F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2013/2014 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 227/CGF del 05 Marzo 2014 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 251/CGF del 02 Aprile 2014 e su www.figc.it 2. RICORSO SIG. GARILLI FABRIZIO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI 2 E MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1, C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3, N.O.I.F. E ALL’ART. 19, COMMA 1, STATUTO F.I.G.C., SEGUITO FALLIMENTO F.C. PIACENZA – NOTA N. 7809/13148 PF11-12 AM/MA DEL 29.5.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 20/CDN del 1.10.2013) 3. RICORSO SIG. RICCARDI MAURIZIO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI 1 E MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1, C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3, N.O.I.F. E ALL’ART. 19, COMMA 1, STATUTO F.I.G.C., SEGUITO FALLIMENTO F.C. PIACENZA – NOTA N. 7809/13148 PF11-12 AM/MA DEL 29.5.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 20/CDN del 1.10.2013)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – 2013/2014 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 227/CGF del 05 Marzo 2014 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 251/CGF del 02 Aprile 2014 e su www.figc.it 2. RICORSO SIG. GARILLI FABRIZIO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI 2 E MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1, C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3, N.O.I.F. E ALL’ART. 19, COMMA 1, STATUTO F.I.G.C., SEGUITO FALLIMENTO F.C. PIACENZA – NOTA N. 7809/13148 PF11-12 AM/MA DEL 29.5.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 20/CDN del 1.10.2013) 3. RICORSO SIG. RICCARDI MAURIZIO AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI 1 E MESI 6 INFLITTA AL RECLAMANTE, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE, PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1, COMMA 1, C.G.S. IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3, N.O.I.F. E ALL’ART. 19, COMMA 1, STATUTO F.I.G.C., SEGUITO FALLIMENTO F.C. PIACENZA – NOTA N. 7809/13148 PF11-12 AM/MA DEL 29.5.2013 – (Delibera della Commissione Disciplinare Nazionale – Com. Uff. n. 20/CDN del 1.10.2013) Il sig. Fabrizio Garilli, già Presidente del Consiglio di Amministrazione della F.C. Piacenza S.p.A. ed il sig. Maurizio Riccardi, già amministratore delegato del medesimo sodalizio, hanno impugnato dinanzi questa Corte i provvedimenti disciplinari disposti dalla Commissione Disciplinare Nazionale a conclusione del procedimento avviato a seguito del deferimento della Procura Federale, descritto in epigrafe, disposto all’esito dell’istruttoria esperita in conseguenza del fallimento, dichiarato dal Tribunale di Piacenza con sentenza n. 10/2012, della F.C. Piacenza S.p.A. di Piacenza. Il Procuratore Federale ha evidenziato come i due deferiti, il primo quale Presidente del C.d.A. ed il secondo quale consigliere e amministratore delegato (entrambi con il potere di obbligarsi in nome e per conto della società) siano stati, a suo avviso, i responsabili prima dello stato di decozione della società e poi del suo fallimento. Eventi entrambi testimoniati dalla sempre più grave situazione debitoria che ha visto la chiusura degli esercizi 2009, 2010 e 2011 registrare gravi perdite di bilancio, con indici di gestione caratteristica, margine operativo lordo e situazione patrimoniale indicativi di un’insana gestione, priva di adeguata liquidità malgrado il saldo attivo rappresentato dalle cessioni dei giocatori. Il tutto accompagnato da un’esposizione debitoria verso l’Agenzia delle Entrate di Piacenza per E 428.000,00 (dovuta al mancato versamento di ritenute fiscali) e dall’assoggettamento ad un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per un milione di euro. Gli accertamenti ispettivi della CO.VI.SOC. hanno consentito, poi, di appurare, anche attraverso la presa visione dei verbali del Collegio Sindacale, il mancato versamento IVA (a partire da aprile 2009), ritardi nella corresponsione degli stipendi (e dei contributi ENPALS, poi rateizzati) e, nel 2010, un importante deficit finanziario con sforamento del termine, ormai cronico, per il versamento dei contributi previdenziali e delle imposte; situazione immutata, nella sua sostanza, nell’anno successivo. A questo, aggiunge l’organo requirente, deve sommarsi la pendenza di procedimenti dinanzi ad organi di giustizia sportiva per utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, a carico di dirigenti della società e agenti di calciatori. Per l’effetto, l’organo requirente ha deferito il dott. Garilli e il dott. Riccardi alla Commissione Disciplinare Nazionale per aver determinato, col loro comportamento, la cattiva gestione e il dissesto economico-patrimoniale della società, nonché il consequenziale fallimento. All’esito del procedimento di primo grado, quella Commissione ha stabilito che il dott. Garilli “è da considerarsi il principale responsabile del dissesto economico-finanziario che ha determinato il fallimento del FC Piacenza spa….non avendo rispettato i principi di corretta gestione della società…avendo operato in modo tale che la società non fosse in grado di sostenersi senza il suo fondamentale apporto finanziario, venuto meno il quale il sodalizio è fallito..”. Il dott. Riccardi, invece, avrebbe “contribuito significativamente al dissesto economico finanziario che ha determinato il fallimento del F.C. Piacenza S.p.A.”. Ai due amministratori sono state, così, irrogate rispettivamente, l’inibizione per anni 2 e mesi 6 (Garilli) e anni 1 e mesi 6 (il secondo). Nel gravame proposto a questa Corte il dott. Garilli ha, in via preliminare, richiamato il parere di cui al Com. Uff. n. 21/CF del 28 giugno 2007 (menzionato peraltro già dal Requirente nel suo atto di deferimento) e ricordato come la colpa dell’amministratore debba essere provata secondo i comuni canoni di prova, non essendo sufficiente la mera preposizione all’ufficio. Alla luce di questo, ha negato la sussistenza di violazioni specifiche a suo carico riportate nell’atto di deferimento condiviso dal giudice di prime cure, né vi sarebbe indicazione di documenti idonei o fatti puntuali a comprova della sua responsabilità, non ravvisabile solo nell’esito sfortunato della gestione. Al contrario, a suo avviso, i controlli della CO.VI.SOC. avrebbero messo in luce la volontà della proprietà di procedere alla ricapitalizzazione ogni qualvolta i fatti gestori negativi l’avessero resa necessaria. Eventi negativi tra cui, come citato dal dott. Garilli, andrebbero annoverati gli episodi di “calcioscommesse” che avrebbero significativamente influito sulla gestione e, poi, la annosa vicenda delle trattative prima e del temporaneo subentro, poi, della società Italiana S.r.l. che non ha ottemperato ad alcuna delle obbligazioni sottoscritte, costringendo il dott. Garilli, appresa la notizia del ricorso per fallimento avviato dal P.M. piacentino, a riprendere i pieni poteri gestionali, a rinunciare al credito iscritto in bilancio e a coprire le perdite. Di questo non si sarebbe tenuto conto neanche in sede fallimentare, il cui procedimento sarebbe stato avviato prima del suo rientro in società. Né si sarebbe tenuto conto degli sforzi profusi dal sig. Riccardi, ugualmente finalizzati alla migliore gestione del sodalizio. Ha concluso il proprio gravame chiedendo l’integrale riforma della decisione di primo grado oppure la riduzione della sanzione nella misura ritenuta di giustizia. Il dott. Riccardi, da parte sua, dopo aver lungamente richiamato i fatti, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, il parere surrichiamato di cui al Com. Uff. n. 21/CF/2007 ha contestato sia le censure mosse al suo operato che la sanzione irrogatagli dalla Commissione Disciplinare, assumendo di non essere autore, secondo i parametri ricordati negli atti normativi e giurisprudenziali ricordati (e ben noti a questa Corte), alcuna delle condotte addebitate, non puntualmente specificate, malgrado l’onere della prova incomba all’attore. A sostegno della sua tesi ha depositato una consulenza della dott.ssa Marino, commercialista, dalla quale emergerebbe, a suo avviso, ”la completa assenza sia dell’elemento soggettivo che oggettivo del reato in capo al deferito e comunque l’insussistenza di qualsivoglia specifico episodio di colpa che possa aver contribuito a determinare il dissesto della società”. Dissesto sul quale ha negativamente influito la vicenda dei giocatori coinvolti nella nota istruttoria sul “calcioscommesse”. Ricordando, altresì, come nella consapevolezza delle difficoltà finanziarie del sodalizio, abbia restituito in data 19.12.2011 gli emolumenti ricevuti per la sua attività, assume che proprio questo e tutti gli atti posti in essere dal dott. Garilli (anche a seguito della vicenda con la soc. Italiana s.r.l.) testimonino come entrambi abbiano compiuto ogni sforzo possibile per evitare il dissesto della società, rilevandosi così l’insussistenza di ogni colpa specifica, elemento necessario per poter irrogare una sanzione. In conclusione la difesa dell’appellante ha chiesto la sua assoluzione da ogni addebito, con riforma integrale della decisione di primo grado. Istruito il ricorso, la discussione è stata fissata per la data odierna alla quale hanno partecipato la dott.ssa Serenella Rossano, per la Procura Federale e l’avv. Andrea Galli per i ricorrenti nonché, personalmente, il sig. Riccardi. Presente anche la dott.ssa Antonella Marino, quale consulente di parte. Tutti gli intervenuti hanno concluso confermando le rispettive pretese e i ricorrenti hanno depositato – con l’assenso della rappresentante della Procura e l’autorizzazione del Presidente - documentazione ritenuta, dagli stessi, rilevante. La Corte preliminarmente ad ogni esame, nel merito, dispone la riunione dei due gravami per questioni di evidente connessione oggettiva. Esaminata, poi, la documentazione versata in atti e valutate compiutamente le motivazioni addotte a sostegno dei reclami proposti nonché gli interventi delle parti nel corso dell’odierna discussione, ritiene che le doglianze dei reclamanti siano meritevoli di un accoglimento parziale. Il Requirente, con il suo atto di deferimento, ha contestato ad entrambi gli odierni appellanti, la violazione dell’ art. 1, comma 1, C.G.S. in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 21, commi 2 e 3 N.O.I.F. e 19,comma 1 dello Statuto della F.I.G.C.. La Commissione Disciplinare Nazionale, facendo propri i rilievi posti dal Requirente e reputando ampiamente esaustivi gli argomenti di prova addotti, ha irrogato le sanzioni censurate con i gravami in esami, contro le quali ricorrono il dott. Garilli e il dott. Riccardi sulla base di una difesa poggiata su due contestazioni fondamentali: l’assenza di una idonea prova circa specifici atti compiuti dai due e che avrebbero avuto una immediata e diretta conseguenza sulle vicende gestionali della società; l’adozione da parte di entrambi, nei rispettivi ruoli, di ogni iniziativa volta ad evitare il fallimento. Corollario a queste si pongono poi le analisi dei bilanci, la responsabilità della società Italiana S.r.l. e le avvenute ricapitalizzazione, tutto a testimonianza di una volontà di non fallire. Questa Corte non condivide, in primo luogo, l’angolo prospettico che vede la difesa interpretare l’art. 21, commi 2 e 3, N.O.I.F. come un vincolo probatorio insuperabile e in virtù del quale, per potersi affermare la responsabilità degli amministratori falliti, si deve produrre una circostanziata e analitica elencazioni di atti e comportamenti, tutti produttivi dell’evento “fallimento”. E’ questo un approccio sostanzialmente penalistico (come si esplicita in più parti delle difese) che non appare convincente, se non addirittura fuorviante. Non vi è dubbio che questa Corte sia assolutamente d’accordo con l’interpretazione data, e più volte richiamata, della regola che precede, nel senso che non vi sia (e non vi possa essere) un automatismo tra la carica ricoperta in un dato momento storico e la sanzionabilità che discende dall’aver svolto quell’ufficio, se questo non viene seguito dalla dimostrazione dell’esistenza di un nesso causale tra condotta ed evento “fallimento”. Ora è a tutti noto che nel nostro ordinamento la legge fallimentare di cui al R.D. n. 267/42 (con tutte le sue successive modificazioni) prevede una serie di presupposti e cautele prodromiche alla dichiarazione di fallimento (e per assicurare, comunque, la par condicio creditorum). Ne risulta un sistema che ad es., con riferimento alle imprese caratterizzate da significative dimensioni (v. art. 2 del D. Lgs. n. 270/99) richiede esplicitamente o meno un accertamento della situazione di insolvenza. Stato di insolvenza che non implica, di per sé, l’avvio della procedura liquidativa bensì l’apertura di un’istruttoria preliminare per verificare la sussistenza di “concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico”. Tuttavia e in ogni caso le procedure concorsuali trovano la loro causa nella crisi economica dell’imprenditore, così come era ben evidenziato nel sistema del codice di commercio abrogato nel quale il fallimento seguiva, ipso iure, la cessazione dei pagamenti per obbligazioni commerciali (art. 683 cod. comm.). Se nel sistema attuale la norma non è stata riprodotta, non è venuta meno la ratio, ossia lo stato di perdurante e non occasionale insolvenza dell’imprenditore, incapace di far fronte, con regolarità, alle obbligazioni sottoscritte. L’insolvenza si riferisce, quindi, ad una situazione patrimoniale deficitaria nella quale non solo il passivo supera l’attivo (che potrebbe risolversi anche in un mero dato di calcolo matematico) ma allorché essa sia indicativa di un’incapacità patrimoniale dell’imprenditore a far fronte, nei modi normali e con i mezzi ordinari, alle proprie obbligazioni, manifestatasi esteriormente attraverso inadempimenti od altri fatti (come quelli che legittimano il P.M. al ricorso, artt. 5 e 7 legge fallim.). In buona sostanza, il presupposto della sentenza dichiarativa di fallimento è lo stesso dell’abrogato codice di commercio, ossia l’insolvenza, ancorché non denunciata più da reiterati mancati pagamenti ma dalla conclamata incapacità a far fronte, con regolarità alle proprie obbligazioni. In conclusione, il fallimento accede alla riscontrata, oggettiva incapacità di mantenere quell’equilibrio commerciale che si fonda sulla reciproca fiducia di corretto e puntuale adempimento degli obblighi assunti. Detto questo nell’ambito dell’ordinamento civilistico, non può negarsi che gli stessi principi trovino conferma nelle norme federali, allorché si richiede alle società professionistiche (e ai suoi amministratori) di rispettare i principi della corretta gestione (art. 19, comma 1 Statuto) e la cui inosservanza produce le sanzioni indicate dall’art. 21 N.O.I.F. e, più puntualmente, dall’art. 19 C.G.S.. Quello che si richiede è, quindi, il rispetto dei principi sui quali si basa la stessa sopravvivenza dell’ordinamento sportivo, principi non solo di etica ma di vero e proprio ordine pubblico. E il fallimento di una società calcistica, il suo presupposto stato di insolvenza cronica, costituiscono un sicuro pericolo per l’equilibrio sul quale si fonda l’ordinamento sportivo, che giustifica ampiamente la reazione rappresentata dalla inibizione allo svolgimento, per il tempo determinato dalle norme, di incarichi societari o in ambito federale. Non v’è dubbio, come detto, che l’onere dell’addebitabilità dell’incapacità gestionale spetti a chi tali sanzioni invoca, ma non vi è ugualmente dubbio nel considerare come inammissibile la pretesa che assume come imprescindibile l’indicazione di ogni singolo atto e la precisazione del suo effetto sulla gestione, quando la sommatoria degli atti compiuti da quegli stessi amministratori ha condotto ad una declaratoria di fallimento. Non si è, come invece inteso dall’ottica difensiva, nell’ambito di una doverosa contestazione di singoli episodi che, magari con il vincolo della continuazione, abbiano prodotto una violazione dell’ordinamento rappresentata ex ante dagli autori come lesiva, ma in una serie di condotte gestionali che si sono dimostrate, ex post, produttive di insolvenza e a fronte delle quali è emersa una conclamata incapacità a porvi rimedio. Cosicché non viene punito un specifico atto contrario alle norme ma l’indiscussa incapacità di fare sana e corretta imprenditoria e il cui risultato non è la violazione di un precetto (con reazione dell’ordinamento) ma la messa in pericolo dell’ordinamento stesso attraverso lo squilibrio rappresentato dall’insolvenza della società sia verso terzi esterni, sia verso i giocatori e l’ordinamento generale stesso allorché non si rispettino le norme fiscali e previdenziali. Lo stesso TNAS, pur evocato dai ricorrenti, nel suo lodo arbitrale del 5 dicembre 2013, ha valutato come “cattiva gestione” il risultato dell’inefficacia oppure dell’assenza di interventi amministrativi di chi detiene la governance della società. E, in questo, non può piegarsi l’interpretazione dell’art. 21 N.O.I.F. fornito nel parere di cui al Com. Uff. n. 21/CF del 28 giugno 2007, nel senso voluto dalla difesa di entrambi i ricorrenti, perché se è vero che non può proporsi un automatismo tra il fatto di ricoprire una carica sociale e l’assoggettamento a sanzione in caso di fallimento, non può neanche ignorarsi che il fallimento è evento legato (normalmente) ad una conclamata incapacità degli amministratori a gestire in maniera sana e oculata la società e l’inserirsi di eventi straordinari e imprevedibili, idonei da soli a condurre al fallimento, dev’essere allegata e provata da chi adduce, invece, di aver operato con la diligenza propria dell’imprenditore. Nello specifico, la Commissione Disciplinare Nazionale ha ravvisato la sussistenza della responsabilità degli odierni appellanti fondando il proprio convincimento su uno stato di continuata difficoltà ad adempiere, con il criterio di regolarità suddetto, a tutte le obbligazioni sociali. E questo non in un limitato arco temporale (tanto da potersi definire occasionali) ma nel volgere di più anni. Così, ad avviso di questa Corte, appaiono sufficientemente idonei, dal punto di vista dell’assolvimento dell’onere probatorio, i documenti depositati in atti da parte del requirente, attestanti sia la continuità della proprietà, negli anni oggetto di indagine in capo al dott. Garilli (che aveva quale a.d. il dott. Ricciardi), salvo il breve periodo in cui la gestione è stata affidata, (circa tre mesi), alla S.r.l. Italiana e, per essa, al sig. Covili Faggioli, sia la deficitaria situazione economico patrimoniale. Brevemente, al 30 giugno 2009, al 30 giugno 2010 e al 30 giugno 2011 si sono registrate perdite di esercizio pari ad €, 3.950.161, il primo anno, €. 3.529.601 il secondo, €. 6.865.175 il terzo, per ridursi ad una perdita di €. 2.202.799 al 30 novembre 2011, poco prima che venisse dichiarato il fallimento. Perdite i cui effetti si è cercato di neutralizzare attraverso il ricorso (oneroso) al finanziamento bancario e al rimedio continuo rappresentato dal “finanziamento soci”, ovvero alle “contribuzioni” dello stesso dott. Garilli che, negli anni, ha effettuato massicce immissioni di denaro che hanno “mascherato” il dato di bilancio riferito allo Stato Patrimoniale, con un attivo rappresentato da finanziamenti estemporanei, nonché distorto quello indicativo del Patrimonio Netto. A questo deve aggiungersi l’esito dei controlli della CO.VI.SOC. dai quali sono emerse le esposizioni debitorie verso dipendenti, Stato ed Enpals. Questo ha comportato che, a fronte di una regolarità gestionale capace di apportare risultati di esercizio positivi, con un margine operativo loro tale da assicurare una effettiva liquidità e un congruo attivo circolante, la società è sopravvissuta, negli ultimi anni, solo grazie ai finanziamenti della proprietà che, seppur in grado di apportare la necessaria coperture delle perdite, in realtà poi l’aggravavano perché i finanziamenti andavano postati in bilancio al passivo dello stesso stato patrimoniale. Né elementi dirimenti le perplessità gestionali possono trarsi dalla relazione della consulente del dott. Ricciardi la quale, oltre ad un analitico percorso storico della proprietà societaria, sul piano più strettamente economico finanziario conferma (né potrebbe essere altrimenti) che negli anni d’interesse, a fronte di una modesta riduzione dei costi, si è registrata una significativa riduzione dei ricavi e un aumento degli oneri conseguenti all’indebitamento (indebitamento ed oneri sempre in aumento). Al tutto non si è fatto fronte con una decisa inversione di rotta sul piano delle iniziative gestionali ma solo con manovre sostanzialmente di cassa, che nulla hanno di strutturale, essendo dovute ad una sorta di spirito di liberalità del dott. Garilli. Immissione di liquidità che vuoi per il cambio societario (che ha fatto cessare le immissioni, anche da parte della nuova proprietà), vuoi per le vicende esterne, hanno aggravato il dissesto sino a costringere il P.M. a presentare ricorso per il fallimento del sodalizio piacentino (costringere perché le ipotesi di azione da parte del P.M. in materia di fallimento sono chiare e legate a fatti gravi, vedi art. 7 legge fall.). La conclusione che si può trarre dalle argomentazioni che precedono è, allora, quella che il fallimento è il concorso di un comportamento commissivo degli amministratori, che non hanno fatto ricorso a un aumento delle entrate proprie, aumentando così anche il valore della produzione (a scapito dei costi di produzione), in modo da ottenere sia un risultato operativo che un margine operativo lordo di indice positivo, sia omettendo di porre in essere azioni correttive o, ad es. di cedere quote ad altri amministratori capaci di evitare l’irreversibile dissesto. Ciò detto e affermata la responsabilità del dott. Garilli e del dott. Ricciardi nel fallimento della F.C. Piacenza S.r.l., va detto che la sanzione può essere ricondotta a maggiore equità in base al fatto che il dott. Garilli ha cercato, ancorché in maniera evidentemente impropria e inidonea, di “salvare” la sua proprietà limitandosi a iniettare liquidità ma senza rendersi, con altrettanta evidenza, che un simile agire non avrebbe – ove non adeguatamente assistito da modifiche strutturali – potuto evitare il dissesto. Dissesto al quale ha certamente contribuito anche la vicenda c.d. di “calcioscommesse”. Il dott. Ricciardi, come da lui stesso confermato nel corso della riunione, ancorché amministratore delegato aveva sempre dovuto relazionarsi con la volontà proprietaria per cui la sua possibilità di incidere significativamente sulla gestione era, in effetti, limitata. La conseguenza è che, ad avviso di questo Collegio, in parziale accoglimento dei ricorsi proposti, al dott. Garilli debba essere irrogata la sanzione dell’inibizione di anni 1 e mesi 6 mentre al dott. Ricciardi debba essere irrogata la sanzione dell’inibizione di mesi 6. Per questi motivi la C.G.F., preliminarmente riuniti i ricorsi nn. 2) e 3) come sopra rispettivamente proposti dai Sigg.riGarilli Fabrizio e Riccardi Maurizio: - ACCOGLIE IN PARTE il ricorso del Sig. Garilli Fabrizio riducendo la sanzione inflitta ad anni 1 e mesi 6; - ACCOGLIE IN PARTE il ricorso del Sig. Riccardi Maurizio riducendo la sanzione inflitta a mesi 6. Dispone restituirsi le tasse reclamo.
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