CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 16/2020 del 13 marzo 2020 – Procura Generale dello Sport presso il CONI/Procura Federale FIGC/Federazione Italiana Giuoco Calcio/Piacenza Calcio 1919 srl
Decisione n. 16
Anno 2020
IL COLLEGIO DI GARANZIA SEZIONI UNITE
composta da
Franco Frattini - Presidente e Relatore
Dante D’Alessio
Mario Sanino
Massimo Zaccheo
Attilio Zimatore - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Nel giudizio iscritto:
- al R.G. ricorsi n. 102/2019, presentato congiuntamente, in data 25 novembre 2019, dalla Procura Generale dello Sport presso il CONI, in persona del Procuratore Generale dello Sport, Pref. Ugo Taucer, e del Procuratore Nazionale dello Sport, prof. avv. Daniela Noviello, e dalla Procura Federale FIGC,
contro
la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), rappresentata e difesa dall'avv. Giancarlo Viglione,
nonché contro
la società Piacenza Calcio 1919 s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Scalco,
avverso
la decisione della Corte Federale di Appello FIGC del 21 ottobre 2019, comunicata a mezzo PEC in data 25 ottobre (n. 35/2019 Registro Reclami - n. 0014/2019 Registro Decisioni, nell’ambito del Procedimento n. 1136 pf 18-19 GP/GT/ag, iscritto nel registro dei procedimenti della Procura Federale in data 18 aprile 2019, la cui azione disciplinare veniva esercitata dal Procuratore Federale della FIGC con atto di deferimento datato 7 agosto 2019), con la quale è stato respinto il reclamo proposto dal Procuratore Federale FIGC avverso la decisione del TFN FIGC n. 4/TFN 2019/2020 del 6-13 settembre 2019, di cui al C.U. n. 2/TFN pubblicato in pari data, e, per l’effetto, è stata confermata la decisione assunta in primo grado.
Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell’udienza dell’8 gennaio 2020, il Procuratore Generale dello Sport, pref. Ugo Taucer, e il Procuratore Nazionale dello Sport, prof. avv. Daniela Noviello, per la ricorrente Procura Generale dello Sport presso il CONI; l’avv. Giancarlo Viglione, per la resistente FIGC, nonché l’avv. Andrea Scalco, per la resistente Piacenza Calcio 1919 s.r.l.;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, Pres. Franco Frattini.
Ritenuto in fatto
- - Con atto di incolpazione del 7 luglio 2019, la Procura Federale della FIGC provvedeva al deferimento, innanzi al Tribunale Federale, del sig. Giulio Mulas, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società Piacenza Calcio, e della società Piacenza Calcio 1919 s.r.l. Segnatamente, venivano contestate: i) al sig. Giulio Mulas, la violazione di cui all’art. 1 bis, comma 1, del previgente CGS FIGC, per avere, prima della gara Entella - Lucchese del 26 marzo 2019, disatteso l’obbligo di comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, comunicando con il calciatore della Lucchese, Alessandro Provenzano, attraverso un messaggio vocale, allo scopo di trarre un vantaggio per il Piacenza, in particolare offrendo una somma di denaro affinché la Lucchese conseguisse la vittoria contro l’Entella, diretta concorrente del Piacenza per la vittoria del Campionato, nel tentativo di favorire in classifica la sua società; ii) alla società Piacenza Calcio 1919 s.r.l., ai sensi dell’art. art. 1 bis, comma 1, del previgente CGS e dell’art. 4, comma 2, del CGS, la responsabilità oggettiva in ordine agli addebiti contestati al proprio tesserato.
- - A seguito del dibattimento, accertato, in punto di fatto, l’accaduto - invio di un messaggio vocale ad Alessandro Provenzano, calciatore tesserato per la Società Lucchese Libertas 1905, a mezzo dell’applicativo di messaggistica WhatsApp, segnalato dallo stesso Provenzano alla Procura Federale, il Giudice di prime cure applicava al sig. Mulas la sanzione della squalifica di 20 giorni, prosciogliendo da ogni addebito il Piacenza Calcio 1919 s.r.l.
- - Per quanto di interesse in questa sede, il Tribunale Federale non ravvisava la sussistenza di quegli elementi anche minimi di riconducibilità oggettiva nella sfera dell’ente necessari per giungere ad una affermazione di responsabilità seppure obiettiva. I riscontri probatori in atti consentivano, secondo il TFN, di affermare con certezza: che il sig. Mulas aveva agito al di fuori del contesto del centro sportivo della società, in maniera autonoma e con iniziativa personale; che la società non era stata informata né prima né dopo del contatto intervenuto con il Provenzano, giocatore della Lucchese; che, pertanto, il Mulas non aveva agito nell’interesse della società Piacenza Calcio 1919 s.r.l.; e che la stessa non traeva alcun vantaggio dalla condotta medesima. Se, invero, all’epoca dei fatti ancora non era in vigore la scriminante, attenuante introdotta all’art. 7 del riformato Codice di Giustizia Sportiva FIGC al chiaro fine di mitigare gli effetti distorsivi di una applicazione rigida ed acritica delle disposizioni in tema di responsabilità oggettiva dell’ente, attraverso l’introduzione di quel giudizio strettamente normativo sulla idoneità astratta e concreta del modello organizzativo adottato (Cass. pen., sez. V, 18 dicembre 2013, n. 4677), il Giudice di primo grado escludeva comunque l’operatività del previgente art. 4, comma 2, CGS, attesa l’assenza di qualsivoglia profilo di riconducibilità, rimproverabilità dei fatti oggetto di deferimento alla società medesima. Ciò perché, la totale comprovata estraneità dell’ente rispetto alla condotta inadeguata tenuta dal giocatore, anche logisticamente al di fuori del centro sportivo di competenza, la predisposizione tempestiva e risalente di un modello di organizzazione, gestione e controllo e di un codice etico ex d.lgs n. 231/2001 e, quindi, l’attività preventiva che il Piacenza Calcio ha complessivamente posto in essere, finiscono con il coinvolgere lo stesso nesso eziologico, la cui sussistenza è imprescindibile anche per gli addebiti di natura oggettiva, ponendosi la condotta dell’agente del tutto al di fuori della sfera di signoria dell’ente.
- - Avverso la decisione di primo grado, il Procuratore Federale Nazionale, con atto del 17 settembre 2019, proponeva reclamo dinnanzi la Corte Federale di Appello, la quale, con la decisione quivi impugnata, lo respingeva, confermando la decisione di primo grado.
- - Vale ripercorrere l’iter motivazionale del Giudice di appello, il quale, benché l’art. 142, comma 1, del vigente CGS preveda tra le disposizioni transitorie che i procedimenti pendenti innanzi agli organi del sistema della Giustizia Sportiva al momento dell’entrata in vigore del Codice debbano continuare a svolgersi in base alle disposizioni previgenti, considerava nondimeno che l’indubbia natura afflittiva della sanzione disciplinare può indurre a sostenere l’applicabilità del principio generale del favor rei anche all’ordinamento sportivo, non rilevando al riguardo il suo carattere settoriale a fronte di una primaria esigenza di parità ̀sostanziale, costituzionalmente garantita, tra soggetti incolpati. Il Collegio, in quella sede, rilevava, tuttavia, come, nel caso di specie, la questione dell’applicazione della norma più favorevole non si ponesse, considerato che il Giudice di prime cure, nel dichiarare il Piacenza Calcio esente da responsabilità oggettiva per il comportamento pur sanzionato del giocatore Mulas, ha esplicitamente fatto riferimento all’art. 4, comma 2, del CGS vigente all’epoca di avvio del procedimento disciplinare e, in base a una valutazione di merito, non aveva rinvenuto alcun nesso di causalità necessaria tra il comportamento tenuto dal suddetto giocatore e la responsabilità oggettiva del Piacenza Calcio. Del tutto coerente e ragionevole, dunque, doveva ritenersi la decisione del Tribunale, che ha escluso la “riconducibilità” e la “rimproverabilità dei fatti oggetto di deferimento alla Società”, sia parametrata alla tenue sanzione disciplinare di soli 20 giorni di squalifica irrogata al calciatore Mullas - non impugnata dalla Procura Federale - verosimilmente correlata a una iniziativa personale ed estemporanea di nessun vantaggio concreto per il Piacenza Calcio; sia perché sostenuta dall’accertata adeguatezza delle misure preventive predisposte dalla Società, in ossequio alle disposizioni legislative (art. 6, comma 1, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) e statutarie (art. 7, comma 5, dello Statuto FIGC). Per ultimo, la Corte poneva in evidenza la circostanza per la quale la decisione oggetto di reclamo non ponesse in discussione l’istituto della responsabilità oggettiva delle Società, in quanto informata, al contrario, ad un orientamento sostanzialmente nomofilattico della Giustizia Sportiva, secondo il quale “il principio della responsabilità oggettiva necessita di temperamenti, sia pure rigorosamente interpretati, avuto riguardo ad un esame non formalistico ma sostanziale dell’effettivo legame tra il fatto avvenuto e le specifiche responsabilità della società” (C.U. n. 021/CFA del 19 gennaio 2015).
- - Con ricorso depositato il 25 novembre 2019, la Procura Generale dello Sport presso il CONI ha impugnato detta decisione dinanzi a questo Collegio di Garanzia.
In particolare, la Procura Generale adduce, con unico motivo di ricorso, l’omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 30, comma 17, del Regolamento di Giustizia della FIGC. Segnatamente, la Procura Generale ritiene che riscontri probatori in atti non consentono di affermare che il Mulas abbia agito in maniera autonoma e con iniziativa personale e, dunque, che non vi sono elementi certi da cui rilevare la totale estraneità dei fatti da parte della società deferita; secondo la Procura, la circostanza che la condotta sia stata tenuta al di fuori del centro sportivo di competenza non può determinare la non applicabilità del previgente art. 4, comma 2, del CGS in capo alla società di appartenenza all’epoca dei fatti.
Né, tantomeno, la semplice predisposizione di un modello di organizzazione, gestione e controllo e di un codice etico, ex d.lgs n. 231/2001, da parte della società sportiva, può consentire “sic et simpliciter” di eludere la responsabilità oggettiva. Ciò perché tali iniziative, pur potendo assumere rilievo, salvo comunque provarne l’applicazione, in un contesto normativo rappresentato dall’illecito sportivo, nella fattispecie non possono ritenersi idonee, sia perché è mancata la prova, da parte della società, della relativa applicazione, sia in quanto al Mulas non è stato addebitato alcun illecito sportivo, il solo istituto giuridico idoneo a consentire l’applicazione dei predetti “Modelli e Codice Etico”; infatti, al Mulas è stata riconosciuta, così come richiesto con il provvedimento di deferimento, la responsabilità disciplinare, ai sensi dell'art. 1 bis, comma 1, del previgente Codice di Giustizia Sportiva, a cui è seguita la condanna dello stesso alla sanzione della squalifica di 20 giorni.
Su queste premesse - non potendosi, secondo la ricostruzione della ricorrente, predicare una esclusione dell’operatività del previgente art. 4, comma 2, CGS, in presenza di evidenti profili di riconducibilità dei fatti oggetto di deferimento alla società - si censura, in estrema sintesi, l’asserita assenza di un vaglio critico alla decisione di primo grado, con il risultato che la motivazione adottata dalla Corte di Appello sarebbe apparente, essendosi risolta in un rinvio per relationem al contenuto della pronuncia impugnata. Siffatto modus operandi della Corte d’Appello contrasterebbe apertamente con il preciso obbligo motivazionale gravante sull’Organo giudicante. Continua la Procura asserendo che l’aver affermato l’assenza del “nesso di causalità necessaria tra il comportamento tenuto dal suddetto giocatore e la responsabilità oggettiva del Piacenza Calcio”, senza spiegare sulla base di quale riferimento normativo e/o giurisprudenziale tale nesso è previsto, si tradurrebbe in un erroneo ed illogico ragionamento; la Corte, anzi, avrebbe così violato il principio in tema di responsabilità ormai cardine della giurisprudenza sportiva, per il quale “la responsabilità oggettiva consegue in termini automatici e legali a quella materiale del responsabile fisico, e non può, quindi, in nessun caso, essere elusa, ma solo graduata e misurata nei suoi limiti quantitativi sanzionatori” (Decisione C.F.A. - Sezioni Unite, C.U. n. 78/CFA del 22 Gennaio 2018; Decisione Collegio di Garanzia dello Sport - Sezione Prima, n. 52/2019; Decisione CFA, Comunicato Ufficiale n. 124/CFA del 19 Maggio 2016; C.U. n. 101/CDN (2011/2012) del 18 giugno 2012; C.U. n. 029/CGF, di cui al C.U n. 068/CGF (2012/2013) del 20 agosto 2012).
- - Conclude, dunque, la Procura chiedendo al Collegio di Garanzia dello Sport di “annullare con rinvio la sentenza della Corte d'appello federale nei confronti della società incolpata, Piacenza Calcio 1919 Srl”.
Si è costituita in giudizio la Federazione Italiana Giuoco Calcio, chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato nel merito. Parimenti, il Piacenza Calcio, costituitosi tempestivamente, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato, attesa la infondatezza nel merito dello stesso.
Considerato in diritto
1.- Questo Collegio, pur riconoscendo la pregevolezza delle deduzioni della Procura Generale dello Sport, non può che rilevare come il ricorso in cui le stesse sono contenute, soffre di un insanabile e, dunque, assorbente profilo di inammissibilità; di cui nondimeno è la stessa ricorrente ad avvedersi allorquando fa un cenno all’orientamento di questo Collegio di Garanzia riguardo alla intervenuta pronuncia di una doppia decisione conforme da parte dei giudici dei due gradi del giudizio di merito.
Le Sezioni Unite di questo Collegio di Garanzia sono chiamate, ancora una volta, a pronunciare sulla fattispecie alla luce del quadro sistematico delle disposizioni sull’accesso al Collegio, in disparte ogni prospettata interpretazione evolutiva o “de iure condendo”.
2.- Ebbene, partendo dal doveroso esame normativo, è necessario considerare la dizione dell’art. 54, comma 1, del Codice della Giustizia Sportiva, per cui è ammesso ricorso al Collegio di Garanzia, “avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro”.
Tale formulazione è “sopravvissuta” alle diverse novelle del Codice della Giustizia Sportiva, come approvato dal Consiglio Nazionale del 15 luglio 2014, n. 1518 (i.e. deliberazioni n. 1532 del 10 febbraio 2015 - con successiva approvazione della Presidenza Consiglio dei Ministri il 3 aprile 2015; e n. 1538 del Consiglio Nazionale del CONI del 9 novembre 2015 - cui ha fatto seguito l’approvazione, con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del 16 dicembre 2015 - recante la disciplina ad oggi vigente).
La disposizione in parola, come del resto l’omologa disposizione dell’art 12 bis dello Statuto del CONI, è stata in più occasioni oggetto di delibazione da parte del Collegio, sia dal punto di vista dalla delimitazione dell’ambito di competenza, sia da quello concernente la definizione dei limiti del sindacato di legittimità.
Con decisione a Sezioni Unite del 18 gennaio 2016, n. 3, si è affrontato il tema relativo alla competenza o meno del Collegio allorché fosse stata irrogata una sanzione superiore ai minimi edittali di cui all’art. 54 (e all’equivalente art. 12 bis dello Statuto del CONI), successivamente ridotta al di sotto dei limiti in grado di appello.
Sul punto, queste Sezioni Unite hanno chiarito che la possibilità di proporre ricorso non è legata al solo esito del giudizio di secondo grado, giacché la ratio della norma è quella di evitare che il Collegio di Garanzia si occupi di controversie c.d. bagatellari, consentendo il giudizio di legittimità solo allorché la controversia abbia il connotato della gravità e, in ambito endofederale, sia stata irrogata una sanzione superiore a novanta giorni (in tal senso, si è dunque affermato: “Non può essere, in altri termini, l’esito del solo giudizio di secondo grado a radicare o meno la competenza del Collegio di Garanzia: se così fosse, il sistema avrebbe introdotto una regola di non ricorribilità delle decisioni favorevoli all’incolpato, che ben esplicitamente, e non in via interpretativa, dovrebbe essere stabilita dalle norme e di cui invece non vi è traccia”).
Siffatto orientamento è stato evidentemente ribadito dalla giurisprudenza di questo Collegio, tanto a Sezioni Unite (decisioni 10 febbraio 2016, n. 6, e 27 luglio 2016, n. 29), quanto a Sezioni semplici (Quarta Sezione, decisione 5 luglio 2017, n. 49; Seconda Sezione, decisione 4 gennaio 2017, n. 2; Seconda Sezione, decisione 10 giugno 2016, n. 25; Quarta Sezione, decisione 6 agosto 2019, n. 68).
Si noti che tale principio opera sia nell’ipotesi in cui in secondo grado sia stata ridotta la sanzione sotto il minimo, sia in quella in cui vi sia stata una decisione di proscioglimento dell’incolpato.
3- Questione parzialmente differente è quella della c.d. “doppia conforme”. Anch’essa oggetto dell’opera ermeneutica del Collegio di Garanzia a Sezioni Unite, a seguito della rimessione della questione da parte della Quarta Sezione: “Ai fini della delimitazione della competenza del Collegio di Garanzia dello Sport in controversie concluse in entrambi i gradi del giudizio endofederale con decisioni di proscioglimento, deve essere rimessa alle Sezioni Unite del medesimo Collegio la questione relativa alla corretta interpretazione dell’art. 54 CGS, in quanto detta disposizione, nella sua formulazione letterale, sembra escludere la competenza del Collegio di Garanzia dello Sport nei casi di doppia decisione conforme di tipo assolutorio, laddove cioè non sia stata applicata alcuna sanzione in entrambi i gradi del giudizio endofederale” (decisione 11 aprile 2016, n. 17). Ebbene, le Sezioni Unite (27 luglio 2016, n. 29) hanno così affermato il principio della non ricorribilità innanzi al Collegio di Garanzia per le controversie in cui in nessuna delle fasi endofederali sia intervenuta sentenza di condanna ad una sanzione superiore ai minimi stabiliti dall’art. 54 del Codice (“Nel caso di specie il lavoro dell’interprete, peraltro, non è sufficiente, attesa la connotazione delle decisioni della Giustizia Federale di primo e di secondo grado che, entrambe, non hanno comminato alcuna sanzione. Pertanto, il Collegio deve ritenere che si ricada in uno dei casi sottratti ex art. 54 CGS, giacché in nessuna delle fasi endofederali era intervenuta una sentenza che avesse comportato una sanzione superiore a novanta giorni”). È stato già in quella occasione che il Collegio ha posto in evidenza “la infelice formulazione del più volte citato art. 54 del Codice di Giustizia Sportiva (ed anche dell’art. 12 dello Statuto CONI), che limita la possibilità di censura delle decisioni dei Giudici Federali”, atteso che “tale limitazione, dovendo seguire con rigore la lettera della normativa, non appare in sintonia con i principi generali dettati in ordine alla tutela della situazione giuridica soggettiva dei soggetti operanti nell’ambito sportivo e con norme anche di rango costituzionale”.
Proprio in base alla ricerca di criteri interpretativi di armonizzazione del sistema in vigore, la successiva e più recente evoluzione interpretativa del Collegio ha precisato siffatta preclusione, sempre con riguardo alla doppia assoluzione endofederale.
Le Sezioni Unite (decisione 10 gennaio 2018, n. 2) hanno fornito indicazioni sia sul parametro della “gravità” della controversia, sia sui limiti dello scrutinio del Collegio in caso di doppia decisione conforme di assoluzione. È stato, in particolare, affermato che “Il criterio di selezione riposa (…) non tanto sulla misura delle sanzioni effettivamente irrogate in sede federale, quanto sulla gravità delle controversie, la quale dipende dalla gravità delle condotte censurate e, conseguentemente, dalla misura delle sanzioni previste per quelle violazioni. Alla luce di tali considerazioni, quando la doppia assoluzione in sede endofederale dipenda dall’accoglimento di motivi strettamente procedurali e, dunque, non vi sia stato uno scrutinio di merito circa la gravità dei fatti contestati, non sussiste alcuna preclusione allo scrutinio del Collegio di Garanzia dello Sport, in ordine alla verifica della legittimità della decisione degli organi endofederali”.
Ad avviso del Collegio, escludere l’ammissibilità del ricorso anche nei casi in cui siano state ravvisate condotte gravemente censurabili, astrattamente idonee a motivare sanzioni ben superiori alla soglia minima prevista dagli artt. 12 bis e 54 citt., significherebbe sostenere tout court la non ricorribilità di qualunque decisione di assoluzione, indipendentemente dai fatti contestati ed indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno un’indagine sulla configurabilità delle violazioni ravvisate e sulla gravità di esse. Tale preclusione potrebbe sottrarre alla cognizione del Collegio di Garanzia - senza alcuna giustificazione logica - controversie aventi ad oggetto anche fatti oggettivamente gravi e idonei a suscitare una sanzione notevolmente superiore a quella minima stabilita dagli artt. 12 bis e 54 citt.
In applicazione di tali principi, le Sezioni Unite hanno, quindi, reputato che non vi sia preclusione per il Collegio ad esaminare il ricorso nel caso di c.d. doppia conforme, ma solo “a patto” che non vi sia stato uno scrutinio nel merito in sede di giustizia federale (così in quella sede: “Nel caso di specie, occorre considerare che la doppia assoluzione in sede endofederale è dipesa dall’accoglimento di motivi strettamente procedurali; con la conseguenza che lo scrutinio circa la sussistenza e la gravità dei fatti contestati non ha mai avuto luogo. Infatti, nè il Tribunale Federale né la Corte d’Appello Federale sono entrati nel merito delle contestazioni disciplinari, arrestandosi alla declaratoria di inammissibilità dell’azione disciplinare”).
Anche in quell’occasione questo Collegio di Garanzia ha reputato opportuno porre nuovamente in evidenza quanto già osservato con la citata decisione n. 29/2016 in merito alla infelice formulazione letterale delle disposizioni dettate dagli art. 12 bis dello Statuto CONI e 54 del CGS CONI, le quali possono suscitare il dubbio che il ricorso al Collegio di Garanzia non sia mai consentito avverso decisioni dei Giudici Federali che non abbiano comportato l’irrogazione di alcuna sanzione, a prescindere dalla gravità delle condotte censurate e a prescindere dall’avvenuto scrutinio nel merito in sede di giustizia federale; auspicandosi, in tal guisa, un intervento chiarificatore da parte dei competenti organi del CONI.
4- Ebbene, venendo all’odierno ricorso, lo stesso, come anticipato, non può che essere dichiarato inammissibile, atteso che, allo stato attuale, l’art. 54 CGS CONI, al netto della testé citata giurisprudenza, non consente al Collegio - che pur rinnova in questa sede il monito contenuto nelle decisioni nn. 29/2016 e 2/2018 - di delibare una decisione non altrimenti impugnabile in ambito endofederale in cui sia il Tribunale Federale che la Corte d’Appello Federale sono entrati come nella fattispecie - nel merito delle contestazioni disciplinari, non limitandosi ad una pronuncia in rito. Per superare la preclusione, in casi come quello in esame, il Collegio dovrebbe contestare e ribaltare “funditus” l’apprezzamento dei fatti e la riconducibilità di essi a ipotesi sanzionabili, al contrario di quanto deciso dal giudice di primo e secondo grado endofederale. Si tratterebbe, oltre alla preclusione formale ex art. 54, comma 1, CGS CONI, di giudicare nel merito anziché sulla sola legittimità dei vari profili implicati nella controversia; il che, come ben noto, il Collegio di Garanzia non può fare. Né può seguirsi l’abile prospettazione della Procura Generale, secondo cui la Corte federale avrebbe deciso sulla base di una “motivazione apparente”, e cioè carente, e dunque sindacabile in questa sede. Le censure dedotte mostrano, infatti, che viene lamentata la sostanza dell’accertamento di merito, rimproverando il giudice di appello di avere pienamente condiviso la motivazione del TFN, il che la CFA poteva fare, appropriandosi della valutazione dei fatti e delle responsabilità e confermandoli dopo averli di nuovo esaminati. Deriva da quanto suesposto l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Il Collegio di Garanzia dello Sport Sezioni Unite
Dichiara inammissibile il ricorso. Spese compensate.
Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 8 gennaio 2020.
Il Presidente e Relatore
F.to Franco Frattini
Depositato in Roma, in data 13 marzo 2020.
Il Segretario
- to Alvio La Face