delle sanzioni inflitte per siffatto profilo di cui al relativo capo d’incolpazione, con consequenziale annullamento in parte qua della impugnata delibera dalla Commissione Disciplinare Nazionale. Da siffatto parziale accoglimento del reclamo discende la necessità di proporzionale riduzione della sanzione, che questa Corte ritiene equo rideterminare nella misura di mesi 1 di squalifica. Per questi motivi la C.G.F. in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto, proscioglie Cristina Coletta per insufficienza di prova sull’elemento soggettivo, dall’addebito di violazione dell’art. 1, C.G.S. in relazione all’art. 30, comma 4 Statuto F.I.G.C.. Conferma la responsabilità dell’appellante in relazione agli altri profili di violazione dell’art. 1 C.G.S. Determina la sanzione nella squalifica di mesi 1. Dispone restituirsi la tassa reclamo.
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