F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONE II– 2018/2019 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 119/CFA DEL 14/06/2019 MOTIVI CON RIFERIMENTO AL COM. UFF. 070 II SEZ. DEL 31 GENNAIO 2019 RICORSO DEL SIG. CALIENDO ANTONIO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI 5 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMI 1 E 5 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3 NOIF SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE NOTA 3038/575 PF 17-18 GP/GC/BLP DEL 28.9.2018 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 38/TFN del 6.12.2018)

RICORSO DEL SIG. CALIENDO ANTONIO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI 5 INFLITTA AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMI 1 E 5 C.G.S., IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3 NOIF SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE NOTA 3038/575

PF 17-18 GP/GC/BLP DEL 28.9.2018 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 38/TFN del 6.12.2018)

Con atto ritualmente notificato, il sig. Antonio Caliendo proponeva reclamo avverso la delibera del Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare, Com. Uff. n. 38/TFN del 6.12.2018, deducendo, a sostegno delle proprie ragioni:

a) la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa;

b) la nullità della sentenza, perché asseritamente emessa in assenza del litisconsorte necessario;

c) l’infondatezza nel merito della decisione assunta, che è stata articolata in vari capitoli, con variegate argomentazioni.

Esaminati i motivi di reclamo con l’ordine innanzi indicato, osserva preliminarmente la Corte che non può ritenersi fondata la censura della violazione del diritto di difesa.

Il processo deve essere sempre ispirato al principio della speditezza e detta esigenza è vieppiù avvertita nell’ambito della Giustizia Sportiva. Ciononostante, gli Organi di Giustizia Sportiva hanno sempre mostrato la massima sensibilità in relazione ai motivi di impedimento deducibili dalle parti, ma l’impedimento deve certamente essere legittimo e meritevole di positiva valutazione.

Il motivo di impedimento alla comparizione della parte per gravi motivi di salute è certamente legittimo, ma per essere meritevole di accoglimento, lo stesso deve essere suffragato da idonea certificazione medica. Il reclamante, di contro, si era limitato a dedurre la propria indisponibilità per motivi di salute, omettendo la produzione di una certificazione sanitaria ed in siffatta situazione, considerato che in udienza non si è presentato neanche il difensore per avanzare, in ipotesi, riserva di produzione del certificato medico, la mera allegazione del fatto non può essere presa in considerazione, per cui, il peculiare profilo di censura mosso alla sentenza di primo grado deve essere respinto.

La Corte non può accogliere neanche il secondo motivo di nullità dedotto dal reclamante, in relazione all’asserita assenza di un litisconsorte necessario nel processo.

Le responsabilità di ciascun singolo soggetto che opera in ambito sportivo sono personali e come tali, vanno vagliate individualmente. La responsabilità dell’odierno reclamante va, quindi, valutata ex se, per la parte di attività a lui riferibile ed in relazione alla stessa, non assume alcun rilievo la responsabilità anteriore, coeva o postuma che altri soggetti possano aver avuto nella medesima vicenda. Non si verte quindi in materia di litisconsorzio necessario e ciò comporta la declaratoria di  infondatezza e conseguente rigetto anche del secondo motivo di censura.

Anche il merito del reclamo non appare fondato, se non nei limiti della determinazione della pena.

L’enorme esposizione debitoria  che ha portato al dissesto e poi al fallimento del Modena F.C. non è certamente nata successivamente alla cessione della compagine sportiva, ma trova le sue cause in epoca risalente e per certo è stata alimentata nel biennio precedente alla sentenza di fallimento e comunque, nel pieno periodo in cui reclamante ha rivestito cariche sociali.

Il sig. Antonio Caliendo, pienamente consapevole della disastrosa situazione finanziaria, dapprima ha tentato un salvataggio, conferendo beni che hanno apportato maggior patrimonialità, ma non hanno determinato la liquidità necessaria per mantenere la gestione ordinaria della compagine calcistica e quindi, ha maturato la consapevolezza di trovare nella cessione, l’unica possibilità di un’eventuale salvataggio, confessando con ciò implicitamente lo stato di decozione, che trova anche riprova nel fatto della cessione intervenuta per prezzo simbolico, circostanza, quest’ultima, che può trovare una sua spiegazione unicamente con una posizione debitoria superiore alle attività.

In ordine, poi, ai tentativi di cessione, appare evidente che il reclamante abbia sempre incontrato persone di scarsa affidabilità, perché un primo tentativo è fallito miseramente ed il secondo tentativo non ho avuto miglior successo.

L’ultimo acquirente, peraltro, per pervenire alla formalizzazione della cessione, aveva posto quale condizione indefettibile, la preventiva presentazione di una domanda di concordato preventivo con riserva. La detta procedura, però, cristallizzava una situazione disastrosa, già tutta maturata in epoca anteriore e l’acquirente, al di là del fatto che non abbia poi coltivato la procedura

, non ha, però, posto in essere effettivi e significativi atti gestori, le cui responsabilità vanno riscontrate pressoché in via esclusiva nella gestione precedente.

Non può, oltretutto, la Corte valutare quale esimente l’omessa disponibilità dello stadio, entrando nel merito delle decisioni assunte dal Comune di Modena, che ne è proprietario. Sta di fatto, semplicemente, che la compagine sportiva non ha avuto la disponibilità dello stadio ed era suo dovere non mettersi nelle condizioni di vederselo negare. Né può essere condivisa la tesi che il Comune abbia revocato la disponibilità dello stadio, nonostante l’Istituto di Credito Sportivo avesse differito i termini di pagamento al 27.9.2017, perché questa rimane una mera affermazione del reclamante che non si deduce dalla lettera 1/8/2017 inviata dal detto Istituto di Credito ed allegata agli atti. Con la detta missiva non si è voluto, infatti, differire il dovuto pagamento al 27.9.17, ma si è voluto semplicemente significare che a fronte degli omessi pagamenti  già maturati, veniva da subito intimata la decadenza del beneficio del termine, posticipandone soltanto gli effetti al 27.9.2017, mentre è appena il caso di significare, che soltanto nei confronti del Credito Sportivo, giusta le risultanze non contestate della sua lettera, sussisteva un debito di importo pari ad € 4.426.047,47, che va ad aggiungersi agli altri cospicui debiti analiticamente evidenziati nelle indagini svolte dalla Procura, anch’essi non contestati dal reclamante.

In siffatta situazione, atteso che il sig. Antonio Caliendo è stato titolare pressoché della totalità delle quote sociali nel biennio precedente la dichiarazione di fallimento, al medesimo vanno addebitate le scelte imprenditoriali che hanno condotto la Società al fallimento e che si sono concretizzate, come magistralmente evidenziato dalla sentenza di primo grado, nella mancanza dell’ordinaria diligenza riscontrata nella gestione della società, nell’aver mancato di porre in essere i necessari interventi per il riequilibrio finanziario della medesima, nell’aver provocato un aumento dei costi, a fronte del consistente indebitamento, nell’essere stato negligente in ordine all’adempimento degli obblighi previdenziali e tributari e nell’aver disatteso le puntuali segnalazioni e sollecitazioni del Collegio dei Revisori sulle criticità della società, sia economiche che finanziarie.

Se il reclamo appare infondato in relazione ai capi d’imputazione, lo stesso deve, di contro, essere accolto nella parte in cui lamenta l’eccessiva afflittività della pena comminata.

Il Tribunale non ha, infatti, adeguatamente valorizzato la circostanza che, pur nell’esaminato dissesto economico, il reclamante ha posto in essere un atto dispositivo di notevole consistenza con sostanze proprie, nel disperato tentativo di ricapitalizzare la società.

L’impiego di cospicue risorse personali dimostra che, pur non essendo riuscito a salvare la società, il Caliendo ha fatto quantomeno un significativo e tangibile tentativo, che va senz’altro adeguatamente apprezzato.

A fronte del richiamato esborso, che si ritiene di valutare positivamente, la pena inflitta va, quindi, ridotta e si rideterminata nella misura di cui in dispositivo.

Per questi motivi la C.F.A., in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal sig. Caliendo Antonio, riduce la sanzione dell’inibizione ad anni 3 e mesi 6.

Dispone restituirsi la tassa reclamo

 

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