CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva- coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 7/2018 del 29/10/2018 – (SU RICHIESTA FIT)
Parere n. 7
Anno 2018
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SEZIONE CONSULTIVA
Composta da
Virginia Zambrano - Presidente
Barbara Agostinis
Giuseppe Albenzio
Pierpaolo Bagnasco
Giovanni Bruno
Ha pronunciato il seguente
PARERE N. 7/2018
Su richiesta di parere iscritta al R.G. pareri n. 6/2018, presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, dal Segretario Generale del Coni, prot. n. CE260918172820409PU del 26 settembre 2018, a fronte della istanza formulata in data 24 settembre 2018 dal Segretario Generale della Federazione Italiana Tennis, prot. n. 06106.
La Sezione
Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00012/14 del 17 settembre 2014;
vista la richiesta di parere n. 6/2018, presentata dal Segretario Generale del Coni, dott. Carlo Mornati, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, prot. n. CE260918172820409PU del 26 settembre 2018;
visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione Consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI;
visto l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della sezione consultiva dell’organo de quo;
visti gli articoli 2 e 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport;
esaminati gli atti e udito il relatore, avv. Giovanni Bruno.
Premessa
Viene richiesto di render parere in ordine alla natura perentoria od ordinatoria dei termini indicati nel Regolamento di Giustizia FIT, con particolare riferimento ad alcune disposizioni relative alle attività di indagine del Procuratore Federale (artt. 98, commi 4 e 5, 99, comma 1, e 101, comma 3), in relazione all’art. 51, comma 7, del Codice della Giustizia Sportiva CONI (che prevede l’avocazione dell’indagine da parte della Procura Generale dello Sport o la remissione in termini del Procuratore Federale nel caso di superamento del periodo entro cui le indagini devono essere concluse), e all’art. 12 ter, comma 4, dello Statuto CONI (che declina la facoltà di avocazione e rimessione in termini), e alle conseguenze in caso di violazione.
Segnatamente,
- l’art. 98, commi 4 e 5, stabilisce che «Quando non deve disporre l’archiviazione, il Procuratore federale entro venti giorni dalla conclusione delle indagini informa l’interessato dell’intendimento di procedere al deferimento e gli comunica gli elementi che la giustificano, assegnandogli un termine per presentare una memoria ovvero, se questi non sia stato già udito, per chiedere di essere sentito. In caso di impedimento a comparire personalmente, l’interessato può presentare una memoria sostitutiva entro i due giorni successivi. Qualora il Procuratore federale ritenga di dover confermare la propria intenzione, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria, esercita l’azione disciplinare formulando, nei casi previsti dallo Statuto e dalle norme federali, l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio comunicato all’incolpato e al giudice e agli ulteriori soggetti eventualmente indicati dal presente regolamento»;
- l’art. 99, comma 1, stabilisce che «Il potere di sanzionare i fatti disciplinarmente rilevanti si estingue quando il Procuratore federale non lo eserciti entro i termini previsti dal presente Regolamento»;
- l’art. 101, comma 3, prevede che «La durata delle indagini non può superare il termine di sessanta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante. Su istanza congruamente motivata del Procuratore Federale, la Procura generale dello sport autorizza la proroga di tale termine per la durata di quaranta giorni, eventualmente prescrivendo gli atti indispensabili da compiere. In casi eccezionali, può autorizzare un’ulteriore proroga per una durata non superiore a venti giorni. Il termine prorogato decorre dalla comunicazione dell’autorizzazione. Gli atti d’indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. Possono sempre essere utilizzati gli atti e i documenti in ogni tempo acquisiti dalla Procura della Repubblica e dalle altre autorità giudiziarie dello Stato».
I termini ordinatori sono termini a efficacia c.d. debole, nel senso che il mancato rispetto degli stessi è privo di conseguenze processuali e non esclude l’efficacia degli atti compiuti tardivamente. Diversamente, l’inosservanza dei termini perentori comporta sempre la decadenza dal potere di compiere certe attività processuali.
L’art. 152, comma 2, c.p.c. stabilisce che «I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori».
Il tenore letterale della disposizione può indurre a credere che la mancata qualificazione del termine da parte del legislatore sia indice inequivoco della natura ordinatoria dello stesso. Per vero, una interpretazione sistematico-assiologica dell’art. 152, comma 2, c.p.c., parametrata alla funzione perseguita e all’esigenza di garantire gli interessi che meritano tutela, a prescindere dalle strettoie formalistiche dell’interpretazione letterale, induce a dare alla disposizione altro significato. Sì che è idea che la natura perentoria di un termine possa essere desunta, nel silenzio della norma, dallo scopo che con la fissazione del termine si intende perseguire. La Suprema Corte ha più volte avuto occasione di rilevare che alla natura perentoria del termine «non osta la mancata espressa previsione della sua perentorietà, poiché, sebbene l’art. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, non si può da tale norma dedurre che, ove manchi una esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz’altro escludersi la perentorietà del termine, dovendo pur sempre il giudice indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato a pena di decadenza e sia quindi perentorio» (tra le varie, Cass., 1 luglio 2008, n. 17978, in Mass. Giur. it., 2008; Cass., 25 giugno 2007, n. 14692, ivi, 2007; Cass., 15 ottobre 2010, n. 21365, 2010, in DeJure online; Cass., 15 marzo 2016, n. 5060, ivi; accoglie il principio anche Corte Cost., 1 aprile 2003, n. 107, in www.cortecostituzionale.it). Occorre aver riguardo, cioè, per lo «scopo», al «carattere del termine» e agli «effetti che l’inutile decorso di esso produce secondo l’espressa sanzione normativa» (Cass., Sez. Un., 23 settembre 2014, n. 19980, in DeJure online).
Senza contare che le differenze tra termini perentori e termini ordinatori non consistono nelle conseguenze che si producono dalla loro inosservanza, «bensì nel fatto che, nel primo caso, la decadenza è un effetto ope legis, che si produce, dunque, ipso iure alla scadenza del termine, senza possibilità di diversa soluzione, mentre, nel secondo caso, è un effetto ope iudicis, giacché spetta al giudice, una volta constatata d’ufficio la mancata osservanza del termine, pronunciare l’avvenuta decadenza» (Collegio di Garanzia, Sez. IV, decisione n. 23/2017). Non è decisivo, quindi, neppure che l’effetto della violazione sia a monte definito oppure no dalla previsione. Piuttosto la natura ordinatoria o perentoria va dedotta dal contesto normativo nel quale il termine trova allocazione e dal quadro degli interessi che esso sottende. Merita condivisione l’idea secondo la quale non vi è sempre «un confine ontologico netto, quanto piuttosto un mutevole limes capace di cogliere, in chiave di garanzia dell’interessato e secondo canoni di ragionevolezza, la diversa gradazione delle esigenze di certezza e di celerità connaturate a ciascun ordinamento giuridico» (da ultimo, Collegio di Garanzia, Sez. IV, decisione n. 55/2017).
Ciò considerato, la circostanza che le disposizioni oggetto di interpretazione (artt. 98, commi 4 e 5, 99, comma 1, e 101, comma 3) non contengano una espressa qualificazione dei termini menzionati non è sufficiente a escluderne la perentorietà. La risposta al quesito posto va ricercata non nella lettera del testo normativo, ma nella funzione in fatto perseguita con le singole previsioni. È evidente che è in attuazione del principio di celerità e speditezza, che informa l’intero sistema di giustizia sportiva, che il Regolamento di Giustizia cadenza l’attività procedimentale. Il proposito della fissazione dei termini è quello di garantire l’esercizio del diritto di difesa del soggetto ed evitare che questi resti assoggettato per un tempo indefinito alle indagini della Procura Federale. Nel momento endoprocessuale è necessario che i tempi in cui si definiscono gli addebiti a carico degli indagati siano contenuti. Ciò, sia al fine di consentire una pronta definizione della posizione del soggetto interessato, sia nella direzione di assicurare la massima attuazione del diritto di difesa, che potrebbe essere compromesso ove l’azione disciplinare fosse avviata molto tempo dopo la commissione dell’infrazione (come condivisibilmente rilevato con la decisione della Quarta Sezione Collegio di Garanzia n. 23/2017 e già nella precedente pronuncia n. 17/2016: «se l’inizio dell’azione disciplinare fosse rimessa alla mera discrezionalità della Procura, i tesserati si vedrebbero contestare degli illeciti rispetto ai quali potrebbero aver perso ogni elemento di prova contraria, proprio a causa del lungo lasso di tempo intercorso dalla commissione della pretesa infrazione alla sua contestazione»). Per queste ragioni, la durata delle indagini antecedente al deferimento non può essere rimessa alla discrezionalità del Procuratore Federale, ma deve seguire un percorso temporale ridotto, certo e commisurato alle esigenze istruttorie, secondo una valutazione astratta e di massima.
La previsione di un termine definito (trenta giorni - art. 98, comma 5 - dall’audizione o dalla memoria indicate all’art. 98, comma 4) serve al regolatore per evitare che la durata del procedimento venga rimessa a criteri incerti (lo si rileva anche nella citata decisione n. 23/2017). Lo stesso dicasi per la previsione ex art. 101, comma 3.
Non è un caso che, con la novella del Regolamento di Giustizia, nel recuperare il testo del previgente art. 112, comma 4, l’art. 98, comma 5, aggiunge l’inciso «entro trenta giorni dalla scadenza del termine per l’audizione o per la presentazione della memoria». Ove si scegliesse di affidare natura ordinatoria ai termini de quibus ed escludere la produzione di effetti decadenziali all’inosservanza degli stessi, anche tale modifica normativa verrebbe privata di efficacia e la funzione perseguita con la novella verrebbe del tutto mortificata.
La natura perentoria dei termini è confermata anche da quanto espressamente disposto all’art. 99, comma 1, che è disposizione la quale, per vocazione funzionale, non interessa soltanto le ipotesi contemplate nei commi successivi dello stesso articolo, ma, letto in chiave sistematica, informa anche l’art. 98, con l’effetto che, come nei casi elencati all’art. 99, comma 3, il decorso del termine comporta l’estinzione del procedimento disciplinare.
Tuttavia, ragioni di giustizia sostanziale impongono un temperamento al rigore fisiologico dei termini decadenziali e la possibilità di adeguare il procedimento alle eventuali particolari difficoltà delle indagini. È vero che «[u]no spazio temporale eccessivamente vincolante entro cui svolgere le proprie attività potrebbe creare una serie di difficoltà in capo al Procuratore Federale nel mettere insieme sufficienti elementi probatori che giustifichino la chiusura delle indagini ed il conseguente atto di deferimento dell’incolpato, specie nei procedimenti dove il numero dei co-incolpati è consistente» e che «un termine estremamente rigido […] rischierebbe di comprimere eccessivamente le garanzie difensive dell’indagato» (decisione Collegio di Garanzia, Sez. Un., n. 25/2017).
Per questo, la decorrenza del termine di trenta giorni previsto dal comma 5 dell’art. 98 è fatta dipendere dalla scadenza di altro termine, non fissato una volta per tutte dal regolamento, ma variabile e definito, in base alle concrete esigenze, dal Procuratore, che «entro venti giorni dalla conclusione delle indagini» assegna all’interessato un termine per la presentazione di memorie o per chiedere di essere sentito (art. 98, comma 4). Parimenti, l’art. 101, comma 3, sullo svolgimento delle indagini, dispone un sistema di proroghe, motivate e in casi eccezionali, del quale fruire quando la complessità del caso e le eventuali difficoltà nei rilievi probatori lo necessitino.
Così va letto anche il temperamento imposto, secondo ragionevolezza, dagli artt. 51, comma 7, del Codice della Giustizia Sportiva CONI, e 12 ter, comma 4, Statuto CONI.
Il ragionevole bilanciamento tra le ragioni di celerità del procedimento e quelle di ricostruzione della verità dei fatti, di accertamento delle responsabilità dell’indagato e, dunque, di giustizia sostanziale impone di adeguare il percorso temporale alla complessità del caso. Di talché l’Organo di Giustizia può scegliere di derogare, nel senso dell’ampliamento temporale, alle rigide cadenze procedimentali stabilite agli artt. 98, 99 e 103.
In ogni caso, in assenza di eccezionale diversa previsione, deve ritenersi che il mancato rispetto dei termini ex artt. 98, commi 4 e 5, 99, comma 1, e 101, comma 3, ai quali è assegnato carattere perentorio, determina la decadenza dal potere di esercizio dell’azione disciplinare da parte della Procura Federale e, dunque, l’inefficacia degli atti tardivamente compiuti.
PQM
Si rilascia il presente parere.
Deciso nella camera di consiglio del 28 settembre 2018.
Il Presidente Il Relatore
F.to Virginia Zambrano F.to Giovanni Bruno
Depositato in Roma, in data 29 novembre 2018.
Il Segretario
F.to Alvio La Face