COMITATO REGIONALE FRIULI VENEZIA GIULIA – – STAGIONE SPORTIVA 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito Web: www.figclnd-fvg.org e sul COMUNICATO UFFICIALE N. 8 DEL 07.08.2015 Delibera della Corte Sportiva di Appello Territoriale RECLAMO DEL CALCIATORE DE ANTONI FEDERICO (Soc. Ovarese – Carnico 1^ Cat) in merito al provvedimento disciplinare inflittogli dal G.S.T. all’esito della gara OVARESE – FOLGORE disputata il 26.07.2015, della squalifica sino al 29.07.2018 (in C.U. n° 10 del 28.07.2015 della Delegazione di Tolmezzo).

COMITATO REGIONALE FRIULI VENEZIA GIULIA – - STAGIONE SPORTIVA 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito Web: www.figclnd-fvg.org e sul COMUNICATO UFFICIALE N. 8 DEL 07.08.2015 Delibera della Corte Sportiva di Appello Territoriale RECLAMO DEL CALCIATORE DE ANTONI FEDERICO (Soc. Ovarese - Carnico 1^ Cat) in merito al provvedimento disciplinare inflittogli dal G.S.T. all’esito della gara OVARESE - FOLGORE disputata il 26.07.2015, della squalifica sino al 29.07.2018 (in C.U. n° 10 del 28.07.2015 della Delegazione di Tolmezzo). Con provvedimento pubblicato sul C.U. n° 10 dd 28.07.2015 il G.S.T. della Delegazione di Tolmezzo infliggeva la squalifica sino al 29.07.2018 (tre anni di squalifica) al calciatore Federico DE ANTONI, esponendo: " tre anni di squalifica per essersi rivolto in direzione della tribuna, che si trovava ad una distanza di circa 10 metri, abbassandosi i pantaloncini e le mutande così mostrando i propri genitali al pubblico presente. Questo Giudice Sportivo, valuta particolarmente grave il comportamento del giocatore, in alcun modo scriminato e/o giustificato dalla refertata provocazione degli spettatori, ritenendo di configurare la fattispecie non come un gesto osceno ma come un atto osceno, essendosi perfezionata l'azione in un luogo aperto al pubblico, con l'aggravante che verosimilmente all'interno dell'impianto sportivo potevano essere presenti anche persone minori degli anni 18. Atto che secondo il comune sentimento, è idoneo ad offendere il pudore. Altro è il gesto osceno, che è a sua volta censurabile ed esso stesso espressamente sanzionato dalla Giustizia Sportiva il cui significato etimologico consiste in un atto o movimento della persona e specialmente delle braccia e delle mani, spesso per dar forza alla parola o esprimere mimicamente un concetto.”. Con tempestivo reclamo il diretto interessato, dopo essersi formalmente scusato per la sua condotta, impugnava la decisione disciplinare del G.S.T., evidenziando come il fatto commesso sia stato mal interpretato dal Direttore di Gara; infatti, il calciatore chiedeva di poter provare mediante testimoni di aver solo mimato il gesto di calarsi le mutande in esito a una provocazione del pubblico ma, in realtà, la sua azione si sarebbe fermata “senza calare gli slip e senza scoprire i genitali”. Pur riconoscendo la gravità del fatto, esponeva che la pena sarebbe stata “eccessiva anche nella denegata ipotesi in cui, a causa del disposto dell’art. 35/1 CGS, si giungesse alla conclusione di dover determinare la sanzione sulla base di quanto riportato nel referto”. Conseguentemente, richiedeva che la sanzione venisse “ridotta e commisurata al comportamento da me effettivamente tenuto” o che in ogni caso fosse ridotta in considerazione di ulteriori osservazioni effettuate in termini di diritto. Formulava istanze istruttorie che la CSA non può che dichiarare inammissibili in questa sede, in cui la attività istruttoria è retta dal contenuto del referto dell’arbitro ed eventualmente degli assistenti e della Procura Federale. In sede di audizione, assistito da avvocato, confermava il contenuto del reclamo, e documentava di essersi pubblicamente scusato attraverso i media che si occupano del “Campionato Carnico”. Il reclamo è fondato. Effettivamente il GST, come emerge chiaramente dalla motivazione del provvedimento, ha travalicato i limiti dell’Ordinamento Sportivo per giungere, in assenza delle guarentigie minime costituzionalmente riconosciute a chiunque venga accusato di aver commesso un reato, e soprattutto in assenza di una propria giurisdizione in tema, a “condannare” il tesserato per una ipotesi che l’Ordinamento Statale considera reato (atti osceni in un luogo pubblico). All’Ordinamento Sportivo, contrariamente a quanto leggiamo nella motivazione della squalifica, non interessa se il fatto descritto dall’arbitro a carico di un calciatore possa o non possa costituire reato; a quello ci pensa l’Ordinamento Statale. Se fosse davvero quello adottato dal GST il suo scopo, la Giustizia Sportiva costituirebbe un doppione “povero” dell’attività giurisdizionale che la nostra Costituzione Repubblicana assegna inderogabilmente alla Magistratura, come Funzione essenziale dello Stato. Rammentiamo che il Giudice (penale) è chiamato dallo Stato, attraverso la Costituzione, ad esercitare l’alta Funzione della Giustizia, mentre il Giudice Sportivo è chiamato da un ente privato (nel nostro caso, la FIGC) solamente ad amministrare gli aspetti disciplinari “domestici”. All’Ordinamento Sportivo interessa, invero, solo che quel medesimo fatto possa o non possa aver leso i canoni essenziali dello Sport: la probità, la correttezza e la lealtà, o gli altri dettami disposti dai regolamenti federali, nell’osservanza dei principi dettati dalla Carta Olimpica. Le due valutazioni possono coincidere, e spesso coincidono, ma non necessariamente: tant’è che è lo stesso Ordinamento Statale che riconosce all’Ordinamento Sportivo una vera e propria “autonomia” nella valutazione degli aspetti disciplinari dei tesserati. Il D.L. 220/2003, convertito in legge 280/2003, recita in proposito: “art. 1 La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale; art. 2. In applicazione dei principi di cui all'articolo 1, è riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: ; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”. La motivazione assunta dal GST, costruita sui dettami dell’art. 527 del codice penale, anche con il richiamo (peraltro in via presuntiva, in assenza di qualsivoglia supporto probatorio) alla aggravante di cui al secondo comma, va cassata integralmente, in quanto priva di consistenza nell’Ordinamento Sportivo, unico corpus all’interno del quale è destinata a sortire effetto. Quindi, come detto, compito degli Organi di Giustizia Sportiva è la valutazione della contrarietà della condotta di un tesserato ai canoni sportivi. Ebbene, nel caso concreto, la condotta del calciatore, qui accertata ai soli fini sportivi secondo i parametri di cui all’art. 35/1 CGS, non può che essere inquadrata alla stregua di plateale e biasimevole ingiuria nei confronti del pubblico presente alla gara, potenzialmente foriera di disordini fortunatamente non occorsi. La violazione disciplinare di cui si è reso protagonista il calciatore va certamente a ledere il principio della lealtà sportiva, che riassume in sé lo spirito sportivo e le finalità dello sport: lealtà sportiva non è solo giocare nel rispetto delle regole. Questo valore incorpora il concetto di amicizia e quel rispetto degli altri che nella fattispecie è clamorosamente venuto a mancare. È fair play, è un modo di essere, di pensare, non solo un modo di comportarsi. Questa violazione, però, non ha creato conseguenze significative nell’Ordinamento Sportivo: non ha falsato i valori in campo, non ha dato ambito a situazioni violente, né era compatibilmente indirizzata ad una frode sportiva, ad una prevaricazione, o ad un imbroglio; né al doping, né alla violenza fisica (in particolare contro l’arbitro), né allo sfruttamento o al razzismo, per cui del tutto fuori luogo si presenta anche la misura della sanzione inferta, che andrà determinata come da dispositivo. Avendo il reclamante provveduto al versamento della tassa di ricorso a mezzo bonifico, essa, ai sensi dell’art. 33, comma 13 C.G.S., deve essere restituita a fronte dell’accoglimento del reclamo. P.Q.M. La Corte Sportiva di appello: a) accoglie il reclamo, e per l’effetto, previa riconduzione della condotta nei termini di cui in motivazione, ridetermina la squalifica a carico del sig. DE ANTONI FEDERICO in tre mesi di squalifica. b) dispone che si dia corso alla restituzione della tassa di reclamo.
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