F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2014/2015 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e su www.figc.it 4) RICORSO DEL SIG. UMBERTO CALCAGNO AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C. DI CUI AL COM. UFF. N. 82/A DEL 20.11.2014 (Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015)
F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite - 2014/2015 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 039/CFA del 27 Marzo 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 055/CFA del 14 Maggio 2015 e su www.figc.it
4) RICORSO DEL SIG. UMBERTO CALCAGNO AVVERSO LA REIEZIONE DEL RICORSO TENDENTE AD OTTENERE L’ANNULLAMENTO DELLA DELIBERA DEL CONSIGLIO FEDERALE F.I.G.C. DI CUI AL COM. UFF. N. 82/A DEL 20.11.2014 (Delibera del Tribunale Nazionale Federale Sez. Disciplinare – Com. Uff. n. 32/TFN del 17.2.2015)
Il Tribunale Federale Nazionale – Sezione disciplinare, con decisione pubblicata mediante comunicato ufficiale n. 32/TFN del 17.2.2015 ha respinto il ricorso proposto dal sig. Umberto Calcagno, nella qualità di componente del Consiglio Federale della F.I.G.C., avverso la delibera consiliare del 20.11.2014, resa pubblica in pari data, con Com.Uff. n. 82/A, e recante modifiche all’art. 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Segnatamente, a seguito della riforma qui contestata, la condanna a pena detentiva superiore ad un anno per alcune fattispecie di reato analiticamente indicate (id est norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25.1.1982 n. 17; testo unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope (d.p.r. 9.10.1990 n. 309), disposizioni penali in materia di società e consorzi previste dal codice civile (titolo XI libro V), testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lvo 24.2.19998 n. 58), e già previste nell’originaria formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F. come causa impeditiva all’assunzione della carica di dirigente di società o associazione e/o collaboratore ovvero come causa di decadenza, esplica i suoi effetti interdittivi solo nelle ipotesi in cui consegue alla consumazione di un delitto punito con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione. Il giudice di prime cure ha respinto il ricorso assegnando rilievo dirimente alla circostanza che, con delibera n. 512 del 18.12.14, la Giunta Nazionale del CONI aveva approvato il nuovo testo dell’art. 22 bis N.O.I.F., così come modificato dalla delibera impugnata, ritenendolo conforme al D.Lgs. 242/99, al D.Lgs 15/14, allo Statuto del Coni, allo Statuto Federale ed alla vigente legislazione in materia sportiva. In ragione di ciò, secondo il giudice di prime cure, ogni valutazione in ordine alla legittimità del provvedimento deve intendersi oggi rimessa alla sede competente esulando dalla previsione di cui all’art. 43 bis, C.G.S.. E ciò anche in considerazione del fatto che le valutazioni confluite nella delibera n. 512 del 18.12.14 non risulterebbero fatte oggetto di censura. Avverso la suindicata decisione ha interposto ricorso il sig. Calcagno, all’uopo deducendo l’erroneità e l’ingiustizia del provvedimento di prime cure sulla scorta dei motivi di appello di seguito sintetizzati e che saranno in prosieguo analiticamente passati in rassegna:
1) il Tribunale Federale Nazionale avrebbe omesso ogni valutazione sul merito della questione sollevata definendo in rito il procedimento contenzioso. La decisione qui gravata sarebbe erronea perché le Federazioni sportive nazionali sono associazioni con personalità giuridica soggette alla vigilanza ed al controllo del CONI, che si risolvono giustappunto nell’approvazione degli atti generali (statuti e regolamenti) previa valutazione della loro conformità alla legge, allo Statuto del CONI, ai principi fondamentali, agli indirizzi e ai criteri deliberati dal Consiglio Nazionale. Di contro, l’ordinamento settoriale sportivo è contraddistinto da piena autonomia riconosciuta dallo Stato ed è perciò dotato di un proprio sistema di giustizia interna sulla scorta del quale le deliberazioni del Consiglio Federale sono soggette, su ricorso del consigliere dissenziente ovvero di tesserati titolari di situazioni giuridicamente protette, alla valutazione del Tribunale federale ex articoli 31 del C.G.S. CONI e 43 bis del C.G.S.;
2) il giudice di prime cure avrebbe erroneamente ritenuto che il ricorso de quo non contenesse specifiche censure avverso la delibera consiliare, censure che vengono riprodotte ai punti di seguito indicati;
3) la delibera del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014, resa pubblica con Com.Uff. n. 82/A in pari data, sarebbe illegittima per violazione di legge in quanto adottata in violazione dell’articolo 11 del codice del comportamento sportivo e dell’articolo 16 dei principi fondamentali degli statuti delle FSN e delle DSA emanati dal Coni.
4) l’illegittimità della delibera consiliare discenderebbe, altresì, dall’intrinseca irragionevolezza del suo contenuto regolatorio e dalla violazione del principio di uguaglianza rispetto al principio che informa il disposto di cui all’articolo 11 del codice di comportamento di cui al punto che precede. All’udienza del 27.3.2015 la difesa del ricorrente ha illustrato i motivi di doglianza compendiati nel ricorso, concludendo per l’annullamento della decisione del Tribunale Federale e, per l’effetto, per l’annullamento della delibera del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014. Da parte sua, la Federazione ha illustrato le proprie controdeduzioni ai motivi di gravame. La Corte Federale d’Appello, nella sua composizione a Sezioni Unite, a seguito dell’udienza e della successiva Camera di Consiglio ha reso la seguente decisione. DIRITTO Giusta quanto anticipato nella narrativa in fatto l’ambito cognitivo del presente procedimento verte sulla legittimità delle modifiche introdotte – con delibera 82/A del Consiglio Federale F.I.G.C. del 20.11.2014 – all’originario impianto normativo dell’articolo 22 bis N.O.I.F. in tema di requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione e dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Nella prospettazione del ricorrente l’enucleazione di un gruppo autonomo di fattispecie criminose, oggi elencate alla lettera b) dell’articolo in commento, per le quali è richiesto il requisito aggiuntivo della previsione di una pena edittale detentiva non inferiore nel massimo ad almeno tre anni di detenzione si porrebbe in rapporto di distonia, da un lato, con il quadro regolatorio vigente e, dall’altro, con i canoni di logicità e ragionevolezza che governano l’esercizio della discrezionalità normativa. Orbene, ritiene la Corte che il ricorso sia infondato e che, pertanto, vada respinto, di talchè il Collegio può ritenersi dispensato, in coerenza con consolidati modelli decisori mutuati da autorevole giurisprudenza, dalla disamina della pregiudiziale questione di rito sulla procedibilità dell’azione impugnatoria spiegata dal ricorrente avverso una delibera fatta, al contempo, oggetto di specifica approvazione da parte della Giunta del CONI. Tanto premesso, e seguendo nello scrutinio della res iudicanda lo stesso ordine espositivo fatto proprio dal ricorrente, occorre passare in rassegna, anzitutto, le censure con cui lamenta l’illegittimità dell’impugnata delibera consiliare per violazione di legge in quanto adottata in aperta violazione della disciplina di settore. Segnatamente, nella prospettazione attorea, meriterebbero di essere considerate come espressione di una vincolante cornice giuridica di riferimento le seguenti disposizioni: l’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI nonché l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali in combinato disposto con l’articolo 11 del codice di comportamento etico – sportivo del CONI. La censura non ha pregio. Ed invero, muovendo dalla disamina della disposizione compendiata all’articolo 5 comma 3 dello statuto del CONI è sufficiente una piana lettura della suddetta disposizione a rivelare con immediatezza la palese inettitudine di siffatta norma ad assurgere a specifica regulaiuris della qui dedotta res controversa. Segnatamente, l’articolo 5 dello statuto del CONI è dichiaratamente volto a definire la griglia dei requisiti di onorabilità dei propri componenti ed è a tale esclusivo fine che, alla lettera b) del comma 3, prescrive il requisito soggettivo di “ non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati non colposi a pene detentive superiori a un anno ovvero a pene che comportino l’interdizione dai pubblici uffici superiore ad un anno”. Appare dunque di tutta evidenza come i profili qui in rilievo (id est legittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F.) si pongano chiaramente al di fuori del perimetro soggettivo di operatività delle prescrizioni compendiate all’articolo 5 comma 3 cit. Nè siffatte prescrizioni possono essere pedissequamente replicate, come paradigma di legittimità, in un ambito ordinamentale del tutto diverso (id est requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse) che nemmeno evidenzia – in ragione della profonda diversità dei ruoli e delle funzioni dei soggetti impropriamente posti in comparazione (componenti del CONI da un lato e dirigenti delle società dall’altro) – significativi punti di contatto sì da pretenderne l’assoggettamento ad una disciplina omogenea. In altri termini i soggetti cui si rivolgono le disposizioni in raffronto (articolo 5 dello Statuto del CONI e articolo 22 bis N.O.I.F.) sono profondamente diversi per ruolo e funzioni svolte e tale radicale diversità preclude, in radice, ogni sforzo ermeneutico di uniformarne il regime regolatorio di riferimento. Quanto al secondo blocco di disposizioni regolamentari con cui l’articolo 22 bis si porrebbe – nella tesi del ricorrente – in aperta distonia viene, anzitutto, in rilievo l’articolo 16 comma 1 dei principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate (approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1523 del 28 ottobre 2014) a mente del quale “ Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate dovranno prevedere un rinvio automatico al Codice di comportamento etico - sportivo emanato dal C.O.N.I.”. Coerentemente con tale disposizione il comma 5 dell’articolo 16 dello Statuto federale prevede che “I soggetti dell’ordinamento della F.I.G.C. sono obbligati al rispetto del Codice di comportamento sportivo adottato dal Consiglio Nazionale del CONI. Le disposizioni del Codice sono immediatamente vigenti nell’ordinamento federale, salvi i casi in cui il Codice stesso affida alla Federazione il compito di definire i meccanismi attuativi anche in relazione alla specificità di ciascuna disciplina sportiva”. Tanto premesso, e qui ribadita (salvo le eccezioni suindicate) la diretta ed automatica operatività delle norme del Codice di comportamento, viene in rilievo, per quanto di più diretto interesse, il disposto dell’articolo 11 del suddetto Codice secondo cui “Ferma restando la previsione di cui all’art. 5, comma 3, lett. b) e c), dello Statuto del CONI, al fine di tutelare l’onorabilità e l’autorevolezza degli organismi centrali e territoriali del CONI, nonché degli organismi delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle Associazioni benemerite, ivi compresi anche gli organismi rappresentativi delle società, sono immediatamente sospesi in via cautelare, secondo le modalità previste al terzo comma del presente articolo, i componenti che sono stati condannati, ancorché con sentenza non definitiva, per i delitti indicati nell’allegato “A” o che sono stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza personale”. Orbene, ancora una volta è sufficiente una piana lettura della disposizione in commento per rilevare l’infondatezza delle doglianze attoree. E’, invero, di tutta evidenza come le prescrizioni sopra richiamate si rivolgano a soggetti diversi dai dirigenti e/o collaboratori delle società riferendosi esclusivamente a quei soggetti che sono chiamati a far parte degli organi in cui si articolano il CONI, le Federazioni, gli Enti di promozione sportiva, le Associazioni benemerite, gli organismi rappresentativi delle società, idonei come tali ad evocare, in virtù del principio cd. dell’immedesimazione organica, direttamente, nei rapporti esterni, le suindicate istituzioni. Di qui, dunque, l’esigenza di preservarne l’immagine e l’azione d’istituto presidiando la composizione dei relativi organismi di rappresentanza con rigidi requisiti in tema di onorabilità. All’interno della descritta cornice di riferimento non può che concludersi per la palese estraneità delle società di calcio, da un lato, all’elenco formale dei soggetti cui si applica la norma oltre che, dall’altro, ed in ragione della non assimilabilità ai centri di interesse ivi regolati, ai presupposti ed alle finalità che hanno ispirato il precetto in argomento. Né occorre indugiare oltremodo sull’esatto significato da assegnare alla locuzione “organismi rappresentativi delle società” apparendo di tutta evidenza, in virtù dello stesso valore semantico di siffatta proposizione, come essa debba intendersi riferita (non già alla dimensione individuale di ciascuna società bensì) alle associazioni (cd. Leghe) rappresentative dell’insieme delle società che partecipano ai singoli campionati di calcio, dotate di una propria struttura organizzativa in virtù della quale a determinati organi è assegnata la funzione statutaria di rappresentare l’intera associazione. Del pari nemmeno hanno pregio le ulteriori osservazioni censoree con cui il ricorrente cerca di recuperare in via indiretta l’efficacia ostativa rinveniente dall’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, muovendo dal presupposto che i dirigenti apicali delle società possono essere chiamati a comporre organi federali di talchè la portata interdittiva della norma suindicata resterebbe comunque immutata. La tesi attorea, per quanto suggestiva, non convince. E’ pur vero che, ad esempio, siedono nell’assemblea della F.I.G.C., in qualità di delegati, i presidenti o i rappresentanti delle società professionistiche (cfr. articolo 20 dello Statuto), ma tale circostanza può semmai evocare, in via di mera tesi, un problema di incompatibilità del singolo dirigente – ove privo del requisito di cui al mentovato articolo 11 - a comporre il suddetto organo. Di contro, non è certo possibile inferire da siffatta ipotetica evenienza, con la pretesa automaticità, l’illegittimità dell’articolo 22 bis N.O.I.F. essendo esso rivolto a disciplinare l’ambito – del tutto diverso – dei requisiti di onorabilità per l’assunzione o il mantenimento della carica di dirigente di società o associazione o dell’incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse. Le due disposizioni, l’articolo 22 bis N.O.I.F. e l’articolo 11 del Codice di comportamento del Coni, hanno in definitiva un ambito di riferimento diverso e non sono tra loro in conflitto rivelandosi del tutto possibile, ove si proceda ad una corretta lettura ermeneutica, una armoniosa coesistenza dei relativi precetti regolatori. In definitiva, un attento scrutinio delle disposizioni sopra passate in rassegna che, per quanto di più diretto interesse, compongono la cornice cogente dell’ordinamento CONI induce ad escludere i dedotti profili di illegittimità – per violazione di legge – articolati dal ricorrente. Quanto alle residue censure rileva preliminarmente la Corte che, al di fuori dei vincoli rinvenienti dall’ordinamento sovraordinato, si riespande, in subiecta materia, la piena discrezionalità del legislatore federale le cui delibere restano soggette a rigorosi limiti di sindacato rappresentati dalla verifica dell’eventuale contrasto con le fonti sovraordinate dell’ordinamento federale ovvero con i canoni generali della logicità e ragionevolezza, che tracciano la linea invalicabile che separa il giudizio di legittimità dalla valutazione di merito, quest’ultima non consentita. Orbene, a tal riguardo, giova rammentare che, nella prospettiva attorea, l’intrinseca
irragionevolezza della delibera gravata deriverebbe dal fatto che: - non risulterebbe allineata al richiamato articolo 11 del codice di comportamento sportivo; - non risulterebbe coerente con la ratio specifica della norma e con la finalità statutaria del fair play amministrativo di cui all’articolo 3 comma 1, lettera h) dello Statuto; - sarebbe contraddittoria oltre che illogica la previsione di un regime più blando per i reati di cui alla lettera b) in quanto tali fattispecie criminose sarebbero più gravi ovvero maggiormente attinenti all’attività sportiva rispetto al gruppo di reati di cui alla lettera a) per i quali è previsto un regime più rigido; Orbene, in relazione ai divisati profili di contestazione è agevole rilevare che: - rispetto all’articolo 11 del Codice di comportamento sportivo si è già evidenziato come la specialità della fattispecie ivi regolata (fatta palese dalla diversità dei soggetti cui si riferisce la norma in ragione delle funzioni da essi svolte) impedisce, in apice di rinvenire, quella eadem ratio che consentirebbe di utilizzare la suddetta disposizione come tertiumcomparationis. In mancanza di comprovata omogeneità nelle condizioni di partenza non è possibile ritenere “irragionevole”, e per ciò stesso arbitraria, la scelta discrezionale del legislatore federale di introdurre mediante la previsione di cui all’articolo 22 bis N.O.I.F. un regime differenziato che governi in via autonoma i requisiti di onorabilità dei dirigenti delle società di calcio; - la possibilità di graduare per tali soggetti la soglia di incompatibilità all’assunzione di cariche associative, combinando per talune fattispecie di reato il profilo della pericolosità concreta (entità della condanna inflitta) con quello della gravità del reato (in ragione della pena edittale prevista), non si pone, contrariamente a quanto dedotto, in rapporto di distonia con la previsione di cui all’articolo 3 comma 1 lett h il quale, nel declinare le funzioni e gli obiettivi della F.I.G.C., si limita a prevedere, per quanto di più diretto interesse, che “al fine di promuovere e disciplinare il giuoco del calcio, la F.I.G.C. esercita, in particolare, le seguenti funzioni: ….h) la determinazione dei requisiti e dei criteri di promozione, di retrocessione e di iscrizione ai campionati e, in particolare, l’adozione di un sistema di licenze per la partecipazione ai campionati professionistici in armonia con i principi dell’UEFA in materia di licenze per le competizioni europee, stabilendo sistemi di controllo, anche attraverso appositi organismi tecnici, dei requisiti organizzativi, funzionali, economico gestionali e di equilibrio finanziario delle società”. La disposizione in argomento conferisce agli organi della Federazione un ampio potere regolatorio e lo stesso ordinamento endofederale, anche alla stregua di un’interpretazione sistemica, non evidenzia una soglia minima di riferimento che fissi un livello intangibile di rigore, di talchè la definizione in concreto della misura delle singole incompatibilità non può che intendersi rimessa alle valutazioni discrezionali del legislatore federale. Ed è proprio nel solco delle richiamate coordinate che è stato esercitato il suddetto potere normativo con conseguente nuova formulazione dell’articolo 22 bis N.O.I.F.. All’interno della descritta cornice di riferimento – priva di cogenti vincoli di riferimento – non è possibile ritenere che l’attuale assetto normativo tradisca la ratio evincibile dal sistema di garantire soglie di onorabilità soggettiva compatibili con i principi e i valori dell’ordinamento sportivo: a tal riguardo, deve infatti evidenziarsi che la norma suindicata si aggiunge alle limitazioni della capacità di agire già previste dall’ordinamento nazionale e come tale, per definizione, assolve alla sua tipica funzione di introdurre misure autonome e aggiuntive calibrate sullo specifico ordinamento settoriale di riferimento, dando luogo ad un oggettivo inasprimento del relativo regime giuridico rispetto alle ordinarie regole esigibili in subiecta materia in base al codice civile. Né la parziale mitigazione di siffatto regime introdotta con la delibera qui impugnata costituisce di per sè un elemento di contraddizione, rientrando siffatta scelta nell’ampio margine di discrezionalità rimesso dall’ordinamento al legislatore federale, le cui determinazioni – non sindacabili nel merito - non riflettono vizi di manifesta illogicità; - né, infine, possono essere valorizzate, quale sintomo della paventata irragionevolezza della norma, le generiche deduzioni attoree circa l’inclusione nell’elencazione di cui alla lettera b) dell’articolo 22 bis N.O.I.F. di fattispecie di reato che, secondo il ricorrente, sarebbero più gravi o, comunque, maggiormente connesse all’attività sportiva di quelle rimaste soggette al regime più rigido siccome contenute nell’elenco di cui alla lettera a). La metodica seguita di comparare intere categorie di reati secondo un non meglio definito criterio di prossimità all’attività sportiva - criterio solo genericamente enunciato ma non sviluppato nei suoi elementi di identificazione sì da rivelarsi una vuota affermazione di principio - si rivela del tutto inappagante viepiù se, come nel caso di specie, le deduzioni all’uopo svolte sono rimaste confinate, come già sopra anticipato, in una dimensione generale ed astratta senza alcun concreto aggancio alle singole specifiche tipologie delittuose contenute nelle elencazioni della norma in commento. Ed, invero, il ricorrente non si è peritato nemmeno di individuare quali delle singole tipologie di reato – ricadenti nella categorie cui fa riferimento l’articolo 22 bis N.O.I.F. – sarebbero destinate, per effetto dell’avversata riforma, ad essere espunte, siccome punite con una pena detentiva edittale inferiore ai tre anni, dalla griglia delle fattispecie costituenti parametro di riferimento per verificare la condizione soggettiva di onorabilità in capo ai dirigenti delle società di calcio. Di contro, appare di tutta evidenza che una preliminare ed analitica verifica del concreto impatto ingenerato dalla riforma costituisce una indefettibile pre - condizione per una seria denuncia di illogicità e irragionevolezza della norma che, per le ragioni fin qui dette, è rimasta affidata a generiche ed indimostrate affermazioni. Per questi motivi la C.F.A.respinge il ricorso come sopra proposto dal signor Umberto Calcagno e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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