CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 93 del 19/12/2017 – Cosimo D’Eboli contro FIGC
Decisione n. 93
Anno 2017
IL COLLEGIO DI GARANZIA SEZIONI UNITE
composta da
Franco Frattini - Presidente e Relatore
Mario Sanino
Attilio Zimatore
Massimo Zaccheo
Dante D’Alessio - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 99/2017, presentato, in data 25 settembre 2017, dal sig. Cosimo D’Eboli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Eduardo Chiacchio, Monica Fiorillo, Rosita Gervasi e Michele Cozzone,
contro
la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Medugno e Letizia Mazzarelli,
nonché contro
la Procura Federale della F.I.G.C., non costituitasi in giudizio,
e con notifica effettuata anche alla Procura Generale dello Sport presso il CONI,
per l’annullamento e/o la riforma
della decisione della Corte Federale d'Appello FIGC, pubblicata sul C.U. n. 030/CFA del 25 agosto 2017, con la quale, in parziale riforma della decisione assunta dal Tribunale Federale Nazionale di primo grado - Sezione disciplinare - è stata confermata, a carico del medesimo ricorrente, la sanzione dell'inibizione per 3 anni e 6 mesi ed è stata ridotta ad € 10.000,00 la sanzione pecuniaria dell’ammenda, per la violazione dell'art. 7, commi 1 e 2, CGS FIGC.
Visti gli atti del ricorso, le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell'udienza del 7 novembre 2017, gli avv.ti Eduardo Chiacchio e Michele Cozzone, per il ricorrente, sig. D’Eboli; l’avv. Luigi Medugno, assistito dall’avv. Matteo Annunziata, per la resistente Federazione Italiana Giuoco Calcio, nonché il Procuratore Nazionale dello Sport, avv. Livia Rossi, all’uopo delegata dal Procuratore Generale dello Sport, ai sensi dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il Presidente e Relatore, Franco Frattini.
Ritenuto in fatto
1- In data 4 agosto 2016, la Procura Federale FIGC, in seguito all’acquisizione della documentazione relativa al procedimento penale n. 1110/2009 r.g.n.r. (indagine Dirty Soccer) avviato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro – D.D.A., deferiva al Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare, tra i tanti, il sig. Cosimo D’Eboli, all’epoca dei fatti direttore generale della Paganese Calcio 1926 s.r.l., per violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, del CGS FIGC. Le contestazioni mosse contro il sig. D’Eboli erano supportate dalle risultanze del materiale probatorio - composto essenzialmente di numerose intercettazioni telefoniche - raccolto dalla Procura di Catanzaro in seguito ad attività di indagine e trasmesso alla Procura Federale per la relativa e autonoma attività istruttoria da esercitarsi in sede disciplinare. Secondo la ricostruzione dei fatti prospettata dalla Procura Federale, il sig. D’Eboli, in concorso con altri tesserati - nel caso in decisione, i sigg. Ercole Di Nicola e Adriano Favia - poneva in essere una serie di condotte finalizzate all’alterazione dell’esito naturale del risultato di una partita calcistica, per favorire l’effettuazione di scommesse su quel particolare evento sportivo. Secondo la Procura, la partita oggetto di illecito sportivo risultava quella giocata il 20 dicembre 2014 e valevole per il campionato di Lega Pro tra Martina Franca e Paganese, di cui il sig. D’Eboli era, in quel momento storico, direttore generale.
Il Tribunale Nazionale Federale, giungendo a decisione, dichiarava irricevibili i ricorsi presentati dalla Procura Federale a causa del tardivo deposito dell’atto di deferimento, per violazione dei termini ritenuti perentori dal predetto organo giudicante.
2.1- Avverso la decisione di primo grado il Procuratore Federale proponeva reclamo alla Corte Federale d’Appello che, il giorno 21 dicembre 2016, lo accoglieva e annullava la decisione impugnata, rinviando la trattazione al Tribunale Nazionale Federale affinché decidesse nuovamente nel merito.
2.2- In seguito alla nuova udienza tenutasi il giorno 17 marzo 2017, il TNF emetteva la propria decisione, in data 27 marzo 2017, dichiarando il sig. D’Eboli responsabile dell’illecito sportivo contestatogli ex art. 7, commi 1 e 2, CGS FIGC e sanzionandolo con l’inibizione di tre anni e sei mesi, oltre al pagamento di un’ammenda del valore di € 60.000,00.
3- A sua volta, il sig. D’Eboli contestava la decisione emessa nel primo grado di giustizia sportiva e impugnava il giudicato dinnanzi alla Corte Federale d’Appello FIGC per ottenerne l’annullamento o la riforma. Il reclamante otteneva parziale riforma del provvedimento assunto dal Tribunale Federale in relazione al quantum della sanzione pecuniaria dell’ammenda, che veniva ridotta ad € 10.000,00; mentre si vedeva confermata integralmente, da parte della CFA, l’inibizione a tre anni e sei mesi.
4- L’odierno ricorrente, il giorno 25 settembre 2017, ha presentato ricorso presso questo Collegio di Garanzia dello Sport per ottenere l’annullamento e l’integrale riforma della decisione emessa dalla Corte Federale d’Appello FIGC.
La difesa avanzata dal sig. D’Eboli si fonda su due ordini principali di motivi.
In primo luogo, egli asserisce che l’applicazione dell’art. 7, comma 1, CGS FIGC al caso in questione risulta viziata da un’interpretazione scorretta delle disposizioni in esame, che riguardano il compimento di << atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica […] >>.
Secondo quanto argomentato dalla parte ricorrente, gli atti posti in essere dal sig. D’Eboli si arrestano ad uno stadio precedente al tentativo di illecito, in quanto la sua azione non si è estrinsecata in una serie di eventi concreti e tangibili, la cui successione logica avrebbe portato al compimento di un illecito. Da un lato, si stigmatizza l’errore in cui è incorsa la CFA nel valutare come elementi di colpevolezza i ripetuti contatti telefonici avvenuti tra il sig. D’Eboli e gli altri tesserati coinvolti nell’illecito (i sigg. Di Nicola e Favia). Secondo la difesa, infatti, dalle conversazioni degli interessati non emerge alcun riferimento all’alterazione del risultato e non sarebbe stato, quindi, ipotizzabile affermare la progressiva formazione di un accordo corruttivo. Dall’altro, la difesa contesta la solidità degli elementi probatori oggetto di valutazione da parte della CFA, insistendo sul fatto che le dichiarazioni dei deferiti, emerse in sede di intercettazioni telefoniche, non superano il ragionevole grado di certezza, in base al quale configurare l’ipotesi di illecito disciplinare ex art. 7, comma 1, CGS FIGC.
Con il secondo punto di contestazione, l’odierno ricorrente adduce, altresì, a sostegno della propria tesi difensiva e ai fini della stima del livello probatorio, l’utilizzo di un criterio che, seppur inferiore a quello del ragionevole dubbio, appare di per sé superiore a quello meramente probabilistico, in ragione del contesto di illiceità creatosi in seguito al giro di conversazioni telefoniche tra i dirigenti deferiti presso gli organi di giustizia federali. In particolare, il sig. D’Eboli lamenta il fatto che gli elementi probatori in possesso dell’organo giudicante non siano rilevanti, in base al contesto da cui sono stati estrapolati, ai fini dell’individuazione della responsabilità del soggetto deferito e non siano, quindi, in grado di sostenere un indice di colpevolezza che si fondi su presunzioni gravi, precise e concordanti in forza delle quali risalire al fatto illecito.
Nelle conclusioni, il sig. D’Eboli chiede che il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello Federale venga dichiarato integralmente illegittimo e, pertanto, vengano annullate le sanzioni dell’inibizione a tre anni e sei mesi e dell’ammenda al pagamento di € 10.000,00.
In via subordinata, il ricorrente chiede che la responsabilità contestatagli venga derubricata da illecito sportivo, di cui all’art. 7, commi 1 e 2, CGS FICG, a illecito derivante da omessa denuncia, di cui all’art. 7, comma 7, CGS FIGC, con conseguente riadattamento della pena.
Nel presente giudizio si è costituita, altresì, la Federazione Italiana Giuoco Calcio che, attraverso una propria memoria difensiva, ha contestato, punto per punto, le argomentazioni avanzate dalla parte ricorrente. Innanzitutto la FIGC afferma che gli elementi di prova su cui affonda le proprie radici la decisione della CFA FIGC non si basano su semplici presunzioni di fatto da cui far derivare la responsabilità del sig. D’Eboli, ma rappresentano essi stessi la prova decisiva su cui si fonda la colpevolezza del medesimo. Secondo la parte resistente emerge nitidamente dalle intercettazioni come i soggetti coinvolti nell’azione illecita avrebbero usato un linguaggio convenzionale per celare il loro reale intento, cioè quello di alterare il leale e corretto svolgimento di una manifestazione sportiva. A corroborare la tesi proposta dalla FIGC emerge il contesto in cui avvenivano i colloqui telefonici tra il sig. D’Eboli ed i suoi interlocutori, a loro volta deferiti presso gli organi di giustizia federale. In particolare, l’intensificazione delle telefonate con l’approssimarsi della partita e la presenza del sig. Di Nicola, già sanzionato in via definitiva dagli organi di giustizia sportiva endofederale, oltre al rifiuto di tutti i deferiti di rispondere alle domande relative al medesimo fatto contestato in sede di audizione, non sembrano in grado di ipotizzare una valutazione per presunzione delle prove, ma giustificherebbero, per gravità, precisione e concordanza degli elementi probatori, un’ipotesi accusatoria, non smentita da nessun dubbio ragionevole.
Infine, viene contestato dalla parte resistente la preclusione che insiste in capo al ricorrente di richiedere un nuovo esame delle prove dinnanzi a questo Collegio di Garanzia, al fine di giungere ad interpretazioni alternative dei fatti accertati, di rendere irrilevanti prove che nei precedenti gradi di giudizio si sono contraddistinte per la loro decisività ovvero di ricostruire fatti su cui si è già fondata una sanzione. Di conseguenza, secondo la FIGC, ogni tentativo di sollecitare la rivalutazione dei fatti e delle prove da parte di questo Collegio risulterebbe inammissibile in quanto sulla questione si è già formato un giudicato supportato da sufficienti motivazioni, sia da un punto di vista giuridico, sia da un punto di vista logico.
Pertanto, la Federazione Italiana Giuoco Calcio conclude per sentire dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal sig. D’Eboli.
All’udienza del 7 novembre 2017 si è presentata in udienza, ai sensi dell’art. 61, comma 3, CGS CONI, anche la Procura Generale dello Sport, per esporre oralmente le proprie argomentazioni, contestando gli stessi motivi del ricorso e, infine, concludendo per la conferma della decisione di secondo grado emessa dalla CFA.
Considerato in diritto
1- In via preliminare è opportuno segnalare che, a questo Collegio di Garanzia dello Sport, è precluso il potere di sindacare le doglianze, presenti nel ricorso oggetto di impugnazione, che richiedono una rivisitazione dei fatti già sottoposti all’esame dei giudici federali. Infatti, la disposizione di cui all’art. 54, comma 1, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI statuisce che << il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti.>>.
Nel momento in cui viene impugnato un provvedimento dell’organo di giustizia endofederale di secondo grado, il rimedio proposto dal legislatore sportivo si sostanzia nel ricorso al cosiddetto giudizio di legittimità - individuato dalla norma richiamata - nella cui sede è preclusa la possibilità di rivalutare eccezioni, argomentazioni e risultanze istruttorie acquisite nella fase di merito. Il giudizio di legittimità è, dunque, preordinato all’annullamento delle pronunce che risultano viziate da violazioni di norme giuridiche ovvero da omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione, ovvero alla risoluzione di questioni di giurisdizione o di competenza, ognuna di esse specificatamente censurata.
Inoltre, in virtù del richiamo che l’art. 2, comma 6, CGS CONI opera nei confronti delle norme generali del processo civile, questo Collegio intende uniformarsi a quanto disposto dall’art. 360 c.p.c. che, nel disciplinare il ricorso ordinario dinnanzi alla Suprema Corte di Cassazione, configura un mezzo di impugnazione a critica vincolata, in base alla quale i motivi del ricorso sono tassativamente elencati (cfr. ex multis, Collegio di Garanzia, S.S.U.U., decisione n. 61/2015).
Ne consegue che un riesame della questione nel merito violerebbe l’ordine dei gradi di giustizia e travalicherebbe i poteri decisori del Collegio, per come espressamente previsti dall’art. 54, comma 1, CGS CONI.
Pertanto, questo Collegio intende condividere l’eccezione avanzata dalla parte resistente - la FIGC - che sottolinea come il sig. D’Eboli tenda a proporre, attraverso i motivi del ricorso, un riesame del materiale probatorio relativo alle intercettazioni telefoniche dalle quali, nei precedenti gradi di giudizio, si evince la responsabilità del deferito. Appare evidente come la ricostruzione dei fatti prodotta dalla parte ricorrente, attraverso la riproposizione di stralci documentali relativi ai contenuti delle conversazioni captate e celata sotto le tassative ipotesi di ricorso ex art. 54, comma 1, CGS CONI, sia finalizzata ad orientare il giudizio di legittimità verso una prospettazione alternativa della vicenda oggetto del contendere.
L’orientamento giurisprudenziale seguito da questo Collegio di Garanzia non lascia, inoltre, alcun dubbio al riguardo. Infatti, in sede di giudizio d’impugnazione dei provvedimenti emessi dalle corti federali d’appello, si deve ritenere inammissibile la nuova valutazione del materiale probatorio, dal momento che le prove rilevanti e le ricostruzioni dei fatti che hanno formato il libero convincimento del giudice di secondo grado si devono ritenere acquisiti ed assodati. Qualora il presente Collegio dovesse pervenire ad un’interpretazione alternativa della vicenda basata sul riesame delle prove, si porrebbe in contrasto con il disposto dell’art. 54, comma 1, CGS CONI e disattenderebbe la funzione per la quale è stato istituito, ossia quella di giudice di legittimità dell’ordinamento sportivo (sul punto si veda, ex multis, Collegio di Garanzia, decisioni, S.S.U.U., nn. 61/2015 e 63/2015).
2- Con il primo motivo del ricorso, il sig. D’Eboli ha censurato il provvedimento della CFA FIGC, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’istituto della responsabilità disciplinare derivante da illecito sportivo, di cui all’art. 7, comma 1, CGS FIGC. Il ricorrente ha criticato, in particolar modo, la sussunzione dei fatti, ricostruiti attraverso le intercettazioni telefoniche, sotto la fattispecie dell’illecito sportivo ex art. 7, commi 1 e 2.
Sul punto, quindi, questo Collegio di Garanzia reputa opportuno fornire un’interpretazione chiara delle disposizioni normative di cui trattasi, al fine di pervenire ad una soluzione coerente della questione.
L’ordinamento federale prevede che, all’art. 7, comma 1, CGS FICG << il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo >>. La norma, infatti, mira a tutelare il bene giuridico del leale e regolare svolgimento delle gare e delle competizioni sportive, punendo le condotte illecite e antisportive finalizzate all’alterazione del risultato sportivo attraverso la manipolazione dell’andamento della gara ovvero attraverso il procacciamento di un indebito vantaggio in termini di classifica. Dall’analisi del dettato normativo è facilmente intuibile come la fattispecie descritta configuri un’ipotesi di illecito di attentato. Di conseguenza, è evidente che l’illecito sportivo, di cui all’art. 7, comma 1, CGS FIGC, si debba considerare realizzato nel momento in cui si siano concretizzati “atti idonei” a cambiare il naturale svolgimento di una competizione.
Secondo quanto espresso dalla difesa del ricorrente, non emergerebbe in alcun modo dalle conversazioni telefoniche l’iter illecito messo in atto dal sig. D’Eboli in concorso con i già citati sigg. Favia e Di Nicola e finalizzato all’alterazione della partita tra Martina Franca e Paganese. Nello specifico, la condotta illecita dei deferiti non sarebbe in grado di produrre effetti dannosi all’interno dell’ordinamento sportivo, in quanto la sua realizzazione si arresterebbe ad una fase di pura ideazione in cui risulterebbe, altresì, escluso il compimento di alcun atto di tipo preparatorio. In sostanza, la condotta del sig. D’Eboli sarebbe caratterizzata da elementi di idoneità solamente potenziali alla realizzazione del fatto illecito, privi di valore antigiuridico. Infatti, la tesi sostenuta dalla difesa del ricorrente punta sul concetto della “mancanza del segmento conclusivo” - elaborato dalla giurisprudenza nel famoso caso “Calciopoli” - secondo il quale un semplice contatto tra tesserati non sarebbe in grado di configurare un illecito disciplinare, se tra costoro non avvenga un indispensabile scambio di accordi orientati a perpetrare una condotta corruttiva e lesiva di un evento sportivo. In altre parole, il ricorrente prova a fare leva sull’assenza del principio di materialità mutuato dal diritto penale, secondo il quale, se la volontà criminosa non si esteriorizza in una condotta concreta, allora può trovare applicazione il principio cogitationis poenam nemo patitur.
Ad avviso di questo Collegio, la ricostruzione dei fatti, così come compiuta dalla parte ricorrente, non assume alcune pregio sia sotto il profilo fattuale, sia da un punto di vista giuridico.
In primo luogo, le telefonate intercorse tra il sig. D’Eboli ed i suoi sodali - sigg. Favia e Di Nicola - fanno emergere piuttosto nitidamente come gli atti diretti all’alterazione del risultato della partita incriminata si siano rivelati idonei alla commissione dell’illecito sportivo e non siano rimasti nel limbo di un’astratta congettura priva di disvalore giuridico. Il giudizio della Corte Federale d’Appello appare coerente con quanto emerso dalla valutazione del materiale probatorio, posto già al vaglio della Procura di Catanzaro durante la fase investigativa e trasmesso successivamente alla Procura Federale per l’avviamento del procedimento disciplinare. Infatti, il contesto nel quale si svolgevano le conversazioni telefoniche intercettate evidenzia una serie di elementi che, se esaminati nel loro complesso, risaltano l’idoneità delle azioni poste in essere dal sig. D’Eboli, finalizzate a determinare la manipolazione della partita oggetto del presente ricorso. In particolare, un dato già di per sé indicativo delle finalità antiregolamentari delle telefonate deve essere innanzitutto individuato nell’utilizzo di un linguaggio convenzionale tra i deferiti. Essi, infatti, per depistare eventuali captazioni delle conversazioni (cosa che, di fatto, è avvenuta), si scambiavano informazioni attraverso frasi criptiche e apparentemente prive di volontà illecita. Ulteriore elemento a fondamento dell’idoneità illecita dell’azione del ricorrente si deve rinvenire nel fatto che i contatti telefonici aumentassero di volume nei giorni immediatamente a ridosso della partita, cosa che è stata, peraltro, confermata dai responsabili in sede di audizione.
Inoltre, appare inequivocabile come la presenza del sig. Di Nicola rappresenti un elemento di disvalore non trascurabile dal momento che la sua condotta, nel caso di specie, è già stata sanzionata con decisione ed è coperta da giudicato, atteso che questi non ha impugnato il provvedimento emesso dal Tribunale Federale nei termini previsti dal Regolamento di Giustizia.
I fatti così esposti trovano, pertanto, riscontro nel dato normativo di cui all’art. 7, comma 1, CGS FICG. Infatti, come in precedenza preannunciato, l’illecito sportivo si configura come un illecito di attentato per cui il bene giuridico tutelato - il leale e corretto svolgimento di una competizione sportiva - riceve una protezione rafforzata che si attiva nel momento in cui sia iniziata la condotta potenzialmente lesiva, non occorrendo l’effettivo verificarsi di un determinato evento dannoso. Procedendo ad un parallelismo tra istituti di branche del diritto diverse si può ragionevolmente affermare che la fattispecie considerata equivale a quella che il diritto penale ricomprende nei reati di pericolo. In questo caso, infatti, la soglia di punibilità arretra al compimento di un’attività idonea ad alterare il naturale svolgimento di una competizione.
Questa impostazione trova riscontro anche in virtù di un’interpretazione sistematica della norma disciplinata dall’art. 7, CGS FIGC. Infatti, al comma 6 del medesimo articolo, si specifica che << In caso di pluralità di illeciti ovvero se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito, le sanzioni sono aggravate. >>. In questo caso il verificarsi dell’evento configura un’ipotesi aggravata di illecito sportivo, che si innesta sulla norma di base, rappresentata dall’art. 7, comma 1, CGS FIGC, e non gode, quindi, di un proprio impianto sanzionatorio autonomo.
Pertanto, seguendo l’interpretazione prevalente della Suprema Corte in tema di delitti di attentato e procedendo ad una comparazione con la questione giuridica che occupa questa sede, risulta evidente come sia del tutto irrilevante il conseguimento di un effettivo vantaggio ottenuto attraverso condotte corruttive finalizzate alla compromissione del buon andamento di una competizione sportiva, necessitando semplicemente che sia stato avviato l’iter illecito.
Nel caso di specie, le risultanze probatorie che hanno certificato la responsabilità del sig. D’Eboli, sia in primo che in secondo grado, supportano adeguatamente le argomentazioni con cui l’organo giudicante è giunto alle conclusioni. Si può ragionevolmente dedurre come le condotte del ricorrente, estrinsecatesi in numerose conversazioni telefoniche avvenute con i sigg. Favia e Di Nicola e finalizzate all’organizzazione e alla preparazione di una cosiddetta combine, già di per sé integrano l’ipotesi di illecito sportivo, di cui all’art. 7 CGS FIGC, in quanto rappresentano una minaccia per il bene giuridico tutelato dalla norma, ossia il leale e regolare svolgimento delle competizioni. Configurandosi, quindi, un illecito di attentato, la responsabilità del sig. D’Eboli si fonda sul puro fatto di aver posto in essere atti idonei a giustificare un potenziale danno all’ordinamento sportivo - quindi, di per sé, antigiuridici - a prescindere dal fatto che il tentativo di alterazione della competizione abbia avuto un esito positivo o negativo.
2.1- In via subordinata, il ricorrente richiede a questo Collegio che, nel caso in cui non venga accolta integralmente la domanda di riforma della decisione pronunciata dalla CFA FIGC, la violazione disciplinare accertata venga declassata da illecito sportivo a omessa denuncia, ex art. 7, comma 7, CGS FIGC. Anche in questo caso occorre procedere ad un’analisi che prenda le mosse dal dato letterale della norma.
La norma appena richiamata prevede che << i soggetti di cui all’art. 1 bis, commi 1 e 5, che siano venuti a conoscenza in qualunque modo che società o persone abbiano posto o stiano per porre in essere taluno degli atti indicati ai commi precedenti, hanno l’obbligo di informarne, senza indugio, la Procura federale della FIGC. >>. Coloro che violano tale disposizione regolamentare subiscono la sanzione prevista al medesimo art. 7, comma 8, CGS FIGC.
Dal dato puramente letterale della norma, al fine di integrare la fattispecie dell’omissione di denuncia, è sufficiente che uno dei soggetti, di cui all’art. 1, commi 1bis e 5, siano venuti a conoscenza di condotte e atti diretti alla commissione di un illecito sportivo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, CGS FIGC, e non ne abbiano denunciato i fatti alla Procura Federale. Pertanto, il discrimen tra l’illecito sportivo e l’omessa denuncia si fonda sul fatto che, nel primo caso, il soggetto responsabile del comportamento volto ad alterare il risultato o l’andamento di una gara è parte attiva della condotta illecita e ne risponde a titolo principale; nel secondo caso, invece, egli è a conoscenza dell’azione commessa e della sua antigiuridicità, di cui, però, rimane soggetto estraneo. In questo caso l’ordinamento sportivo si difende attraverso un sistema di tutela che fa nascere, in capo al soggetto che percepisce l’effettivo compimento degli atti illeciti, l’obbligo giuridico di salvaguardare il leale e regolare svolgimento delle competizioni, mediante la denuncia del fatto alla competente Procura Federale. La violazione di tale obbligo integra, di conseguenza, un illecito disciplinare che trae la propria causa giustificatrice dalla realizzazione o dalla tentata realizzazione dell’illecito principale e viene sottoposto ad una punizione più lieve.
Nel caso che ci occupa appare chiaro come, da quanto emerso dal giudicato pronunciato dalla Corte Federale d’Appello, il sig. D’Eboli non solo fosse a conoscenza dell’attività illecita intercorsa tra i sigg. Favia e di Di Nicola, ma come egli avesse anche agito in concorso con gli altri due e fosse, quindi, attivamente coinvolto nel tentativo di combine.
Da ciò deriva, dunque, che è da escludersi la configurazione dell’illecito di omessa denuncia, ai sensi dell’art. 7, commi 7 e 8, CGS FIGC, dal momento che l’ipotesi di illecito disciplinare oggetto del presente esame di legittimità dimostra una fattiva partecipazione del deferito alla condotta antiregolamentare, coerentemente già sanzionata in primo e secondo grado ai sensi dell’art. 7, comma 1, CGS FIGC.
3- Il secondo motivo del ricorso denuncia, infine, una carenza di motivazione, oltreché una manifesta e palese contraddittorietà della stessa, evidenziando, in particolare, che la decisione di secondo grado è stata pronunciata in assenza del raggiungimento della prova decisiva “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Coerentemente con l’orientamento già espresso e consolidato da questo Collegio di Garanzia, si può ritenere che all’interno dei procedimenti di giustizia sportiva il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. A maggior ragione, l’organo giudicante non può spingersi fino all’assoluta certezza della commissione dell’illecito, ma non può nemmeno sostenere una posizione dibattimentale assodata in base ad un elemento probatorio valutato in misura superiore al ragionevole dubbio, criterio utilizzato in ambito di diritto penale come limite di convincimento del giudice. La ragione che giustifica l’adozione di un siffatto standard probatorio si può, a buon diritto, far discendere dal fatto che, se l’accertamento della responsabilità degli illeciti di natura disciplinare trovasse il suo fondamento nella certezza assoluta della prova raggiunta che, nella maggior parte dei casi, rappresenta una mera astrazione, si incorrerebbe nel rischio concreto di rallentare il procedimento disciplinare e ostacolare la piena tutela dei soggetti dell’ordinamento sportivo nei confronti degli illeciti disciplinari, oltre a vanificare il principio di ragionevole durata del processo sportivo nell’interesse del regolare svolgimento delle competizioni sportive e dell’ordinato andamento delle attività federali, come disciplinato dall’art. 2, comma 3, CGS CONI.
A conforto di tale orientamento, appare necessario fare ricorso al principio di valutazione probatoria espressamente previsto dall’art. 40, comma 1, delle Norme Sportive Antidoping e considerato ormai acquisito come principio generale immanente all’ordinamento sportivo. In sostanza, nell’accertare una violazione disciplinare, l’organo giudicante deve formarsi un “confortevole convincimento”. Per giungere a questo risultato il grado di prova richiesto si deve individuare in un criterio che superi la semplice valutazione delle probabilità, ma che sia comunque inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (tra le molte, si considerino Collegio di Garanzia, S.S.U.U., decisioni nn. 6/2016 e 34/2016).
Nel caso in questione, il processo decisionale seguito dall’organo giudicante di secondo grado appare coerente con lo standard probatorio con cui sono state esaminate le risultanze istruttorie prodotte dall’attività investigativa della Procura Federale. Il materiale probatorio a carico del sig. D’Eboli, nonostante non superi il ragionevole grado di certezza, è stato supportato da circostanze di gravità, precisione e concordanza, necessarie a generare un ragionevole affidamento in merito alla constatazione della colpevolezza del deferito.
La decisione impugnata non può, quindi, ritenersi viziata da omessa o insufficiente motivazione in quanto la stabilità del materiale probatorio deriva dal contesto in cui sono avvenute le conversazioni telefoniche intercettate tra il sig. D’Eboli ed i coincolpati, sigg. Favia e Di Nicola. In particolare, non può essere sottaciuta la presenza di quest’ultimo, la cui attività illecita è stata sanzionata per le medesime violazioni disciplinari con decisione divenuta definitiva per mancanza di impugnazione entro i termini ed era riferita ad altri fatti dello stesso tenore (l’alterazione dei risultati di incontri calcistici). Tale circostanza, infatti, rafforza il grado di certezza del raggiungimento della prova di responsabilità, secondo cui i colloqui tra il sig. Di Nicola ed i sigg. D’Eboli e Favia, dirigenti delle squadre coinvolte, avevano la finalità di alterare il risultato della competizione. Inoltre, dalle ricostruzioni dedotte dall’attività istruttoria emerge che le telefonate tra i deferiti si intensificavano nei giorni prossimi alla partita oggetto del tentativo di combine e si caratterizzavano per l’utilizzo di un linguaggio convenzionale e criptico.
Alla luce di quanto esposto, questo Collegio di Garanzia non rileva alcun vizio nella motivazione della decisione emessa dalla Corte Federale d’Appello e ritiene che le ragioni a fondamento della responsabilità del sig. D’Eboli siano coperte da un grado di certezza che, seppur inferiore all’esclusione del ragionevole dubbio, è corredato da indici di colpevolezza gravi, precisi e concordanti, che fanno ritenere raggiunta la prova della sussistenza degli illeciti.
P.Q.M.
Il Collegio di Garanzia dello Sport Sezioni Unite
Respinge il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate nella misura di € 2.000,00, oltre accessori di legge, in favore della resistente FIGC.
DISPONE la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 7 novembre 2017.
Il Presidente e Relatore
F.to Franco Frattini
Depositato in Roma, in data 19 dicembre 2017.
Il Segretario
F.to Alvio La Face