Collegio di Garanzia dello Sport C.O.N.I. Sezione Consultiva - Parere n. 6/2021
Istanza: Segretario Generale del CONI
Parere: Sulla funzione dell’attività interpretativa della Sezione Consultiva. Il parere, come noto, non intende condizionare in alcun modo l’adozione di atti che rientrano nella valutazione discrezionale degli organi della Federazione e tanto meno vuole interferire con le attività gestorie e/o di controllo intestate ad altri organi. La latitudine delle competenze attribuite a questa Sezione investe il dispiegarsi di un’attività interpretativa, necessaria (come Codesto Collegio ha avuto più volte modo di ribadire), ogni qual volta la norma presenti una qualche carenza sub specie di ambiguità della stessa. Siffatta indeterminatezza contenutistica si alimenta, talvolta, di un quadro normativo il quale, nel suo sovrapporsi, si presta ad interpretazioni che, prescindendo da una corretta lettura delle piattaforme di decantazione normativa, impediscono l’individuazione di linee di ricomposizione del sistema. In questo senso l’interpretazione, pur partendo dalla norma, non si risolve quindi in un fatto puramente linguistico. L’attività interpretativa ha sempre ad oggetto una disposizione normativa, la quale svolge funzione “ordinante” e della cui esattezza di significato si va alla ricerca (Consiglio di Stato, Sez. I, 13 novembre 2020, n. 1807). Essa, liberandosi dell’ancoraggio al mero dato letterale, si fonda sui valori e sulle scelte dell’ordinam ent o in una pr ospett iva di r ecuper o del sist em a, che non è un “mero post ulato di logica giuridica o di teoria generale, ma fa parte di ogni comunità che nel diritto si riconosca”1. In tutti quei casi in cui il significato della proposizione normativa sia oscuro, questo deve essere trovato per il tramite di un’attività di collegamento tra la norma e i principi generali, tra una norma e l’altra, in una prospettiva attenta alla costruzione armonica del “sistema”. Questo Collegio ha già ripetutamente avuto modo di precisare che la delimitazione delle proprie competenze – nel rispetto dello St atut o CO NI , art. 12 bis, comm a 5, e dell’art . 56, com m a 3, del Codice della G iustizia Sportiva – è volta a garantire un corretto equilibrio istituzionale, dovendosi evitare interferenze o confusione di funzioni tra quella consultiva e quella giurisdizionale. Nell’eser cizio dell’att ivit à consult iva, il Collegio si comport a quale organo di co nsulenza imparziale, dal m omento che la f unzione consult iva è svolt a solo nell’inter esse dell’ordinam ent o sport ivo. Va, dunque, esclusa la possibilità di emettere pareri su mere questioni di fatto, in quanto ne risulterebbe alterata la funzione consultiva. Sì che, per un verso, il supporto consultivo non si può sostituire a scelte e decisioni che devono essere compiute a livello istituzionale/federale, per l’altro, non può falsificare il suo ambito di operatività trasformandosi in funzione giurisdizionale. Ciò è pienamente coerente con la necessità di inquadrare le funzioni consultive in un contesto “sistemico” anche volto a sostenere eventuali processi di adeguamento normativo, con ciò fornendo sostegno consultivo, appunto, ai soggetti responsabili dell’attività di implementazione. L’attività consultiva può essere esercitata quando si chiede l’interpretazione in via generale di una previsione normativa non chiara o laddove si ravvisi un contrasto normativo e trova il proprio limite nella logicità dell’argomentazione, onde rendere manifesti gli sviluppi del ragionamento logico- giuridico seguito. In questo senso l’interpretazione non è espressione del mero pensiero dell’interprete, ma mira a mettere in luce la logica e la struttura del sistema, evidenziando possibili collegamenti normativi in una prospettiva assiologicamente orientata e sempre attenta alla gerarchia normativa e alla razionalità del sistema. Da ciò si r icava che non esist e l’inter pret azione vera ma solo quella rigorosa, con questo intendendosi l’argoment azione che, nel r apport o di coerenza logica e scientifica in grado di evidenziare la conseguenzialità delle formulazioni linguist iche, incontr a la propr ia r agion d’essere. Queste, dunque, le coordinate strutturali e funzionali dell’interpretazione e la chiave di lettura che (in armonia con i propri precedenti) metodologicamente questo Collegio intende seguire. Nel caso di specie, l’intervento della Sez. Consultiva è stato sollecitato rispetto alla questione della possibilità di procedere, da parte del Consiglio Federale della FIGC, “al commissariamento della L.N.D. per gravi motivi che impediscono il regolare svolgimento dell’attività della L.N.D. non consentendone altresì il funzionamento”, in ragione delle seguenti considerazioni: 1) illegittima approvazione del bilancio da parte del Vice Presidente Vicario a tanto non autorizzato nè da disposizioni presenti nel vigente Regolamento della L.N.D., nè dai Principi Informatori approvati dal Consiglio federale, nè dallo Statuto federale, né dai Principi fondamentali del C.O.N.I. approvati con deliberazione del Consiglio Nazionale n. 1613 del 4 settembre 2018; 2) mancato adeguamento da parte della L.N.D. del proprio Regolamento ai Principi Informatori approvati dal Consiglio Federale”. La Sezione Consultiva, ritenendo di evincere che le questioni, di rilevanza generale e astratta, sottoposte alla sua attenzione investano sostanzialmente ruolo e funzione dei principi generali del Coni, funzione del regime della prorogatio e divisione delle competenze, ne riconosce l’ammissibilità. Solo in questi termini, infatti, il quesito – per come formulato – consente il radicamento della competenza in capo a questa Sezione e permette di esprimere un parere generale ed astratto.
Sulla natura dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate. A prescindere da più sofisticate e teoriche riflessioni (cfr., R. ALEXY, Theorie der Grundrechte (1986), passim, e spec. pp. 75 e ss.; sulla struttura dei principi si veda poi, specificamente, Id., On the Structure of legal Principles, in Ratio Jiuris, 13 (2000), n. 3, p. 294 ss.); sulla natura dei principi, quali regole aventi natura giuridica, quindi precetti, pur sempre cogenti ma di tenore ampio, la cui concretizzazione segue ad un processo di bilanciamento, è chiaro che quando si guarda alla funzione svolta dai “principi” occorre partire da una osservazione di fatto che inevitabilmente condiziona l’esito della riflessione. Si tratta, infatti, al fine di intendere la portata degli stessi, di verificare: a) il contesto e il modo nel quale essi sono espressi; b) lo scopo per il quale sono formulati; c) l’autorità che li pronuncia; d) il significato che rivestono e, infine, e) i risultati che si intendono perseguire attraverso la loro applicazione. La premessa del discorso è fondamentale perché intende evitare equivoci e arrivare al profilo che qui più interessa, ovverossia quello della distinzione fra principi e regole; distinzione necessaria a cogliere la natura più o meno vincolante della disposizione e la forza che ne assiste l’applicabilità. Ora, non v’è dubbio che, nella sua inclusiva vaghezza, quello di “principio” è lemma di portata generale chiamato a trovare concretizzazione grazie all’attività dell’interprete; un’attività non arbitraria e che riposa su una serie di acquisizioni e (senza entrare nel merito del rapporto valori/principi) di valori condivisi dalla comunità degli studiosi. Un fatto, però, è certo. Il principio, ai fini della definizione/concretizzazione – recte per la sua applicazione –, rinvia ad un’opera complessa di bilanciamento che è rimessa all’interprete, sì che la sua esatta individuazione si realizza solo, per dir così, ex post. Il fascino esercitato dalla parola “principio” è notevole e influenza lo stesso soggetto normatore, il quale non raramente usa l’espressione de quo anche quando dà l’incipit ad un testo normativo, regolando una determinata fattispecie. Un discorso diverso deve invece farsi per la “regola”. Va da sé che anche la regola poggia su principi e nondimeno questi trovano applicazione. Si tratta, però, di una applicazione, per dir così, indiretta. Nel caso della regola, infatti, quel delicato giudizio di bilanciamento che assiste i principi è effettuato una volta per tutte dal legislatore il quale, dunque, per esigenze che attengono alla più felice composizione di un quadro di sistema, effettua egli stesso delle scelte e vi assegna valore vincolante. Così stabilita la linea di riflessione, è agevole rendersi conto del fatto che la fissazione dei principi cui devono adeguarsi gli Statuti delle Federazioni ha implicato la ricerca e la individuazione di un delicato punto di equilibrio fra esigenze (potenzialmente antinomiche) di garanzia della uniformità e certezza delle posizioni giuridiche e rispetto dell’autonomia. Tale predeterminazione è quindi espressione (per un verso) dell’adeguata ponderazione degli interessi coinvolti e (per altro verso) della necessità di assicurare certezza e stabilità ai rapporti giuridici, così come la conoscibilità ex ante delle regole di funzionamento delle Federazioni (il che rappresenta anche un presidio ex se di controllo democratico della vita di questi Enti). In questo senso legalità, efficienza, trasparenza, certezza, stabilità sono i valori perseguiti che si pongono a tutela e garanzia del corretto svolgersi di quella attività di promozione, disciplina, organizzazione, sviluppo della disciplina sportiva che si radica in capo alla Federazione. Nel caso dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate, di cui alla delib. Consiglio Nazionale Coni n. 1613 del 4 settembre 2018, non v’è dubbio, quindi, che la determinazione ex ante di regole sostanziali e di procedimento, nonché l’esatta identificazione degli organi e dei soggetti coinvolti miri a contemperare quelle esigenze di legalità, efficienza e garanzia, che si impongono in considerazione del rilievo che assume lo svolgimento dell’attività sportiva e, pertanto, della «valenza pubblicistica» delle attività svolte dalle Federazioni sportive, ex art. 23 dello statuto del CONI., per la cura di interessi di carattere generale propri del mondo sportivo ed attribuiti in via istituzionale al CONI (ex art. 1 del d.lgs. n. 242 del 1999 e ss.mm.ii.). In questa prospettiva assiologica, il rilievo dell’attività sportiva si trova costantemente riaffermato, osservandosi (Cons. St., sez. V - ord. – 12 febbraio 2019, n. 1006 – Pres. Severini, Est. Franconiero ) che “nello svolgimento delle attività di «valenza pubblicistica» le Federazioni debbono conformarsi «agli indirizzi e ai controlli del CONI»; ed in modo immanente sono vincolate al rispetto dei principi - di tipico ordine pubblicistico - della «imparzialità e trasparenza» (art. 23, comma 1-bis, dello statuto del Comitato olimpico), i quali manifestano finalità di carattere generale che trascendono l’interesse corporativo dell’ente nel complesso della sua operatività, in linea con quanto espresso dalla Corte di giustizia nel precedente poc’anzi richiamato”. Ed ancora, che ”nella veste di ente pubblico preposto al settore il CONI dispone di poteri di vigilanza nei confronti delle Federazioni sportive che sono in realtà assimilabili a quelli delle relazioni interorganiche interne alla persona giuridica di diritto pubblico, estrinsecantesi principalmente nell’approvazione del bilancio annuale e nel contr ollo sulla gestione e sul r ispet t o dell’ordinam ent o sport ivo , fino al commissariamento dell’ente federale (artt. 15, comma 3, d.lgs. n. 242 del 1999 e 23, comma 3, dello statuto del CONI). Dal complesso di tali previsioni si ricava che a dispetto della loro qualificazione ex lege come associazioni di diritto privato e del sottostante modello di organizzazione corporativa incentrato sulla libera disponibilità del fine perseguito dall’ente collettivo, nel caso delle Federazioni sportive sembra difettare quest’ultimo elemento caratteristico, a favore del carattere in realtà istituzionale ed eterodeterminato, per legge o atto dell’autorità (o degli organismi sportivi internazionali), non solo dei profili strutturali essenziali, ma anche degli ambiti principali di azione e delle modalità con cui questa deve essere svolta: con simmetrica eliminazione o riduzione degli spazi e della libertà organizzativa che sono propri dell’autonomia privata, la quale invece caratterizza per sua natura le effettive persone giuridiche private”. Ne consegue, per tornare alla premessa da cui parte la presente riflessione che, a dispetto del nomen utilizzato, i Principi delle Federazioni Sportive – lungi dal possedere quella dimensione deontica aperta che si adatta ai principi, i quali si concretizzano solo in sede di applicazione degli stessi nei singoli casi concreti (attraverso l’adattamento al fatto specifico) e soprattutto attraverso il “bilanciamento” con (gli) altri principi, operando come sorta di “mandati di ottimizzazione che possono essere soddisfatti in gradi diversi” (Alexy) – devono considerarsi delle vere e proprie “regole” ovvero, se si vuole utilizzare la lettura che ne offre Ferrajoli, dei “principi regolativi”. I Principi delle Federazioni Sportive sono cioè «precetti definitivi», perché rispetto ad essi il bilanciamento è già stato operato e, dunque, fino a quando sono vigenti racchiudono ben precise conseguenze giuridiche giacché vietano, ordinano, permettono, autorizzano, dispongono. Il tutto è compiuto in maniera risolutiva e il loro contenuto è assolutamente prescrittivo, come emerge da una terminologia dalla quale traspare la doverosità della condotta; una doverosità la quale non lascia trasparire spazi per una realizzazione parziale o graduale. E, non a caso, in questa direzione è anche la previsione di cui all’art. 2, comma 3, dei Principi Informatori degli Statuti e dei Regolamenti delle Leghe: “Le Leghe regolano autonomamente - nel rispetto della legge, dei principi ed indirizzi del Coni e della FIGC, dello Statuto federale, dei principi informatori degli statuti e dei regolamenti delle Leghe emanati dalla FIGC - le proprie articolazioni organizzative ed il loro funzionamento”.
Sul significato e sulla valenza della proroga delle funzioni. Nei limiti dianzi chiariti, relativamente alle competenze di questo Collegio, vengono altresì in evidenza i principi della divisione di competenze e della proroga delle funzioni la cui previsione soddisfa un principio di trasparenza e buon andamento dell’azione. Si tratta di un principio, questo, che trova conferma nella disciplina generale del Codice civile sulle società e nelle leggi che disciplinano gli organi di amministrazione attiva, consultiva e di controllo dello Stato e degli enti pubblici, nonché delle persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica. Da siffatto contesto normativo emerge che: anche alla scadenza del termine di validità del proprio mandato, e sia pure nei limiti dell’ordinaria amministrazione, ogni organo mantiene le proprie competenze fintanto che non si insediano i nuovi componenti e, comunque, fino al termine del periodo di prorogatio. La ratio di questo principio deve individuarsi nella considerazione che il trasferimento/concentrazione delle competenze dell’organo scaduto su un altro organo vuole salvaguardare la divisione di competenze fra gli organi e, in tal senso, non compromettere la neutralità e trasparenza dell’azione amministrativa e di controllo; la prorogatio, di norma prevista alla scadenza del mandato, o laddove non sia possibile la prosecuzione dello stesso, è prevista al fine di consentire la ricostituzione dell’organo con i nuovi componenti e così evitare un vuoto improvviso di potestà d’azione. Ne è conferma la disciplina del regime che, stante la sua eccezionalità e temporaneità, impone agli organi scaduti di adottare esclusivamente gli atti di ordinaria amministrazione, nonché gli atti urgenti e indifferibili; la proroga, poi, non può eccedere un tempo predefinito che, di norma, è fissato in quarantacinque giorni. A mero titolo esemplificativo, valga ricordare che la proroga degli organi delle società di capitali è regolata secondo criteri che assicurano una continuità di gestione ordinaria e una limitazione dei tempi per il loro rinnovo (v. art. 2385-2386 cod. civ.). Laddove la durata e la proroga degli organi amministrativi dello Stato e degli enti pubblici, nonché delle persone giuridiche a prevalente partecipazione pubblica sono regolate dal D.L. 16/05/1994, n. 293, conv. in L. 444/1994, a norma del quale (art. 3): “1. Gli organi amministrativi non ricostituiti nel termine di cui all'articolo 2 sono prorogati per non più di quarantacinque giorni, decorrenti dal giorno della scadenza del termine medesimo. A) Nel periodo in cui sono prorogati, gli organi scaduti possono adottare esclusivamente gli atti di ordinaria amministrazione, nonché gli atti urgenti e indifferibili con indicazione specifica dei motivi di urgenza e indifferibilità. B) Gli atti non rientranti fra quelli indicati nel comma 2, adottati nel periodo di proroga, sono nulli”). La disciplina dettata dalla legge appena citata è riprodotta poi in numerosi altri testi normativi di enti pubblici (v. Legge Regione Abruzzo 2/12/2011 n. 42, Nuova disciplina del Parco Naturale regionale Sirente Velino, art. 5, 11 e 12; D.P.G.R. 21/04/2015, n. 52/R, Regolamento di attuazione della legge regionale toscana 23 maggio 2014, n. 27 - Disciplina dell'esercizio delle funzioni in materia di demanio collettivo civico e diritti di uso civico, capo II, art. 2, etc.). La prorogatio, in altri termini, soddisfa un’esigenza di continuità dell’azione, quale espressione di un principio generale dell’ordinamento. Essa intende scongiurare vuoti di potere; un potere che va, tuttavia, esercitato entro i limiti fisiologici del regime di prorogatio e non può immaginarsi sine die (Corte cost., 28/06/1995, n. 283. In dottrina G. Demuro, Prorogatio del Consiglio regionale e «limiti immanenti», in Le Regioni, 2010). La giurisprudenza in materia proclama ed applica gli stessi principi, ora esplicitando l'applicabilità del principio generale della prorogatio dei poteri degli amministratori, ex art. 2274 c.c., sino alla loro sostituzione (si vedano, fra le tante, Cassazione civile, sez. I, 18/05/2021, n. 13516), ora richiamando il principio della ultrattività dell’associazione sciolta (Cassazione civile, sez. III, 27/11/2018, n. 30606) al fine di evidenziare che la stessa rimane centro di imputazione di effetti giuridici in relazione a tutti i rapporti ad essa facenti capo e non ancora esauriti “tramite i precedenti titolari degli organi esponenziali in carica alla data di scioglimento, operanti in regime di prorogatio”. Analogamente i giudici amministrativi osservano che “il regime della prorogatio consente soltanto l'esercizio di poteri attenuati, limitati cioè alla adozione di atti indifferibili e necessari. Detto istituto è, pertanto, strettamente correlato ad una fase di depotenziamento delle funzioni del consiglio, la cui ratio è stata individuata dalla giurisprudenza costituzionale nel principio di rappresentatività connaturato alle assemblee consiliari regionali in virtù della loro diretta investitura popolare e della loro responsabilità politica verso la comunità regionale” (T.A.R. Venezia, sez. III, 25/03/2016, n. 309). In tal senso, il regime di "prorogatio" degli organi amministrativi si è detto costituire un principio fondamentale della legge statale sia pur “limitato alle esigenze di rispondere a speciali contingenze, quale ragionevole soluzione di bilanciamento tra il principio di rappresentatività e il principio di continuità funzionale” (Corte costituzionale, 17/04/2015, (ud. 10/03/2015, dep. 17/04/2015), n. 64, nonché le sentenze n. 55 e n. 44 del 2015). La ratio, dunque, è chiara e deve individuarsi nella esigenza di far sì che siano gli organi che si sono occupati della gestione dell’Ente ad approvare tutti quegli atti che si riferiscono al lasso temporale nel quale essi stessi hanno operato, indirizzando sia le scelte di governance che quelle economiche. Accanto a questo profilo si colloca, invero, anche una esigenza di tutela dei terzi che devono poter contare su una struttura dell’Ente sempre funzionante e dove l’avvicendamento delle cariche non deve operare in pregiudizio delle loro posizioni. Tanto, senza considerare un risvolto, per dir così interno della prorogatio, la cui funzione si volge anche a vantaggio dell’Ente stesso, essendo preposta ad evitare pericolose paralisi che possano comprometterne l’attività. Ed in tal senso, si osserva “la disposizione di cui all’art. 2385 c.c., a tenore della quale la cessazione degli amministratori dalla carica ha effetto solo dal momento in cui l’organo amministrativo è stato ricostituito, risponde ad una evidente esigenza di continuità nel funzionamento della società ed è volta ad impedire in occasione del ricambio delle cariche sociali, ogni rischio di paralisi della gestione della società la quale potrebbe per alcun tempo restare priva di chi la amministra e la rappresenta” (Cass. 04/06/2003, n. 8912; Cass. 28/04/1997, n. 3652). Principi questi che ispirano la previsione di cui all’art. 8, comma 6, lett. b), Principi Fondamentali FSN/DSA.
La funzione della divisione delle competenze. Nel contesto del quadro legislativo, consegnato dalla riforma delle società, il dato che – per quello che qui interessa - merita di essere segnalato riposa sul rilievo che assumono i paradigmi dell’indipendenza e dell’autonomia degli organi in rapporto alle funzioni di amministrazione, gestione, vigilanza e controllo. Le strutture organizzative delineate dal legislatore appaiono, in tal senso, ispirate dalle necessità di assicurare una efficace e prudente gestione a tutti i livelli, laddove le condizioni che consentono il raggiungimento di siffatto obiettivo sono: l’indipendenza delle funzioni di controllo interno dalle funzioni di linea (o di business vero e proprio), nonché una chiara separazione delle competenze. Il pilastro principale dei sistemi di buona governance è cioè sempre rappresentato da un efficace sistema di gestione e di controllo e dal bilanciamento reciproco tra le varie componenti2 e di tanto è conferma nella riforma societaria del 2003. Il legislatore, nell’offrire la facoltà di scelta fra tre diversi modelli organizzativi, si preoccupa sempre di definire con attenzione e rigore le competenze di ciascun organo, evitando situazioni che possano dare spazio a pericolosi fenomeni di sovrapposizione delle stesse. La chiara divisione delle competenze attua principi di trasparenza, integrità, responsabilità e inclusione quali valori chiave di una corretta governance il cui obiettivo è quello di orientare il processo decisionale verso il m igliore conseguim ent o dell’inter esse comune nonché vietar e l’emer ger e di inter essi particolaristici (in tale direzione, altresì, OECD Draft Policy Framework on Sound Public Governance). Assume così rilievo un dato che, in precedenza, risultava per implicito, ossia il fatto che l’impresa non sia soltanto una entità economica, ma debba essere apprezzata anche e soprattutto quale complesso di regole di trasparenza e di corretto comportamento, sulla base delle quali individuarla. Discorso questo che vieppiù sembra destinato a valere nel caso delle articolazioni sportive, per il rilievo e la significatività sociale e giuridica dello sport. La circostanza che alla formazione del bilancio della società che adotta il sistema tradizionale concorrano amministratori, collegio sindacale e assemblea racconta, così, del rilievo di un procedimento in cui i momenti della informazione e del controllo convergono nell’atto finale dell’approvazione del bilancio di competenza dell’assemblea (art. 2364 c.c.). Si tratta di un procedimento che, ovviamente, subisce degli adattamenti laddove il sistema di governo sia monistico ovvero dualistico e, tuttavia, questo della divisione delle competenze è principio che non viene mai meno, giacché redazione del bilancio e sua approvazione fanno capo a soggetti diversi. D’altro canto, alla circostanza che (sempre tenendo in rilevante quelle differenze cui si faceva riferimento) nelle società di capitali il bilancio è predisposto dagli amministratori (v. art. 2423 cod. civ.) ed è approvato dall’assemblea (v. art. 2364 e 2409-terdecies cod. civ.) si affianca per il settore pubblico una medesima ratio, essendo sempre mantenuta la divisione di competenze fra l’organo che predispone il bilancio e quello che lo approva, pur con le diverse denominazioni usate per identificare gli organi ed indipendentemente dall’autonomia dell’ente rispetto al pubblico apparato (basti pensare, tanto per esemplificare, che nelle fondazioni lirico sinfoniche il bilancio è redatto dal sovrintendente ed approvato dal consiglio di amministrazione/indirizzo, secondo gli art. 12 e 13 del d.lgs. 367/1996). Ma v’è di più. L’approvazione del bilancio di esercizio – quale atto di ordinaria amministrazione - costituisce uno dei momenti più rilevanti nella vita societaria. Il bilancio di esercizio assolve – come noto - a due funzioni fondamentali all’interno dell’ambiente in cui è predisposto. Se, da una parte, esso assicura una forma di controllo interno, nel senso di consentire alle parti interessate di valutare il corretto procedere della gestione economica, dall’altra, esso assolve anche ad una importante funzione di verifica, per dir così, “esterna”, nel senso che veicola tutte le informazioni necessarie affinché i terzi che entrano in contatto con l’azienda possano valutarne correttamente la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica. La sua funzione è, in questo senso centrale, perché informa i soci, i creditori, e più in generale tutte le parti interessate sull’andam ento societario. Dell’essenzialità di questa funzione è conferma il fatto che nelle società la redazione del bilancio di esercizio (art. 2423 c.c.) e di quello consolidato non può essere delegata dal consiglio di amministrazione ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti o ad uno o più amministratori delegati. Se, come pare, quello dell’approvazione del bilancio è un procedimento al quale concorrono (non in posizioni contrapposte) soggetti diversi e serve a determinare il reddito d’esercizio, la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa al fine di controllarne l’andamento nel tempo, si comprende bene come la sua approvazione spetti agli organi che a quella gestione hanno partecipato. In tale direzione va l’istituto della prorogatio. Dal canto suo, la previsione di cui all’art. 5, comma 2, lett. a), Principi Informatori degli Statuti e dei Regolamenti delle Leghe stabilisce che spetti all’assemblea della LND “l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi, fatta salva la possibilità di farli approvare al Consiglio direttivo, purché vi sia il parere favorevole del Collegio dei Revisori dei conti”. Laddove è chiaro che il richiesto parere è condicio sine qua non per l’approvazione del bilancio da parte del Consiglio Direttivo cui viene attribuita una competenza, la quale si sostanzia nel dovere di compiere determinati atti (ovvero di non compierli), agendo come se si fosse un altro e ovviamente in nome e per suo conto. Di tal che, il venire meno dell’organo, non crea vuoto, ma riespande l’originaria competenza.
Ma ciò posto, e così declinati i principi generali che informano la disciplina delle questioni sottoposte all’esame di questo Collegio, l’attenzione va alla identificazione degli strumenti di cui dispone la Federazione, qualora ritenga che tali principi siano violati. Non può che evidenziarsi come tale ricognizione si risolva nel richiamo ad espresse previsioni contenute nello Statuto Federale e, quindi, ben note al richiedente. Il potere della Federazione di procedere al commissariamento della Lega Nazionale Dilettanti è espressamente previsto dall’art. 9, n. 9, dello Statuto Federale che, nell’ottica di una lettura sistematica, va inquadrato alla luce dei principi generali dell’ordinamento sportivo. Diversa è invece la regolamentazione dell’eventuale conflitto tra Federazione e Lega nell’ipotesi di mancato adeguamento dei regolamenti di quest’ultima ai principi indicati dalla prima. L’autonomia regolamentare riconosciuta in capo alla Lega nella definizione della propria articolazione organizzativa qui trova il suo limite invalicabile nella necessità di rispettare lo Statuto Federale, i Principi Fondamentali, gli indirizzi del CONI e della FIGC, nonché i principi di democrazia interna (art. 9.2 Statuto FIGC). A tanto induce la lettura di un univoco quadro normativo che si completa della previsione di cui all’art. 2, comma 3, Principi Informatori degli Statuti e dei Regolamenti delle Leghe, a norma della quale le articolazioni delle Leghe e il loro funzionamento deve effettuarsi “nel rispetto della legge, dei principi ed indirizzi del Coni e della FIGC, dello Statuto federale, dei principi informatori degli statuti e dei regolamenti delle Leghe emanati dalla FIGC”. Allorché la Federazione ritenga che la Lega abbia infranto il menzionato limite potrà pur sempre (ai sensi dell’art. 9 n. 2 dello Statuto Federale) “sollevare il conflitto innanzi alla Corte federale di appello”, organo della giustizia sportiva e, pertanto, in posizione di terzietà rispetto alle parti, a cui è attribuita espressamente la competenza a dirimere la controversia.
Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - C.O.N.I. – Sezioni Unite: Decisione n. 38 del 04/07/2018
Decisione impugnata: Delibera di approvazione dei Nuovi Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate adottata, il 9 aprile 2018, dal Consiglio Nazionale del CONI, limitatamente alla parte in cui ha modificato il capo 5.4 ("Elezione facoltativa dei rappresentanti degli ufficiali di gara nei consigli federali") ed il capo 5.5 ("Attribuzione del diritto di voto ad atleti, tecnici ed ufficiali di gara per l'elezione degli organi direttivi diversi dal consiglio federale") dei previgenti Principi Fondamentali introducendo, quale condizione per l'esercizio delle facoltà ivi attribuite agli ufficiali di gara delle Federazioni Sportive Nazionali, il richiamo alle disposizioni dei regolamenti delle relative Federazioni Internazionali di appartenenza; nonché per l’annullamento di ogni atto prodromico, preliminare e presupposto alla predetta delibera.
Parti: Associazione Italiana Arbitri/Comitato Olimpico Nazionale Italiano
Massima: Il ricorso è improcedibile…Ed infatti, ha giustamente specificato il CONI che, ai sensi dell'art. 1, comma 3, della L. n. 138/1992, le delibere del CONI concernenti norme di funzionamento e di organizzazione e quelle concernenti l'ordinamento dei servizi sono assoggettate all'approvazione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo (ora Presidenza del Consiglio dei Ministri) e divengono esecutive se, nel termine di venti giorni dalla data di ricezione, non vengono formulati motivati rilievi per vizi di legittimità. L'approvazione, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pertanto, ha natura costitutiva dell'efficacia di tali delibere, ma tale approvazione nella specie non è mai avvenuta. Solo per completezza, può aggiungersi che i Principi Fondamentali deliberati dal CONI, e approvati dal Ministero competente, prevalgono sulle autonome determinazioni delle Federazioni Sportive, sicché, a tale riguardo, è evidentemente infondata l'eccezione di incompetenza dedotta da controparte. Ritiene il Collegio che, quindi, meriti accoglimento la preliminare eccezione di improcedibilità sollevata dal CONI. Ed invero, l’Associazione ricorrente articola le sue doglianze avverso un provvedimento che allo stato non ha ancora acquisito efficacia, perché non ancora approvato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ne consegue che non può essersi verificata alcuna lesione della situazione giuridica soggettiva della Associazione.