F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONI UNITE – 2020/2021 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 023 CFA del 28 Settembre 2020 (Procuratore federale interregionale/Picci Gianluca – Pastorino Gian Damiano – U.S.D. Bolzanatese) N. 165/2019-2020 REGISTRO RECLAMI N. 023/2020/2021 REGISTRO DECISIONI

N. 165/2019-2020 REGISTRO RECLAMI

N. 023/2020/2021 REGISTRO DECISIONI

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

composta dai Sigg.ri:

 

Mario Luigi Torsello Presidente

Elio Toscano Componente

Mauro Mazzoni Componente

Antonio Rinaudo Componente

Marco La Greca Componente - relatore

 

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul reclamo numero di registro 165/CFA 2019-2020, proposto dalla Procura federale interregionale della FIGC,

contro

Gianluca Picci Gian

Damiano Pastorino

U.S.D. Bolzanatese Virtus

per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale della Liguria, pubblicata con il C.U. n. 3 del 16 luglio 2020;

visto il reclamo e i relativi allegati;

visti gli atti della causa; Relatore nell’udienza del 18 settembre 2020 l’Avvocato dello Stato Marco La Greca, uditi per la Procura federale interregionale l’Avv. Maurizio Goria e per i reclamati l’Avv. Anna Cerbara; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

Con atto del 5 giugno 2020, la Procura federale promuoveva il deferimento dei signori Gianluca Picci e Giandamiano Pastorino, unitamente alla società USD Bolzanetese Virtus, perché, secondo quanto segnalato, in data 21 Novembre 2019, dal Presidente della Lega nazionale dilettanti - Comitato regionale della Liguria - in violazione degli articoli 4, comma 1, e 32 del CGS vigente, nonché dell’art. 61 delle NOIF, il primo aveva preso parte ad un incontro tra le fila della USD Bolzanetese Virtus senza essere da questa tesserato, il secondo, in qualità di dirigente accompagnatore, l’aveva consentito, e la Società era da considerarsi responsabile ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2, del CGS.

Secondo quanto in punto di fatto esposto nello stesso atto di deferimento, era stato raggiunto tra le parti, “ante emergenza Covid”, un accordo per l’applicazione di sanzioni ex art. 126 del CGS, non formalizzato a seguito della decisione, comunicata dai soggetti segnalati in data 5 giugno 2020, di non accettare “il differimento dell’applicazione delle sanzioni alla stagione sportiva 2020/21”. La Procura, come dianzi ricordato, promuoveva dunque atto di deferimento in quella stessa data del 5 giugno 2020.

Con memoria inviata a mezzo pec in data 3 luglio 2020, i soggetti deferiti prendevano posizione rispetto all’atto della Procura, in primo luogo eccependo la “improcedibilità del deferimento” per “l’omesso rispetto del termine previsto dall’art. 93 CGS”(in relazione a quanto previsto dall’art. 44, comma 6, CGS), per la fissazione (dieci giorni) e lo svolgimento (trenta giorni) dell’udienza, entrambi decorrenti dalla ricezione dell’atto di deferimento; eccepivano altresì la “nullità e/o inammissibilità e/o improcedibilità” dello stesso deferimento per una supposta “violazione del principio del “ne bis in idem” e “alla luce della condotta tenuta dalla Procura Federale”; nel merito, poi, argomentavano nel senso della irrilevanza disciplinare e della inoffensività “dei fatti ascritti ai deferiti”.

All’esito del giudizio, il Tribunale, con la decisione indicata in epigrafe, ricostruite le difese dei soggetti deferiti come “relative a: - il mancato rispetto, da parte della Procura Federale, del termine per la notificazione dell’avviso di conclusione indagini e per il successivo deferimento; - il decorso del termine previsto per la fissazione dell’udienza di discussione davanti al Tribunale federale”, dichiarava estinto il procedimento disciplinare in ragione del mancato rispetto del termine previsto dall’articolo 125, comma 2, CGS, per promuovere il deferimento.

Avverso tale decisione proponeva reclamo la Procura federale interregionale, denunziando la violazione degli artt. 123, comma 1, e 125, comma 2, CGS, per avere il Tribunale considerato il termine di trenta giorni (previsto dall’art. 125, comma 2) per adottare l’atto di deferimento come decorrente dalla data di emissione dell’avviso di conclusione delle indagini anziché dalla data della sua comunicazione.

Fissata l’udienza del 19 agosto 2020, i reclamati depositavano memoria, inviata a mezzo pec in data 16 agosto 2020, con la quale, nell’osservare che la tardività del deferimento della Procura, pur a loro favorevole, era stato rilevato d’ufficio dal Tribunale federale, riproponevano le questioni, pregiudiziali e di merito, non esaminate in primo grado; ribadivano dunque le eccezioni relative al mancato rispetto dei termini previsti dall’articolo 93 del CGS e alla supposta violazione del principio del “ne bis in idem”, nonché le considerazioni sulla presunta scorrettezza dell’operato della Procura; nel merito, sostenevano nuovamente la irrilevanza disciplinare e l’inoffensività “dei fatti ascritti ai deferiti”.

All’esito dell’udienza, nel corso della quale venivano sentiti sia la Procura che il difensore dei deferiti, la sezione prima, “considerato che ai fini del decidere” occorreva “scrutinare la questione”, suscettibile di “dar luogo a contrasti giurisprudenziali, relativa alla perentorietà, ai sensi dell’articolo 44 del CGS, dei termini di cui all’art. 93 dello stesso CGS”, ha rimesso il reclamo a queste Sezioni Unite.

Alla fissata udienza del 18 settembre, sentite le parti, il reclamo è stato trattenuto in decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nel caso in esame viene dunque in rilievo, con riferimento al reclamo proposto dalla Procura, la questione relativa alla corretta interpretazione del combinato disposto degli articoli 123 e 125 CGS in relazione al computo del termine per l’emissione dell’atto di deferimento, termine che il Tribunale federale ha considerato non rispettato.

Rispetto a tale questione, pregiudiziale al merito, assume valore a sua volta pregiudiziale l’eccezione svolta dalla parte reclamata circa il mancato rispetto del duplice termine previsto dall’art. 93 CGS per la fissazione e lo svolgimento dell’udienza, in relazione alla perentorietà dei termini stabilita in linea generale dall’art. 44 del CGS.

Si tratta della questione rimessa alla valutazione di queste Sezioni Unite e che merita di essere esaminata prioritariamente in quanto il suo accoglimento sarebbe di per sé idoneo a definire il giudizio e renderebbe dunque superfluo l’esame del reclamo della Procura.

La questione stessa, non esaminata in primo grado, è stata riproposta con la memoria depositata in vista dell’udienza fissata avanti alla prima sezione e ulteriormente sostenuta con la memoria depositata anche per l’udienza avanti alle Sezioni unite.

Sia in primo che in secondo grado le relative memorie sono state depositate nel rispetto dei termini, rispettivamente e analogamente previsti dall’articolo 93, comma 1, e dall’articolo 103, comma 1, del CGS, che permettono l’invio “fino a tre giorni prima della data fissata per l’udienza” (giorni da intendersi, mancando una specifica e diversa indicazione, come non ”liberi”).

L’eccezione è stata dunque tempestivamente posta in primo grado e poi riproposta avanti alla Corte d’appello federale.

Deve per contro rilevarsi, come eccepito dalla stessa parte reclamata, la tardività delle deduzioni svolte oralmente dalla Procura solo nel corso dell’udienza avanti a queste Sezioni Unite, circa la chiusura degli uffici regionali della FGCI sino ad una certa data del mese di giugno; si tratta invero di circostanze di fatto mai esposte in precedenza e che non trovano riscontro negli atti e nei documenti processuali, né di primo, né di secondo grado.

Giova al riguardo osservare che i summenzionati termini previsti dall’articolo 93, comma 1, e 103, comma 1, del CGS, non sono posti a beneficio della sola parte resistente, ma di tutte le 5 parti del giudizio, venendo ivi stabilito che “fino a tre giorni prima della data fissata per l’udienza - ovvero il termine entro cui si può prendere visione del fascicolo processuale - le parti possono depositare memorie, indicare i mezzi di prova di cui intendono avvalersi e produrre documenti”.

Con il termine “parti” - secondo i principi del processo sportivo in generale (art. 44 CGS) e secondo la struttura del giudizio avanti al Tribunale e alla Corte d’appello federale, ispirato al principio della parità dialettica (artt. 82 e 103), e non essendo altresì specificato che si tratti solo di alcune e ben individuate parti - va certamente inclusa la Procura, che, dunque, avrebbe potuto e dovuto svolgere le deduzioni esposte nel corso dell’udienza avanti a queste Sezioni Unite entro i ricordati termini; ciò anche per consentire ai soggetti deferiti e poi reclamati, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, di poterne prendere visione al fine di predisporre una compiuta (ancorché verbale) replica (non è infatti previsto un termine sfalsato di replica scritta alle deduzioni avversarie).

2. Venendo dunque alla questione posta dalla parte reclamata, occorre premettere in punto di fatto che l’atto di deferimento della Procura risulta ricevuto dai destinatari in data 5 giugno 2020, sicché i due termini, di dieci e trenta giorni, previsti dall’articolo 93, comma 1, CGS, per la fissazione e lo svolgimento dell’udienza avanti al Tribunale federale, venivano rispettivamente a scadere il 15 giugno e il 5 luglio successivi. A fronte di ciò, il provvedimento di fissazione dell’udienza è stato adottato il 16 giugno e l’udienza si è svolta il giorno 8 luglio. Il duplice termine indicato dall’articolo 93, dunque, non è stato rispettato.

La parte reclamata, come ripetuto, eccepisce, in ragione di tale, mancato rispetto, la nullità del deferimento (sebbene, va osservato, ciò potrebbe derivare non come effetto diretto – come sarebbe in caso di mancato rispetto di un termine in carico alla Procura - ma in via mediata dalla estinzione del giudizio) in ragione di quanto previsto dall’art. 44, comma 6, secondo cui “tutti i termini previsti dal Codice, salvo che non sia diversamente indicato dal Codice stesso, sono perentori”.

2.1 Dal punto di vista generale, il termine indica il tempo entro cui deve essere svolta una determinata attività; in ambito processuale, è il tempo entro cui deve essere compiuto un atto del processo.

I termini si distinguono – com’è noto - tra ordinatori e perentori a seconda delle diverse conseguenze che derivano dal loro vano spirare. Lo spirare dei primi, di norma, non ha conseguenze sulla possibilità di svolgere quella determinata attività o di compiere quell’atto.

Lo spirare dei secondi invece determina, sempre di norma, proprio la decadenza da quella stessa possibilità.

Si è usata l’espressione generica “possibilità”, ma si dovrebbe propriamente parlare di diritto.

Il termine perentorio, infatti, viene di norma posto a delimitare temporalmente l’esercizio di un diritto, ed è esso diritto, o meglio, la possibilità di esercitarlo, che decade allo spirare del relativo termine. Il termine perentorio non è invece, sempre di norma, posto a delimitare un obbligo. Se, infatti, un termine ha come obiettivo quello di accelerare lo svolgimento di un’attività doverosa, far discendere, come conseguenza dallo spirare di quel termine, il venir meno dell’obbligo, realizzerebbe, al massimo grado, l’effetto opposto a quello che l’assegnazione del termine intendeva realizzare. Perciò (si ripete, di norma) le attività doverose non sono assistite da termini perentori ma ordinatori, perché un dovere eseguito in ritardo è comunque preferibile alla vanificazione del dovere stesso.

Fanno eccezione i casi nei quali il compimento accelerato di un dovere intende tutelare un soggetto dai pregiudizi derivanti dall’indefinito protrarsi di quell’attività doverosa. E’ il caso, per fare un esempio fuori del diritto sportivo, del vano decorso del termine per esercitare l’azione penale (a prescindere dal fatto che si tratti di reati procedibili a querela di parte o d’ufficio).

Ciò detto in linea generale, occorre precisare che il vigente CGS ha operato, all’articolo 44, una precisa scelta nel senso della generalizzata attribuzione della natura perentoria a “tutti i termini stabiliti dal Codice, salvo che non sia diversamente indicato dal codice stesso”. Un’affermazione, a ben vedere, in linea con quella già contenuta all’articolo 38, comma 6, del codice previgente (“Tutti i termini i previsti dal presente Codice sono perentori”).

L’elemento di novità dell’attuale formulazione risiede nella specificazione secondo cui i termini devono intendersi perentori “salvo che non sia diversamente indicato”, che ribalta il rapporto tradizionalmente promanante, anche negli ordinamenti giuridici particolari, dalla regola contenuta nell’articolo 152, secondo comma, cpc, in base alla quale “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

Si tratta di una previsione, quella del CGS, di speciale importanza, tesa a sensibilizzare tutti gli attori del processo sportivo nella direzione della celerità del giudizio, per raggiungere l’obiettivo della effettività della tutela. Una giustizia che non sia anche tempestiva rischia infatti di rivelarsi, in determinate situazioni, irrimediabilmente vana.

Proprio con riferimento alla durata dei giudizi, stabilisce l’articolo 54 del CGS che “fatto salvo quanto previsto dall’articolo 110” per i giudizi disciplinari, “tutte le controversie sono decise dagli organi di giustizia sportiva entro 90 giorni dalla proposizione del ricorso di primo grado ed entro sessanta giorni dalla proposizione dell’eventuale reclamo in secondo grado.

Nel caso di specie il deferimento, come ricordato, è stato adottato (e comunicato) il 5 giugno, mentre il giudizio è stato deciso con il dispositivo reso l’8 luglio, dunque dopo soli trentatré giorni (quarantuno considerando la data di deposito delle motivazioni).

Ricordato quanto sopra esposto circa la strategica finalità della previsione contenuta nell’art. 44 CGS, occorre dunque interrogarsi sulla sua applicabilità anche in un caso, come quello in esame, in cui il mancato rispetto del termine, cosiddetto “endoprocessuale”, di cui all’articolo 93, comma 1, CGS, si è verificato in un giudizio nel quale il termine complessivo di durata del grado è stato ampiamente rispettato.

Vi sono, invero, termini che hanno un carattere strumentale, servente a un termine superiore. Nel sistema delineato dal CGS, tale carattere strumentale è ravvisabile nei termini (come quello, duplice, di cui all’articolo 93) che svolgono una funzione acceleratoria al servizio di un termine ulteriore, consistente nella durata massima del giudizio.

Sarebbe dunque stridente con la ratio sottesa sia alla previsione dei complessivi termini di durata previsti dal citato articolo 54, sia della stessa previsione contenuta nell’articolo 44, ritenere che derivino conseguenze estintive dell’intero giudizio in un caso in cui il mancato rispetto del termine di fissazione dell’udienza e di suo svolgimento non abbia inciso in alcun modo sullo svolgimento (celerissimo) dell’intero giudizio.

Si tratta, del resto, di un termine il cui mancato rispetto non altera nemmeno l’equilibrio tra le parti, dal momento che esso si dispiega per l’appunto in egual modo nei confronti di entrambe.

Diverso è a dire per i termini cosiddetti “a difesa”, che sono a consumazione immediata; proprio per restare a due disposizioni rilevanti nella presente fattispecie, se la memoria prevista dall’articolo 93 o 103 viene depositata due giorni prima dell’udienza anziché tre giorni prima, le altre parti e l’organo decidente, ovvero i soggetti a beneficio dei quali è stabilito quel termine, hanno irreversibilmente un giorno in meno per l’esame della memoria e per svolgere le conseguenti attività loro rimesse in base al rispettivo ruolo processuale (ciò è avvenuto, come si è visto, proprio nella vicenda in esame, con riferimento alle deduzioni e circostanze esposte svolte solo in sede di udienza e non nel rispetto dei menzionati termini di cui agli articoli 93 e 103).

In questo senso i termini a difesa sono, di norma, a consumazione immediata dell’interesse presidiato, a differenza di quanto accade per i termini propriamente endoprocessuali, che intendono scandire una tempistica non avente un valore in se stessa, ma, si ripete, strumentale a un interesse superiore, qui individuabile nella celere durata del giudizio.

La fissazione dell’udienza l’undicesimo giorno anziché il decimo e il suo svolgimento il trentatreesimo giorno anziché il trentesimo cessano di avere un autonomo rilievo nel momento in cui il termine e l’interesse superiori sono, come nel caso di specie, comunque rispettati.

Risulterebbe dunque contrario alla ratio che ispira la riforma del CGS quella di fare da ciò derivare la drastica conseguenza della estinzione del giudizio, che si risolve sempre in un diniego di giustizia.

E’ proprio la ricordata ratio sottesa alla previsione in esame, volta a garantire l’effettività della tutela, che conduce a svolgere riflessioni ulteriori rispetto al dato formale e letterale della disposizione, e che impone all’interprete di indagare caso per caso se considerare il termine come perentorio conduca a un effetto opposto a quello che il termine stesso intendeva assicurare.

Queste Sezioni Unite, di recente, chiamate a risolvere un caso in cui veniva in rilievo il mancato rispetto del termine per proporre reclamo, hanno avuto modo di affermarne la perentorietà, senza tuttavia fermarsi al dato formale della previsione contenuta nell’articolo 44, comma 6, CGS, ma andando ad indagare la natura e la funzione del termine stesso; per l’effetto, esso è stato dichiarato perentorio “in considerazione della funzione del termine in oggetto, volto a disciplinare le scansioni dell’attività processuale, rispetto alle quali è evidente che l’equilibrato contemperamento tra la esigenza di stabilità delle decisioni assunte e la ricorribilità delle medesime, si traduce nella necessità che la impugnabilità delle medesime decisioni sia assoggettata ad un regime univocamente definito, secondo fasi, tempi e modalità non liberamente gestibili ed espandibili ad opera delle parti, bensì stabilito normativamente, con un correlato sistema di preclusioni procedimentali, come effettivamente nel caso di specie, a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudicante” (CFA – Sezioni Unite – decisione n. 50/2019-2020 del 12 Febbraio  2020).

E’ proprio tale “sistema di preclusioni procedimentali… a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudicante” che non viene in rilievo nel caso in esame, dal momento che la violazione dei termini di cui all’articolo 93, comma 1, prima parte, non altera in alcun modo l’equilibrio tra le parti processuali e si tratta comunque di termini preordinati strumentalmente ad assicurare un termine superiore, quello della durata del giudizio, che è stato qui largamente rispettato (con una durata pari a un terzo di quella massima consentita).

Non v’è dubbio, infatti, come già accennato, che taluni termini, per loro natura, non si prestino ad essere considerati perentori, se non con un effetto contrario a quello che il rispetto del termine intendeva presidiare.

Si ponga il caso del termine di durata massima del giudizio; se oggetto del giudizio è un provvedimento incidente in maniera negativa nella sfera giuridica del soggetto che l’abbia attivato, far derivare dal superamento del termine massimo di durata l’estinzione del giudizio, con il conseguente consolidamento del provvedimento negativo, produrrebbe per l’appunto un effetto opposto a quello che il termine intendeva assicurare.

Anziché una giustizia celere, si avrebbe il diniego assoluto di giustizia, se non nelle forme eventuali e successive della giustizia per equivalente, ma mai in forma specifica.

La previsione contenuta nell’articolo 44, comma 6, CGS, secondo cui tutti termini previsti dal Codice sono perentori, salvo che non sia diversamente stabilito, va dunque intesa nel senso che sono effettivamente tali tutti i termini che per loro natura siano suscettibili di essere considerati perentori.

Sulla base di quanto sin qui esposto, l’eccezione riproposta dalla parte reclamata deve essere respinta e la questione posta dalla sezione prima nell’ordinanza di rimessione va risolta con l’affermazione del seguente principio: ferma restando la perentorietà di tutti i termini previsti dal CGS, secondo quanto stabilito dall’articolo 44, comma 6, dello stesso CGS, non rileva, ai fini della estinzione del giudizio, il mancato rispetto dei termini endoprocessuali di cui all’articolo 93, comma 1, primo periodo, e 103, comma 1, primo periodo, del CGS, per la fissazione e lo svolgimento dell’udienza, là dove il termine complessivo di durata del giudizio sia stato comunque rispettato.

3. Viene ora in rilievo, sempre in via pregiudiziale rispetto al reclamo proposto dalla Procura, la questione relativa alla supposta violazione del divieto di bis in idem, in relazione al giudizio svoltosi avanti al giudice sportivo che ha comminato le sanzioni relative alla gara (la sconfitta a tavolino, la penalizzazione di un punto in classifica e l’irrogazione dell’ammenda alla Società Bolzanatese, nonché l’inibizione al dirigente responsabile, in relazione all’utilizzo del calciatore Ricci, non tesserato).

Assume la parte reclamata che vi sarebbe una sovrapposizione tra questo giudizio e quello già svoltosi avanti al giudice sportivo.

Occorre al riguardo considerare che vi è una ripartizione di competenze tra il giudice sportivo e il Tribunale federale, desumibile dagli articoli 65 e 79 del CGS, secondo cui il giudice sportivo è giudice della gara, ed in tal senso declina le proprie competenze e le misure che può adottare, mentre il Tribunale federale è il giudice, tra l’altro, del profilo disciplinare, ed in tal senso egli è stato chiamato in causa dal deferimento operato dalla procura a seguito della segnalazione pervenuta dal Giudice sportivo. E’ dunque evidente che il riferimento, contenuto nell’articolo 79 del CGS alla competenza del Tribunale federale sui fatti in relazione ai quali non sia stato instaurato né risulti pendente un procedimento dinanzi al giudice sportivo, va inteso come riferito non al fatto in sé ma all’oggetto specifico del giudizio che da quel fatto deriva.

Spetta dunque primariamente al Tribunale federale, una volta che sia investito di una questione concernente fatti già vagliati dal giudice sportivo, vigilare affinché non venga attivato un secondo giudizio avente il medesimo oggetto ed adottare le misure di sua competenza e non quelle di competenza di altri giudici. In tali termini, si tratta a ben vedere di questione che dovrà essere affrontata, se del caso, unitamente al merito.

4. Stessa sorte dovrà eventualmente seguire l’ulteriore questione che, seppure rubricata dalla parte reclamata come “nullità e/o inammissibilità e/o improcedibilità del deferimento”, attiene in realtà al merito del deferimento stesso, sotto il profilo della correttezza dell’operato della Procura in relazione all’accordo che era stato verbalmente raggiunto per l’applicazione delle sanzioni prima che intervenisse la vicenda Covid.

5. Si può quindi passare ad esaminare il reclamo della Procura federale.

Come accennato nella ricostruzione in fatto, il Tribunale federale, pur dichiarando di accogliere l’eccezione svolta dai deferiti - che riguardava il mancato rispetto del termine di cui all’art. 93 CGS, sul quale ci si è già soffermati in precedenza – ha in realtà modificato i termini dell’eccezione stessa, in buona sostanza rilevando d’ufficio una tardività del deferimento operato dalla Procura.

Avverso tale rilevata tardività insorge la Procura con il reclamo in esame, denunziando l’errore in cui è incorso il Tribunale nel prendere come riferimento, ai fini della decorrenza del termine per promuovere l’azione, quello di spedizione dell’avviso di conclusione delle indagini e non della sua ricezione.

Stabilisce invero l’articolo 123, comma 1, CGS, che il Procuratore federale, “se non deve formulare richiesta di archiviazione, notifica all’interessato avviso di conclusione delle indagini, assegnandogli un termine non superiore a quindici giorni per chiedere di essere sentito o per presentare memoria”.

Stabilisce poi l’articolo 125, comma 1, che l’atto di deferimento “deve intervenire entro 30 giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo 123, comma 1”.

Diventa allora decisivo, in un caso, come quello in esame, in cui l’avviso è stato ricevuto in un giorno diverso da quello di invio, stabilire se ai fini del decorso del termine di cui all’articolo 123, comma 1, e conseguentemente di quello, ad esso collegato, previsto dall’articolo 125, comma 1, debba prendersi come riferimento la data di invio o quella di ricezione dell’avviso previsto dallo stesso articolo 123, comma 1.

In punto di fatto è pacifico e risulta dagli atti che l’avviso di conclusione delle indagini fu inviato a mezzo del servizio postale in data 7 Febbraio  2020 e venne ricevuto dai destinatari il giorno 12 Febbraio  2020.

Il Tribunale ha considerato la data di invio, dunque il 7 Febbraio , con la conseguenza che, applicata la sospensione dei termini stabilita in relazione all’emergenza Covid, il termine per il deferimento sarebbe venuto a scadere il giorno 1^ giugno. Poiché il deferimento è stato adottato (e, per inciso, anche comunicato) il 5 giugno, il Tribunale ne ha dichiarato la tardività.

Considerando invece la data di ricezione dell’avviso, dunque il 12 Febbraio , il termine per il deferimento sarebbe venuto a scadere il 5 giugno 2020, sicché il deferimento medesimo, che è stato adottato (e comunicato) proprio il 5 giugno, risulterebbe tempestivo.

Sul punto, questa Corte federale d’appello, sezione I, ha già avuto modo di chiaramente pronunciarsi, affermando che “il termine di quindici giorni, per l’esercizio delle garanzie difensive” previste dall’articolo 123, comma 1, “a favore dell’incolpato nella fase che precede l’esercizio dell’azione disciplinare, deve decorrere dalla data di perfezionamento della notifica nei confronti di quest’ultimo, ossia dalla data di ricezione della comunicazione” di conclusione delle indagini (CFA, sezione I, n. 83-2019/2020 del 30 giugno 2020).

Ciò è del resto coerente con la natura del termine previsto dall’articolo 123, comma 1: trattandosi di un termine a difesa, affinché sia effettivo deve necessariamente decorrere dalla data di ricezione dell’avviso e non della sua spedizione, perché è solo dopo la ricezione che il diritto di difesa può essere esercitato.

Per quanto precede, l’atto di deferimento, promosso il 5 giugno 2020, risulta tempestivo.

Il reclamo della Procura è dunque fondato e deve essere accolto, con rinvio al Tribunale federale, ai sensi dell’articolo 106, comma 2, CGS, per l’esame nel merito dell’atto di deferimento.

P.Q.M.

La Corte Federale d’Appello (Sezioni Unite), accoglie il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, annulla la decisione impugnata e rinvia, per l’esame del merito, al Tribunale Federale Territoriale presso il Comitato Regionale della Liguria.

Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori, con PEC.

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