Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 27 febbraio 2007– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera dellaCorte Federale(FIGC) pubblicata sul C.U. n. 2/CF del 4 agosto 2006 - www.figc.it
Parti: L.M. contro F.I.G.C.
Massima: La Camera di Conciliazione dichiara la propria incompetenza a decidere sulla controversia allorquando l’istanza di arbitrato viene promossa da un soggetto che a causa delle proprie dimissioni non è più tesserato con la F.I.G.C. ed antecedentemente alla proposizione dell’istanza, non è intervenuto alcun accordo tra le parti volto a devolvere la controversia alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Infatti, al momento della proposizione della domanda di arbitrato, mancava (e manca ancor oggi) incontestabilmente la qualità di tesserato della F.I.G.C. da parte dell’istante e l’irrevocabile proposta del istante di devolvere alla Camera la controversia in discorso contenuta nell’istanza di arbitrato è stata inequivocabilmente respinta dalla F.I.G.C. in quanto la resistente, nei propri scritti difensivi, ha eccepito, in via preliminare, proprio l’inammissibilità/improcedibilità della domanda di arbitrato per carenza della qualità di tesserato F.I.G.C. in capo all’istante. La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, ai sensi dell’art. 12, n. 3 dello Statuto del C.O.N.I., ha competenza “sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affiliati, tesserati o licenziati…”; Secondo il n. 5 del medesimo art. 12 dello Statuto C.O.N.I., “alla Camera può … essere devoluta mediante clausola compromissoria o altro espresso accordo delle parti qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati”. Secondo l’art. 9, n. 2 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (di seguito solo “Regolamento”) “la proposizione dell’istanza vale come riconoscimento che la procedura arbitrale richiesta è irrevocabilmente assunta come manifestazione della propria volontà …”. Di conseguenza, l’atto introduttivo del procedimento deve venire considerato quale proposta compromissoria irrevocabile. L’arbitrato presso la Camera costituisce, infatti, un procedimento di risoluzione delle controversie sportive esterno agli ordinamenti delle Federazioni Sportive e non può essere considerato in alcun modo come prosecuzione dei procedimenti interni a tali ordinamenti. L’oggetto del giudizio, in sede di arbitrato presso la Camera, non è affatto l’impugnazione in senso stretto di un provvedimento federale, ma l’esame di una controversia relativa alla volontà manifestata dalla Federazione con riguardo a una determinata fattispecie sviluppatasi in ambito endoassociativo. L’art. 12 dello Statuto C.O.N.I. attribuisce alla Camera non una mera competenza a riesaminare in appello uno specifico atto federale, ma la competenza a decidere con pronunzia definitiva sulle controversie che contrappongono una Federazione a soggetti affiliati o tesserati sottoponendo al vaglio del Collegio la controversia nel suo intero. L’autonomia dei procedimenti e la conseguente impossibilità di ipotizzare una perpetuatio jurisdictionis nei confronti dell’istante esclude la competenza della Camera a decidere la controversia.
Massima: Infondata appare, l’eccezione di inammissibilità/improcedibilità proposta dalla F.I.G.C. per aver presentato l’istante ricorso al TAR con conseguente preclusione dell’azione dinanzi alla Camera. A tal riguardo, si osserva che, comunque, il ricorso giurisdizionale non avrebbe determinato la consunzione del diritto del ricorrente alla proposizione del giudizio arbitrale, in considerazione della possibilità di percorrere simultaneamente la via arbitrale e la via giudiziaria, come già affermato da questa Camera. (Cfr. Lodo 13.03/03.04.2006 Dal Cin F./F.I.G.C.).
Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 20 novembre 2006– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della Corte Federale C.U. n. 2/C.F del 4.08.2006 - www.figc.it
Parti: Società Treviso F.B.C. 1993 Srl contro F.I.G.C.
Massima: La domanda di arbitrato promossa dalla società con la quale, impugna la decisione della Corte Federale, nel cui procedimento è stata parte in qualità di interventrice e di cui ne chiede l’annullamento e la conseguente iscrizione al campionato di Serie A per la stagione sportiva 2006/2007 è inammissibile per due ordini di motivi. In primo luogo, occorre considerare che, ai sensi degli artt. 4 e 8 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, la procedura di conciliazione e arbitrato può essere attivata solo su istanza di chi sia stato “parte” in un procedimento instaurato dinanzi agli organi di giustizia federale. Non può considerarsi “parte” di un procedimento disciplinare il soggetto che sia stato meramente autorizzato a intervenire in giudizio in qualità di titolare di un interesse solamente indiretto alla definizione di una controversia insorta tra le parti principali. Nel caso di specie, non può pertanto riconoscersi il diritto della società a impugnare in via autonoma la decisione resa dalla Corte Federale all’esito di un procedimento in cui la società istante, portatrice di interessi indiretti, ha ricoperto una posizione meramente riflessa e subordinata in qualità di interventrice nella procedura de qua. Del resto, non può tacersi il fatto che la società trevigiana avrebbe potuto agire al fine di tutelare i propri interessi presentando istanza di intervento ex art. 10, comma 7, del Regolamento Camerale nei procedimenti, rispettivamente, promossi dalle società dinanzi alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. La società, rinunciando a esercitare tale pur legittima facoltà, ha sostanzialmente prestato formale acquiescenza al decisum della Corte Federale su cui, peraltro, si è oramai formato il giudicato, non può che dichiararsi l’inammissibilità della domanda introduttiva del presente procedimento per difetto di legittimazione attiva in capo alla società istante priva di un interesse diretto all’impugnazione nella controversia in questione. In secondo luogo, occorre considerare che, ai sensi dell’art. 27, comma 3, dello Statuto della F.I.G.C. esulano dalla competenza arbitrale le controversie di natura tecnico disciplinare decise in via definitiva dagli organi di giustizia federale che abbiano dato luogo a sanzioni comportanti penalizzazioni in classifica. In tali casi, il potere degli arbitri può trovare giuridico fondamento solo ed esclusivamente nella stipula di una specifica clausola compromissoria finalizzata alla deroga del principio della “non arbitrabilità” delle controversie di natura tecnico disciplinare espressamente statuito dalla disposizione normativa testé richiamata. Nella fattispecie in esame, tuttavia, non ricorre l’ipotesi di competenza del Collegio Arbitrale risalente a un espresso accordo delle parti, unica condizione che avrebbe consentito di superare i limiti alla competenza arbitrale di cui all’art. 27, comma 3, dello Statuto F.I.G.C. Anche sotto tale profilo deve, pertanto, dichiararsi l’inammissibilità della domanda della società per violazione dell’art. 27, comma 3, dello Statuto F.I.G.C.
Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 27 ottobre 2006– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della Commissione d’Appello Federale (F.I.G.C.) pubblicata sul C.U. n….. /C del 13 settembre 2006 - www.figc.it
Parti: A.T. contro F.I.G.C.
Massima: Il calciatore squalificato dalla Commissione Disciplinare ed il cui successivo ricorso è stato presentato nel suo interessa dalla società e dichiarato inammissibile, può ricorrere personalmente avverso tali pronunce alla Camera di Conciliazione, la quale superate le eccezioni di inammissibilità procederà direttamente all’esame nel merito senza rinvio degli atti agli organi federali. Ai sensi dell’art. 29 del C.G.S. « […] Sono legittimati a proporre reclamo, nei casi previsti dal presente Codice, le Società, i loro Dirigenti, soci di Associazione e tesserati che, ritenendosi lesi nei propri diritti, abbiano interesse diretto al reclamo stesso. Per i reclami in ordine allo svolgimento di gare sono titolari di interesse diretto soltanto le società e i loro tesserati che vi hanno partecipato […]». A sua volta, l’art. 8 del Regolamento della Camera, al secondo comma, dispone che « […] La procedura di arbitrato […] è ammissibile a condizione che siano previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione sportiva nazionale o comunque si tratti di decisioni non soggette ad impugnazione nell’ambito della giustizia federale […]». La disposizione da ultimo citata deve essere interpretata nel senso che l’esaurimento della fase federale della controversia va inteso sotto il profilo oggettivo e non già soggettivo: la lite agitata davanti alla Camera deve aver trovato già cognizione nell’ambito della giustizia interna, indipendente da chi, tra i soggetti legittimati all’azione, la abbia concretamente esercitata. Diversamente opinando, si giungerebbe al risultato di impedire al calciatore, che nel frattempo abbia mutato compagine sportiva, di tutelare il proprio interesse all’impugnazione. Mentre, infatti, fin quando l’atleta milita nella squadra alla quale apparteneva al momento dell’irrogazione della sanzione, la società ha interesse all’annullamento della squalifica; una volta uscito dalla società, il calciatore resterebbe privo di tutela.
Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 3 agosto 2006– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della Commissione d’Appello Federale (F.I.G.C.) pubblicata sul Comunicato Ufficiale n. 6/C del 06/08/05 - www.figc.it
Parti: M.D.C. contro F.I.G.C.
Massima: La Camera di Conciliazione non è competente a decidere in merito al ricorso promosso dal soggetto, che al momento della proposizione della domanda non risulta più tesserato con la FIGC, nonostante sia stato sanzionato e squalificato dalla Commissione d’Appello Federale Ai sensi dell’art. 12, comma III, dello Statuto del C.O.N.I., la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport “ha competenza, con pronunzia definitiva, sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affiliati, tesserati o licenziati, a condizione che siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale”. Condicio sine qua non, della legittimazione attiva ad adire la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, è il possesso della qualità di affiliati ad una Federazione Sportiva Nazionale. La mancanza di tale status personale, ai sensi dell’art. 12, comma III, dello Statuto del C.O.N.I., conseguentemente impedisce alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport di poter decidere qualsiasi controversia. Il ricorrente sin dal momento della proposizione della domanda di arbitrato, mancava della qualità di tesserato alla F.I.G.C., che ha precedentemente perduto in dipendenza di un evento, quale la dichiarazione di fallimento della squadra di appartenenza, previsto dalle N.O.I.F. quale causa di estinzione del vincolo associativo. Inoltre, nel presente giudizio arbitrale non si discute dello status personale dell’istante, ovvero della perdita della qualità di tesserato, conseguentemente, ai sensi dell’art. 12, comma III, dello Statuto del C.O.N.I., il Collegio rileva la sua assoluta incompetenza. In forza di tutti gli elementi sopra richiamati, è fatto notorio e indiscutibile che il ricorrente, al momento della proposizione dell’istanza, non possedeva il requisito di tesserato e/o affiliato ad una Federazione Sportiva Nazionale, che aveva perduto in precedenza, a causa ed in conseguenza di un fatto avente effetti nell’ordinamento giuridico, come la dichiarazione di fallimento del club di appartenenza, In tale maniera, l’istante è stato privato di qualsiasi legittimazione ad adire la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, avendo perduto lo status personale costitutivo della legittimazione ad agire, ai sensi del già richiamato art 12, III comma, dello Statuto del C.O.N.I.. Dove la capacità degli arbitri risieda in una clausola di un contratto associativo, infatti, il patto compromissorio può resistere alla dismissione del vincolo associativo, se e in quanto questa stessa vicenda costituisca oggetto del giudizio, il quale rimane, perciò, soltanto quello arbitrale. Diversamente, ove la dismissione della qualità di associato costituisca un prius non rientrante nell’oggetto del giudizio, una clausola del genere è incapace di distogliere dall’Autorità Giudiziaria la controversia che insorga sopra una posizione soggettiva, eventualmente rilevante per l’ordinamento giuridico. Il Collegio rileva che nel presente giudizio non si discute in merito alla qualità, ovvero alla perdita della qualità di tesserato, da parte del ricorrente, pertanto, nessuna competenza potrà ravvisarsi in capo alla Camera di Conciliazione a Arbitrato per lo Sport. Peraltro, la giurisprudenza non ha mancato di precisare che il potere arbitrale non va soggetto al principio di cui all’art. 5 c.p.c., che è inutilizzabile per risolvere la questione della permanenza del vincolo compromissorio (Cass. 21 luglio 2004, n. 13516 e sempre sulla questione, in senso conforme, le Sezioni Unite della Cassazione del 3 ottobre 2002, n. 14223). Addirittura, prosegue la sentenza n. 13516 del 2004 della Cassazione, sopra richiamata, disponendo che in tema di arbitrato, lo stabilire se una controversia debba essere decisa dal giudice ordinario o dagli arbitri non integra una questione di competenza in senso tecnico ma di merito, in quanto inerente alla validità o alla interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria, e quindi all'ambito della cognizione attribuita agli arbitri dalla convenzione arbitrale; ne consegue che, anche nell'ipotesi in cui sia stata impropriamente redatta in termini di affermazione o negazione della competenza del giudice, la sentenza risolutiva della predetta questione resta pur sempre una pronuncia di merito (….) (cfr. conforme anche Cassazione, Sezioni Unite n. 9829 del 2002).