F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE – 2018/2019 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 035CFA DEL 04 OTTOBRE 2018 CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. N. 029/CFA DEL 13 SETTEMBRE 2018 C.O.N.I. – COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT GIUDIZIO DI RINVIO EX ART. 62 COMMA 1 C.G.S. C.O.N.I. IN ORDINE ALL’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO DELLA PROCURA GENERALE DELLO SPORT RELATIVO ALLE POSIZIONI DEI SIGG.RI MERULLA STEFANO E D’ANGELO ALESSANDRO NICOLA SEGUITO DECISIONI DELLA CORTE FEDERALE DI APPELLO – SEZIONI UNITE – COM. UFF. N. 078/CFA DEL 22.1.2018 (Collegio di Garanzia dello Sport presso il C.O.N.I. – Sezioni Unite – Decisione n. 42/2018 del 20.7.2018)
C.O.N.I. - COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT GIUDIZIO DI RINVIO EX ART. 62 COMMA 1 C.G.S. C.O.N.I. IN ORDINE ALL’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO DELLA PROCURA GENERALE DELLO SPORT RELATIVO ALLE POSIZIONI DEI SIGG.RI MERULLA STEFANO E D’ANGELO ALESSANDRO NICOLA SEGUITO DECISIONI DELLA CORTE FEDERALE DI APPELLO – SEZIONI UNITE - COM. UFF. N. 078/CFA DEL 22.1.2018 (Collegio di Garanzia dello Sport presso il C.O.N.I. – Sezioni Unite - Decisione n. 42/2018 del 20.7.2018)
Con la decicione n. 48 del 16 marzo 2018, pubblicata il 20 luglio 2018, il Collegio di Garanzia dello Sport del Coni ha accolto il ricorso proposto dalla Procura Generale dello Sport contro i sig.ri Alessandro Nicola D’Angelo e Stefano Merulla, rinviando alla Corte Federale d’Appello della Federazione italiana giuoco calcio, “nei sensi di cui in motivazione”.
Di seguito, si riepilogano, in rapida sintesi, i fatti oggetto del giudizio ed il relativo iter processuale. Con provvedimento del 18 marzo 2017 il Procuratore Federale ha deferito innanzi al TribunaleFederale Nazionale:
- il sig. ANDREA AGNELLI, all’epoca dei fatti tesserato quale presidente della Juventus FC Spa., in ordine alla violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità e dell’obbligo di osservanza delle norme e degli atti federali di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS e dell’art. 12, commi 1, 2, 3 e 9 stesso codice, perché, nel periodo che va dalla stagione sportiva 2011/2012 a quantomeno tutta la stagione sportiva 2015/2016, con il dichiarato intento di mantenere l’ordine pubblico nei settori dello stadio occupati dai tifosi “ultras” al fine di evitare alla Società da lui presieduta pesanti e ricorrenti ammende e/o sanzioni di natura sportiva, non impediva a tesserati, dirigenti e dipendenti della Juventus FC Spa di intrattenere rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti “gruppi ultras”, anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, autorizzando la fornitura agli stessi di dotazioni di biglietti e abbonamenti in numero superiore al consentito, anche a credito e senza previa presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari, così violando disposizioni di norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo,
consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio, partecipando personalmente, inoltre, in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata e della tifoseria “ultras” e assecondando, in occasione della gara Juventus - Torino del 23 febbraio 2014, l’introduzione all’interno dell’impianto sportivo, ad opera dell’addetto alla sicurezza della Società, sig. D’Angelo, di materiale pirotecnico vietato e di striscioni rappresentanti contenuti non consentiti al fine di compiacere e acquisire la benevolenza dei tifosi “ultras”;
- il sig. FRANCESCO CALVO, all’epoca dei fatti tesserato quale dirigente - direttore commerciale della Juventus FC Spa e, comunque, soggetto che ha svolto, per la predetta Società attività rilevante ai fini dell’ordinamento federale ai sensi dell’art. 1 bis, comma 5, CGS, in ordine alla violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità e dell’obbligo di osservanza delle norme e degli atti federali di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS e dell’art. 12, commi 1, 2, e 9 stesso codice, perché, nel periodo che va dall’ottobre 2011 al settembre 2015, con il dichiarato intento di mantenere l’ordine pubblico nei settori dello stadio occupati dai tifosi “ultras” al fine di evitare alla Società pesanti e ricorrenti ammende e/o sanzioni di natura sportiva, intratteneva personalmente nonché consentiva ad altri dipendenti della Juventus FC Spa, a lui subordinanti, di intrattenere rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti “gruppi ultras”, anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, facendo sì che venissero fornite loro dotazioni di biglietti e abbonamenti, anche a credito e senza previa presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari, così violando disposizioni di norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo, consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio, partecipando personalmente, inoltre, in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata e della tifoseria “ultras”;
- il sig. ALESSANDRO NICOLA D’ANGELO, all’epoca dei fatti dipendente addetto alla sicurezza (Security Manager) della Juventus FC Spa e, dunque, soggetto che ha svolto, per la predetta Società attività rilevante ai fini dell’ordinamento federale ai sensi dell’art. 1 bis, comma 5, CGS, in ordine alla violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità e dell’obbligo di osservanza delle norme e degli atti federali di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS e dell’art. 12, commi 1, 2, 3 e 9 stesso codice, perché, nel periodo che va dalla stagione sportiva 2011/2012 a quantomeno tutta la stagione sportiva 2015/2016, con il dichiarato intento di mantenere l’ordine pubblico nei settori dello stadio occupati dai tifosi “ultras” al fine di evitare alla Società pesanti e ricorrenti ammende e/o sanzioni di natura sportiva, intratteneva personalmente rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti “gruppi ultras”, anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, facendo sì che venissero fornite loro dotazioni di biglietti e abbonamenti, anche a credito e senza previa presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari, così violando disposizioni di norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo, consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio, partecipando personalmente, inoltre, a numerosi incontri con esponenti della malavita organizzata e della tifoseria “ultras” nonché, in occasione della gara Juventus - Torino del 23 febbraio 2014, introducendo di persona, all’interno dell’impianto sportivo, materiale pirotecnico vietato e striscioni rappresentanti contenuti non consentiti al fine di compiacere e acquisire la benevolenza dei tifosi “ultras”;
- il sig. STEFANO MERULLA, all’epoca dei fatti dipendente responsabile del ticket office della Juventus FC Spa e, dunque, soggetto che ha svolto, per la predetta Società attività rilevante ai fini dell’ordinamento federale ai sensi dell’art. 1 bis, comma 5, CGS, in ordine alla violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità e dell’obbligo di osservanza delle norme e degli atti federali di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS e dell’art. 12, commi 1, 2, e 9 stesso codice, perché, nel periodo che va dalla stagione sportiva 2011/2012 a quantomeno tutta la stagione sportiva 2015/2016, con il dichiarato intento di mantenere l’ordine pubblico nei settori dello stadio occupati dai tifosi “ultras” al fine di evitare alla Società pesanti e ricorrenti ammende e/o sanzioni di natura sportiva, intratteneva personalmente rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti “gruppi ultras”, anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, facendo sì che venissero fornite loro dotazioni di biglietti e abbonamenti, anche a credito e senza previa presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari, così violando disposizioni di norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo, consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio, partecipando personalmente, inoltre, in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata e della tifoseria “ultras”;
- la società JUVENTUS FC SPA, a titolo di responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 4, comma 1, e 12, commi 1, 2 e 3, CGS, in ordine agli addebiti contestati al suo presidente, nonchè a titolo di responsabilità oggettiva, ai sensi degli artt. 4, comma 2, e 12, commi 1, 2 e 3, CGS, in ordine agli addebiti contestati ai sig.ri Francesco Calvo, Alessandro Nicola D’Angelo e Stefano Merulla, che svolgevano tutti, all’epoca dei fatti, attività rilevante ai fini dell’ordinamento federale, ai sensi dell’art. 1 bis, comma 5, CGS, per la stessa predetta Società.
La Procura Federale riteneva che le complessive risultanze istruttorie dimostravano che la Juventus FC s.p.a., «per lo più attraverso l’opera di Alessandro D’Angelo e Stefano Merulla, con l’autorizzazione e la consapevolezza del loro diretto superiore gerarchico Francesco Calvo», ha «agevolato i gruppi “ultras”, cedendo loro, in violazione delle stringenti normative in materia, dotazioni di biglietti ed abbonamenti in numero superiore al consentito, che sono stati poi rivenduti da costoro a terze persone a prezzi maggiorati».
Nel contesto probatorio versato in atti, la Procura federale evidenzia, poi, quello che definisce un gravissimo episodio che confermerebbe la «disinvolta gestione dei rapporti con la tifoseria»: alla vigilia di Juventus – Torino del 23 febbraio 2014, Alessandro D’Angelo, «con l’aiuto di Raffaello Bucci, al fine di evitare lo sciopero del tifo ed eventuali ritorsioni nei confronti della propria Società di appartenenza, si prestò ad introdurre personalmente, all’interno dello stadio degli zaini contenenti striscioni e fumogeni, così eludendo la sorveglianza delle Forze dell’ordine […] Peraltro il Presidente Agnelli era perfettamente a conoscenza dell’introduzione di materiale vietato all’interno dello stadio perché di ciò informato dal D’Angelo con il quale risulta intrattenere un rapporto personale di amicizia oltre che rapporti di natura professionale».
Richiamava, la Procura federale, a supporto della prospettazione accusatoria, anche le risultanze del procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino –D.D.A. (n. 10270/2009 RGNR e sottoprocedimenti n. 22857/13 RGNR, n. 27583/14 RGNR e 1378/15 RGNR, costituenti la cosiddetta "indagine Altopiemonte"), concernente l'infiltrazione di soggetti appartenenti ad organizzazioni malavitose tra gruppi di tifosi "ultras" della Juventus FC e i plurimi e duraturi contatti con la dirigenza della società, nonché quanto contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare emessa in data 11 maggio 2016 dal GIP presso il Tribunale di Torino nell’ambito del proc. pen. 10270/2009. Gli elementi acquisiti, riportati dettagliatamente nelle due informative agli atti, cioè, quella denominata “Comanda Rosarno”, della squadra mobile di Torino, e quella cosiddetta “Chimera”, redatta dai Carabinieri, avrebbero confermato, secondo la Procura Federale, per quanto concerne i fatti di interesse nel presente giudizio disciplinare sportivo, «un consolidato e risalente accordo tra la società FC Juventus Spa ed i gruppi di tifo organizzato, comunemente definiti “ultras”».
Nel giudizio, innanzi al Tribunale Federale Nazionale, conseguente al suddetto deferimento, si costituivano la Juventus FC spa e il suo presidente, sig. Andrea Agnelli, chiedendo l'integrale proscioglimento dall'addebito contestato.
Anche il sig. Francesco Calvo depositava comparsa difensiva, evideniando come l'attività di intrattenimento con i gruppi organizzati fosse stata dettata dalla tutela dell'ordine pubblico all'interno degli impianti sportivi e negando, comunque, ogni ingerenza o semplice contatto con le organizzazioni criminali organizzate. In breve, Francesco Calvo eccepiva gran parte dei fatti allo stesso contestati, escludendo, ad ogni buon conto, la sua eventuale responsabilità disciplinare rispetto ai fatti occorsi nel periodo di durata del suo servizio a favore della Juventus FC spa, ossia 1 ottobre 2011 – 30 settembre 2015. Concludeva, quindi, chiedendo l'applicazione della esimente dello stato di necessità, ovvero e in subordine per l'applicazione di una moderata ammenda in applicazione del disposto di cui all'art. 12, comma 6, ultimo cpv., CGS.
Nell’instaurato giudizio si costituivano anche i sig.ri Alessandro Nicola D'Angelo e Stefano Merulla, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del TFN, in quanto privi di tesseramento con la FIGC in epoca antecedente e coeva ai fatti. Nel merito, respingevano l'addebito mosso in relazione ai contestati rapporti con associazioni malavitose, negando recisamente ogni contatto e assumendo che né la DDA, né la Procura della Repubblica avevano mai indagato loro per tali fatti. Non negavano, invece, di aver intrattenuto rapporti con i gruppi organizzati della tifoseria e degli ultras, sostenendo che detti rapporti si sarebbero, tuttavia, realizzati nell’ambito degli impegni istituzionali di cooperazione tra tifoseria e forze dell'ordine ai fini della corretta gestione degli impianti sportivi.
Hanno, peraltro, sostanzialmente ammesso la violazione del decreto Pisanu e, segnatamente, la violazione della disposizione che limita a quattro biglietti per ciascun acquirente: ciò in ragione del fatto, questo l’assunto difensivo, che ragioni di ordine pubblico imponevano un dialogo maggiormente “acquiescente” da parte della dirigenza nei confronti della tifoseria, anche in ragione di esigenze di spostamento dei gruppi in determinati settori dello stadio, dell’apposizione di segni identificativi, delle trasferte ed altro.
Quanto, segnatamente, al concesso pagamento dilazionato dei biglietti, lo stesso veniva ricondotto al rapporto fiduciario instauratosi nel tempo tra acquirenti e venditori dei tagliandi, ventilando la circostanza di essere a conoscenza che alcuni gruppi effettuassero bagarinaggio, senza, tuttavia, conoscere modalità e termini di tali margini di guadagno. La distribuzione dei biglietti per le gare in trasferta era, invece, disciplinata dalle società ospitanti, per cui il rapporto di compravendita subiva altre e difformi dinamiche alle quali gli stessi si erano sempre uniformati.
Quanto, da ultimo, all’episodio della introduzione di uno zaino contenente uno striscione e dei fumogeni all'interno dello stadio, a cura del dirigente sig. Alessandro Nicola D'Angelo, evidenziavano come la relativa perpetrazione del fatto era già stata oggetto di confessione da parte di coloro che se ne erano resi effettivamente responsabili (due tifosi che avevano confezionato ed esposto uno striscione offensivo).
I deferiti D’Angelo e Merulla concludevano, quindi, per l'applicazione di una sanzione contenuta nell'ammenda in riferimento alla sola vendita dei biglietti in numero superiore a quattro.
All’esito del dibattimento, il Tribunale Federale Nazionale accoglieva il deferimento, preliminarmente rigettando l'eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa dei sigg.ri Merulla e D'Angelo, atteso che, «dalla disamina dei fatti appare evidente che gli stessi abbiano svolto, nel caso di specie attivitá all'interno della Juventus FC Spa e, comunque, nel suo interesse, rientrando a pieno titolo fra i soggetti di cui all'art. 1, comma 5 del Codice di Giustizia Sportiva in vigore fino al 1 agosto 2014 e, successivamente, fra i soggetti di cui all'art. 1 bis comma 5 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva».
Nel merito, il TFN ha, come detto, ritenuto fondato il deferimento, nei termini spiegati in motivazione.
«I fatti, tutti collocabili nell'alveo dell'art. 12 CGS in relazione ai contestati commi sono stati in gran parte ammessi dai deferiti, sono noti e di agevole individuazione nella loro perpetrazione.
Il riepilogo del processo sportivo può essere quindi riassunto nel principio cardine riferito alla antigiuridicità dei fatti commessi, in stretta comparazione con la norma contestata, il cui mero confronto conduce de plano alla conclusione che gli eventi oggetto della incolpazione sono stati effettivamente commessi (vedremo in prosieguo in quale misura e maniera).
Va premesso che l'ordinamento statale (non solo sportivo) prevede, all'art. 1 quater, comma bis del D.L. 24 febbraio 2003, n. 28, testualmente che: “É fatto divieto alle Società organizzatrici di competizioni nazionali riguardanti il gioco del calcio di porre in vendita o cedere, a qualsiasi titolo, direttamente od indirettamente, alla Società sportiva cui appartiene la squadra ospitata, titoli di accesso agli impianti sportivi ove tali competizioni si disputano, riservati ai sostenitori della stessa. É, altresì, fatto divieto di porre in vendita o cedere, a qualsiasi titolo, alla stessa persona fisica o giuridica titoli di accesso in numero superiore a quattro. In caso di violazioni delle disposizioni del presente comma si applicano le sanzioni previste dal comma 5 dell'articolo 1 quinquies”. Tale disposizione è stata introdotta dal D.L. 8 febbraio 2007, n. 8, nell'ambito dell'adozione di "misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche". La violazione di tali disposizioni, al di là delle sanzioni di carattere sportivo comporta, come sopra indicato, l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie da Euro 10.000,00 ad Euro 150.000,00.
Trattasi, pertanto, di violazione grave non solo per le conseguenze di carattere disciplinare nell’ambito del diritto sportivo, ma anche per le conseguenze di natura amministrativa in capo alle Società che infrangono tali disposizioni».
Ciò premesso, il TFN riteneva che «dall'esame dei fatti, come desunti anche dalle dichiarazioni dei deferiti Calvo, D'Angelo e Merulla, il Collegio rileva che la ratio della norma è stata completamente stravolta. In altri termini ciò che il legislatore ha individuato quale elemento idoneo a causare o quantomeno a favorire fenomeni di violenza, è stato, invece, utilizzato dagli odierni deferiti al dichiarato fine di mantenere l'ordine pubblico nei settori delle stadio occupati dagli ultras ed i buoni rapporti con la tifoseria. Tale circostanza si appalesa oltremodo preoccupante anche in ragione del fatto che non sono stati fenomeni sporadici e occasionali; in realtà le vicende contestate assurgono a vero e proprio modus operandi di una delle Società più blasonate a livello europeo per un lunghissimo arco di tempo ed hanno trovato la loro conclusione non già a seguito di un volontario cambio di rotta societario, ma esclusivamente per l'avvenuta conoscenza delle attività di indagine della Procura della Repubblica di Torino.
La reiterata violazione della norma statale sopra indicata e, conseguentemente dell'art. 12, comma 2 del CGS é stata pacificamente ammessa dal Calvo, dal Merulla e dal D'Angelo che hanno invocato, a loro discolpa diverse esimenti che, tuttavia, non possono trovare accoglimento. La presunta vis estorsiva dei capi ultras non trova conferma, per le fattispecie oggetto di contestazione, né nelle dichiarazioni dei deferiti che, al contrario, riconoscono di non essere mai stati né minacciati, né particolarmente pressati da tali soggetti, né nel tenore delle intercettazioni in atti, da cui sembra, invece, evincersi un normale e collaudato rapporto di fiducia reciproca; risulterebbe quantomeno strano, fra l’altro, che soggetti in grado di porre in essere pressioni di natura estorsiva, venissero addirittura condotti ad incontri con la massima dirigenza juventina.
Altrettanto pacifica appare la violazione dell'art. 12 comma 1 del CGS da parte dei tre dirigenti sopra indicati.
La disposizione in questione prevede che alle Società é fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilitá, alla costituzione ed al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori. L'ampiezza temporale, del fenomeno descritto in deferimento, l'entità dei tagliandi e degli abbonamenti distribuiti oltre il limite normativo agli esponenti del tifo organizzato induce a ritenere sicuramente violata la disciplina in questione, a prescindere dalla dibattuta effettiva conoscenza della circostanza che i beneficiari fossero dediti al bagarinaggio ovvero fossero esponenti della criminalità organizzata (la qual cosa, fra l'altro non risulta adeguatamente provata tanto è vero che la notizia ufficiale riferita alla presunta appartenenza dei citati soggetti a cosche illecite, venne resa pubblica in epoca successiva rispetto ai rapporti intercorrenti tra la dirigenza e la tifoseria, e che non appena appresa la notizia, ogni contatto ebbe immediato termine).
Emerge, invero, dagli atti, perché inequivocabilmente dichiarato dagli stessi deferiti D'Angelo e Calvo, che gli stessi fossero pienamente consapevoli delle "utilitá" (che fra l'altro, non è necessario che debbano essere esclusivamente di natura economica) finalizzate al mantenimento dei gruppi e/o dei sostenitori ai quali avevano riconosciuto i predetti benefici in dispregio della normativa; i predetti hanno chiaramente affermato di essere ben consapevoli del "business" che permettevano di fare in virtù di un ben delineato compromesso».
Per quanto concerne, invece, la violazione dell'art. 12, comma 9, CGS, il TFN riteneva che la stessa «non possa trovare applicazione nei confronti del Merulla e del D'Angelo in quanto non tesserati. Il tenore letterale della disposizione infatti impone il divieto di intrattenere rapporti con esponenti e/o gruppi di sostenitori che non facciano parte del tifo organizzato ai soli tesserati, non potendo estendersi analogicamente anche a tutti gli altri soggetti indicati all’art.1 bis, comma 5 del CGS. Si sottolinea, inoltre, che tale precetto si pone in netta contrapposizione con quelli indicati ai precedenti commi dell'art. 12 che, invece, hanno fra i destinatari anche i soggetti indicati all'art. 1 bis, comma 5 del CGS».
Quanto al tesserato Calvo il TFN riteneva che la violazione non fosse allo stesso contestabile, in quanto la disposizione di cui trattasi è entrata in vigore a decorrere dalla stagione sportiva 2015-2016 allorquando il Calvo non prestava più servizio presso la Juventus FC s.p.a.
Con riferimento alla posizione del presidente Andrea Agnelli il Tribunale di prime cure riteneva non fondata la “difesa assolutoria”, atteso che «il tenore della istruttoria e la indubbia frequentazione dirigenziale con gli altri deferiti, unitamente al lunghissimo lasso temporale durante il quale si è dipanato il periodo oggetto di indagine (ben 5 stagioni sportive) ed alla cospicua quantità di biglietti e di abbonamenti concessi illegittimamente recitino in maniera opposta rispetto alla ragioni rassegnate dal Presidente».
Quanto al contestato episodio della introduzione nelle curve dello zainetto «contenente gli effetti/strumenti "proibiti" della tifoseria, a ministero del Dirigente D'Angelo (art. 12 CGS comma 3)», il TFN riteneva che «detta introduzione sugli spalti si verificò appieno anche se per motivazioni, per certi versi, sensibili (cercare di evitare lo sciopero della tifoseria); ma il gesto sconsiderato e pericoloso, anche a livello di immagine, resta. Sul punto il Tribunale esprime tuttavia la convinzione che il Presidente Andrea Agnelli nulla sapesse».
Con riferimento, poi, alla contestazione della violazione di cui all’art. 12, comma 9, CGS formulata nei confronti di Agnelli Andrea, il TFN riteneva non sussistere «prova concreta che, nella stagione 2015/2016, unica stagione sportiva in cui, ratione temporis, é applicabile la fattispecie incriminatoria il Presidente abbia posto condotte illecite riconducibili alla violazione sopra indicata».
Riteneva, in definitiva, il TFN che tutti i deferiti hanno violato l'art. 12, commi 1 e 2, CGS, «nei termini sopra esposti, mentre il medesimo art. 12 CGS, comma 3 è di esclusiva pertinenza di colui il quale si rese protagonista del gesto, cioè del Sig. D'Angelo».
In relazione alle responsabilità riconosciute in capo ai suddetti deferiti, derivava la responsabilità, diretta ed oggettiva, a carico della società Juventus FC s.p.a.
In accoglimento parziale del deferimento, dunque, il Tribunale Federale Nazionale infliggeva le seguenti sanzioni:
- Andrea Agnelli: anni 1 (uno) di inibizione + € 20.000,00 (Euro ventimila/00) ammenda;
- Francesco Calvo: anni 1 (uno) di inibizione + € 20.000,00 (Euro ventimila/00) ammenda;
- Stefano Merulla: anni 1 (uno) di inibizione + € 20.000,00 (Euro ventimila/00) ammenda;
- Alessandro Nicola D’angelo: anni 1 (uno) e mesi 3 (tre) di inibizione + € 20.000,00 (Euro ventimila/00) ammenda;
- Juventus FC Spa: € 300.000,00 (Euro trecentomila/00) ammenda.
Avverso la suddetta pronuncia del Tribunale Federale Nazionale proponevano ricorso i sigg.ri Francesco Calvo, Stefano Merulla, Alessandro D’Angelo, Andrea Agnelli e la società FC Juventus s.p.a. Proponeva, altresì, reclamo il Procuratore Federale.
Francesco Calvo, riteneva errata ed ingiusta la sanzione della inibizione di anni uno, oltre all’ammenda di euro ventimila. Deducendo errata valutazione dei fatti in merito all’invocata scriminante dello stato di necessità e conseguente mancato riconoscimento della stessa; denunciava errata ed illogica valutazione dei fatti in ordine all’applicabilità dell’art. 12, comma 1, CGS; evidenziava di essere totalmente estraneo alla vicenda della vendita a credito dei biglietti presso le ricevitorie; denunciava, ancora, difetto di motivazione in ordine alle circostanze attenuanti ed in ordine alla determinazione della pena. Concludeva, quindi, per l’assoluzione da ogni addebito, attesa la ricorrenza nella fattispecie dell’esimente dello stato di necessità e, in via subordinata, instava affinchè la sanzione fosse limitata a moderata ammenda, in applicazione del disposto del comma 6, ultimo capoverso, dell’art. 12 CGS.
Andrea Agnelli e la FC Juventus s.p.a. hanno proposto appello avverso, rispettivamente, i capi della sentenza con cui il TFN ha ritenuto la responsabilità del presidente per la violazione dell’art. 12, commi 1 e 2, CGS ed i capi della sentenza che hanno ritenuto la responsabilità diretta della società per i fatti addebitati al presidente Agnelli e quella oggettiva per i fatti addebitati al dirigente Calvo ed ai dipendenti D’Angelo e Merulla. La decisione impugnata non offrirebbe, del resto, secondo parte ricorrente, «prove concrete della partecipazione del Presidente Agnelli agli illeciti contestati e si limita, in definitiva, a sopperire alla mancanza di prove con una congettura».
Deduceva, altresì, l’appellante Andrea Agnelli, assenza di responsabilità per omesso controllo essendo la società strutturata per tali adempimenti, evidenziando come il TFN non abbia tenuto conto alcuno dell’organizzazione societaria complessa di cui trattasi, lamentando, infine, comunque, l’eccessività della sanzione inflitta.
I ricorrenti Stefano Merulla ed Alessandro D’Angelo deducevano, anzitutto, errata motivazione con riferimento alla sussistenza, nei loro confronti, della giurisdizione sportiva. Sotto tale profilo gli appellanti affermavano di non essere mai stati tesserati, e di essere, invece, due semplici dipendenti, non dirigenti, della società e che, pertanto, non può farsi applicazione dell’art. 1 bis, comma 5, CGS che
«attiene ai profili sostanziali e non a quelli processuali, in quanto la natura arbitrale dei procedimenti di giustizia sportiva prevede l’adesione specifica ad essi, che si realizza attraverso il tesseramento. Se questo difetta ab origine, non sussiste giurisdizione e nessuna norma dell’ordinamento sportivo l’attribuisce».
I predetti ricorrenti deducevano, inoltre, insussistenza della fattispecie di cui all’art. 2, commi 1 e 2, CGS, per essere le condotte scriminate dallo stato di necessità. D’Angelo contestava, poi, la violazione di cui all’art. 12, comma 3, CGS, evidenziando che lo stesso «non ha mai fatto entrare allo stadio uno striscione offensivo, ragione per la quale si chiede che venga prosciolto dall’incolpazione in quanto la norma vieta l’introduzione solo di quelli con quel determinato contenuto». Da ultimo, i ricorrenti instavano, in via subordinata, per una riduzione della sanzione da contenersi nella sola sanzione dell’ammenda, chiedendo una specifica valutazione della circostanza della collaborazione, atteso che
«sin da subito» gli incolpati hanno ammesso la violazione contestata, e tenuto conto del «contesto ambientale davvero difficile in cui Alessandro D’Angelo e Stefano Merulla hanno operato», nonché dei «motivi che hanno spinto gli odierni appellanti a comportarsi come hanno fatto».
Così, pertanto, concludevano gli appellanti D’Angelo e Merulla: in via preliminare, dichiararsi il difetto di giurisdizione; in subordine, nel merito, dichiararsi il proscioglimento, anche in applicazione della esimente dello stato di necessità e, per il solo D’Angelo, dichiararsi il proscioglimento dall’incolpazione della violazione dell’art. 12, comma 3, CGS; in ulteriore subordine, ridursi la sanzione alla sola ammenda.
Avverso la decisione del Tribunale Federale Nazionale proponeva reclamo anche il Procuratore Federale, con riferimento alle posizioni di Andrea Agnelli, Alessandro Nicola D’Angelo e Juventus FC s.p.a.
Quanto al sig. Alessandro Nicola D’Angelo il Procuratore Federale deduceva erronea valutazione del materiale probatorio, incongruità della sanzione, errata applicazione dell’art. 12, comma 6, CGS in riferimento all’art. 19, comma 1, stesso codice.
La Procura Federale censurava, in modo particolare, il profilo sanzionatorio della decisione assunta dal TFN, poiché, «il gravissimo episodio verificatosi alla vigilia della gara Juventus – Torino del 23.2.2014» ha di fatto comportato «un aumento dell’inibizione di soli tre mesi rispetto all’anno di inibizione comminato dal Tribunale ai Signori Calvo e Merulla». Sanzione, questa, che, avuto riguardo alla gravità della condotta in sé considerata e tenuto conto del ruolo di responsabile della sicurezza rivestito dal sig. D’Angelo, sarebbe «assolutamente incongrua».
Il Procuratore Federale evidenziava, poi, su un piano più generale, la tenuità della sanzione inflitta a D’Angelo dal TFN se comparata con la «centralità del ruolo dallo stesso svolto in tutta la vicenda che ha costituito oggetto del procedimento». Pur rivestendo «l’incarico formale di security manager» lo stesso sarebbe stato di fatto delegato «alla gestione dei rapporti con le autorità di P.S. e con i gruppi ultras della tifoseria juventina su espressa volontà e indicazione del presidente Agnelli».
Con riferimento al sig. Andrea Agnelli il Procuratore Federale deduceva erronea valutazione del materiale probatorio con riguardo alla esclusione della violazione contestata ai sensi dell’art. 12, comma 3, CGS, ritenendo errata la decisione del TFN nella parte in cui ritiene non provato «il coinvolgimento, anche in termini di mera consapevolezza preventiva e, quindi, di avallo, da parte del presidente Agnelli, nello specifico episodio sopra più volte richiamato, dell’introduzione dello zaino alll’interno dello stadio, da parte del dirigente D’Angelo».
La reclamante Procura deduceva, poi, incongruità della sanzione, con riferimento alla corretta valutazione del materiale probatorio, sia con riguardo al sig. Alessandro D’Angelo, sia con riguardo alla posizione del presidente Agnelli, ritenendo, per entrambi, necessario aggravare la sanzione inibitoria e lamentando, anche carenza assoluta di motivazione circa l’esclusione della estensione delle sanzioni in ambito Fifa e Uefa.
Quanto alla società Juventus FC S.p.A. il Procuratore Federale deduceva errata applicazione dell’art. 12, comma 6, CGS in relazione all’art. 18, comma 1, lett. d), e), f) stesso codice e carenza assoluta di motivazione circa la mancanza dei presupposti per l’applicazione delle sanzioni della disputa di 2 gare a porte chiuse e della chiusura della curva sud per una ulteriore gara.
Così concludeva il Procuratore Federale: in riforma in parte qua della decisione del Tribunale Federale Nazionale di cui al Com. Uff. n. 11/TFN del 25.9.2017, la CFA, «voglia limitatamente alle posizioni di Andrea Agnelli, Alessandro D’Angelo e la Juventus FC Spa, comminare al sig. Andrea Agnelli le sanzioni della inibizione per mesi 30 e dell’ammenda di € 50.000,00 (cinquantamila/00), al sig. Alessandro Nicola D’Angelo le sanzioni della inibizione per 24 mesi con conferma dell’ammenda di € 20.000,00 (ventimila/00) irrogata dal T.F.N., e alla società Juventus F.C. Spa, per responsabilità diretta e oggettiva, le sanzioni della disputa di 2 gare a porte chiuse, della chiusura della Curva Sud per una ulteriore gara, con conferma dell’ammenda di € 300.000,00 (trecentomila/00) irrogata dal T.F.N., sanzioni richieste da questa Procura in primo grado; o voglia, in subordine, applicare quelle ritenute di giustizia da Codesta Onorevole Corte, sempre con inasprimento delle stesse rispetto a quelle inflitte dal giudice di prime cure nei confronti dei predetti tesserati».
All’esito della istruttoria del giudizio, dopo l’ampia ed approfondita discussione, la Corte Federale d’Appello, preliminarmente riuniti i procedimenti, così decideva
«- respinge il ricorso del sig. Calvo Francesco e, per l’effetto, conferma le sanzioni allo stesso inflitte all’esito del giudizio di primo grado;
- in accoglimento del ricorso proposto dalla società Juventus FC SpA di Torino in relazione alle posizioni dei sigg.ri Merulla Stefano e D’Angelo Alessandro e in riforma della decisione resa dal Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, dichiara il difetto di giurisdizione sportivo – disciplinare degli Organi della giustizia federale e, per l’effetto, annulla le sanzioni agli stessi inflitte all’esito del giudizio di primo grado;
- in parziale accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore Federale e dalla società Juventus FC SpA di Torino con riferimento alla posizione del Presidente Agnelli Andrea e in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, ridetermina la sanzione allo stesso inflitta nell’ammenda di € 100.000,00 e nell’inibizione fino alla data odierna;
- in parziale accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore Federale e dalla società Juventus FC SpA di Torino con riferimento alla posizione della stessa predetta società e in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, ridetermina la sanzione dell’ammenda in € 600.000,00 e dispone, altresì, la disputa della prima gara interna di Campionato di Serie A dell’anno 2018 con il Settore denominato “Tribuna (Curva) Sud”, dello stadio Allianz Stadium di Torino, privo di spettatori».
La Corte, chiamata a verificare se gli elementi di prova raccolti consentivano o meno di ritenere integrata, secondo lo standard probatorio indicato nella premessa della motivazione, la fattispecie di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS e quella di cui all’art. 12, commi 1, 2, 3 e 9 stesso codice, al fine dell’affermazione della sussistenza delle violazioni rispettivamente contestate ai deferiti, riteneva che, «complessivamente valutato il materiale probatorio acquisito al presente procedimento, sussista quel ragionevole grado di certezza in ordine alla commissione degli illeciti rispettivamente contestati al deferito Calvo, nonché (per quanto qui di rilievo, come sarà più avanti meglio precisato) ai deferiti Merulla e D’Angelo; con riferimento, invece, al deferito Agnelli, in relazione alla posizione dallo stesso rivestita in seno all’organigramma societario, questa Corte ritiene non sussistere quel livello probatorio superiore alla semplice valutazione della probabilità necessario a condurre all’affermazione della responsabilità dello stesso per i fatti e le violazioni contestate dalla Procura federale».
Riteneva, infatti, la CFA, convergere in tale direzione, «in primo luogo, le complessive risultanze istruttorie di cui alle attività di investigazione poste in essere dalla Procura della Repubblica di Torino. Le risultanze dell’attività captativa ambientale, gli esiti delle intercettazioni telefoniche tra i vari protagonisti della vicenda e le modalità del linguaggio, spesso criptico, utilizzato, i riscontri provenienti da una parte delle dichiarazioni rilasciate da alcuni dei deferiti in sede di audizione innanzi la Procura federale e/o in sede di interrogatorio innanzi alla Procura della Repubblica di Torino, non lasciano alcun dubbio circa le responsabilità del sig. Calvo e (con rilievo qui incidentale, per quanto, come detto, in seguito sarà precisato) dei sigg.ri D’Angelo e Merulla in relazione ai fatti loro specificamente e rispettivameme contestati in questa sede disciplinare, come accertati dal TFN. Fatti, del resto, in parte sostanzialmente ammessi ed in relazione ai quali mancano, comunque, concreti, idonei e, comunque, decisivi elementi di prova a discarico. Nella stessa direzione, le ricostruzioni alternative dei fatti e/o le diverse spiegazioni degli stessi fornite dagli incolpati non appaionono verosimili, né, tantomeno, supportate da elementi probatori o anche soltanto logici.
Le approfondite indagini della Procura ordinaria, come riesaminate ed utilmente riversate nel presente procedimento disciplinare, alla luce delle integrazioni istruttorie operate dalla Procura federale consentono, dunque, di ritenere raggiunta la prova della sussistenza degli illeciti contestati al sig. Calvo e, nella prospettiva di accertamento incidentale di cui si dirà, ai sigg.ri Merulla e D’Angelo. Infatti, dal coacervo degli elementi suscettibili di valutazione da parte di questa Corte emerge, in una sintesi complessiva, l’esistenza di solidi elementi probatori per ritenere fondata l’affermazione di responsabilità degli stessi in ordine alle incolpazioni di cui al deferimento, limitatamente ai fatti già accertati e riconosciuti in primo grado. Così come, non sussistono elementi, tantomeno sufficienti, per affermare la responsabilità per i fatti di cui al capo di incolpazione, del presidente Agnelli, che, tuttavia, seppur per differente ruolo e sulla base di diverse ragioni, deve, comunque, essere sottoposto a sanzione, per quanto sarà meglio in seguito precisato».
In via pregiudiziale la CFA esaminava l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa D’Angelo e Merulla.
Sul punto, il TFN ha, come detto, disatteso l’eccezione, affermando la propria giurisdizione in relazione alla circostanza che i sigg.ri Merulla e D’Angelo hanno svolto «attivitá all'interno della Juventus FC Spa e, comunque, nel suo interesse», rientrando, così, «a pieno titolo fra i soggetti» di cui all'art. 1, comma 5, CGS in vigore fino al 1 agosto 2014 e, successivamente, tra i soggetti di cui all'art. 1 bis, comma 5, del nuovo CGS. La CFA, riteneva di non poter condividere questa valutazione, osservando, «su un piano più generale, come il criterio per fondare la giurisdizione degli organi di giustizia federale nei confronti di un dato soggetto sia, principalmente, il tesseramento FIGC con la sottoscrizione dell’apposita clausola compromissoria. In difetto di tale presupposto, un soggetto non tesserato è sottoposto alla giustizia sportiva nel caso in cui svolga «qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale» (cfr. art. 1, comma 5, CGS in vigore fino al 1 agosto 2014 e, art. 1 bis, comma 5, CGS vigente)».
«Orbene», proseguiva la Corte, «dalla documentazione in atti emerge, pacificamente, che i sigg.ri Merulla e D’Angelo non sono tesserati e non hanno sottoscritto la prescritta clausola compromissoria. Nello stesso tempo risulta che gli stessi siano semplici dipendenti e non già dirigenti della Juventus FC Spa (lo svolgimento di un ruolo dirigenziale avrebbe, invero, comportato una diversa valutazione, più vicina, forse, alle conclusioni del TFN).
Orbene, l’inesistenza di tesseramento per la FIGC, l’assenza di sottoscrizione della clausola compromissoria e della conseguente mancata specifica adesione alla sottoposizione alla giustizia sportiva, il difetto di un ruolo dirigenziale all’interno della società Juventus FC Spa o della qualità di socio della medesima, conducono ad affermare il difetto di giurisdizione disciplinare-sportiva di questa Corte nei confronti dei sigg.ri Merulla e D’Angelo.
Pacifico, invero, come accertato e correttamente affermato dal TFN, che i sigg.ri Merulla e D’Angelo abbiano svolto, per il periodo in relazione al quale si riferiscono le contestazioni di cui ai rispettivi capi di incolpazione, attività a favore e nell’interesse della Juventus FC Spa; ma altrettanto pacifico è che la loro attività nell’interesse della società Juventus FC Spa sia dovuta (e sia stata effettuata) nella loro qualità di dipendenti della predetta medesima società. Pertanto, del loro operato gli stessi potranno essere eventualmente chiamati a rispondere, in via disciplinare, nei confronti del datore di lavoro e/o, laddove le condotte dagli stessi poste in essere assumano rilievo penale, innanzi all’Autorità giudiziaria ordinaria.
Conforta siffatta conclusione l’esame della disposizione di cui all’art. 19 CGS (“Per i fatti commessi in costanza di tesseramento, i dirigenti, i tesserati delle società, i soci e non soci di cui all’art. 1 bis, comma 5 che si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali o di altra disposizione loro applicabile, anche se non più tesserati, sono punibili, ferma restando l’applicazione degli articoli 16, comma 3, dello Statuto e 36, comma 7 delle NOIF, con una o più delle seguenti sanzioni, commisurate alla natura ed alla gravità dei fatti commessi: …”): come si vede, la norma prevede sanzioni che possono essere applicate, per la loro stessa natura (come anche correttamente osservato dalla difesa D’Angelo – Merulla), ai tesserati, ai dirigenti ed ai soci della società di calcio. Non avrebbe rilievo pratico ed efficacia alcuna “inibire” il semplice dipendente, che non rivesta funzioni di rappresentanza della società di appartenenza in attività rilevanti per l’ordinamento sportivo nazionale e internazionale.
Tali principi sono già stati in precedenza affermati da questa Corte in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile alla presente, laddove si è avuto modo di evidenziare che, “per quanto il principio di lealtà sportiva declamato dall’art. 1-bis, comma 1, del CGS, costituisca un caposaldo dell’ordinamento sportivo e per quanto la norma in questione possa essere giustamente considerata alla stregua di una clausola generale di tale ordinamento atta a reprimere comportamenti che non possono farsi rientrare tra quelli espressamente vietati, resta il fatto che la condotta […] posta in essere dal sig. […] che si è ritenuto di censurare quale illecito disciplinare sportivo, ad avviso di questa Corte, non appare in realtà in alcun modo riferibile all’attività sportiva, neppure in via mediata. Essa può assumere rilievo, piuttosto, nell’ambito del rapporto lavorativo in essere con la […], qualora quest’ultima ritenesse, nel rispetto della procedura prevista e disciplinata dall’art. 7 della legge n. 300/1970, di contestare al dipendente […] l’infrazione di una specifica norma comportamentale […]
In altri termini, il contesto in cui sono maturate le condotte illecite ascritte al sig. […] non è definibile sportivo, neppure in senso lato. Perché una condotta illecita posta in essere da un tesserato o da un soggetto che svolga un’attività comunque rilevante per l’ordinamento federale possa dirsi disciplinarmente rilevante occorre, invece, pur sempre che essa sia tenuta nell’ambito di un rapporto riferibile all’attività sportiva, quanto meno in via mediata. In difetto, non v’è spazio per contestare la violazione dei principi di lealtà sportiva di cui all’art. 1-bis, comma 1, CGS, né vi è conseguentemente la giurisdizione degli organi della giustizia sportiva a decidere al riguardo” (Corte federale d’appello, sezioni unite, C.U. n. 20/CFA del 1 agosto 2017)».
Ciò affermato, precisava, poi, la CFA, che «per i riflessi di siffatta valutazione e per le relative ricadute nel presente procedimento, non vi è, del pari, dubbio che dei comportamenti – dei sigg.ri Merulla e D’Angelo – tenuti in violazione delle disposizioni dell’ordinamento federale debba essere chiamata a rispondere la Juventus FC Spa, atteso che le condotte agli stessi contestate e nei limiti in relazione ai quali verranno, dunque, qui, incidentalmente accertate, per i relativi effetti sulla sfera giuridica della società di appartenenza, assumono valenza e rilievo esterno per il tramite ed carico, appunto, della predetta medesima società, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 4, comma 3, CGS («Le società rispondono oggettivamente anche dell'operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società») e/o ai sensi dell’art. 2049 c.c.».
Per queste ragioni la CFA procedeva all’esame delle posizioni dei sigg.ri Agnelli e Calvo, ma anche, con accertamento meramente incidentale, di quelle dei sigg.ri D’Angelo e Merulla, per verificare se le condotte di cui ai rispettivi capi di incolpazione del deferimento potessero essere loro addebitate e se le stesse fossero o meno in contrasto con l’ordinamento settoriale e se, dunque, per il disvalore sportivo, per quanto qui rileva, di siffatte medesime condotte dovesse essere chiamata a rispondere la società di appartenenza, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 4, comma 3, CGS.
Orbene, l’esame del “corposo” materiale probatorio acquisito al giudizio conduceva, secondo la CFA, a ritenere provata la sussistenza di «chiari, anzi inequivoci» e concordanti corposi elementi «per l’affermazione della responsabilità del sig. Calvo e, ai fini della connessa responsabilità oggettiva della Juventus FC Spa, dei sigg.ri D’Angelo e Merulla. L’opaca, disinvolta gestione, in generale, dei rapporti con gli esponenti di alcuni gruppi ultras e, segnatamente, la violazione, per quanto di rilievo ai fini dell’ordinamento sportivo, della normativa in tema di vendita dei tagliandi per l’accesso agli eventi calcistici integra di per sé la fattispecie prevista e punita dall’art. 12, comma 2, CGS. Con l’aggravante che i comportamenti così posti in violazione delle disposizioni della normativa generale e di quella di settore hanno, quantomeno di fatto, contribuito, alimentato e, comunque, agevolato, il fenomeno del bagarinaggio, elevandolo a sistema abituale e diffuso, seppur come forma di sostanziale compromesso volto ad evitare disordini all’interno dello stadio, a garantire maggiore sicurezza all’interno dello stesso e ad evitare contestazioni da parte del tifo organizzato».
Per l’effetto, riteneva – la CFA – che il sig. Calvo dovesse essere chiamato a rispondere della violazione della norma di cui all’art. 12, comma 2, CGS, mentre la società Juventus FC s.p.a., dovesse rispondere a titolo oggettivo, ai sensi dell’art. 4, comma 3, CGS dei comportamenti, contrastanti con l’ordinamento giuridico, per i loro effetti su quello sportivo, posti in essere anche dai dipendenti Merulla e D’Angelo.
Quanto al denunciato contesto di sostanziale intimidazione rappresentato dai deferiti, la Corte riteneva che lo stesso non potesse essere considerato ai fini esimenti, bensì solo a fini attenuanti, anche considerato che «la ragione più evidente dei comportamenti accondiscendenti tenuti da Calvo, Merulla e D’Angelo nei confronti ed a favore di alcuni gruppi di ultras e dei loro esponenti è quella del perseguimento dell’obiettivo di contribuire al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza all’interno dello stadio, oltre che, come appare emotivamente ed umanamente comprensibile, il tentativo di sottrarsi a possibili comportamenti di natura ritorsiva».
Con specifico riferimento all’espisodio verificatosi prima della gara Juventus – Torino del 23 febbraio 2014, la CFA riteneva potersi escludersi l’introduzione da parte di D’Angelo di uno o di entrambi gli striscioni offensivi. «Ciò non toglie, tuttavia», evidenziava questa Corte, «la gravità della condotta posta in essere da D’Angelo, che, pacificamente, si è prestato alle richieste del gruppo ultras di cui trattasi al fine di agevolare l’introduzione nello stadio di materiale espositivo (si ritiene non sussista prova quanto all’introduzione di materiale pirotecnico e/o di fumogeni) comunque non ammesso. Condotta, quella di D’Angelo, aggravata sia dal ruolo di security manager dallo stesso rivestito, che, tra l’altro, ben rappresenta la situazione di opacità dei rapporti con alcuni ambienti ultras, sia dalla circostanza che si trattava di un derby e, dunque, di una gara potenzialmente ad alto rischio».
Quanto alla affermazione di responsabilità di Francesco Calvo in ordine alla violazione dell'art. 12, comma 1, CGS (che fa divieto, come ricordato, alle società di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilitá, alla costituzione ed al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori), riteneva, la Corte, che il TFN ha correttamente ritenuto che «l'ampiezza temporale, del fenomeno descritto in deferimento, l'entità dei tagliandi e degli abbonamenti distribuiti oltre il limite normativo agli esponenti del tifo organizzato induce a ritenere sicuramente violata la disciplina in questione, a prescindere dalla dibattuta effettiva conoscenza della circostanza che i beneficiari fossero dediti al bagarinaggio ovvero fossero esponenti della criminalità organizzata».
Francesco Calvo veniva, invece, prosciolto dalla incolpazione relativa alla violazione dell'art. 12, comma 9, CGS, essendo – la predetta disposizione – entrata in vigore a decorrere dalla stagione sportiva 2015/16, quando Calvo non figura più alle dipendenze ed al servizio della Juventus FC Spa.
Quanto alla specifica posizione del presidente Agnelli, la Corte riteneva che la valutazione operata dal TFN si risolvesse «in una sostanziale ipotesi congetturale priva di solido riscontro fattuale e che, pertanto, tale elemento di convincimento non» fosse idoneo a fondare un giudizio di responsabilità. Riteneva, in particolare, la CFA, come non vi fossero «prove concrete della partecipazione di Andrea Agnelli agli illeciti contestati: non si può che prendere atto del fatto che non vi sono idonei riscontri che consentano di affermare, con sufficiente serenità, che il presidente Agnelli avesse diretta conoscenza della situazione relativa ai biglietti e, più in generale, degli opaci rapporti con alcune frange estreme della tifoseria.
Con riferimento allo specifico episodio della introduzione di materiale vietato all’interno dello stadio in occasione della gara Juventus – Torino, la CFA riteneva acclarato che il presidente ne fosse venuto a conoscenza ad episodio avvenuto, perché di ciò informato da D’Angelo.
Quanto alla contestata frequentazione del presidente con alcuni esponenti dei gruppi ultras riteneva, la Corte, che gli stessi – per quanto emergeva in atti – fossero caratterizzati da saltuarietà ed occasionalità, e sembrassero, comunque, rientrare in un contesto di mantenimento di buoni rapporti tra tifoseria organizzata e presidenza del club sportivo.
Riteneva, dunque, la CFA, che il presidente Agnelli dovesse essere prosciolto dalle incolpazioni di cui all’atto di deferimento, ma che, nel contempo, dovesse essere allo stesso mosso un rimprovero,«in relazione al proprio ruolo ed alle proprie funzioni», per «non aver compiuto quelle azioni possibili (di gestione e/o migliore organizzazione, ma soprattutto, di controllo) allo stesso richieste e dallo stesso dovute». Per l’effetto al presidente Agnelli è stata addebitata la responsabilità della violazione dell’art. 1 bis, comma 1, CGS, «in relazione alla contestazione sostanziale e generale sottesa al deferimento nel suo complesso considerato e con riferimento alle specifiche contestazioni mosse ai sigg.ri Calvo, Merulla e D’Angelo, per avere omesso, nella sua qualità di presidente, una più attenta quanto dovuta vigilanza sulle complessive modalità della gestione commerciale relativa alla vendita dei tagliandi per le gare della Juventus FC Spa e sull’andamento dei rapporti con i gruppi del tifo organizzato».
Alla luce delle responsabilità affermate in capo ai sigg.ri Calvo, D’Angelo, Merulla ed Agnelli, veniva fatta, poi, discendere la chiara responsabilità della società Juventus FC s.p.a.: «pacifica ed evidente la riconducibilità dei comportamenti imputati ai sigg.ri Agnelli e Calvo all'interesse della societá medesima, come altrettanto pacifica ed evidente la riconducibilità delle condotte dei sigg.ri Merulla e D’Angelo all’ambito di cui all’art. 4, comma 3, CGS, in virtù del quale, appunto, le società rispondono oggettivamente anche dell'operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società.
Per la violazione addebitata al presidente Agnelli, seppur nella forma attenuata riconosciuta nel presente giudizio di appello, la Juventus FC Spa, risponde a titolo di responsabilità diretta ex art. 4, comma 1, CGS, mentre per le condotte dei sigg.ri Calvo, Merulla e D’Angelo la stessa predetta società risponde, dunque, a titolo di responsabilità oggettiva ex art. 4, comma 3, CGS».
Quanto, infine, alla misura sanzionatoria, la Corte riteneva di dover tenere debito conto, come specificamente previsto ed imposto dalla stessa disposizione di cui all’art. 16, comma 1, CGS, dell’esistenza di talune circostanze attenuanti.
Determinate, come in dispositivo, le sanzioni a carico dei deferiti Agnelli e Calvo, riteneva, la Corte, che quella della Juventus FC s.p.a. dovesse essere aggravata, trattandosi «di fatti di rilevante gravità: la società, per il tramite del comportamento di alcuni suoi dirigenti e collaboratori, ha violato le vigenti disposizioni dell’ordinamento statale (e, di conseguenza, anche quelle relative dell’ordinamento federale), poste in materia di vendita dei tagliandi di ingresso allo stadio, anche proprio al fine di arginare quell’odioso ed illecito fenomeno del bagarinaggio che, invece, i suddetti comportamenti hanno consentito e, comunque, di fatto agevolato».
A siffatto inasprimento di pena doveva, poi, «aggiungersi quello conseguente alla responsabilità oggettiva ex art. 4, comma 3, CGS, per le condotte poste in essere dai sigg.ri D’Angelo e Merulla: infatti, una volta dichiarato il difetto di giurisdizione nei confronti dei medesimi, la responsabilità delle loro condotte non può che rimanere ad integrale e totale carico della Juventus FC Spa. Anche in questo caso, in ragione dei fatti di cui trattasi, della loro natura e gravità, nonché della circostanza che gli stessi hanno riguardato un lungo periodo di tempo ed abbracciato numerose stagioni sportive, la sanzione dell’ammenda a carico della società deve essere aggravata di una somma ulteriore che si ritiene congruo determinare in euro trecentomila.
La sanzione dell’ammenda, come complessivamente, dunque, ricalcolata in complessivi novecentomila euro, deve essere, poi, ridotta in virtù dell’operare delle accertare giustificazioni ed attenuanti come già sopra precisato. Riduzione di pena da calcolarsi in euro trecentomila.
In definitiva, la Juventus FC Spa va così sanzionata: ammenda di € 600.000,00 e disputa della prima gara interna di Campionato di Serie A dell’anno 2018 con il Settore denominato “Tribuna (Curva) Sud”, dello stadio Allianz Stadium di Torino, privo di spettatori».
Avverso la predetta decisione pubblicata sul Com. Uff. n. 078/CFA del 22 gennaio 2018 ha proposto gravame, con ricorso del 21 febbraio 2018, il Procuratore Generale dello Sport, chiedendo l’annullamento della medesima decisione nella parte in cui ha annullato le sanzioni inflitte in primo grado a carico dei deferiti per la violazione e/o mancata applicazione dell’art. 1, comma 5, CGS (in vigore fino al 1° agosto 2014) e dell’art. 1 bis, comma 5, vigente CGS, nonché per contraddittorietà, illogicità e omessa e/o insufficiente motivazione.
In particolare, la Procura Generale dello Sport ha lamentato un vizio di interpretazione in merito al difetto di giurisdizione rilevato dalla Corte Federale d’Appello, che non avrebbe ritenuto applicabili ai due deferiti D’Angelo e Merulla le disposizioni dell’ordinamento sportivo, non essendo tesserati né sottoscrittori della clausola compromissoria. Ha, dunque, chiesto la predetta Procura Generale, l’accoglimento dell’impugnazione e la conseguente conferma della decisione, sul punto, assunta in prime cure dal Tribunale Federale Nazionale.
Avverso la suddetta sentenza della CFA ha interposto gravame anche il sig. Francesco Calvo, deducendo difetto assoluto di motivazione su un punto decisivo della controversia, omessa motivazione in ordine all’aggravamento della pena inflitta al ricorrente, nonché per la natura ed entità della sanzione irrogata.
Con ricorso datato 6 marzo 2018, la Juventus FC s.p.a. ha proposto ricorso incidentale a seguito dell’impugnazione del Procuratore Generale dello Sport avverso la predetta decisione della Corte Federale d’Appello, per violazione di legge con riferimento all’art. 4 CGS, nonché per l’illegittima applicazione delle regole sulla responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. 4, comma 3, CGS.
Non ha interposto ricorso il presidente Andrea Agnelli.
Nel giudizio innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport si sono costituiti i sig.ri Stefano Merulla e Alessandro D’Angelo, deducendo che la Procura avrebbe domandato una inammissibile rivalutazione delle risultanze processuali, nonché la FIGC, sia con riferimento al ricorso presentato dal sig. Francesco Calvo, sia con riferimento al ricorso incidentale presentato dalla Juventus FC s.p.a. ed a quello presentato dalla Procura Generale dello Sport.
Questa, di seguito riprodotta, la decisione del Collegio di Garanzia dello Sport, per quanto di interesse ai fini del presente giudizio di rinvio.
«1) Da un punto di vista logico e cronologico è opportuno esaminare il ricorso ex art. 54 C.G.S. proposto dalla Procura Generale dello Sport presso il C.O.N.I., nei confronti del sig. D’Angelo, del sig. Merulla e della F.I.G.C., nonché il ricorso incidentale proposto dalla Juventus ex art. 59, comma 5, C.G.S.
Secondo la Corte Federale di Appello, il criterio discretivo fondante la giurisdizione degli organi della giustizia sportiva riposa sul c.d. “tesseramento” e sulla sottoscrizione di apposita clausola compromissoria.
Nonostante i sig.ri Merulla e D’Angelo abbiano svolto, per il periodo dal 2012 al 2016, attività nell’interesse della Juventus, oggetto delle contestazioni di cui ai capi di incolpazione, tuttavia, i medesimi, nella loro qualità di meri dipendenti della società, non sarebbero soggetti alle regole dell’ordinamento sportivo, ma esclusivamente al rapporto disciplinare nei confronti del datore di lavoro o all’autorità giudiziaria ordinaria, nell’ipotesi in cui le condotte dagli stessi tenute dovessero assumere rilievo penale.
A conforto di tale conclusione, la CFA invoca l’art. 19 C.G.S. “Per i fatti commessi in costanza di tesseramento, i dirigenti, i tesserati delle società, i soci e non soci di cui all’art. 1 bis, comma 5, che si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali o di altra disposizione loro applicabile, anche se non più tesserati, sono punibili, fermo restando l’applicazione degli articoli 16, comma 3, dello Statuto e 36, comma 7 delle NOIF, con una o più delle seguenti sanzioni, commisurate alla natura ed alla gravità dei fatti commessi…”.
Come è dato osservare, l’art. 19 C.G.S. punisce esclusivamente le condotte dei soggetti tesserati, in costanza del rapporto di tesseramento, con le sanzioni nel medesimo indicate. Seguendo l’itinerario logico della CFA, argomentando a contrario, i soggetti non tesserati, non essendo destinatari delle sanzioni di cui all’art. 19, non sarebbero nemmeno giustiziabili da parte dell’ordinamento sportivo. Di qui, il difetto di giurisdizione fissato dalla CFA.
Ad avviso del Collegio di Garanzia il quadro ordinamentale va diversamente ricostruito.
L’art. 1 bis, comma 1, C.G.S. (ma pure l’art. 1 C.G.S. ante 2014) prevede che “sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali le società … e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere… organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale”.
A norma del comma 5, del medesimo art. 1 bis, “sono tenuti all’osservanza delle norme contenute nel presente codice e nelle norme statutarie anche… coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale”.
È pacifico che D’Angelo e Merulla svolgano un’attività all’interno della struttura organizzativa della Juventus e nell’interesse della medesima in qualità di dipendenti di quest’ultima. Ne discende che la condotta degli stessi rientra a pieno titolo nella fattispecie descritta dal comma 5 dell’art. 1 bis C.G.S. che pretende, a carico di questi ultimi, il rispetto delle norme contenute nel Codice di Giustizia Sportiva, nonché il rispetto delle norme statutarie e federali.
La previsione di cui al comma 5, dell’art. 1 bis C.G.S., restringe la portata del comma 1, dell’art. 1 bis e si pone, rispetto a quest’ultimo, in un rapporto di specialità. Se, infatti, “le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici e gli ufficiali di gara sono tenuti al rispetto delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva” e possono essere oggetto di sanzione, ai sensi dell’art. 18, comma 1, e dell’art. 19, comma 1, C.G.S., invece, gli ulteriori destinatari della previsione di cui al comma 5, art. 1 bis, sono tenuti all’osservanza esclusivamente delle norme del C.G.S., nonché alle norme statutarie e federali, anche ove il loro rapporto non sia riferibile direttamente all’attività sportiva, come nel primo comma.
Ciò non esclude che il comportamento dei medesimi, a norma del comma 5, dell’art. 1 bis C.G.S., rientri nella giurisdizione del giudice sportivo, trovando loro applicazione le norme richiamate dall’ordinamento sportivo stesso.
Il fatto che a coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società non trovino applicazione le disposizioni di cui all’art. 12, 15, 18 e 19 C.G.S. (invece limitate ai dirigenti, tesserati, soci e non soci, di cui all’art. 1 bis), si giustifica alla luce del rilievo che la sanzione loro comminata sarebbe del tutto irrilevante, tenuto conto che le pene ivi previste, in particolare quelle comminate ai sensi dell’art. 19 C.G.S., sanzionano temporaneamente o definitivamente o puniscono la loro attività nello svolgimento dell’attività di carattere agonistico. Invece, con riguardo ai soggetti dipendenti, quel tipo di sanzione non avrebbe alcun effetto, non potendo l’ordinamento sportivo impedire, nell’ambito del rapporto lavorativo ai soggetti medesimi, di svolgere le mansioni loro affidate dalla società. Un’eventuale sanzione irrogata dall’ordinamento sportivo determinerebbe di riflesso l’obbligo per la società di demansionare o assumere altro provvedimento punitivo nei confronti del dipendente destinatario della medesima.
La ratio del sistema sportivo riposa, al contrario, sulla giustiziabilità della condotta di questi ultimi, nel senso della doverosità del rispetto delle norme del Codice di Giustizia Sportiva e delle norme statutarie e federali, che, laddove da loro violate, determinano una responsabilità diretta della società sportiva cui appartengono, per la condotta da questi ultimi tenuta anche all’insaputa degli organi apicali della stessa; e, conseguentemente, una sanzione che tenga conto della gravità della condotta direttamente riferibile alla società.
Ne discende che la violazione delle norme dello statuto e delle norme federali, da parte di dipendenti, rilevante ai sensi dell’art.1 bis, comma 5, C.G.S., determina una applicazione diretta dell’art. 18 C.G.S. a carico della Società.
Dall’accoglimento del motivo proposto dal Procuratore Generale dello Sport, nei limiti di cui in motivazione, con conseguente rinvio alla Corte Federale d’Appello F.I.G.C., per la sua natura pregiudiziale, deriva l’assorbimento del ricorso incidentale della Juventus.
2. Quanto al ricorso proposto dal dott. Calvo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Collegio non ravvisa alcun difetto di motivazione. La decisione impugnata dà atto, ai fini della determinazione della sanzione, della c.d. coercizione psicologica degli incolpati, posta in comparazione, tuttavia, al ruolo rivestito dal Calvo stesso, nonché alla natura, gravità e durata dell’illecito ascrittogli. Né, tantomeno, hanno rilievo gli altri motivi di ricorso, tenuto conto della provata gravità della condotta ascritta al Calvo, al quale, invece, trovano diretta applicazione le sanzioni di cui all’art.19 C.G.S. L’entità della sanzione irrogata sfugge, peraltro, alla valutazione di questo Collegio in ragione della sua natura di organo di legittimità».
Pertanto, il Collegio di Garanzia dello Sport ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore Generale dello Sport del Coni ed ha, per l’effetto, rinviato alla Corte Federale d’Appello FIGC, «nei sensi di cui in motivazione».
Per procedere all’esame dei profili indicati nella sopra riportata decisione n. 48/2018 del Collegio di Garanzia dello Sport, questa Corte Federale di Appello ha fissato la seduta del 13 settembre 2018.
Alla riunione sono comparsi i difensori della società Juventus FC s.p.a., nonché dei sigg.ri Merulla e D’Angelo, illustrando le ragioni in ordine alle quali ritenevano non dovute, né possibili, ulteriori sanzioni. Sono, altresì, comparsi i rappresentanti della Procura federale che hanno chiesto un aggravamento di pena, quantificata nella sanzione dell’ulteriore ammenda di euro cento mila.
Al termine del dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale haemesso la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti
MOTIVI
Richiamando quanto disposto dal Collegio di Garanzia e già sopra testualmente riportato, con la decisione n. 48 del 2018 di cui trattasi il predetto organo di vertice della giustizia sportiva italiana ha invitato questa Corte a riesaminare la propria decisione in ordine al profilo della giustiziabilità delle condotte addebitate ai sigg.ri D’Angelo e Merulla, affermando il principio di diritto secondo cui il comportamento dei medesimi, a norma dell’art. 1 bis, comma 5, CGS rientra «nella giurisdizione del giudice sportivo, trovando loro applicazione le norme richiamate dall’ordinamento sportivo stesso», con la conseguenza che «la violazione delle norme dello statuto e delle norme federali, da parte di dipendenti», rilevante ai sensi dell’art.1 bis, comma 5, CGS, determina una applicazione diretta dell’art. 18 CGS a carico della società di appartenenza.
Il nuovo esame affidato a questa Corte è, dunque, limitato alla sola rivalutazione delle condotte dei sigg.ri Merulla e D’Angelo, sotto il profilo della giustiziabilità delle stesse da parte della giustizia sportiva, ai fini dell’applicazione diretta dell’art. 18 CGS alla Juventus FC S.p.A..
Preso, dunque, atto del principio di diritto posto dal Collegio di Garanzia dello Sport deve, in applicazione dello stesso e in via logicamente preliminare, affermarsi la competenza giurisdizionale del TFN e di questa CFA in ordine ai dipendenti Merulla e D’Angelo in relazione ai fatti agli stessi contestati.
Ciò premesso, occorre considerare che questa Corte, nella pronuncia pubblicata sul Com. Uff. n. 078/CFA del 22 gennaio 2018, ha già preso in esame e valutato, seppur nella prospettiva incidentale nella stessa predetta pronuncia evidenziata (“per verificare se le condotte di cui ai rispettivi capi di incolpazione del deferimento potessero essere loro addebitate e se le stesse fossero o meno in contrasto con l’ordinamento settoriale e se, dunque, per il disvalore sportivo, per quanto qui rileva, di siffatte medesime condotte dovesse essere chiamata a rispondere la società di appartenenza, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 4, comma 3, CGS”), le violazioni contestate ai sigg.ri D’Angelo e Merulla. Sul punto (an) questa Corte richiama e ribadisce quanto già accertato e dichiarato.
La CFA ha ritenuto che l’esame del “corposo” materiale probatorio acquisito al giudizio conduceva ad affermare la sussistenza di «chiari, anzi inequivoci» e concordanti solidi elementi «per l’affermazione della responsabilità del sig. Calvo e, ai fini della connessa responsabilità oggettiva della Juventus FC Spa, dei sigg.ri D’Angelo e Merulla. L’opaca, disinvolta gestione, in generale, dei rapporti con gli esponenti di alcuni gruppi ultras e, segnatamente, la violazione, per quanto di rilievo ai fini dell’ordinamento sportivo, della normativa in tema di vendita dei tagliandi per l’accesso agli eventi calcistici integra di per sé la fattispecie prevista e punita dall’art. 12, comma 2, CGS. Con l’aggravante che i comportamenti così posti in violazione delle disposizioni della normativa generale e di quella di settore hanno, quantomeno di fatto, contribuito, alimentato e, comunque, agevolato, il fenomeno del bagarinaggio, elevandolo a sistema abituale e diffuso, seppur come forma di sostanziale compromesso volto ad evitare disordini all’interno dello stadio, a garantire maggiore sicurezza all’interno dello stesso e ad evitare contestazioni da parte del tifo organizzato».
Per l’effetto, come detto, questa Corte ha ritenuto che la società Juventus FC s.p.a., dovesse – sotto tale profilo – essere chiamata a rispondere a titolo oggettivo, ai sensi dell’art. 4, comma 3, CGS dei comportamenti, contrastanti con l’ordinamento giuridico, per i loro effetti su quello sportivo, posti in essere anche dai dipendenti Merulla e D’Angelo.
Questa Corte ha, poi, ritenuto che il rappresentato contesto di intimidazione poteva essere valorizzato non già a fini esimenti, bensì solo in una prospettiva di attenuazione della pena, tenuto anche conto del fatto che «la ragione più evidente dei comportamenti accondiscendenti tenuti da Calvo, Merulla e D’Angelo nei confronti ed a favore di alcuni gruppi di ultras e dei loro esponenti è quella del perseguimento dell’obiettivo di contribuire al mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza all’interno dello stadio, oltre che, come appare emotivamente ed umanamente comprensibile, il tentativo di sottrarsi a possibili comportamenti di natura ritorsiva».
Con specifico riferimento all’espisodio verificatosi prima della gara Juventus – Torino del 23 febbraio 2014, la CFA, seppur ha escluso la sussistenza di prova in ordine alla contestata introduzione, da parte del sig. D’Angelo, di uno o più striscioni offensivi, ha, tuttavia, evidenziato «la gravità della condotta posta in essere da D’Angelo, che, pacificamente, si è prestato alle richieste del gruppo ultras di cui trattasi al fine di agevolare l’introduzione nello stadio di materiale espositivo (si ritiene non sussista prova quanto all’introduzione di materiale pirotecnico e/o di fumogeni) comunque non ammesso. Condotta, quella di D’Angelo, aggravata sia dal ruolo di security manager dallo stesso rivestito, che, tra l’altro, ben rappresenta la situazione di opacità dei rapporti con alcuni ambienti ultras, sia dalla circostanza che si trattava di un derby e, dunque, di una gara potenzialmente ad alto rischio».
Orbene, in relazione alle violazioni accertate in capo al sig. Calvo e, per gli effetti incidentali di cui si è detto, ai sigg.ri Merulla e D’Angelo, la società Juventus FC s.p.a. è stata chiamata a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva: «pacifica ed evidente», ha affermato questa CFA, «la riconducibilità dei comportamenti imputati ai sigg.ri Agnelli e Calvo all'interesse della societá medesima, come altrettanto pacifica ed evidente la riconducibilità delle condotte dei sigg.ri Merulla e D’Angelo all’ambito di cui all’art. 4, comma 3, CGS, in virtù del quale, appunto, le società rispondono oggettivamente anche dell'operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società.
Per la violazione addebitata al presidente Agnelli, seppur nella forma attenuata riconosciuta nel presente giudizio di appello, la Juventus FC Spa, risponde a titolo di responsabilità diretta ex art. 4, comma 1, CGS, mentre per le condotte dei sigg.ri Calvo, Merulla e D’Angelo la stessa predetta società risponde, dunque, a titolo di responsabilità oggettiva ex art. 4, comma 3, CGS».
Ebbene, in applicazione del principio affermato dal Collegio di Garanzia dello Sport, le violazioni riconosciute e già – da questa Corte – accertate in capo ai sigg.ri D’Angelo e Merulla (e le connesse responsabilità) devono essere addebitate alla società di appartenenza non già a titolo di responsabilità oggettiva, bensì in forza dell’applicazione diretta dell’art. 18 CGS.
Come detto, la società bianconera è già stata sanzionata, per le ridette condotte, a titolo di responsabilità oggettiva. Orbene, il mutamento del titolo dell’addebito e, segnatamente, l’applicazione diretta, per le condotte – lo si ribadisce – addebitate ai sigg.ri D’Angelo e Merulla comportano, una rivalutazione della pena a carico della Juventus FC s.p.a., ai fini, appunto, come stabilito dal Collegio di Garanzia, della applicazione di una «sanzione che tenga conto della gravità della condotta direttamente riferibile alla società».
Sotto tale profilo, tuttavia, potrebbe rilevarsi l’impossibilità, oggi, di modificare, in aumento o riduzione, la sanzione già inflitta alla società Juventus FC S.p.A., atteso che nei confronti della stessa predetta società la Procura Generale dello Sport non ha interposto gravame. Con la conseguenza che il relativo capo della pronuncia della Corte Federale d’Appello, pubblicata sul Com. Uff. n. 078/CFA del 22 gennaio 2018, potrebbe aver acquisito autorità di giudicato.
Del resto, la stessa Procura Generale dello Sport aveva chiesto che, accertata la giurisdizione degli organi della giustizia sportiva nei confronti dei sigg.ri D’Angelo e Merulla, fossero ripristinate le sanzioni che agli stessi erano state inflitte dal TFN con la decisione di prime cure, non già, invece, che per le condotte degli stessi fosse condannata la società di appartenenza. Pertanto, potrebbe profilarsi anche una possibile ipotesi di inammissibile mutatio libelli, che potrebbe precludere, comunque, la pratica realizzazione dell’effetto (sanzione diretta alla società) dell’accertamento in diritto effettuato dal Collegio di Garanzia dello Sport.
Questa Corte ritiene di dover dare, comunque, attuazione al decisum del Collegio di Garanzia. Pertanto, passando al profilo sanzionatorio, occorre osservare come la CFA abbia già considerato e ritenuto la «gravità dei fatti come sopra addebitati al deferito Calvo e, per i riflessi in ordine alla responsabilità oggettiva della Juventus FC S.p.A. ai sigg.ri Merulla e D’Angelo, alcuni dei quali posti in essere in violazione delle disposizioni dell’ordinamento sportivo federale, ma anche di quelle dell’ordinamento giuridico generale in materia di vendita dei biglietti di ingresso allo stadio».
Nel contempo, la CFA ha ritenuto di dover valorizzare, «come specificamente previsto ed imposto dalla stessa disposizione di cui all’art. 16, comma 1, CGS», talune circostanze attenuanti e, segnatamente, per quanto di rilievo ai fini della determinazione della sanzione per le condotte dei sigg.ri D’Angelo e Merulla, «la vis estorsiva esercitata dai gruppi di ultras» e la circostanza dell’aver agito al fine di evitare violenze e/o disordini di ordine pubblico. Riteneva, in definitiva, la CFA, che «i sigg.ri Calvo, D’Angelo e Merulla abbiano verosimilmente agito in una condizione, soggettiva, vicina alla “coercizione psicologica” che li ha indotti, nella situazione di intimidazione di cui si è ampiamente detto, ad operare un “autonomo” (i.e. personale) bilanciamento di interessi, all’esito del quale hanno ritenuto preferibile cedere alle pressanti richieste di benefits provenienti da alcuni gruppi ultras, così pensando di evitare un male peggiore (rectius: contestazioni, disordini e altro che potessero portare nocumento alla Juventus FC Spa e/o pregiudicare l’ordine pubblico e le normali condizioni di sicurezza all’interno dello stadio)».
Determinate, dunque, le sanzioni a carico dei deferiti Agnelli e Calvo, la CFA ha ritenuto dover aggravare quella a carico della Juventus FC s.p.a., trattandosi «di fatti di rilevante gravità: la società, per il tramite del comportamento di alcuni suoi dirigenti e collaboratori, ha violato le vigenti disposizioni dell’ordinamento statale (e, di conseguenza, anche quelle relative dell’ordinamento federale), poste in materia di vendita dei tagliandi di ingresso allo stadio, anche proprio al fine di arginare quell’odioso ed illecito fenomeno del bagarinaggio che, invece, i suddetti comportamenti hanno consentito e, comunque, di fatto agevolato».
A siffatto inasprimento di pena la Corte ha, inoltre, sommato «quello conseguente alla responsabilità oggettiva ex art. 4, comma 3, CGS, per le condotte poste in essere dai sigg.ri D’Angelo e Merulla», che, alla luce della loro natura, gravità e durata, veniva determinata in una ulteriore ammenda di euro trecentomila.
Complessivamente, in definitiva, quantificata in euro novecentomila la sanzione dell’ammenda a carico della Juventus FC s.p.a., la stessa è stata, poi, ridotta di euro trecentomila per l’effetto della applicazione delle accertare giustificazioni ed attenuanti come sopra precisato. La Juventus FC s.p.a. è stata, pertanto, così sanzionata: «ammenda di € 600.000,00 e disputa della prima gara interna di Campionato di Serie A dell’anno 2018 con il Settore denominato “Tribuna (Curva) Sud”, dello stadio Allianz Stadium di Torino, privo di spettatori».
Per quanto in questa sede rileva, dunque, gli addebiti accertati ed affermati in capo ai sigg.ri D’Angelo e Merulla devono essere attribuiti, per effetto della decisione del Collegio di Garanzia dello Sport, alla responsabilità diretta della Juventus FC s.p.a. Di conseguenza, ritiene, questa Corte, che il mutamento del titolo dell’attribuzione di responsabilità possa comportare, nella fattispecie, un aggravamento di pena a carico della società di appartenenza dei sigg.ri D’Angelo e Merulla. Inasprimento di pena, tuttavia, che non può non essere concretamente, nel caso di specie, determinato alla luce del fatto che, come traspare, in modo evidente, dalla pronuncia della CFA del 22 gennaio 2018, le violazioni degli stessi sono già state ritenute in tutta la loro gravità e, nel medesimo “stato” e “natura” addebitate, seppur attraverso il titolo formale della responsabilità oggettiva, alla società Juventus FC S.p.A..
Ritiene, pertanto, questa Corte, che l’aggravamento di sanzione debba, con specifico riferimento al caso di specie e per le ragioni già prima in sintesi illustrate, essere contenuto.
In definitiva, per quanto sopra considerato, letto l’art. 18 CGS, viste le risultanze in atti, la natura e la gravità delle violazioni accertate in capo ai sigg.ri D’Angelo e Merulla, il numero di stagioni sportive nel corso delle quali le stesse sono state perpetrate, tenuto, altresì, conto delle ragioni attenuanti di cui si è detto, considerata la sanzione già inflitta alla società di appartenenza degli stessi, ritiene congruo determinate l’aggravamento di cui si è detto nella (ulteriore) sanzione dell’ammenda di euro cinquemila a carico della Juventus FC s.p.a.
Per questi motivi la C.F.A., giudicando in sede di rinvio, ferme le sanzioni già inflitte, commina alla società Juventus FC SpA l’ulteriore ammenda di € 5.000,00.
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