F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2013/2014 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 006/CGF del 05 Luglio 2013 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 076/CGF del 29 Ottobre 2013 e su www.figc.it 1. RICORSO SIG. FRANZA PIETRO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI 5 (CINQUE) CON PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA FIGC INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 2. RICORSO FRANZA VINCENZO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 5 (CINQUE) CON PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA FIGC, INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 3. RICORSO CAMBRIA FRANCESCO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO) INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 4. RICORSO SANTAMAURA DOMENICO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO) INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 5. RICORSO CUTRI’ CARMELO SAVINO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO) INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 6. RICORSO GALLETTI STEFANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO), INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2013/2014 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 006/CGF del 05 Luglio 2013 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 076/CGF del 29 Ottobre 2013 e su www.figc.it 1. RICORSO SIG. FRANZA PIETRO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI 5 (CINQUE) CON PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA FIGC INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 2. RICORSO FRANZA VINCENZO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 5 (CINQUE) CON PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA FIGC, INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 3. RICORSO CAMBRIA FRANCESCO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO) INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 4. RICORSO SANTAMAURA DOMENICO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO) INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 5. RICORSO CUTRI’ CARMELO SAVINO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO) INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) 6. RICORSO GALLETTI STEFANO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI 1 (UNO), INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1 C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ESISTENZA DI PROCEDIMENTO PENALE PER IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 223, COMMA 1, R.D. N. 267/42 PRESSO IL TRIBUNALE PENALE DI MESSINA A CARICO DEGLI AMMINISTRATORI DELLA SOCIETÀ FC MESSINA PELORO S.R.L. – NOTA N. 6572/1459 PF09-10 AM/MA DEL 17.4.2013 - (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 98/CDN del 10.6.2013) I sigg.ri Franza dott. Pietro, Franza dott. Vincenzo, Cambria dott. Francesco, Santamura dott. Domenico, Cutrì dott. Carmelo Savino, Galletti dott. Stefano, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Galli del foro di Perugia, hanno proposto reclamo avverso le sanzioni agli stessi inflitte dalla Commissione Disciplinare Nazionale con decisione di cui al Com. Uff. n. 98/CDN del 10 giugno 2013, a seguito deferimento della Procura Federale. I fatti risalgono alle notizie di stampa dei mesi di marzo, aprile e maggio 2010 relative alla instaurazione, c/o il Tribunale di Messina, di un procedimento penale (r.g.n.r. 7437/08) nei confronti di alcuni amministratori della F.C. Messina Peloro s.r.l. L’organo inquirente federale disponeva (13 maggio 2010) l’apertura di un’inchiesta e richiedeva (25 maggio 2010) gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, che, in data 30 giugno 2010, trasmetteva copia del decreto di rinvio a giudizio del 13 maggio 2010. L’originaria scadenza del termine di conclusione delle indagini (31.12.2010) veniva prorogata con provvedimento del 24 gennaio 2011 della Corte di Giustizia Federale, su apposita richiesta della Procura Federale. Successivamente, su richiesta del 23 marzo 2011, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina consegnava all’organo inquirente federale la documentazione integrativa inerente il procedimento penale n. 7437/08 r.g.n.r., nonché il decreto di rinvio a giudizio emesso in data 11 novembre 2010 dal GIP nei confronti della Mondo Messina Service s.r.l. Occorre premettere che: - il Consiglio Federale ha preso atto, nella seduta del 18 luglio 2008, della non ammissione della società F.C. Messina Peloro s.r.l. al campionato di serie B, in considerazione della comunicazione della Co.vi.so.c. relativa al difetto dei requisiti di ammissione (Com. Uff. n. 8/A del 18 luglio 2008); - il Presidente Federale, preso atto della non iscrizione al campionato di serie B, ha deliberato lo svincolo d’autorità dei calciatori tesserati (Com. Uff. n. 31/A del 25 luglio 2008); - il Presidente Federale, d’intesa con il Presidente della Lega nazionale dilettanti, ha ammesso in soprannumero al campionato di serie D, per la s.s. 2008/09, la società F.C. Messina Peloro S.r.l. (lett. segreteria F.I.G.C. del 2 settembre 2008); - il 3 novembre l’Assemblea dei soci ha modificato la denominazione e la natura giuridica della F.C. Messina Peloro S.r.l. in F.C. Peloro società sportiva dilettantistica a r.l.; - con sentenza del 21 novembre 2008, n. 25, il Tribunale di Messina ha dichiarato il fallimento della società F.C. Messina Peloro società sportiva dilettantistica a r.l.; - il Presidente Federale, preso atto del suddetto fallimento, ha deliberato di revocare l’affiliazione alla società fallita (Com. Uff. n. 160/A del 7 giugno 2009); - la Corte di Cassazione, con sentenza 21 aprile 2011, n. 9260, ha confermato il fallimento della F.C. Peloro società sportiva dilettantistica a r.l.. Con il provvedimento del 13 maggio 2010, già sopra citato, il GIP del Tribunale di Messina ha rinviato a giudizio i sigg.ri Pietro Franza, Vincenzo Franza e Francesco Cambria, amministratori della F.C. Messina Peloro s.r.l., nonché i sigg.ri Domenico Santamaura, Carmelo Cutrì e Stefano Galletti, componenti il collegio sindacale della medesima società. Queste, in sintesi, le contestazioni, per ciascun imputato. Pietro Franza. A) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, dello stesso r.d., perché, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 31.10.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l., distraeva liquidità societarie pari a euro 13.124.600, denaro che in data 1.6.2006 (euro 12.712.600) e in data 5.6.2006 (euro 412.000) la società fallita, già all’epoca in difficoltà economiche, accreditava alla società Mondo Messina Service s.r.l. (controllata dalla predetta F.C. Messina Peloro s.r.l. e amministrata da Vincenzo Franza) a titolo di finanziamento infruttifero. In particolare, in data 1.6.2006 la F.C. Messina Peloro s.r.l. stipulava con la Locat s.p.a. un contratto di cessione dei marchi, al prezzo di euro 20.000.000 oltre Iva, marchi che la Locat s.p.a. concedeva poi in locazione finanziaria alla Mondo Messina Service s.r.l. Successivamente, parte della somma che la F.C. Messina Peloro s.r.l. riceveva dalla Locat s.p.a. fuoriusciva dalla disponibilità della stessa predetta s.r.l. a seguito dei versamenti prima indicati, così che la medesima veniva privata di consistenti risorse economiche, in contrasto con l’obiettivo dichiarato posto a base della cessione dei marchi, come anche risultante dalla relazione allegata al bilancio 2006 (“reperire consistenti flussi finanziari necessari per coprire parte dell’indebitamento della società e per affrontare i futuri investimenti programmati per il rinnovo della compagine”). L’ammontare di tale finanziamento infruttifero era stato appostato nel bilancio al 31.12.2006 tra le immobilizzazioni finanziarie alla voce “crediti verso imprese controllate oltre i 12 mesi” ed era presente anche nel bilancio al 31.12.2007. B) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, dello stesso r.d., perché, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 31.10.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l., distraeva liquidità societarie pari a euro 4.000.000, denaro che in data 3.8.2006 (euro 300.000), in data 4.8.2006 (euro 2.000.000) e in data 9.12.2006 (euro 1.700.000) la società fallita, già all’epoca in difficoltà economiche, accreditava alla Co.fi.mer s.p.a. (a quell’epoca socio di maggioranza della F.C. Messina Peloro s.r.l.) a titolo di compenso per un’attività di studio per l’ottimizzazione finanziaria dell’operazione commerciale di cessione dei marchi, di un’attività di ricerca e di intermediazione, di interlocutori e di società di leasing di tutta affidabilità, nonché per l’obbligo di prestare garanzie per il perfezionamento della predetta operazione commerciale, come da contratto di associazione in partecipazione stipulato in data 25.8.2005 tra le due società, esborsi considerati indebiti, atteso che nessuna attività di ricerca e intermediazione è risultata effettuata dalla Co.fi.mer s.p.a. e che le garanzie contemplate nel prima menzionato contratto di associazione erano prestate in favore della Mondo Messina Service s.r.l., società utilizzatrice dei marchi in questione a seguito di contratto di locazione finanziaria stipulato con Locat s.p.a. e, quindi, obbligata in prima persona a prestare idonee fideiussioni a tutela del pagamento dei canoni di locazione, mentre nessun beneficio ne derivava per la società fallita che, in tal modo, si assicurava soltanto l’obbligo di pagare garanzie nell’interesse di altri. C) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 2, r.d. n. 267/1942, perché, quale presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 31.10.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l., nonostante l’insolvenza della società si fosse manifestata, in violazione del disposto di cui all’art. 2626 c.c. effettuava, in data 8.6.2006 e 9.6.2006, restituzioni in denaro al socio Co.fi.mer s.p.a. dei conferimenti, per un importo complessivo pari a euro 2.800.000, così contribuendo a cagionare ulteriormente il dissesto della società. D) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, perché, quale presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 31.10.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l., in concorso con il sig. Vincenzo Franza, amministratore delegato della F.C. Messina Peloro s.r.l., ha esposto nel bilancio 2005 fatti non rispondenti al vero, iscrivendo tra le componenti positive di reddito un contributo in denaro versato dalla Lega calcio per l’importo di euro 5.000.000 (c.d. contributo di solidarietà in favore delle squadre di calcio retrocesse dalla serie A alla serie B), occultando, in tal modo, maggiori perdite nel bilancio per l’importo di euro 2.500.000, con ciò concorrendo a cagionare il dissesto della società. La F.C. Messina Peloro s.r.l. aveva maturato il diritto al predetto contributo (c.d. paracadute) al termine della stagione sportiva 2005/2006, in conseguenza della retrocessione in serie B. Come evidenziato nella relazione dei consulenti Collovà e Taormina (acquisita agli atti del procedimento penale n. 7437/08 r.g.n.r. e trasmesso alla Procura Federale), laddove in sede di redazione del bilancio d’esercizio 31.12.2005 la società si fosse attenuta alle disposizioni dettate dall’art. 2423 bis, comma 1, n. 2, c.c. e ai principi tecnico-contabili in materia, non avrebbe potuto iscrivere parte del contributo (e per esattezza euro 2.500.000) nel conto economico del bilancio chiuso al 31.12.2005 alla voce “contributi in conto esercizio”. In questo modo, invece, si occultavano maggiori perdite in tale bilancio (che, peraltro, si era chiuso con una perdita di euro 3.020.662 e un patrimonio netto negativo per euro 3.235.988) per l’importo di euro 2.500.000, con l’aggravante di cui all’art. 219, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione ai reati sopra indicati, per avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità alla F.C. Messina Peloro s.r.l., nonché con l’ulteriore aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, per avere commesso più fatti di quelli previsti dagli artt. 216 e 223 dello stesso predetto r.d. Vincenzo Franza. A) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, dello stesso r.d., perché, nella qualità di vicepresidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 13.12.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l. e quale presidente del consiglio di amministrazione per il periodo successivo e fino al fallimento della F.C. Messina Peloro s.r.l., distraeva liquidità societarie pari a euro 13.124.600, denaro che in data 1.6.2006 (euro 12.712.600) e in data 5.6.2006 (euro 412.000) la società fallita, già all’epoca in difficoltà economiche, accreditava alla società Mondo Messina Service s.r.l. (controllata dalla predetta F.C. Messina Peloro s.r.l. e amministrata da Vincenzo Franza) a titolo di finanziamento infruttifero. In particolare, in data 1.6.2006 la F.C. Messina Peloro s.r.l. stipulava con la Locat s.p.a. un contratto di cessione dei marchi, al prezzo di euro 20.000.000 oltre Iva, marchi che la Locat s.p.a. concedeva poi in locazione finanziaria alla Mondo Messina Service s.r.l. Successivamente, parte della somma che la F.C. Messina Peloro s.r.l. riceveva dalla Locat s.p.a. fuoriusciva dalla disponibilità della stessa predetta s.r.l. a seguito dei versamenti prima indicati, così che la medesima veniva privata di consistenti risorse economiche, in contrasto con l’obiettivo dichiarato posto a base della cessione dei marchi, come anche risultante dalla relazione allegata al bilancio 2006 (“reperire consistenti flussi finanziari necessari per coprire parte dell’indebitamento della società e per affrontare i futuri investimenti programmati per il rinnovo della compagine”). L’ammontare di tale finanziamento infruttifero era stato appostato nel bilancio al 31.12.2006 tra le immobilizzazioni finanziarie alla voce “crediti verso imprese controllate oltre i 12 mesi” ed era presente anche nel bilancio al 31.12.2007. B) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, dello stesso r.d., perché, nella qualità di vicepresidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 13.12.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l. e quale presidente del consiglio di amministrazione per il periodo successivo e fino al fallimento della F.C. Messina Peloro s.r.l., distraeva liquidità societarie pari a euro 4.000.000, denaro che in data 3.8.2006 (euro 300.000), in data 4.8.2006 (euro 2.000.000) e in data 9.12.2006 (euro 1.700.000) la società fallita, già all’epoca in difficoltà economiche, accreditava alla Co.fi.mer s.p.a. (a quell’epoca socio di maggioranza della F.C. Messina Peloro s.r.l.) a titolo di compenso per un’attività di studio per l’ottimizzazione finanziaria dell’operazione commerciale di cessione dei marchi, di un’attività di ricerca e di intermediazione, di interlocutori e di società di leasing di tutta affidabilità, nonché per l’obbligo di prestare garanzie per il perfezionamento della predetta operazione commerciale, come da contratto di associazione in partecipazione stipulato in data 25.8.2005 tra le due società, esborsi considerati indebiti, atteso che nessuna attività di ricerca e intermediazione è risultata essere stata effettuata dalla Co.fi.mer s.p.a. e che le garanzie contemplate nel prima menzionato contratto di associazione erano prestate in favore della Mondo Messina Service s.r.l., società utilizzatrice dei marchi in questione a seguito di contratto di locazione finanziaria stipulato con Locat s.p.a. e, quindi, obbligata in prima persona a prestare idonee fideiussioni a tutela del pagamento dei canoni di locazione, mentre nessun beneficio ne derivava per la società fallita che, in tal modo, si assicurava soltanto l’obbligo di pagare garanzie nell’interesse di altri. C) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 2, r.d. n. 267/1942, perché, quale vicepresidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato dal 13.12.2003 al 1.8.2008 della società F.C. Messina Peloro s.r.l. e quale presidente del consiglio di amministrazione per il periodo successivo e fino al fallimento della società F.C. Messina Peloro s.r.l., nonostante l’insolvenza della società si fosse manifestata, effettuava, in violazione del disposto di cui all’art. 2626 c.c., in data 8.6.2006 e 9.6.2006, restituzioni in denaro al socio Co.fi.mer s.p.a. dei conferimenti, per un importo complessivo pari a euro 2.800.000, così contribuendo a cagionare ulteriormente il dissesto della società. D) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, perché, quale amministratore delegato della società F.C. Messina Peloro s.r.l., in concorso con il sig. Pietro Franza, presidente e amministratore delegato della F.C. Messina Peloro s.r.l., ha esposto nel bilancio 2005 fatti non rispondenti al vero, iscrivendo tra le componenti positive di reddito un contributo in denaro versato dalla Lega calcio per l’importo di euro 5.000.000 (c.d. contributo di solidarietà in favore delle squadre di calcio retrocesse dalla serie A alla serie B), occultando, in tal modo, maggiori perdite nel bilancio per l’importo di euro 2.500.000, con ciò concorrendo a cagionare il dissesto della società. La F.C. Messina Peloro s.r.l. aveva maturato il diritto al predetto contributo (c.d. paracadute) al termine della stagione sportiva 2005/2006, in conseguenza della retrocessione in serie B. Come evidenziato nella relazione dei consulenti della Procura della Repubblica di Messina (acquisita agli atti del procedimento penale n. 7437/08 r.g.n.r. e trasmesso alla Procura Federale), laddove in sede di redazione del bilancio d’esercizio 31.12.2005 la società si fosse attenuta alle disposizioni dettate dall’art. 2423 bis, comma 1, n. 2, c.c. e ai principi tecnico-contabili in materia, non avrebbe potuto iscrivere parte del contributo (e per esattezza euro 2.500.000) nel conto economico del bilancio chiuso al 31.12.2005 alla voce “contributi in conto esercizio”. In questo modo, invece, venivano occultate maggiori perdite in tale bilancio (che, peraltro, si era chiuso con una perdita di euro 3.020.662 e un patrimonio netto negativo per euro 3.235.988) per l’importo di euro 2.500.000, con l’aggravante di cui all’art. 219, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione ai reati sopra indicati, per avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità alla F.C. Messina Peloro s.r.l., nonché con l’ulteriore aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, r.d. n. 267/1942, per avere commesso più fatti di quelli previsti dagli artt. 216 e 223 dello stesso predetto r.d. E) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 3, dello stesso r.d. perché, quale presidente del consiglio di amministrazione della F.C. Messina Peloro s.r.l., in concorso con il sig. Francesco Cambria, presidente del consiglio di amministrazione della società Co.fi.mer s.p.a., nonché componente del consiglio di amministrazione della F.C. Messina Peloro s.r.l. (delibera del 20.10.2008), compensavano un precedente credito vantato dalla prima società pari ad euro 1.978.386, riducendolo a euro 738.022, così di fatto violando la par condicio creditorum. F) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 3, dello stesso r.d. perché nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della F.C. Messina Peloro s.r.l., in concorso con il sig. Francesco Cambria, presidente del consiglio di amministrazione della società Co.fi.mer s.p.a., nonché componente del consiglio di amministrazione della F.C. Messina Peloro s.r.l. (delibera del 20.10.2008) e, quindi, soggetto avente piena conoscenza dello stato di decozione in cui versava la fallita, a fronte di un deliberato versamento di euro 2.000.000 che la Co.fi.mer s.p.a. si era impegnata ad effettuare a titolo di aumento di capitale della F.C. Messina Peloro s.r.l. (delibera del 13.11.2008), compensava un precedente credito vantato dalla prima società pari ad euro 511.195,70 così di fatto violando la par condicio creditorum. G) Delitto previsto e punito dall’art. 2621 c.c. perché nella qualità di rappresentante legale e presidente del consiglio di amministrazione della società Mondo Messina Service s.r.l., con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico ed al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nel bilancio chiuso al 31.12.2006, esponeva fatti materiali non rispondenti al vero ovvero ometteva informazioni, la cui comunicazione è imposta dalla legge, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulle predette situazioni. In particolare, con riferimento al contratto di locazione finanziaria stipulato con la Locat s.p.a. per l’utilizzo dei marchi della F.C. Messina Peloro s.r.l., che detta società a sua volta aveva ceduto alla Locat s.p.a., iscriveva tra le immobilizzazioni finanziarie il deposito cauzionale di 2.500.000, esposizione non corretta in quanto l’importo in questione non riguardava un deposito cauzionale, bensì un canone corrisposto anticipatamente (il 12° canone di importo pari a 2.500.000 oltre Iva, scadente a maggio 2007), con conseguente mancata rilevazione della quota di competenza nella voce di bilancio “costi per godimento bene di terzi”, così alterando in maniera sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, dal momento che l’omessa rilevazione di cui sopra determinava una variazione del risultato economico di esercizio (che presentava un utile, ante imposte, pari ad euro 189.670), di 83.334, con conseguente superamento delle soglie di legge (scostamento rilevato: 83.334 – scostamento tollerato euro 5.317); in base a quanto appurato dalla relazione di consulenza tecnica dai dott.ri Collovà e Taormina il 21.9.2009, la corretta imputazione a bilancio del conto economico del costo per servizi e godimento beni di terzi e nell’attivo dello stato patrimoniale dei risconti su canoni di leasing avrebbe determinato una riduzione del risultato di esercizio conseguito il 31.12.2006 e dell’attivo dello stato patrimoniale di euro 83.334; ai fini della qualificazione come penalmente rilevante della fattispecie giuridica delineata dall’art. 2621, comma 3, c.c. occorre che lo scostamento dell’utile lordo da indicare in bilancio rispetto a quello effettivamente conseguito sia superiore al 5% di quest’ultimo; l’utile lordo registrato il 31.12.2006 dalla società Mondo Messina Service s.r.l. era stato pari ad euro 189.670, risultando superiore di euro 83.334 all’utile effettivamente conseguito (che, in caso di corretta redazione del bilancio, sarebbe stato pari ad euro 106.336 e avrebbe determinato una soglia di tolleranza di euro 5.317); lo scostamento era risultato ampiamente superiore alla soglia di tolleranza sancita dalla legge e aveva pertanto fatto assumere una connotazione penalmente rilevante al comportamento tenuto dal sig. Vincenzo Franza nella sua qualità di legale rappresentante e di presidente del consiglio di amministrazione della società Mondo Messina Service s.r.l. Con l’aggravante di cui all’art. 219, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione ai reati sopra indicati, per avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità alla F.C. Messina Peloro s.r.l., nonché con l’ulteriore aggravante di cui all’art. 219, comma 2, comma 1, r.d. n. 267/1942 per aver commesso più fatti tra quelli previsti dagli artt. 216 e 223 del citato r.d. Francesco Cambria. E) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p. e dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216, comma 3, dello stesso r.d. perché nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Co.fi.mer s.p.a., nonché componente del consiglio di amministrazione della F.C. Messina Peloro s.r.l. e, quindi, soggetto avente piena conoscenza dello stato di decozione in cui versava la fallita, in concorso con il sig. Vincenzo Franza, presidente del consiglio di amministrazione della società F.C. Messina Peloro s.r.l., a fronte di un deliberato versamento di euro che la società Co.fi.mer s.p.a. si era impegnata ad effettuare a titolo di aumento del capitale della predetta F.C. (delibera del 20.10.2008), compensavano un precedente credito vantato dalla prima società, in violazione della par condicio creditorum. F) Delitto previsto e punito dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942, in relazione all’art. 216 , comma 3, dello stesso r.d. perché, quale presidente del consiglio di amministrazione della Co.fi.mer s.p.a., nonché componente del consiglio di amministrazione della F.C. Messina Peloro s.r.l. e, quindi, soggetto avente piena conoscenza dello stato di decozione in cui versava la fallita, in concorso con il sig. Vincenzo Franza, presidente del consiglio di amministrazione della società F.C. Messina Peloro s.r.l., a fronte di un deliberato versamento di euro 2.000.000 che la Co.fi.mer s.p.a. si era impegnata ad effettuare a titolo di aumento di capitale della F.C. Messina Peloro s.r.l. (delibera del 13.11.2008), compensava un precedente credito vantato dalla prima società pari ad euro 511.195,70 così di fatto violando la par condicio creditorum. Domenico Santamaura, Carmelo Cutrì e Stefano Galletti. A) Delitto previsto e punito dall’art. 40 c.p., dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942 perché, nella qualità di componenti titolari pro tempore del collegio sindacale della F.C. Messina Peloro s.r.l., omettendo di esercitare i doveri di vigilanza e i poteri ispettivi loro assegnati su alcune operazioni poste in essere dagli amministratori delegati Pietro Franza e Vincenzo Franza, concorrevano con costoro nella distrazione di consistenti risorse economiche della società. In particolare, omettevano qualunque forma di controllo e vigilanza su alcuni atti dispositivi che privavano la fallita di complessivi euro 13.124.600, denaro che in data 1 giugno 2006 (euro 12.712.600) e in data 5 giugno 2006 (euro 412.000) la società F.C. Messina Peloro s.r.l., già all’epoca in difficoltà economiche, accreditava alla Mondo Messina Service s.r.l. (società controllata dalla F.C. Messina Peloro s.r.l. e amministrata da Vincenzo Franza) a titolo di finanziamento infruttifero; B) Delitto previsto e punito dall’art. 40 c.p., dall’art. 110 c.p., dall’art. 223, comma 1, r.d. n. 267/1942 perché, nella qualità di componenti titolari pro tempore del collegio sindacale della F.C. Messina Peloro s.r.l., omettevano di esercitare i doveri di vigilanza e i poteri ispettivi loro assegnati su alcune operazioni poste in essere dagli amministratori delegati Pietro Franza e Vincenzo Franza, concorrendo con costoro nella distrazione di consistenti risorse economiche della società. In particolare, omettevano qualunque forma di controllo e vigilanza su alcuni atti dispositivi che privavano la fallita di complessivi euro 4.000.000, denaro che in data 3.8.2006 (euro 300.000), in data 4.8.2006 (euro 2.000.000) e in data 9.12.2006 (euro 1.700.000) la società fallita, già all’epoca in difficoltà economiche, accreditava alla Co.fi.mer s.p.a. (a quell’epoca socio di maggioranza della F.C. Messina Peloro s.r.l.) a titolo di compenso per un’attività di studio per l’ottimizzazione finanziaria dell’operazione commerciale di cessione dei marchi della F.C. Messina Peloro s.r.l., di un’attività di ricerca e di intermediazione, di interlocutori e di società di leasing di tutta affidabilità, nonché per l’obbligo di prestare garanzie per il perfezionamento della predetta operazione commerciale, come da contratto di associazione in partecipazione stipulato in data 25.8.2005 tra le due società, esborsi considerati indebiti, atteso che nessuna attività di ricerca e intermediazione risultava effettuata dalla Co.fi.mer s.p.a. e che le garanzie contemplate nel prima menzionato contratto di associazione erano prestate in favore della Mondo Messina Service s.r.l., società utilizzatrice dei marchi in questione a seguito di contratto di locazione finanziaria stipulato con Locat s.p.a. e, quindi, obbligata in prima persona a prestare idonee fideiussioni a tutela del pagamento dei canoni di locazione, mentre nessun beneficio ne derivava per la società fallita che, in tal modo, si assicurava soltanto l’obbligo di pagare garanzie nell’interesse di altri. La Procura Federale osservava, inoltre, che la consulenza tecnica del 21 settembre 2009 aveva posto l’accento sull’operazione di conferimento, datata 30 marzo 2006, da parte della F.C. Messina Peloro s.r.l., nella società Mondo Messina Service s.r.l. del ramo d’azienda denominato «attività collaterali e connesse all’attività sportiva, dirette allo sfruttamento ed alla valorizzazione economico-commerciale del marchio e dell’immagine da parte della società F.C. Messina Peloro s.r.l., comprendente anche le attività di marketing, merchandasing ad esso collegate, nonché i servizi di gestione delle attività commerciali ed immobiliari legate agli impianti sportivi», nonché «la potenzialità di sfruttamento economico di attività e servizi derivanti dalla delibera del Consiglio comunale n. 65 dell’agosto 2005 e dall’accordo programmatico tra il Comune di Messina e la società conferente sottoscritto in data 27 marzo 2006» e che, alla data del conferimento, risultava ancora in corso di registrazione. Inoltre, evidenziava ancora la Procura Federale, i consulenti tecnici «hanno sottolineato che il perito incaricato di stimare il ramo d’azienda conferito, nella relazione del 30 marzo 2006 gli aveva attribuito il valore di 7.700.000, rimarcando l’elevata valenza a tal fine tanto della firma della Convenzione cinquantennale con il Comune di Messina, quanto della titolarità del marchio “F.C. Messina”; non essendo mai stata emanata dal Comune di Messina la Convenzione definitiva che avrebbe dovuto recepire i contenuti dell’accordo procedimentale stipulato con la società F.C. Messina Peloro s.r.l., i consulenti tecnici hanno ritenuto che il valore del ramo d’azienda conferito avrebbe dovuto subire una sostanziale riduzione e, pertanto, hanno ritenuto imprudente ed arbitraria la decisione degli amministratori di attribuire alla cessione del ramo aziendale il valore di euro 7.700.000, poi rivelatosi inconsistente; gli stessi hanno, altresì, evidenziato che l’operazione di conferimento del ramo d’azienda e della conseguente contabilizzazione della plusvalenza di euro 7.985.880 nel bilancio di periodo era stata effettuata in coincidenza con il termine del 31 marzo, che rappresentava la data di rilevamento dei parametri PA e PD imposti dalla normativa federale per l’iscrizione al campionato 2006/07. Al riguardo, la Covisoc aveva successivamente “neutralizzato” gli effetti di tale plusvalenza nel bilancio della società F.C. Messina Peloro s.r.l. (realizzato per effetto dell’incremento di valore della partecipazione nella società Mondo Messina Service s.r.l.), negando l’iscrizione al campionato e obbligando i soci a colmare la carenza ai parametri mediante ricapitalizzazione, poi eseguita il 5/7/2006 nella misura di 5.100.000 da parte di Co.fi.mer s.p.a. Alla luce delle conclusioni tratte nella relazione di consulenza tecnica e analizzando il bilancio ufficiale 2006 della società F.C. Messina Peloro s.r.l. si evince, a dire dell’organo inquirente federale, che l’elisione dal conto economico della plusvalenza di euro 7.985.880 avrebbe determinato una perdita d’esercizio di euro 5.463.904 (contro un utile di euro 2.521.976) e la riduzione del patrimonio netto da euro 8.206.991 ad euro 2.743.087. Ed in tal ottica, si evidenziava, nel deferimento, come i consulenti tecnici abbiano concluso la loro relazione sottolineando la responsabilità dell’organo amministrativo della società F.C. Messina Peloro s.r.l. ed evidenziando come “la società fallita per un verso e la partecipata per altro verso, si siano rese responsabili, mediante i loro organi sociali, di gravi illeciti, come dettagliatamente descritti, quali la distrazione di beni aziendali, il falso in bilancio, l’inattendibilità contabile e quant’altro esposto. Detti illeciti non possono che essere attribuiti alla responsabilità dei componenti degli organi amministrativi che si sono succeduti nei vari periodi di riferimento a cui aggiungere le responsabilità gravanti su tutti gli altri soggetti che comunque, in uguali periodi, hanno condiviso formalmente le scelte di gestione delle società”». In relazione al provvedimento del GIP del Tribunale di Messina datato 11 novembre 2010, anch’esso già sopra citato, nell’atto di deferimento si evidenziava come con lo stesso predetto decreto è stata rinviata a giudizio «la società Mondo Messina Service s.r.l., in persona del legale rappresentante sig. Enzo Barilà, in relazione alle fattispecie previste dall’art. 5 e dall’art. 25 ter del d.lgs. n. 231/2001, con riferimento all’art. 2621 c.c. e in merito alle condotte poste in atto dal sig. Vincenzo Franza, nella qualità di legale rappresentante e di presidente del consiglio di amministrazione della medesima società e nell’interesse di quest’ultima, per non aver il sodalizio predisposto, prima della commissione dei fatti, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quelli verificatisi e, comunque, per non aver adeguatamente vigilato sull’osservanza di un ipotetico modello organizzativo predisposto al fine di prevenire la commissione di reati». Sulla base di queste considerazioni e della documentazione acquisita agli atti (segnatamente, i prima ricordati decreti di rinvio a giudizio del GIP del Tribunale di Messina e la documentazione allegata ai relativi procedimenti penali) la Procura Federale riteneva che i sigg.ri Vincenzo Franza, Pietro Franza e Francesco Cambria avessero posto in essere «comportamenti a danno della società F.C. Messina Peloro s.r.l., dagli stessi amministrata, concretizzatisi, i più gravi, in atti di distrazione di beni facenti parte del patrimonio della società, che versava già in gravi difficoltà, così privandola di consistenti risorse economiche, e nella rappresentazione non veritiera della realtà contabile, così contravvenendo ai principi di lealtà, correttezza e probità sanciti dall’art. 1, comma 1, del C.G.S.». Riteneva, altresì, che «i componenti del collegio sindacale dell’F.C. Messina Peloro s.r.l., signori Domenico Santamaura (presidente), Carmelo Cutrì (sindaco effettivo) e Stefano Galletti (sindaco effettivo), con i loro comportamenti omissivi, non adempiendo ai doveri di vigilanza e non esercitando i poteri di controllo loro ascritti, hanno concorso con i signori Pietro Franza e Vincenzo Franza a privare la società, che già versava in gravi difficoltà, di importanti risorse economiche attraverso una serie di operazioni compiute dai signori Franza di distrazione di ingenti somme dal patrimonio sociale, contravvenendo ai principi di lealtà, correttezza e probità sanciti dall’art. 1, comma 1, C.G.S.». Ritenuto, infine, che le condotte in esame nel presente procedimento «hanno una loro autonoma rilevanza disciplinare, che esclude la concorrente rilevanza di precedenti pronunce, trattandosi di fatti naturalisticamente diversi e giuridicamente eterogenei (sul punto CDN C.U. n. 75 del 11.3.2012)», con provvedimento del 17 aprile 2013, il Procuratore federale ha deferito innanzi alla C.D.N.: - Pietro Franza, per la violazione dell’art. 1, comma 1, del CGS, per aver posto in essere – in qualità di (a) procuratore speciale con tutti i poteri dal 31 luglio 2002 e sino alla sentenza dichiarativa di fallimento, (b) presidente del consiglio di amministrazione dal 31 ottobre 2003 al 1 agosto 2008, (c) amministratore delegato dal 13 gennaio 2003 al 1 agosto 2008 e di consigliere dal 1 agosto 2008 e sino alla sentenza dichiarativa di fallimento della società F.C. Messina Peloro Srl – condotte in danno della società consistite, principalmente, in (i) attività distrattive, di varia natura, e comunque attività dannose per l’integrità del patrimonio sociale (ii) indebita restituzione di conferimenti effettuati dai soci a titolo di aumento di capitale, (iii) falsità del bilancio al 31.12.2005. - Vincenzo Franza, per la violazione dell’art. 1, comma 1, CGS, per aver posto in essere – in qualità di (a) procuratore speciale con tutti i poteri dal 31 luglio 2002 e sino alla sentenza dichiarativa di fallimento, (b) vice presidente del consiglio di amministrazione dal 31 ottobre 2003 al 1 agosto 2008, (c) amministratore delegato dal 13 gennaio 2003 al 5 aprile 2004 e dal 5 aprile 2004 al 1 agosto 2008, (d) presidente del consiglio di amministrazione dal 1 agosto 2008 e sino alla sentenza dichiarativa di fallimento della società F.C. Messina Peloro Srl – condotte in danno del patrimonio della società consistite principalmente in (i) attività distrattive, di varia natura, e comunque attività dannose per l’integrità del patrimonio sociale (ii) indebita restituzione di conferimenti effettuati dai soci a titolo di aumento di capitale, (iii) falsità del bilancio al 31.12.2005, (iv) indebita compensazione - in violazione della “par condicio creditorum” - tra crediti nei confronti dei soci per versamenti in conto capitale e corrispondenti debiti nei confronti dei medesimi (v) falsità del bilancio al 31.12.2006. - Francesco Cambria, per la violazione dell’art. 1, comma 1, del CGS, per aver posto in essere – in qualità di amministratore delegato della F.C. Messina Peloro Srl dal 1 agosto 2008 sino alla sentenza dichiarativa di fallimento – una indebita compensazione – in violazione della “par condicio creditorum” - tra crediti nei confronti dei soci per versamenti in conto capitale e corrispondenti debiti nei confronti dei medesimi. - Domenico Santamaura, Carmelo Cutrì e Stefano Galletti, per la violazione dell’art. 1, comma 1, CGS, per aver omesso – in qualità, rispettivamente, di presidente (Domenico Santamaura) e membri (Cutrì e Galletti) del collegio sindacale della F.C. Messina Peloro Srl – di esercitare i doveri di vigilanza e i poteri ispettivi a loro assegnati su alcune operazioni poste in essere dagli amministratori, così concorrendo con costoro nelle attività distrattive poste in essere in danno del patrimonio sociale. Innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale i deferiti si sono costituiti nel procedimento – con l’assistenza del dott. Antonio Morgante e dell’Avv. Andrea Galli – con unica memoria difensiva del 25.5.2013, contestando gli addebiti loro mossi. Con l’ampia e articolata comparsa difensiva depositata gli incolpati chiedevano accertarsi, in via preliminare, l’inammissibilità e/o improcedibilità del deferimento – anche alla luce dei criteri interpretativi forniti dalla Corte Federale con parere del 28.06.2007 – nei confronti dei Sig.ri Pietro Franza, Vincenzo Franza e Francesco Cambria, per violazione del principio del “ne bis in idem”, conseguente alla sussistenza di anteriore decisione emessa dalla stessa CDN all’esito di precedente deferimento della Procura per violazione degli art. 21.2 e 21.3 (C.U. n. 37/CDN del 9.12.2010). Tale eccezione veniva basata, in particolare, sulla coincidenza letterale di talune proposizioni presenti in entrambi i deferimenti, nonché sulla circostanza che la prima decisione – in aderenza al principio fissato dalla Corte Federale (CU 21/Cf 28.06.2007) in ordine alla necessità, ai fini della irrogazione delle sanzioni previste dall’art. 21.3. NOIF, dell’accertamento di profili di colpa dell’amministratore, con conseguente esclusione di ogni automatismo – avrebbe già esaminato e valutato tutte le condotte ora oggetto dell’odierno procedimento e che, dunque, si differenzierebbero dalle prime soltanto in funzione della loro nuova “qualificazione giuridica”, mutuata dal provvedimento di rinvio a giudizio del processo penale. Sempre in via preliminare, chiedevano, poi, gli incolpati, dichiararsi la nullità e/o inammissibilità e/o improcedibilità del deferimento per eccessiva genericità degli addebiti contestati, ovvero per inconferenza e/o erroneità del richiamo all’art. 1, comma 1, CGS, quale norma asseritamente violata. Gli incolpati instavano poi, in via preliminare di merito, per la dichiarazione di prescrizione di parte delle condotte contestate e, in via interinale di merito, per la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale attualmente in corso a carico dei deferiti, anche in funzione di quanto previsto dall’art. 22 bis delle NOIF. Quanto all’eccezione di prescrizione in ordine ai capi di imputazione, con esclusione – con riferimento al paragrafo p) del deferimento - del capo B (condotte distrattive pacificamente conclusesi nel dicembre 2006) contestato agli incolpati Pietro e Vincenzo Franza e ai componenti del collegio sindacale, dei capi E-F- (illecite compensazioni in violazione della “par condicio” in favore del socio Co.fi.mer s.p.a. operate nell’anno 2008) contestate a Vincenzo Franza e Francesco Cambria, del capo G (falsità del bilancio 31.12.2006) contestato a Vincenzo Franza e Francesco Cambria), e del capo di cui al paragrafo r del deferimento (violazione del D.lgs. 231/01 compiuta nel 2007) contestata a Vincenzo Franza, gli incolpati sostenevano che tutte le contestazioni relative a fatti intervenuti anteriormente al 30.06.2006 sarebbero estinte per prescrizione essendo trascorso, rispetto ai relativi comportamenti, il termine massimo della sesta stagione successiva (30.06.2012). Si tratterebbe, infatti, a dire della difesa, di condotte – sempre eterogenee – compiute in epoca anteriore, se pur di pochi giorni, al 30.06.2006: falso in bilancio 2005, indebita restituzione in denaro e indebite compensazioni compiute in violazione della par condicio creditorum. Nel merito, infine, la difesa chiedeva il proscioglimento di tutti i deferiti per la insussistenza delle violazioni agli stessi ascritte. Alla riunione fissata dalla CDN la Procura Federale insisteva per l’affermazione della responsabilità di tutti i deferiti, richiedendo l’applicazione delle seguenti sanzioni: - Pietro Franza: inibizione di anni 5 (cinque) con preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; - Vincenzo Franza: inibizione di anni 5 (cinque) con preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; - Francesco Cambria: inibizione di anni 4 (quattro) oltre all’ammenda di € 40.000,00; - Domenico Santamaura: inibizione di mesi 18 (diciotto) oltre all’ammenda di € 10.000,00; - Carmelo Cutrì: inibizione di mesi 18 (diciotto) oltre all’ammenda di € 10.000,00; - Stefano Galletti: inibizione di mesi 18 (diciotto) oltre all’ammenda di € 10.000,00; L’Avv. Andrea Galli ha ribadito e illustrato le proprie deduzioni difensive, insistendo per il proscioglimento di tutti i deferiti. La Commissione Disciplinare Nazionale riteneva fondato il deferimento nei termini di cui in motivazione. In relazione alla violazione del principio ne bis in idem, premetteva la CDN come l’Ordinamento sportivo – per quanto autonomo, e indipendente –, in assenza di norme specifiche, debba tener conto dei principi fissati dalle norme dello Stato e della relativa interpretazione fornitane dalla giurisprudenza, e non può, soprattutto, contravvenire ai principi fondamentali introdotti dalla Costituzione Italiana e dalla Comunità Europea. Riteneva, cioè, la CDN che la «interpretazione delle norme esistenti, la risoluzione di questioni che non trovano in esse compiuta regolamentazione, e ogni altra incertezza applicativa deve, insomma, essere preferenzialmente risolta sulla base dei principi dell’ordinamento sportivo latamente inteso (normative federali - normative sportive internazionali e nazionali – normativa statuale di settore), ma mantenendo - come riferimento interpretativo finale - gli istituti principi e le norme ordinarie, che certamente consentono la più corretta risoluzione di questioni che – se pur insorte all’interno e nelle dinamiche di un ordinamento particolare – sono, tuttavia, sempre riferibili a rapporti, regole generali e consuetudini radicati nel Pese, e, dunque, influenzati dalle normative nazionali che normalmente li regolano». In forza di tali considerazioni, e del fatto che «appare consono anche al generale principio di rapidità della giustizia fissato all’art. 4.7 dei Principi di Giustizia Sportiva stabiliti dal consiglio nazionale del CONI», riteneva la CDN che «il principio del “ne bis in idem” – con tutti i suoi elementi caratterizzanti – in quanto previsto sia dalla normativa statuale, che, soprattutto, da quella europea trova, dunque, immediato ingresso e diretta applicazione anche all’interno degli ordinamenti sportivi». Evidenziava, poi, la CDN come «la vincolante applicazione del divieto di “bis in idem”» sia stata, peraltro, «espressamente ribadita, con decisione recente, dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva – la quale, tuttavia, non ha mancato di tornare a tracciare il corretto confine tra il divieto di un nuovo processo sugli stessi fatti, e la non estensibilità della preclusione del già deciso a fatti che, invece, necessitano e meritano una valutazione e una decisione sino a quel momento non intervenute: “…il divieto non può applicarsi quando vi sia una previsione normativa di possibilità di separazioni di questioni derivanti da pregiudizialità necessaria o da possibilità di distinzioni e separazione di oggetti delle pronunce per esigenze di economia processuale… In altri termini assume rilevanza, per applicare o meno il ne bis in idem, non tanto che il giudizio verta solo sullo stesso rapporto o sulla medesima causa petendi, ma che la res giudicanda – o una sua parte – intesa anche come questione o domanda (a seconda del tipo di procedimento) sia enucleabile (in base a normativa unitaria e non stratificazione di interventi punitivi) e sia rimasta da decidere, perché non poteva o non doveva essere ricompresa nel thema decidendum del primo giudizio, in modo da essere giuridicamente (conformemente a previsione normativa) e logicamente compatibile e non sovrapponibile con la precedente procedura e decisione” (Alta Corte di Giustizia Sportiva 11.05.2012 n. 7)». Da ultimo, sul punto, alla CDN appariva doveroso sottolineare come la peculiarità dell’ordinamento sportivo imponga – «allorquando si tratti di fattispecie di particolare gravità soprattutto sul piano etico – di far ricorso a una valutazione comparativa» tra le esigenze pratiche «che concorrono a fondare il divieto di “bis in idem” e gli elementi fondanti di lealtà e correttezza che informano, dalla radice, l’ordinamento sportivo». Passando alla specifica questione di merito oggetto del presente procedimento reputava la CDN che, in ordine alla «configurabilità del divieto di “bis in idem” nelle fattispecie processuali relative a fatti, configuranti il reato di bancarotta fraudolenta», si debba considerare come «le Sezioni Unite della Cassazione siano, di recente, nuovamente intervenute per confermare il precedente e prevalente orientamento giusta il quale è possibile che un soggetto sia sottoposto, in caso di fallimento, a successivi processi per bancarotta, senza che la pendenza di quelli precedentemente instaurati ovvero anche l’intervento di sentenze irrevocabili possa costituire preclusione. Tale affermazione trova fondamento nella circostanza che i reati di bancarotta, e lo stesso specifico reato di bancarotta fraudolenta costituiscono illeciti commissibili con le più svariate e diverse condotte – spesso tra esse del tutto fungibili – si che ciò che rileva ai fini del giudicato preclusivo non è il “generale” reato oggetto del primo processo, ma, unicamente, gli specifici fatti che in esso risultano specificatamente contestati e accertati (“La bancarotta fraudolenta patrimoniale, quella fraudolenta documentale, quella preferenziale, le plurime e diverse ipotesi di bancarotta semplice, la bancarotta prefallimentare e quella post-fallimentare si concretizzano attraverso condotte diverse, determinano eventi diversi, hanno gradi di offensività non omologhi, sono sanzionate in modo differenziato, non tutte coincidono come tempo e luogo di consumazione (la bancarotta pre-fallimentare si consuma nel momento e nel luogo in cui interviene la sentenza di fallimento, mentre la consumazione di quella post-fallimentare si attua nel tempo e nel luogo in cui vengono posti in essere i fatti tipici) …più condotte tipiche di bancarotta poste in essere nell’ambito di uno stesso fallimento mantengono la propria autonomia ontologica e danno luogo a un concorso di reati, che vengono unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico …“deve escludersi, con riferimento a condotte di bancarotta ancora sub iudice, la preclusione dell’eventuale giudicato intervenuto su altre e distinte condotte di bancarotta relative alla stessa procedura concorsuale” (Cass. Pen. Sez. Un. 27.01.2011 n. 21039)». Orbene, ciò preliminarmente osservato la CDN ha ritenuto priva di fondamento l’eccezione a tal riguardo formulata dalla difesa relativamente ai sigg.ri Franza Vincenzo, Franza Pietro e Cambria. Peraltro, aggiungeva la CDN, tale eccezione non trova «fondamento nemmeno nel “titolo” della incolpazione: l’odierno deferimento è compiuto, infatti, ex art. 1.1. CGS mentre l’asserita preclusione consegue a un procedimento avente a oggetto la sola fattispecie prevista all’art. 21.3. NOIF». Si deve, peraltro, osservare, proseguiva la CDN, «come – giusta quanto più sopra illustrato in ordine alla natura sostanziale di questa preclusione e, più precisamente, al fatto che essa trae origine esclusiva dalla eventuale identità degli specifici fatti contestati e accertati risultando sostanzialmente irrilevante il titolo giuridico della imputazione e della condanna – nella specie la situazione non sarebbe di certo mutata anche se la Procura avesse di fondare l’odierno deferimento sempre sul medesimo art. 21.3. NOIF. Ove cioè la Procura avesse ritenuto che l’art. 21.3. NOIF costituisca una sorta di norma generale, “contenitore”, di molteplice condotte e corrispondenti indebiti – analoga alle norme che regolano le ipotesi delittuose di bancarotta, che si caratterizzano per la previsione di molteplici e autonome condotte, tutte idonee a integrare, anche singolarmente, la consumazione del reato (fermo l’eventuale intervento, “quoad penam” della particolare riduzione di pena conseguente alla c.d. “continuazione fallimentare”) – ma di contenuto ancora più generico e, dunque, più ampio, volto a sanzionare tutti i comportamenti indebiti degli amministratori che siano stati commessi in occasione di un fallimento (da quelli meno gravi, meramente colposi, a quelli dolosi di estrema gravità) e che, dunque – analogamente a quanto accade al sistema penale - la stessa norma possa essere posta a fondamento di successivi procedimenti aventi ad oggetto fatti diversi sotto il profilo temporale oggettivo e di gravità e, dunque, operato un odierno deferimento a questo stesso titolo, - non si sarebbe comunque dato vita ad alcuna “identità”, suscettibile di essere oggetto del divieto di “bis in idem”». La circostanza dirimente, secondo la CDN, «è infatti costituita dalla indispensabile identità dei fatti, e non dei titoli giuridici ad essi ascritti, che nella specie è radicalmente assolutamente da escludere. Dall’esame del primo procedimento emerge, invero, come sia il deferimento che la conseguente condanna abbiano avuto unicamente ad oggetto una sommaria valutazione del disordine gestionale che aveva condotto la Società al fallimento e lo specifico accertamento dei ruoli formali e sostanziali ricoperti, nel tempo, dagli incolpati al fine di poter motivatamente addebitare ad essi le rispettive responsabilità. […] Non solo, dunque, le odierne fattispecie non sono mai state contestate e accertate ma, a ben vedere, non era nemmeno possibile farlo (si che sembra ricorrere anche la specifica fattispecie semplificativa dell’Alta Corte più sopra rammentata: “…non doveva o non poteva essere ricompresa nel thema decidendum del processo …”». Prive di pregio, poi, la CDN riteneva le ulteriori eccezioni di nullità, inammissibilità o improcedibilità del provvedimento di deferimento per eccessiva genericità degli addebiti, ovvero per inconferenza o erroneità del richiamo all’art. 1, comma 1, CGS come norma asseritamente violata. Queste le motivazioni di tale decisione. «La Procura, invero – prima tracciando un quadro dettagliato in ordine alle cariche sociali assunte nei singoli periodi, da ciascuno degli incolpati, e, quindi, utilizzando integralmente il contenuto del dettagliato decreto di rinvio a giudizio emesso dal GIP di Messina (il relativo richiamo testuale non costituisce, dunque, un vizio, ma quanto una prudente cautela adottata proprio al fine di rendere un quadro di contestazione esauriente e specifico) – ha contestato con assoluta precisione tutte le condotte e i fatti oggetto della incolpazione. In ordine, invece, alla contestazione giusta la quale il deferimento compiuto ai sensi dell’art. 1.1. CGS sarebbe inammissibile in quanto fondato su una norma avente natura residuale, in spregio alla esistenza della norma dell’ordinamento (art. 21.3 NOIF) che specificatamente regolerebbe i fatti contestati, e solo in forza della quale si sarebbe potuto dare origine un valido deferimento, essa appare priva di fondamento, sotto più profili. Anzitutto, devesi osservare come il richiamato articolo 21.3 NOIF. – anche successivamente all’intervento interpretativo della Corte Federale (28.06.2007 C.U. n. 21 C/F) che ha ribadito la natura non meramente automatica della sanzione ivi prevista a seguito del fallimento – pur estendendo la propria sfera di applicazione anche a condotte non influenti nella determinazione del dissesto e, in questo quadro, ai “comportamenti scorretti sotto il profilo sportivo” – con ciò attribuendo alla dichiarazione di fallimento la natura di mera condizione di punibilità e non di elemento costitutivo dell’illecito – ha conservato, e, anzi, confermato il proprio contenuto sanzionatorio rivolto a punire, in caso di fallimento, i comportamenti colposi degli amministratori - in quanto tali, e non in quanto necessariamente causativi del dissesto – e, in generale, anche comportamenti di maggiore gravità, senza, tuttavia, ricomprendere nella propria elementare previsione i più gravi comportamenti che integrano, sul piano penale, il reato di bancarotta. Dalla precisazione che precede discende che i fatti ora contestati - a seguito delle risultanze delle indagini penali - concernenti condotte dolose di particolare gravità, che hanno concorso alla causazione del fallimento, o ne hanno, comunque, aggravate le conseguenze si pongono al di fuori e al di là della semplice previsione di cui all’art. 21.3. NOIF volta a generalmente sanzionare, in caso di fallimento, tutti i comportamenti posti in essere dagli amministratori, anche solo sotto il profilo della scorrettezza sportiva. Tali gravissimi fatti - non essendo oggetto di alcun’altra previsione normativa – possono, e debbono, dunque, essere contestati ai sensi dell’art. 1.1 CGS, che ricomprende tutti – senza eccezione alcuna - i comportamenti contrari ai principi di lealtà e probità, compresi quelli di particolare gravità configuranti il reato di bancarotta fraudolenta». Da ultimo la CDN osservava come – anche a voler ritenere la fondatezza della tesi degli incolpati, in ordine, alla astratta ricomprensione dei fatti contestati, nella previsione normativa di cui all’art. 21.3 NOIF – e anche laddove, dunque, «si avesse a ritenere che l’art. 21.3 NOIF preveda e punisca anche fatti diversi e assai più gravi dei meri “comportamenti colposi” dei quali gli amministratori delle società fallite si siano resi responsabili - in ogni campo delle proprie attività e anche senza effetti causativi del dissesto, così ricomprendendo e sanzionando anche le condotte dolose di bancarotta fraudolenta, nessun rilievo di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e, dunque, ostativo di una pronuncia di condanna potrebbe essere legittimamente avanzato in forza della assenza, nel capo di imputazione, di una formale contestazione della violazione della norma in esame. La violazione del principio di corrispondenza tra la fattispecie contestata e quella posta a fondamento della condanna si ravvisa, infatti, solo allorché “il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, nel senso che risultano variati o trasformati gli elementi costitutivi dell’ipotesi di reato descritta nel capo di imputazione, e non già quando gli elementi essenziali che caratterizzano la qualificazione giuridica del fatto sono rimasti invariati” (Cass. pen. sez. VI, 20.02.2003), nonché allorquando “la modifica dell’imputazione pregiudichi le possibilità di difesa dell’imputato” (Cass. pen. sez. III, 14.06.2011 n. 36817). Nella specie i fatti ancorché ritenuti sanzionabili unicamente ai sensi dell’art. 21.3 NOIF, non risulterebbero in alcun modo modificati da tale diversa qualificazione, con conseguente impossibilità di una qualche, anche minima, violazione dei diritti di difesa degli incolpati, i quali, peraltro - a conferma della conservata piena integrità, in fatto, dei propri diritti difensivi - non hanno mancato di espressamente difendersi anche con riferimento allo specifico merito previsto dall’art. 21.3 NOIF». Ad avviso della CDN anche l’eccezione di prescrizione è priva di ogni fondamento per le seguenti ragioni. «E’ pacifico che la prescrizione dei reati fallimentari decorre unicamente dal momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento. Che tale dichiarazione sia considerata elemento costitutivo di tali reati, ovvero semplice condizione obiettiva di punibilità, il risultato, sul piano prescrizionale, non muta ed è incontroverso: la prescrizione non può che decorrere dal momento in cui il reato risulta effettivamente integrato, in tutti i suoi elementi e, comunque, punibile. Anche la prescrizione dell’illecito “colposo” e, generico, prevista all’art. 21.3. delle NOIF decorre dal fallimento che – al di là della sua qualificazione giuridica – costituisce in concreto l’elemento che, secondo la richiamata norma, rende specificatamente (e più gravemente) punibili tutti i comportamenti che - solitamente, o occasionalmente – ruotano attorno alla fattispecie fallimentare, taluni dei quali, peraltro, irrilevanti, o comunque non punibili, in difetto di successiva effettiva decozione formale (p.es. il pagamento eseguito in violazione della “par condicio” che non costituisce indebito e ove l’impresa non sia dichiarata fallita). Tale decorrenza è, invero, pacifica non solo in considerazione di quanto stabilito per le violazioni analoghe nell’ordinamento penale di riferimento (reati di bancarotta), ma anche dei principi e della logica, - che non consentono certo che la prescrizione possa maturare allorché la azione necessaria alla sua interruzione non possa essere comunque intrapresa - e risulta invero confermata anche da questa Commissione in precedenti decisioni. E’ evidente, a questo punto, che la prescrizione dei comportamenti di bancarotta fraudolenta - specificatamente contestati in questa sede sportiva attraverso la trascrizione, nel deferimento – dei relativi capi di imputazione penale - non può che decorrere dal momento in cui viene ad esistenza l’elemento costitutivo (o condizione) di questo genere di illeciti. A pensarla diversamente - oltre a violare i principi generali e la logica - si perverrebbe al paradosso per il quale i gravi comportamenti dolosi qui contestati, “congiuntamente” al fallimento, e in rapporto causativo o, comunque, “aggravativo” del medesimo ex art. 1.1. CGS, sarebbero soggetti a una prescrizione più breve di quella che attiene ai meno gravi comportamenti meramente colposi rilevati in occasione del fallimento, previsti all’art. 21.3 CGS delle NOIF. A corollario della considerazione che precede – in funzione generalmente confermativa della correttezza della relativa prospettazione – devesi osservare come, ove si avesse a ritenere che i più gravi fatti di cui è processo avrebbero dovuto essere oggetto di un nuovo deferimento ex art. 21.3 ammissibile in funzione della assoluta diversità e della novità dei fatti contestati rispetto a quelli già oggetto di giudizio - la questione della prescrizione non sarebbe nemmeno prospettabile, considerata la sua pacifica decorrenza a far data dalla sentenza di fallimento. La prescrizione degli indebiti contestati, dunque, non può che decorrere dalla dichiarazione di fallimento del Messina, intervenuta in data 21.11.2008, con conseguente compimento del relativo termine al 30.06.2015». Evidenziava, ancora, la CDN come i reati di bancarotta siano unificati - anche in forza di specifica previsione normativa (art. 219 LF) - dal vincolo della continuazione e dalla conseguente riduzione di pena (cd. “continuazione fallimentare”). «Costituisce principio di diritto comune e consolidato», proseguiva la CDN, «che la prescrizione decorra – sia nel reato permanente, che in quello continuato - dall’ultima condotta di reato ricollegabile al medesimo disegno criminoso». Con specifico riferimento all’ordinamento sportivo, la CDN richiama i principi informatori dello stesso, e, quindi, l’esigenza che «ogni scelta interpretativa e applicativa della norma sia orientata alla ricerca, al mantenimento e alla riaffermazione e alla difesa dei più alti valori umani, etici e sociali. In questo quadro – al cospetto di fatti indubbiamente gravi, sia in generale, che per il corretto svolgimento e la diffusione delle attività sportive – appare logico e dovuto ricorrere a una applicazione normativa volta a correttamente circoscrivere le ipotesi in cui il trascorrere del tempo, di per se considerato, e, quindi, in difetto di comportamenti di segno opposto consenta a soggetti resisi responsabili di gravi irregolarità di sfuggire ogni sanzione, e di permanere, senza soluzione di continuità o altre limitazioni, all’interno dell’ordinamento sportivo. Prediligere tale interpretazione orientata non significa non applicare rigorosamente le norme sulla prescrizione anche nel loro versante favorevole agli incolpati, tenendo conto, in caso di comportamenti indebiti di non grande rilievo, ovvero di fatti con riferimento ai quali i mezzi di difesa processuali tendono, nel tempo, a perdere la propria capacità ed efficacia (come tutte le fattispecie nelle quali l’impianto probatorio è unicamente orale e testimoniale) della necessità di considerare la inopportunità del loro perseguimento a distanza di tempo rilevante; ma coniugare – sempre nel rispetto di norme e principi – le esigenze sottese alla prescrizione con quelle generale del nostro ordinamento. In conclusione – e in via subordinata a quanto più sopra dedotto, ma egualmente risolutiva della eccezione avanzata – si ritiene che la prescrizione di tutti gli illeciti contestati non possa che decorrere dall’ultima condotta – le indebite compensazioni operate in sede di aumento di capitale nell’anno 2008 (capi C e D del paragrafo p) del deferimento) – che ha costituito espressione della unitarietà del disegno ad esse sotteso, con conseguente compimento della eventuale prescrizione al 30.6.2015». Quanto alla contestata falsità dei bilanci 2005 e 2006 (capi D e G del paragrafo p) del deferimento), la stessa integra, ritiene la CDN, «con tutta evidenza – e “per difetto” - l’ illecito amministrativo previsto all’art. 8.1 CGS in caso di false comunicazioni agli enti federali. Il termine di prescrizione per i relativi singoli illeciti – in tal guisa autonomamente e “riduttivamente” considerati - si compie – all’esito della intervenuta interruzione, e, dunque, ex art.25.1 b) e 25.2 - al termine della nona ( 6+3) stagione successiva a quella nella quale risulta commesso il fatto. Fermo quanto precede, è anche qui evidente come sarebbe illogico e paradossale, e, dunque, non consentito, che tale illecito amministrativo “semplice” - pur aggravato” dal fallimento, e dalla circostanza di risultare inserito in una serie di condotte di pari o maggiore gravità che hanno determinato il dissesto, e pur contestato in tale più ampia e grave caratterizzazione – possa prescriversi in un termine più breve di quello previsto per l’illecito-base”, senza, dunque, conservare il proprio naturale termine di estinzione, e senza restare ancorato, quanto alla decorrenza del medesimo, alla sentenza dichiarativa del fallimento». Quanto all’istanza di sospensione, la CDN riteneva la stessa inammissibile, alla luce del ricordato principio di autonomia dell’ordinamento sportivo e, comunque, infondata sul piano concreto, anche in considerazione della «sostanziale ammissione da parte degli incolpati della materialità dei fatti a essi ascritti consente di ritenere che la istruttoria sin qui svolta sia esaustiva e non necessiti di ulteriori accertamenti». In relazione al merito vero e proprio della vicenda che ci occupa, la CDN, premesso che «gli incolpati non negano, invero - nella loro materialità - i fatti e le condotte a essi ascritte», osservava come gli stessi hanno fondato le comuni difese su due cardini fondamentali: la ravvisabilità, in questo fallimento, di circostanze del tutto particolari individuate nel fatto che il fallimento del Messina è avvenuto su istanza della Procura della Repubblica, nella successiva “chiusura del fallimento” attraverso lo strumento del concordato, nel pagamento in tale sede di tutti i creditori tributari privilegiati e del 42% di quelli chirografari; il contenuto della relazione resa dal consulente (Dott. Cacopardo) nominato dal GIP di Messina – il quale ultimo, poi, ne ha, invero, del tutto disatteso le risultanze – che, in via generale, afferma la ascrivibilità del dissesto della Società a fattori esterni, e la sostanziale regolarità in tutte le operazioni contestate agli amministratori. Entrambi tali elementi – oltre che inappropriatamente generici rispetto alla specificità delle incolpazioni – sono privi di consistenza». Irrilevante, anzitutto, il fatto che il fallimento sia stato dichiarato sulla base dell’iniziativa del P.M. Peraltro, la dichiarazione di fallimento è stata anche confermata (cfr. Cassazione, sez. I 27.04.2011 n. 9260), dal che si trae conferma dell’effettiva sussistenza dei relativi presupposti di legge. Del pari irrilevante, secondo la CDN, «la dedotta definizione concordataria, che non genera alcun effetto estintivo e/o riabilitativo, e che soddisfa esigenze meramente commerciali e pratiche. A ciò si aggiunge la circostanza che gli incolpati – dato atto delle percentuali di pagamento dei creditori privilegiati – nulla deducono in ordine agli effetti di questo concordato sul resto – economicamente e socialmente non trascurabile - della platea dei creditori». Quanto alla predetta relazione invocata dagli incolpati, rilevava, preliminarmente, la CDN come la stessa risulti «assolutamente atipica, in quanto prodiga di numerosissime considerazioni giuridiche in odine alla validità e correttezza delle operazioni esaminate, e, in generale, dell’andamento societario, che, oltre a certamente non competere al consulente, destano obiettive perplessità, allorché, ad esempio, si giunge a sostenere che il reato di bancarotta resterebbe escluso allorché le relative operazioni distrattive avvengano tra Società del medesimo gruppo, ovvero risulta omessa ogni valutazione in ordine alla sostanza, più che evidente, di talune operazioni palesemente incongrue, per poi concludere che si tratta di un quadro “verosimilmente aderente a tutte le realtà societarie che appartengono al settore calcistico. Inoltre essa non investe specificatamente molti degli addebiti contestati, che, dunque, rimangano, in buona sostanza, ammessi nei fatti, e privi di difesa, in diritto. La CDN, procedeva, poi alla specifica disamina della fondatezza delle singole incolpazioni di cui all’atto di deferimento, precisando di aderire al titolo formale della incolpazione contestata dalla Procura Federale, in forza del ricorso alla «norma residuale, quanto generale e fondamentale»,- di cui all’art. 1, comma 1, CGS, attesa «l’inidoneità allo scopo delle astratte fattispecie di cui all’art. 21.3 delle N.O.I.F, in quanto concernente ipotesi punite a titolo di colpa, e, comunque, meno gravi di quelle che ricomprendano anche comportamenti idonei a configurare, sul piano penale, il reato di bancarotta, e all’art. 8 CGS, che sanziona le comunicazioni inveritiere agli enti federali di per sé considerate, e non la più grave fattispecie che interviene ove tali comunicazioni integrino una fattispecie di reato, e si inseriscano, unitamente ad altre condotte, nel quadro di comportamenti che hanno provocato un fallimento, e/o ne hanno aggravato le conseguenze». Peraltro, ribadiva la CDN, «se non si fosse aderito a questa costruzione, ritenendo che i fatti contestati potessero essere ricompresi, nella loro interezza e complessità, nelle richiamate fattispecie più specifiche – le conclusioni sanzionatorie non sarebbero mutate, né avrebbero trovato ostacolo nella modifica formale del capo di imputazione: gli accertamenti svolti hanno, infatti, avuto ad oggetto unicamente i fatti specificatamente contestati, e in relazione ai quali la difesa risulta, anche espressamente, compiuta in considerazione delle richiamate fattispecie più tipiche». Riteneva, poi, la CDN che dai fatti accertati emergeva «un quadro di particolare gravità avuto riguardo alla molteplicità delle condotte, al loro coordinamento, al lungo tempo nel corso del quale esse hanno avuto esecuzione, agli elevati importi cui esse attengono, e, dunque, agli elevati danni che esse hanno determinato». «Quanto alla posizione dei singoli incolpati», proseguiva la CDN, «e alla misura delle sanzioni da applicare, è evidente che i deferiti Pietro e Vincenzo Franza risultano – sia per i ruoli apicali formalmente ricoperti, che per la gestione sostanziale che a essi faceva capo – responsabili di tutte le irregolarità commesse, e del piano generale che a esse era sotteso, e, che, dunque, risulti per essi opportuno disporre, oltre alla inibizione, la sanzione della preclusione di cui all’art. CGS. Francesco Cambria è responsabile, invece, di un’unica condotta, forse la meno grave, e, quindi, considerato anche la precedente sanzione irrogatagli (1 anno di inibizione) – per fatti diversi, ma pur sempre unificabili quoad penam a quelli oggi contestati – la sanzione per esso adeguata appare la inibizione per un anno (che si somma a quella già scontata). Per quanto riguarda i tre sindaci, il carattere colposo, o, comunque, meramente omissivo della condotta a essi contestata induce a ritenere adeguata, anche per essi, la inibizione di un anno». Premessi questi motivi la CDN, «in parziale accoglimento dei deferimenti effettuati dalla Procura Federale – dichiarata la responsabilità, per quanto di ragione, di tutti gli incolpati», infliggeva agli stessi le seguenti sanzioni: - Pietro Franza: inibizione di anni 5 con preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; - Vincenzo Franza: inibizione di anni 5 con preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; - Francesco Cambria: inibizione di anni 1 - Domenico Santamaura: inibizione di anni 1; - Carmelo Cutrì: inibizione di anni 1; - Stefano Galletti: inibizione di anni 1. Avverso la suddetta decisione, con unico ricorso propongono, come rappresentati e difesi, reclamo i sigg.ri Pietro Franza, Vincenzo Franza, Francesco Cambria, Domenico Santamaura, Carmelo Cutrì, Stefano Galletti. Osservano, in linea generale, i reclamanti, «che dalle 18 pagine recanti la motivazione resa dalla CDN emerge una pronuncia contraddistinta da molteplici e ripetute inesattezze e contraddizioni, sia nell’applicazione di principi fondamentali di diritto, che nei richiami a precedenti giurisprudenziali nonché alla normativa endo/eso-federale invocabile. La medesima decisione, inoltre, si spinge sino a criticare aspramente, se non censurare, addirittura anche la stessa relazione peritale redatta dal consulente nominato direttamente dal Giudice per le Indagini preliminari in sede penale. Tali e tanti “singolari” aspetti fanno oggettivamente insorgere nei sottoscritti il dubbio che l’Organo di prime cure abbia quasi ritenuto che il decreto penale di rinvio a giudizio su cui si fonda il deferimento sia un “marchio di automatica e inevitabile certificazione” della colpevolezza degli incolpati nel suo più alto grado, tanto da rendere assolutamente inutile e privo di efficacia ogni tentativo di difesa». Ciò premesso, in reclamo si ribadisce, anzitutto, l’eccezione di nullità o inammissibilità o improcedibilità del deferimento per violazione del principio del ne bis in idem. Criticando, sul punto, la decisione impugnata, osservano, tra l’altro, i reclamanti: «… sembra di capire che secondo la CDN, facendo riferimento alla fattispecie in delibazione, si vorrebbe oggettivamente sostenere che se si omette, per dimenticanza o per altra ragione, di richiedere e/o applicare la sanzione massima – della preclusione da ogni rango Figc – per determinate violazioni, si celebra un nuovo processo sugli stessi fatti prendendo spunto magari da altre circostanze, che tuttavia coincidono perfettamente per condotta, evento e nesso di causalità, e, in barba ai principi imperativi del diritto, costituzionalmente garantiti, si rimedia all’ ”errore” o “dimenticanza” o “omissione” commessi in precedenza […] La CDN pare intenda sostenere che si dovrebbe dare un diverso peso ed una diversa misura all’applicazione del principio del ne bis in idem a secondo della gravità della violazione in esame di volta in volta». I reclamanti ritengono, poi, tanto suggestivo, quanto improprio ed inconferente il riferimento operato dalla CDN alla sentenza della Suprema Corte 27 gennaio 2011, n. 21039. Evidenziano, a tal proposito, come mentre secondo la predetta sentenza «deve escludersi, con riferimento a condotte di bancarotta ancora sub iudice, la preclusione dell’eventuale giudicato intervenuto su altre e distinte condotte di bancarotta relative alla stessa procedura concorsuale», nel caso di specie, tuttavia, «non si sta disquisendo di “altre e distinte condotte di bancarotta”». Aggiungono i reclamanti: «il ragionamento condotto dalla CDN avrebbe potuto avere un senso ed un peso nel caso in cui nel procedimento celebratosi nel 2010 fossero state contestate agli odierni deferiti altre condotte, sempre di distrazione o di altre fattispecie riconducibili alla bancarotta, ma diverse rispetto a quelle odiernamente contestate. Invece, oggi si sta discutendo di condotte assolutamente identiche e coincidenti con quelle già oggetto di disamina e pronuncia nel 2010». Insomma, a dire dei reclamanti, i fatti e soprattutto le contestazioni mosse agli amministratori nel procedimento del 2010 ed in quello odierno, sono i medesimi e non sarebbe vero che il primo deferimento è stato fatto ex art. 21, comma 2 e 3, NOIF, mentre nel presente si contesta l’art. 1, comma 1, CGS, in quanto anche in quello precedente è stata contestata la violazione del predetto art. 1 CGS. Non corrisponderebbe, poi, al vero, secondo la prospettazione difensiva, quanto ritenuto dai giudici di prime cure, secondo cui «dall’esame del primo procedimento emerge, invero, come sia il deferimento che la conseguente condanna abbiano avuto unicamente ad oggetto una sommaria valutazione del disordine gestionale che aveva condotto la società al fallimento». Infatti, nel procedimento ex art. 21 NOIF «le sanzioni irrogabili non conseguono automaticamente al fatto che il soggetto incolpato ricoprisse una carica al momento del fallimento o nel biennio precedente, bensì occorre individuare in maniera specifica e dettagliata, sulla base dei comuni criteri in materia di onere della prova, i singoli atti e le singole condotte che hanno contribuito alla determinazione del dissesto della società». A sostegno della propria tesi la difesa riproduce testualmente vari identici passaggi dei due atti di deferimento (10 ottobre 2010 e 17 aprile 2013), dai quali emergerebbero «similitudini e analogie ... in punto presupposti fondanti le accuse, tali da non lasciare dubbi circa la perfetta coincidenza delle contestazioni mosse nei due procedimenti […] Già nel procedimento disciplinare del 2010, quindi, la Procura federale stessa attribuiva rilevanza, ai fini della configurabilità delle violazioni ascritte con riferimento all’art. 21.2 e 3/Noif, essenzialmente ai concetti di dissesto della società, di comportamenti scorretti anche sotto il profilo sportivo nella gestione della società, di cattiva gestione della società, di dissesto economico patrimoniale della società». In breve, secondo i reclamanti nel presente procedimento vengono contestate le stesse identiche condotte, integranti atti di gestione societaria scorretta, anche sotto il profilo sportivo, che avrebbero provocato il dissesto della società stessa e il conseguente fallimento, «con l’unica differenza che questa volta le condotte vengono identificate in maniera specifica per mezzo dell’individuazione dei reati contestati nel decreto di rinvio a giudizio». La difesa dei reclamanti supporta, poi, la propria tesi confrontando la fattispecie qui in esame con quella del reato complesso, ritenendole sovrapponibili: «La suesposta ipotesi si può trasporre perfettamente nella presente fattispecie, in cui, nel procedimento disciplinare del 2010 la CDN si è pronunciata sul “reato complesso” (rectius: violazione sportiva complessa), inteso come insieme delle condotte che hanno portato al dissesto della società ed al suo fallimento, mentre nel procedimento odierno si pretenderebbe – ingiustamente – di sanzionare i “singoli e autonomi reati” (rectius: singole e autonome violazioni sportive) che facevano già parte del “reato complesso” (rectius: violazione sportiva complessa) già giudicato e sanzionato. In sostanza, nel caso di specie si concretizza proprio la fattispecie delineata dal comma 1 dell’art. 649 cpp, poiché la Procura federale pretende – erroneamente – di considerare il fatto, già giudicato e sanzionato nel 2010, diversamente per il titolo, per il grado o per le circostanze». Conclude, pertanto, sul punto il reclamo con la richiesta di accoglimento della domanda di declaratoria di nullità o inammissibilità o improcedibilità del deferimento proposto nei confronti dei sigg.ri Pietro Franza, Vincenzo Franza e Francesco Cambria. Sempre in via preliminare/pregiudiziale i reclamanti eccepiscono, poi, nullità o inammissibilità o improcedibilità del deferimento per inconferenza o erroneità del richiamo all’art. 1, comma 1, CGS quale norma asseritamente violata. In tal ottica, i reclamanti evidenziano di non aver mai richiamato l’art. 21, comma 3, NOIF, bensì l’art. 22 bis NOIF (“Disposizioni per la onorabilità”). Ricordata, a tal proposito la decisione della CGF secondo cui l’art. 1, comma 1, CGS «per definizione, si applica esclusivamente alle condotte disciplinarmente rilevanti poste in essere dagli appartenenti all’ordinamento federale, qualora le stesse risultino prive di apposito e specifico regime sanzionatorio» (C.U. n. 225/CGF del 30 giugno 2008), e ribadito come tutte le contestazioni siano state effettuate «sulla base del presupposto che tutte le condotte ascritte agli incolpati nel decreto di rinvio a giudizio integrerebbero la violazione dell’art. 223 del R.D. n. 267/1942 in relazione all’art. 216 del medesimo decreto», ritengono, i reclamanti, che «la violazione, al momento solo ipotetica ed eventuale, degli artt. 216 e 223 del R.D. n. 267/1942, tuttavia, trova una specifica e dettagliata disciplina sanzionatoria nell’art. 22-bis/Noif». Con la conseguenza, che la contestazione della violazione dell’art. 1, comma 1, CGS si rivelerebbe inconferente ed inappropriata. In via subordinata, poi, viene reiterata «la richiesta affinché il presente giudizio venga comunque sospeso in attesa dell’esito di quello penale, che attualmente si trova solo ad una fase iniziale». Così come viene ribadita l’eccezione di prescrizione di gran parte degli addebiti. In particolare, secondo i reclamanti, tutte le contestazioni di cui ai paragrafi A, B, C, D, E, F, G, r, del deferimento della Procura Federale, si sarebbero verificate entro il termine della stagione sportiva 2005/2006 (ossia 30 giugno 2006) e, quindi, alla luce dell’art. 18, allora vigente, CGS si sarebbero prescritti al termine della quarta stagione successiva, pur aumentato, ai sensi del comma 3 dello stesso predetto art. 18, di altri due anni (30 giugno 2012). I reclamanti criticano, sotto tale profilo, la decisione della CDN che, muovendo dall’assunto che la prescrizione dei reati fallimentari decorre dal momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento, (nel caso di specie 21.11.2008), ha erroneamente ritenuto che nessuna delle violazioni contestate sarebbe caduta in prescrizione, confondendo, peraltro, i profili di natura disciplinare sportiva con quelli di tipo processual-penalistico. Delle due l’una, dicono i reclamanti: «O si statuisce che il fallimento non costituisce momento determinante e/o influente e/o che non è funzionalmente collegato ai fatti contestati, e si dichiara la intervenuta prescrizione delle violazioni sopra elencate, O si statuisce il contrario, e non si dichiara la prescrizione, ma si dichiara la violazione del principio del ne bis in idem in quanto i fatti contestati si identificano proprio con quelli già sanzionati nel precedente procedimento disciplinare in quanto hanno condotto al fallimento». «Inoltre», proseguono i reclamanti, «se da un lato il decreto di rinvio a giudizio, nell’elencare le singole contestazioni di bancarotta, ne individua la commissione in Messina, il 27 novembre 2008, (cfr. decreto penale di rinvio a giudizio in atti), data del fallimento, altrettanto non risulta dal provvedimento di deferimento, in cui le singole condotte vengono contestate con riferimento al momento in cui le stesse sono state materialmente compiute, con conseguente identificazione della data di decorrenza del dies a quo in tale occasione e non al momento del fallimento». Nel merito, infine, i reclamanti deducono la completa ed assoluta insussistenza delle violazioni contestate. Premettono, sotto tale profilo, i reclamanti che la CDN ha errato laddove ha ritenuto che «gli incolpati non negano, invero – nella loro materialità – i fatti e le condotte a essi ascritte», atteso che «i sottoscritti hanno contestato e negato fermamente, così come tuttora contestano e negano vigorosamente, sia i reati loro ascritti in sede penale che le violazioni loro addebitate in sede sportiva. Censurano, ancora, la CDN nel momento in cui ha ritenuto prive di consistenza la relazione di parte del dott. Morgante e la perizia del dott. Cacopardo, consulente nominato dal GIP di Messina, ricordando che: -la società è stata dichiarata fallita su richiesta della Procura della Repubblica, in assenza di creditori istanti; -la società fallita ha depositato nel mese di maggio 2010 proposta di concordato fallimentare, «con la quale ha garantito il pagamento integrale (al 100%) dei creditori privilegiati ed il pagamento dell’unico creditore chirografario (Regione Siciliana) entro i limiti dell’importo oggetto di transazione fiscale prima e di accollo liberatorio, poi, ottenendo il parere positivo del curatore fallimentare e del comitato dei creditori»; -con decreto 31 luglio 2010 il Tribunale di Messina ha dichiarato aperto il giudizio di omologazione del concordato; -nei termini assegnati i creditori hanno approvato la proposta di estinzione dei debiti; -il 6 aprile 2011 è intervenuta l’omologa; -il concordato prevede il versamento di oltre € 25.000.000; -con i vari pagamenti effettuati è stato saldato anche «tutto il c.d. “debito sportivo”, costituito dagli stipendi degli sportivi professionisti»; -il fallimento è stato chiuso con decreto del Tribunale di Messina del 20 luglio 2011, a seguito dell’omologa del concordato; -«conseguentemente la F.C. Messina Peloro s.r.l. è tornata in bonis». Orbene, erra, secondo la prospettazione della difesa, la CDN laddove ritiene che «la dedotta definizione concordataria … non genera alcun effetto estintivo e/o riabilitativo, e … soddisfa esigenze meramente commerciali e pratiche». Erra nuovamente la CDN, sempre secondo la ricostruzione difensiva, allorché afferma che «gli incolpati – dato atto delle percentuali di pagamento dei creditori privilegiati – nulla deducono in ordine agli effetti di questo concordato sul resto – economicamente e socialmente non trascurabile – della platea dei creditori». Infatti, nello stesso provvedimento di omologazione del concordato si «attesta che, ad eccezione di una parte di credito chirografario della Serit Sicilia (pagato nella percentuale del 42%, oltre al 100% del credito privilegiato compresi interessi) tutti gli altri crediti chirografari sono stati acquistati dalla Co.Fi.Mer. Spa (2° assuntore), ovvero rinunziati». Evidenziano, ancora, i reclamanti come, «nell’ambito del procedimento penale il perito nominato dal G.I.P. del Tribunale di Messina, dott. Cacopardo, ricostruendo le vicende, non ha attribuito agli amministratori responsabilità nel dissesto societario, bensì a fattori esterni», tra i quali vengono menzionati, l’esclusione dal campionato di calcio di serie A (s.s. 2005/06), laddove TAR e Consiglio di Stato hanno, poi, «ripristinato il diritto della società a disputare il campionato di propria pertinenza» e la mancata sottoscrizione dell’accordo procedimentale con il Comune di Messina «che avrebbe garantito lo sfruttamento economico dei diritti di superficie su alcune aree limitrofe agli stadi cittadini». Con riferimento ai singoli capi di incolpazione i reclamanti contestano integralmente le motivazioni rese dalla CDN. E così, ad esempio, relativamente all’operazione di cessione del marchio al prezzo di € 20.000.000 e successiva asserita distrazione di una parte del ricavo, richiamano la consulenza del GIP secondo cui «nulla impedisce che le attività di valorizzazione del marchio, la gestione degli sponsors, la gestione del merchandising, etc… possano essere affidate a società esterne alla società sportiva», evidenziando come si tratti di operazioni in linea con i regolamenti sportivi e che hanno, peraltro, consentito alla F.C. Messina Peloro s.r.l. la realizzazione di significative plusvalenze. Quanto, segnatamente, all’esborso fatto dalla F.C. Messina Peloro s.r.l. in favore della Co.fi.mer s.p.a. per € 5.978.369,00 osservano i reclamanti come lo stesso suddetto consulente del GIP abbia affermato che tale operazione «è servita a costituire una sopravvenienza utile ad incidere positivamente sul capitale di rischio, di tal guisa da evitare un ennesimo ricorso all’assemblea straordinaria per la copertura delle perdite e la ricostituzione del capitale sociale». La perizia del dott. Cacopardo viene anche richiamata per la difesa in relazione all’accusa di indebita iscrizione nel bilancio 2005 dell’intero contributo denominato “paracadute”. Si legge, tra l’altro, evidenziano i reclamanti, nella perizia: «I bilanci delle società in osservazione appaiono redatti in aderenza alla normativa civilistica. Infatti gli stessi forniscono un quadro della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. ….. risultano osservati i principi di redazione di cui all’art. 2423 bis c.c. … lo schema di bilancio risulta adeguato alle modifiche ed integrazioni richieste dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio … Dalla lettura della nota integrativa risultano osservati i criteri di valutazione di cui all’art. 2426 c.c. ed il contenuto della stessa rispetta quanto previsto dall’art. 2427 c.c. Altrettanto dicasi … per la relazione sulla gestione ex art. 2428 c.c. che risulta essere redatta nel pieno rispetto della normativa citata». Secondo i reclamanti, peraltro, alla data di chiusura del bilancio il provento poteva considerarsi realizzato: «il momento della realizzazione, infatti, non è quello in cui avviene la riscossione del provento (nel qual caso l’imputazione avverrebbe sulla base del criterio di cassa e non di competenza), ma quello in cui, secondo ragionevole certezza, matura il diritto alla riscossione in capo alla società». Si evidenzia, in tal ottica, nel reclamo come sulla data (3 marzo 2006) della delibera della Lega Calcio non vi siano dubbi, mentre discutibile «è invece la data della retrocessione, poiché in linea teorica può non coincidere con il completamento del campionato di calcio». In particolare, nel caso di specie, deducono i ricorrenti, il consiglio di amministrazione ha differito di 180 gg., ai sensi dell’art. 23 dello Statuto, il termine per la redazione del bilancio, proposta poi recepita dall’assemblea dei soci del 15.5.2006. Ora, il termine del campionato era previsto per la gara del 14.5.2006, ma già in data 30.4.2006, in occasione della gara con la Reggina, il Messina aveva acquisito la matematica certezza della retrocessione «e, con essa, anche quella della maturazione del diritto alla riscossione del contributo nella misura di 5 milioni di euro». Infondata, dunque, si rivelerebbe l’assunto accusatorio in ordine alle maggiori perdite di 2,5 milioni di euro che sarebbero stati occultati, atteso che la contabilizzazione sarebbe corretta, visto che «il contributo annuale si riferiva alla stagione sportiva 01.07.2005 – 30.06.2006» e che, dunque, «una parte dello stesso, e precisamente il 50% dell’intero importo, era di competenza dell’esercizio chiuso al 31.12.2005». Infondate, poi, a dire dei reclamanti, anche le contestazioni relative alle operazioni di compensazione. A tal proposito, si evidenzia particolarmente in reclamo come con sentenza n. 9260/2011 la Corte di Cassazione, 1° sez. civ., abbia dichiarato assolutamente legittime e giuridicamente corrette le predette compensazioni. Con riferimento alla contestazione di indebita iscrizione nel bilancio 2006 del canone anticipato di locazione finanziaria viene, ancora una volta, richiamata «la perizia Cacopardo secondo cui (pag. 102 e ss.) i bilanci delle società in osservazione appaiono redatti in aderenza alla normativa civilistica». Anche il deferimento nei confronti dei componenti il collegio dei sindaci sarebbe completamente infondato: nessuna omessa vigilanza e controllo, dunque, «attesa l’assenza di violazioni come contestate agli amministratori». Così, pertanto, concludono i reclamanti: «accertare e dichiarare: la nullità o l’inammissibilità o l’improcedibilità del deferimento, l’intervenuta prescrizione delle violazioni disciplinari contestate dalla Procura Federale nel provvedimento di deferimento ai paragrafi A, pag. 5 (Pietro Franza) e pag. 7 (Vincenzo Franza), C, pag. 6 (Pietro Franza) e pag. 8 (Vincenzo Franza), D, pag. 6 – 7 (Pietro Franza) e pag. 8 (Vincenzo Franza), A, pag. 10 (Domenico Santamura, Carmelo Cutrì e Stefano Galletti), che i fatti oggetto del deferimento non sussistono, ovvero che non sono stati provati, ovvero che i deferiti non li hanno commessi, ovvero che i fatti medesimi non hanno rilievo disciplinare, ovvero che essi costituiscono una fattispecie di assoluta tenuità, che il presente procedimento disciplinare doveva essere sospeso in attesa della definizione del processo penale in corso al fine di riproporre le odierne contestazioni ovvero di procedere alla contestazione della violazione dell’art. 222-bis/Noif, e per l’effetto dichiarare la nullità (della) o annullare o riformare (la) decisione resa dalla Commissione Disciplinare Nazionale con C.U. n. 98 del 10/06/2013 e/o annullare o revocare o ridurre le sanzioni irrogate a carico dei sottoscritti reclamanti dalla Commissione Disciplinare Nazionale con il medesimo Comunicato Ufficiale n. 98/CDN del 10/06/2013 e pronunciare ogni conseguente e comunque necessario provvedimento anche in ordine alle versate tasse di reclamo». Alla seduta innanzi a questa CGF è comparso l’avv. Andrea Galli per i reclamanti. Sono, altresì, presenti il dott. Mensitieri e il prof. Catalano per la Procura Federale. L’avv. Galli, illustrando, le ragioni del reclamo, evidenzia come la decisione della CDN, seppur corposa, contenga numerose contraddizioni e gravi errori. Ribadisce l’eccezione di violazione del ne bis in idem, in considerazione del fatto che la contestazione del 2010 avrebbe il medesimo titolo di quella del 2013. Si riporta, infine, a quanto dettagliatamente illustrato in reclamo, chiedendo l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate. I rappresentanti della Procura Federale hanno replicato alle deduzioni dei reclamanti. In particolare, in punto inammissibilità del deferimento hanno richiamato precedente decisione della CGF che ha, appunto, ritenuto ammissibile in analoga fattispecie il deferimento, pur valutando le ragioni a base dell’eccezione ai fini del merito. Inoltre, a prescindere dalla contestazione del reato di bancarotta i rappresentanti della Procura Federale osservano come fatti specifici di tale gravità e rilevanza, sotto il profilo disciplinare-sportivo qui in esame, sarebbero comunque stati portati all’attenzione degli organi di giustizia sportiva. Peraltro, rispetto all’analoga fattispecie ex adverso citata, segnalano la maggior gravità della presente. Quanto, infine, alla eccepita prescrizione, sottolineano come, a prescindere dalle corrette motivazioni della CDN, occorra comunque fare riferimento alla data di approvazione dei bilanci. I rappresentanti della Procura Federale hanno, quindi, chiesto il rigetto del reclamo e la conferma della decisione della CDN. DIRITTO Ritiene la CGF che il reclamo non possa trovare accoglimento e che, quindi, la decisione della CDN meriti conferma, seppur con parziale rettifica della motivazione, nei termini di seguito indicati. In via logicamente preliminare deve essere esaminata l’eccezione di nullità o inammissibilità o improcedibilità del deferimento per violazione del principio del ne bis in idem. Come sopra detto, infatti, i reclamanti sostengono che le contestazioni mosse agli amministratori della F.C. Messina Peloro nell’odierno procedimento sono le medesime di quelle del procedimento celebrato nel 2010. Peraltro, i reclamanti assumono come inconferente il richiamo che la CDN ha effettuato alla decisione della Corte di Cassazione n. 21039/2011, secondo cui deve escludersi - nel caso di accertata bancarotta - la preclusione del relativo giudicato in relazione ad altre e distinte condotte di bancarotta, pur inerenti la medesima procedura concorsuale. Infatti, nel caso di specie non si discuterebbe di “altre e distinte condotte di bancarotta”. E, inoltre, assumono i reclamanti, erra la CDN quando ritiene diversi i titoli giuridici dei due deferimenti. Ritiene questa Corte che l’eccezione di cui sopra, pur suggestivamente e dettagliatamente sviluppata, sia priva di pregio. Occorre in tale ottica osservare, anzitutto, come il precedente deferimento sia stato disposto in specifica relazione all’art.21, commi 2 e 3, NOIF, a mente del quale: “2. Non possono essere “dirigenti” né avere responsabilità e rapporti nell'ambito delle attività sportive organizzate dalla F.I.G.C. gli amministratori che siano o siano stati componenti di organo direttivo di società cui sia stata revocata l'affiliazione a termini dell'art. 16. 3. Possono essere colpiti dalla preclusione di cui al precedente comma gli amministratori in carica al momento della deliberazione di revoca o della sentenza dichiarativa di fallimento e quelli in carica nel precedente biennio. Competente a decidere in prima istanza è la Commissione Disciplinare ed in ultima istanza la C.A.F. su deferimento della Procura Federale nell'osservanza delle disposizioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva”. In breve, la sanzione comminata a seguito dell’accoglimento del precedente deferimento è relativa al fatto che i signori Franza Pietro, Franza Vincenzo e Cambria Francesco avevano ricoperto cariche sociali al momento della dichiarazione di fallimento (e/o nel biennio precedente) provocato o agevolato con il loro comportamento colposo e/o con la loro disordinata gestione societaria. Nel presente giudizio, viceversa, vengono contestate specifiche condotte distrattive ed illecite che, peraltro, hanno anche condotto al rinvio a giudizio degli stessi innanzi al Tribunale di Messina per bancarotta. E’ dunque evidente che i fatti posti a base dei due deferimenti sono differenti, così come diverso è il titolo giuridico. Sotto tale profilo, coglie nel segno il Giudice di prime cure laddove afferma che la violazione contestata nel deferimento del 2010 è quella di cui alle disposizioni dell’art.21 NOIF sopra riportate, mentre nel presente procedimento la Procura Federale ha specificamente agito per la violazione di cui all’art.1, comma 1, CGS. Del resto, a sciogliere ogni dubbio sulla diversità delle contestazioni di cui ai due atti di deferimento valga considerare che le violazioni di cui al secondo deferimento (2013), a differenza di quelle oggetto del primo (2010), ben avrebbero potuto trovare autonoma valutazione e sanzione a prescindere dalla dichiarazione di fallimento della società amministrata e controllata dagli odierni reclamanti. In tal senso, questa Corte si era già pronunciata in analoga fattispecie, ritenendo, appunto che “il presente giudizio non sia impedito dall’operare il divieto del “ne bis in idem”, perché nella prima decisione la sanzione è stata applicata, con ordinanza (su richiesta degli incolpati) perché questi avevano ricoperto cariche sociali al momento della dichiarazione di fallimento (artt. 21, comma 2 -3 e 16 N.O.I.F.) a prescindere dalle condotte distrattive ed illecite oggetto del secondo deferimento, sanzionabili dalla norma generale di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S.. Codeste ultime condotte, ignote all’epoca e connotate da autonomo disvalore disciplinare, non sono state analiticamente contestate dai ricorrenti, che non hanno offerto alcun elemento o riscontro contrario alle risultanze delle indagini della magistratura penale (indagini vagliate e rivalutate sotto il profilo del disvalore disciplinare nel deferimento della Procura Federale). Ritiene dunque la Corte che alcuni dei fatti oggetto del secondo deferimento (fatti di distrazione di denari e di documenti, utilizzo di polizze fideiussorie risultate scoperte per rendersi inadempienti all’obbligo di pagamento del prezzo di acquisto delle quote sociali della società calcistica, riscossione di assegni tramite i conti correnti di soggetti inconsapevoli) non possano dirsi direttamente e funzionalmente connessi al fallimento della società calcistica, ma siano censurabili di per sé, con la norma generale dell’art. 1, comma 1, C.G.S. (nonché, per le fattispecie messe in atto dopo il 7 marzo 2007, del principio di corretta gestione di cui all’art. 19, comma 1, dello Statuto della F.I.G.C.) oggetto di richiamo nel deferimento da cui il presente giudizio trae origine” (C.U. n. 9/CGF del 17 luglio 2012). Privo di pregio, in tale ottica, anche l’ulteriore assunto difensivo secondo cui le violazioni di cui trattasi troverebbero specifica disciplina nell’art. 22 bis delle NOIF. Infatti, detta norma si limita semplicemente a vietare che “coloro che si trovano nelle condizioni di cui all'art. 2382 c.c. (interdetti, inabilitati, falliti e condannati a pena che comporta l'interdizione dai pubblici uffici, anche temporanea, o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi) nonché coloro che siano stati o vengano condannati con sentenza passata in giudicato per i delitti”, nella stessa specificamente indicati, “non possono assumere la carica di dirigente di società o di associazione (art. 21, 1° comma, N.O.I.F.), e l'incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse (art. 22, 1° comma, N.O.I.F.), e se già in carica decadono”. La norma di cui trattasi, infatti, non è applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio e non detta la disciplina sanzionatoria relativa alla stessa che, invece, deve essere rinvenuta nella violazione dei principi di cui all’art. 1 CGS, così come correttamente ritenuto dalla Procura Federale, prima e dalla CDN, poi. Deve, pertanto, rigettarsi anche l’eccezione di nullità o inammissibilità del deferimento per inconferenza o erroneità del richiamo all’art.1, comma 1, CGS quale norma asseritamene violata. Si aggiunga, poi, che le condotte contestate ai sigg.ri Franza e Cambria nel presente giudizio, diversamente da quelle del 2010, sono suscettibili di particolare rilevanza disciplinare-sportiva, laddove si consideri che molti dei fatti ai medesimi ascritti, come dettagliatamente illustrato nel decreto di rinvio a giudizio del Gip di Messina, sono stati commessi, quantomeno anche, al fine di alterare i bilanci sociali ed i rapporti patrimonio/debiti richiesti dalla normativa federale per l’iscrizione ai campionati professionistici senza che invece ne sussistessero i requisiti. Non vi è dubbio, pertanto, che siffatte condotte rivestano un disvalore sportivo diverso e comunque autonomo ed aggiuntivo che merita specifica valutazione, anche a tutela dell’ordinato e regolare svolgimento dei campionati. In definitiva, insomma, i fatti-presupposto di rilievo nel presente procedimento sono diversi di quelli contestati nel 2010 e che hanno concorso alla causazione del fallimento della società e, come correttamente osservato dai giudici di primo grado, restano al di fuori della semplice previsione di cui all’art.21 NOIF. Si osservi, peraltro, come i fatti, gravi e specifici, contestati con il deferimento da cui ha origine questo giudizio non è detto che, in sè e per sè considerati avrebbero condotto alla dichiarazione di fallimento della F.C. Messina Peloro. Dal che si trae conferma della diversità ontologica e, comunque, giuridica dei fatti oggetto dei due deferimenti. Nè può sostenersi che occorrerebbe attendere l’esito del giudizio penale, in quanto i fatti contestati dalla magistratura ordinaria verrebbero qui in rilievo non in quanto reati bensì, in quanto condotte che rivestono rilievo per l’ordinamento sportivo. Infatti, come da costante giurisprudenza sportiva, “deve osservarsi come esuli dal presente giudizio sportivo ogni valutazione effettuata a diversi fini dagli organi della giustizia ordinaria. Più volte, in tale prospettiva, questa Corte ha avuto modo di ribadire che le decisioni adottate in questa sede non possono e non vogliono in alcun modo interferire con le diverse ed autonome valutazioni effettuate in ossequio alle disposizioni ed ai principi dell’ordinamento penale, nei termini e secondo il rito dallo stesso previsto. Peraltro, a tal proposito, le stesse sezioni unite di questa CGF hanno osservato come debba essere negata la sussistenza della pregiudiziale influenza del procedimento penale su quello disciplinare sportivo. E’ storicamente radicato il principio secondo cui all’autonomia dell’ordinamento settoriale sportivo debba corrispondere la libera determinazione dei criteri regolatori dell’ammissione della permanenza in essi di chi ne abbia interesse. L’organizzazione, la struttura, il plesso normativo dell’ordinamento settoriale devono, pertanto, riflettere il sistema di valori e fini eletti dall’ordinamento stesso al momento della sua costituzione: proprio il fatto che l’ordinamento generale abbia tradizionalmente ed energicamente, con inequivoche disposizioni legislative e con non meno espliciti orientamenti giurisprudenziali, riconosciuto l’autonomia del diritto sportivo rappresenta la più chiara manifestazione dell’approvazione del sistema di valori e fini posti a fondamento del settore” (così, ad esempio, Corte di Giustizia Federale, sez. un., C.U. n. 019/CGF del 2 agosto 2012). Deve, poi, ricordarsi come l’autonomia dell’ordinamento sportivo trovi fondamento anche “nella norma costituzionale di cui all’art. 18, concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell’art. 2, relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo” (cfr. Cassazione, 27 settembre 2006, n. 21006, in Guida al dir., 2006, n. 46, p. 59 (s.m.); Cassazione, 28 settembre 2005, n. 18919, in Giust. civ. Mass., 2005, f. 7/8). Se, pertanto, si muove dalla premessa della indiscutibile autonomia dell’ordinamento sportivo, deve riconoscersi alle federazioni sportive nazionali il correlativo potere di emanare norme interne per l’ordinato svolgimento delle competizioni sportive e, di conseguenza, che agli organi delle stesse deve anche essere riservato il giudizio sull’osservanza di siffatte norme. Del resto, è forse opportuno ancora una volta ribadire, per quanto ovvio, che i provvedimenti emanati in conseguenza dell’applicazione delle regole dell’ordinamento sportivo sono destinati a produrre i loro effetti all’interno dell’ordinamento medesimo e solo in via eventuale e, comunque, indiretta gli stessi possono riflettersi nell’ordinamento generale, rispetto al quale, pertanto, non possono che rimanere irrilevanti. Se ne deve, in altri termini, desumere che “il logico corollario dell’autonoma scelta degli obiettivi da perseguire nell’ambito endofederale è l’omologa libertà nella redazione delle tavole delle condotte incompatibili con l’appartenenza soggettiva ad esso e, in via strumentale e necessaria, dei mezzi e delle forme di tutela dell’ordinamento sportivo dalle deviazioni che si dovessero verificare al suo interno. È, infatti, da reputare intimamente ed immancabilmente connessa con l’autonomia dell’ordinamento sportivo la sua idoneità a munirsi in via indipendente di un circuito normativo che reagisca alla negazione dei valori del mondo dello sport: anche questa pronta capacità di replica alla rottura delle regole interne è implicita condizione del riconoscimento e della salvaguardia provenienti dall’ordinamento statale. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale sportivo, porta ad affermare in linea generale la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento sportivo ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie. Ed infatti, l’ordinamento sportivo, da un canto, è estraneo alle previsioni normative generali che nascono con riguardo ad ambiti tipicamente ed esclusivamente statali (come il procedimento penale e le regole che per esso sono dettate per governare i rapporti con altri procedimenti svolgentisi in ambito generale, quali quelli civili, amministrativi, disciplinari ecc.); esso, d’altro canto, è libero di perseguire la propria pretesa punitiva nei confronti degli appartenenti che si sottraggano al rispetto dei precetti con autonomi mezzi di ricerca e valutazione della prova che non necessariamente debbono identificarsi con quelli propri dell’ordinamento statale, fatta ovviamente salva l’osservanza del diritto di difesa, costituzionalmente protetto” (così, ancora, Corte di Giustizia Federale, sez. un., C.U. n. 019/CGF del 2 agosto 2012). Peraltro, occorre anche ricordare come la giurisprudenza sportiva abbia più volte evidenziato la specialità del procedimento per illecito sportivo nell’ambito del più ampio genus disciplinare (tra le tante, tralasciando le decisioni di questa CGF, cfr. CDN, C.U. n. 13/CDN del 9 agosto 2011; CAF, C.U. n. 1/C del 14 luglio 2006, n. 5/C e 6/C del 17 agosto 2006; CAF, C.U. n. 2/CF del 4 agosto 2006, 6/C e 7/C del 1 settembre 2006; CDN, C.U. n. 10 del 27 luglio 2005). Nella medesima direzione anche la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che le decisioni degli organi di giustizia sportiva “sono l’epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì che non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo. In particolare, alla “giustizia sportiva” si applicano, oltre che le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, per analogia, quelle dell’istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi” (così TAR Lazio, Sez. III ter, 8 giugno 2007, n. 5280, in RDES, 2007, vol. III, f. 2, p. 92. V. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 10 dicembre 2009, n. 7703, in Foro amm. – CDS, 2009, 12, p. 2946). Queste considerazioni conducono, tra l’altro, al rigetto dell’istanza di sospensione del presente giudizio, dai reclamanti ribadita anche in questa sede. Del pari questa Corte ritiene debba trovare conferma anche la decisione in punto rigetto dell’eccezione di prescrizione, anch’essa reiterata in questa sede d’appello. Sotto tale profilo, tuttavia, la motivazione della decisione impugnata necessita di parziale modifica e precisazione. Rileva correttamente la CDN come costituisca dato giuridico ed oggettivo non trascurabile che, per i reati fallimentari e, segnatamente per quello di bancarotta, la prescrizione inizi a decorreredalla data di dichiarazione del fallimento. Ritiene, tuttavia, questa Corte che ciò, comunque, non consente la piena sovrapponibilità delle due fattispecie di illecito (penale e sportivo), considerato che i fatti contestati con il deferimento da cui scaturisce il presente giudizio assumono qui rilievo non già in quanto possibili reati, bensì in quanto condotte che rivestono rilievo per l’ordinamento sportivo in sé e per sé considerate, a prescindere dal loro eventuale rilievo penale. Si ritiene, pertanto, che non possa essere applicata la prescrizione prevista per i fatti contestati in quanto reato e, dunque, che non si possa concludere che, nel caso di specie, la prescrizione inizi a decorrere dalla data della dichiarazione di fallimento. Cionondimeno, sussistono ragioni che conducono ad escludere che sia maturata la prescrizione. Occorre, anzitutto, evidenziare che le condotte contestate ben possono e debbono essere (quantomeno anche) considerate alla luce del loro disegno unitario. I fatti specificamente contestati in questa sede, infatti, appaiono senza dubbio tra loro correlati e diretti al perseguimento di un medesimo disegno, ossia quello del progressivo depauperamento patrimoniale della società F.C. Messina Peloro s.r.l. a vantaggio di altre società sostanzialmente appartenenti al medesimo gruppo societario o assetto proprietario e, quantomeno, alcune di esse, volte a modificare i reali dati patrimoniali ed economico-finanziari nella prospettiva di aggirare la normativa federale dettata in materia di iscrizione ai campionati professionistici, come poi accertato anche dalla Covisoc. A nulla rileva, a tal proposito, che il fallimento si sia poi chiuso con apposito concordato, dovendosi, ovviamente, avere riguardo, per quanto di rilievo nel presente giudizio, al momento in cui le condotte, unificate sotto il profilo dell’antigiuridicità sportiva, sono state poste in essere e hanno prodotto i loro effetti nell’ordinamento sportivo. In definitiva, nel caso di specie il dies a quo della prescrizione deve essere individuato nella data in cui le singole operazioni finanziarie, poi contestate ai reclamanti dalla Procura della Repubblica di Messina e, in questa sede, per quanto di rilievo per l’ordinamento sportivo, dalla Procura Federale, hanno trovato ingresso e contabilizzazione nei rispettivi bilanci della società e, segnatamente, nell’ultimo dei bilanci approvati prima della dichiarazione di fallimento (nov. 2008) o, in ogni caso, dalle ultime delle operazioni di cui trattasi, unificate dal vincolo della continuazione, correttamente individuate dalla CDN nelle indebite compensazioni operate in sede di aumento di capitale nell’anno 2008 (capi C e D del paragrafo p) del deferimento). Con conseguente eventuale maturare della prescrizione, in entrambi i casi, al 30.6.2015. Nessun dubbio, a tal proposito, ha questa CGF sulla effettiva configurabilità della continuazione, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali in vista del perseguimento di un dato fine o risultato (cfr. Cass. pen., 24 gennaio 2013, n. 10235). Evidente, del resto, appare, nel caso di specie, la contiguità spazio-temporale ed il nesso funzionale tra le diverse fattispecie incriminatrici e non può certo dirsi che la successione degli episodi sia tale da escludere la preventiva programmazione delle varie operazioni finanziarie e/o di appostamento in bilancio di cui trattasi, così come va esclusa l'occasionalità di quelle compiute successivamente rispetto a quelle cronologicamente anteriori. Solo per completezza di esposizione deve evidenziarsi come, anche nel caso in cui le ragioni dell’appello sul punto fossero state condivisibili, in ogni caso le violazioni relative ai bilanci sociali 2005 e 2006 (cfr. capi D) e G) del paragrafo p) del deferimento) non si sarebbero comunque prescritte, anche alla luce della norma di cui all’art. 8, comma 1, CGS, secondo cui “costituiscono illecito amministrativo la mancata produzione, l’alterazione o la falsificazione materiale o ideologica, anche parziale, dei documenti richiesti dagli Organi della giustizia sportiva, dalla COVISOC e dagli altri organi di controllo della FIGC, nonché dagli organismi competenti in relazione al rilascio delle licenze UEFA e FIGC, ovvero il fornire informazioni mendaci, reticenti o parziali” e del combinato disposto di cui all’art. 25, comma 1, lett. b) (“1. Le infrazioni disciplinari si prescrivono al termine: […] b) della sesta stagione sportiva successiva a quella in cui è stato commesso l’ultimo atto diretto a realizzarle, qualora si tratti di illecito amministrativo”), e comma 2 (“L'apertura di una inchiesta, formalizzata dalla Procura Federale o da altro organismo federale, interrompe la prescrizione. La prescrizione decorre nuovamente dal momento della interruzione, ma i termini di cui al comma 1 non possono in alcun caso essere prolungati oltre la metà”). Così precisata, sul punto, la motivazione della decisione di primo grado, deve essere rigettata l’eccezione di prescrizione. Nel merito, il reclamo è infondato. Premesso che le singole violazioni addebitate ai reclamanti non appaiono oggetto di una sostanziale specifica contestazione, specie nella loro concreta dimensione fattuale, essendone, semmai, contestata la loro illiceità, ritiene questa Corte che vi sia in atti ampia prova della effettiva sussistenza delle condotte di cui trattasi e del disvalore giuridico-sportivo delle connesse operazioni finanziarie, patrimoniali e di bilancio di cui trattasi. Sul piano generale, non può non rilevarsi, anzitutto, come i reclamanti poggino la loro difesa essenzialmente sul “manto” di legittimità che la relazione del consulente nominato dal GIP del Tribunale di Messina tenta di stendere sulle varie operazioni contestate ai deferiti. Ma che le conclusioni del predetto consulente vadano disattese deve desumersi non solo dalle contrarie e sicuramente più convincenti conclusioni della relazione del curatore fallimentare (avv. Domenico Cataldo) e di quelle dei consulenti tecnici (dott. Elio Collovà e dott. Corrado Taormina) nominati dalla curatela fallimentare, nonché dalla documentazione tecnico-contabile inerente al fallimento della società F.C. Messina Peloro s.r.l., ma anche dal fatto che quelle in forza delle quali i reclamanti fondano la regolarità delle varie operazioni finanziarie qui in rilievo sono poi state disattese dallo stesso GIP che aveva nominato il consulente. Sempre sotto un profilo generale occorre premettere alcuni punti fermi. La società F.C. Messina Peloro s.r.l. versava in uno stato di dissesto già acclarato fin dall’esercizio sociale 2005 (da ciò, peraltro, si arguisce erano a conoscenza dello stato quantomeno di difficoltà economico-finanziarie in cui ancor prima si dibatteva la società). La suddetta società dal 2005 in avanti ha presentato un crescente squilibrio tra attività correnti e passività a breve termine, squilibrio tale da condurre poi, unitamente alla costante sottocapitalizzazione (con la sola eccezione del 2006) allo stato di insolvenza vera e propria. Le predette circostanze sono provate dalle considerazioni rinvenibili nella stessa sentenza che ha dichiarato il fallimento, poi, come ricordato, confermata dalla Cassazione, e, ancor prima, dalla relazione di consulenza tecnica del 21 settembre 2009 redatta dai dott.ri Collovà e Taormina. Ma veniamo rapidamente alle singole contestazioni. Capo A – cessione del marchio al prezzo di € 20.000.000 e successiva indebita distrazione di una parte del relativo ricavo - € 13.214.6000 – in favore della Società Mondo Messina Service Srl (controllata dal Messina e amministrata da Vincenzo Franza), a titolo di investimento infruttifero. Del tutto irrilevante, nel caso di specie, che la cessione del marchio sia operazione generalmente consentita. Del pari irrilevante che detta operazione ha apportato una consistente sopravvenienza attiva con “evidenti ritorni positivi sul risultato economico dell’esercizio 2006”. Ma il problema è che, poi, buona parte del ricavo di euro 20.000.000 (che, peraltro, come rilevato dai periti, non trova corrispondenza nel mercato) sia stato “stornato”, a titolo di prestito infruttifero, ad altra società, peraltro amministrata dal medesimo Vincenzo Franza. Con il risultato di disattendere le ragioni in base alle quali l’assemblea aveva dato il via libera all’operazione (ossia cessione del marchio al fine di “reperire consistenti flussi finanziari… futuri investimenti programmati per il rinnovo della compagine”) e di “svuotare”, nel contempo, le “casse” del Messina calcio. Insomma, si tratta, come correttamente rilevato dalla CDN, di una “triangolazione” (F.C. Messina Peloro s.r.l. - Locat s.p.a. - Mondo Messina Service s.r.l.) attraverso cui è stata di fatto realizzata “una operazione di sostanziale finanziamento, congegnata, però, in modo da far apparire una plusvalenza idonea a “coprire”, altrettanto simulatamente i disastrosi dati di bilancio”. Con i correlati e già evidenziati effetti in termini di veridicità dei bilanci e dei documenti patrimoniali da presentare ai fini dell’iscrizione al campionato. Capo B – distrazione di € 4.000.000,00 attraverso il riconoscimento in favore della Co.fi.mer. s.p.a. di compensi ammontanti al richiamato importo per attività di consulenza, servizi e garanzie invero mai resi. Analogo sicuro rilievo sul piano giuridico-sportivo qui in esame riveste l’operazione attraverso cui gli amministratori della società F.C. Messina Peloro hanno distratto liquidità societarie pari a euro 4.000.000. Risulta, a tal proposito, provato che in data 3.8.2006 (euro 300.000), in data 4.8.2006 (euro 2.000.000) e in data 9.12.2006 (euro 1.700.000) la predetta società, poi fallita, che già all’epoca versava in evidenti difficoltà economiche, ha accreditato alla Co.fi.mer s.p.a. (all’epoca socio di maggioranza della F.C. Messina Peloro s.r.l.) a titolo di compenso per un’attività di studio per l’ottimizzazione finanziaria dell’operazione commerciale di cessione dei marchi, in realtà risultata mai realizzata. Capo C – indebita restituzione - nonostante la già manifestata situazione di insolvenza – di conferimenti per l’importo complessivo di € 2.800.000,00 in favore del socio Co.fi.mer s.p.a. Il fatto in sé non risulta neppure contestato e, ad ogni buon conto, palese appare la natura di restituzione al socio dei conferimenti dallo stesso effettuati a titolo di capitale, in una situazione di evidente difficoltà economica-finanziaria della società amministrata e controllata dai reclamanti. Capo D – falsità del bilancio 2005 per la indebita iscrizione tra le componenti positive del reddito dell’intero contributo di € 5.000.000,00 (cd. paracadute), a essa concesso dalla lega calcio e in realtà iscrivibile tra tali componenti soltanto nella misura di € 2.500.000,00. Pacifico il fatto. La F.C. Messina Peloro ha appostato al bilancio 2005 il versamento della Lega Calcio (di complessivi € 5.000.000,00) che, invece, non poteva essere iscritto per intero (ma solo per la metà) quale partita attiva dell’annualità 2005, atteso che il contributo di cui trattasi è stato maturato al termine della stagione sportiva 2005/2006 con la retrocessione del Messina. Di conseguenza, evidente l’indebito occultamento in bilancio (chiusosi comunque in passivo) di maggiori perdite per il corrispondente importo di € 2.500.000,00 e, per quanto in questa sede specificamente rileva, la violazione della normativa federale in tema di bilanci e struttura del rapporto patrimonio/indebitamento. Capi E ed F – indebita compensazione delle obbligazioni assunte dai soci ai fini della copertura degli aumenti di capitale deliberati dalla Società. Con delibere in data 20.10.2008 e 13.11.2008 la F.C. Messina Peloro s.r.l. ha autorizzato le operazioni di compensazione degli aumenti di capitale effettuati dalla Co.fi.mer s.p.a. Secondo la prospettazione difensiva dei reclamanti la regolarità di siffatte compensazioni deve ritenersi ormai acclarata in forza della relativa sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Nel richiamare e invocare il contenuto della decisione della Suprema Corte, tuttavia, i reclamanti tralasciano di considerare che, se è vero che la Cassazione ha giudicato legittima l’operazione, ha anche, nel contempo, affermato che “Cofimer, divenuto socio unico a seguito dell’ultima operazione su capitale, fece nuovamente ricorso alla compensazione e non versò effettivamente nella percentuale di legge l’importo del conferimento. Si è perciò sottratta all’obbligo sancito nell’art. 2481 bis c.c. comma 5, che impone al socio unico in caso di aumento del capitale mediante nuovi conferimenti di versare integralmente il conferimento in denaro all’atto della sottoscrizione. Nondimeno, la riscontrata violazione non ha invalidato l’operazione. Operando sul diverso piano della responsabilità, ha solo esposto la detta Società, in quanto socio unico, alla responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui ha ricoperto tale veste, secondo quanto stabilito dall’art. 2462 comma 2 c.c.” (Cass. Sez. I 21.04.2011 n. 9260). A prescindere, dunque, dal confermato rilievo, sul piano della responsabilità, delle operazioni di cui trattasi, occorre anche osservare come correttamente la CDN abbia segnalato l’esistenza di un diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di restituzioni di soci per effetto dello scioglimento della società, “la compensazione dell’asserito debito societario verso i soci, che si giovi di detta provvista è, dunque, operazione che concreta distrazione fraudolenta” (Cass., V sez. pen., 26 maggio 2010, n. 27610). Ma vi è di più. E, infatti, non può sottacersi come, a prescindere dalla legittimità o meno, sotto il profilo civilistico, della operazione di cui trattasi, appare evidente il suo disvalore rispetto all’ordinamento sportivo, laddove si consideri che l’operazione di aumento di capitale in esame era idonea a creare (e, comunque, di fatto creava) una situazione di apparente ritrovata solidità economico-finanziaria che, in realtà, non era idonea all’effettivo miglioramento della situazione di bilancio, atteso che l’importo dell’aumento deliberato e sottoscritto era destinato ad essere subito compensato con il credito insorto in capo del socio Co.Fi.Mer. s.p.a. Prova è che il Messina calcio non ha tratto alcun sostanziale beneficio da siffatta operazione. Insomma, il meccanismo posto in essere dagli amministratori delle due società di cui trattasi appare, all’evidenza, rappresentare, come correttamente affermato dalla CDN, la concretizzazione di un disegno “quantomeno ingannevole che deve trovare sanzione all’interno dell’ordinamento sportivo”. Capo G – falsità del bilancio 2006 per la indebita iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie, quale deposito cauzionale, dell’importo di € 2.500.000 in realtà versato a titolo di canone anticipato di locazione finanziaria. La documentazione acquisita al procedimento fornisce piena prova, per quanto di rilievo ed ai fini del presente giudizio, dell’anzidetta irregolarità tecnico-contabile, trasferitasi anche sul piano della modificazione dei risultati di esercizio che tale erronea appostazione ha determinato, con le ulteriori conseguenze in tema di veridicità della documentazione di bilancio da esibire alla Covisoc per la iscrizione ai campionati professionistici. Paragrafo r) – violazione D. Lgs. n. 231/2001 per mancata predisposizione del modello organizzativo volto alla prevenzione dei reati poi accertati. La violazione, per quanto già detto e per quanto emerge dal complessivo materiale probatorio acquisito agli atti, appare in re ipsa. Paragrafo t) – contestazione ai sindaci per omissione dei propri doveri di vigilanza e controllo con riferimento alle incolpazioni di cui ai capi A e B del deferimento. In definitiva, sono evidenti le gravi e molteplici irregolarità commesse dalla società e delle quali non possono che essere chiamati a rispondere, per ciò che concerne la presente sede disciplinare, tutti coloro che hanno assunto, nei vari anni di cui trattasi, la responsabilità degli organi di amministrazione. Di particolare rilievo, ai fini che ci occupano, l’operazione di conferimento del 30 marzo 2006, da parte della società F.C. Messina Peloro s.r.l. nella società Mondo Messina Service s.r.l. del ramo d’azienda di cui si è detto, evidenziata nello stesso atto di deferimento, con l’attribuzione di un valore di euro 7.700.000, poi rivelatosi inconsistente. Orbene, la suddetta operazione e successiva contabilizzazione della plusvalenza nel bilancio è stata effettuata in coincidenza con il termine del 31 marzo, che rappresentava la data di rilevamento dei parametri PA/PD previsti dalla normativa federale per l’iscrizione al campionato 2006/07. Soltanto l’intervento della Covisoc ha, come detto, successivamente “neutralizzato” gli effetti di tale plusvalenza nel bilancio della società F.C. Messina Peloro s.r.l. Evidente, dunque, la specifica violazione dei principi posti dall’art. 1 CGS e il particolare disvalore giuridico-sportivo che connota questa come le altre operazioni di cui trattasi, alcune delle quali specificamente, appunto, volte ad ottenere indebiti vantaggi sportivi, per il tramite della rappresentazione di una situazione patrimoniale ed economico-finanziaria non corrispondente alla realtà. Peraltro, la distrazione delle ingenti somme di cui al provvedimento di rinvio a giudizio del GIP di Messina e la rappresentazione a bilancio di dati non sempre veritieri hanno contribuito, come emerge dalle relazioni della curatela fallimentare e dei consulenti dalla stessa nominati, al dissesto della società, con le inevitabili ricadute sul piano sportivo, quali, ad esempio, la mancata iscrizione ai campionati professionistici. Non può dunque esservi dubbio sulla responsabilità disciplinare-sportiva dei sigg.ri Franza dott. Pietro, Franza dott. Vincenzo e Cambria dott. Francesco, ciascuno in relazione alla propria carica ed al periodo per il quale la stessa è stata assunta. Accertata e dichiarata la responsabilità degli amministratori per la irregolarità, quantomeno ai fini disciplinari qui in rilievo, delle operazioni di gestione societaria e delle manovre di bilancio ai medesimi contestate, ne discende incontrovertibilmente la responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza e controllo, anche attesa la gravità e la rilevanza degli atti di gestione di cui trattasi. Com’è noto l’art. 2403 c.c. dispone che il collegio sindacale debba vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e, in particolare, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Si tratta, dunque, di un controllo più ampio e incisivo rispetto a quello affidato ai sindaci nel previgente regime. Si aggiunga che il controllo sul rispetto della legge e dello statuto non può limitarsi a una verifica della mera legalità formale. Peraltro, i componenti del collegio dei sindaci assumono non solo una responsabilità diretta, per fatto proprio, ma sono anche destinatari di una responsabilità concorrente con quella degli amministratori: infatti, i sindaci sono solidalmente responsabili con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica. Si tratta, in altri termini, di una responsabilità qualificabile in termini di culpa in vigilando, che deve ritenersi, comunque, integrata in presenza di una ipotesi di mala gestio degli amministratori, accompagnata dal difetto di diligenza professionale nell’ adempimento dell’ incarico da parte dei sindaci, laddove, come nel caso di specie, sia ravvisabile un nesso di causalità tra condotta non diligente dei sindaci e pregiudizio subito dalla società. Per queste ragioni la decisione della CDN appare corretta anche con riferimento ai sigg.ri Santamura dott. Domenico, Cutrì dott. Carmelo Savino, Galletti dott. Stefano. La decisione impugnata, infine, merita conferma anche sotto il profilo sanzionatorio. Come già prima detto, infatti, le violazioni contestate appaiono ripetute e gravi e hanno ad oggetto importi alquanto consistenti. Di conseguenza, gravi sono anche le ripercussioni delle stesse sul piano della inosservanza della disciplina federale in materia, specie in ragione della particolare tutela che l’ordinamento ha inteso riservare al regolare svolgimento dei campionati. Differentemente, quindi, dal precedente di questa Corte (cfr. C.U. 9/CGF del 17 luglio 2012) citato dagli stessi reclamanti, nel caso di specie non vi è alcuno spazio per una riduzione delle sanzioni congruamente e correttamente determinate dalla CDN, che vanno, dunque, in toto confermate. Per questi motivi la C.G.F. preliminarmente riuniti i ricorsi nn. 1,2,3,4,5 e 6, li respinge. Dispone incamerarsi le tasse reclamo.
DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it