F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – SEZIONE IV – 2020/2021 – FIGC.IT – ATTO NON UFFICIALE – DECISIONE N. 036 CFA del 27 Ottobre 2020 (Procura federale interregionale/SSD Sanremese calcio srl) N. 028/CFA/2020-2021 REGISTRO RECLAMI N. 036/CFA/2020-2021 REGISTRO DECISIONI
N. 028/CFA/2020-2021 REGISTRO RECLAMI
N. 036/CFA/2020-2021 REGISTRO DECISIONI
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
IV SEZIONE
Composta dai Sigg.ri:
Carlo Sica Presidente - Relatore
Enrico Crocetti Bernardi Componente
Raffaele Tuccillo Componente
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul reclamo n. RG 028/CFA/2020-2021, proposto dalla Procura Federale
contro
la SSD Sanremese Calcio, rappresentata e difesa dall’Avv. Filippo Parisi del Foro di Cagliari
per la riforma
della decisione pubblicata con C.U. n. 13 in data 17/09/2020 del Comitato Regionale Liguria, con la quale il Tribunale Federale Territoriale proscioglieva la Società deferita dalla incolpazione di violazione degli artt. 4, comma 1, e 28 CGS vigente.
Visti il reclamo e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 19 Ottobre 2020, tenutasi in videoconferenza, l’Avv. Carlo Sica e uditi il rappresentante della Procura Federale e il difensore dei reclamati, come da verbale;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.
RITENUTO IN FATTO
1. Il procedimento trae origine dal deferimento della SSD Sanremese Calcio perché, in occasione e durante la gara Sanremese Calcio – Ospedaletti Calcio del 7 Dicembre 2019 valida per il Torneo Regionale Under 14 - girone A, un sostenitore della deferita profferiva all’indirizzo di un calciatore della Ospedaletti un insulto costituente espressione di discriminazione.
2. Con la decisione oggetto di reclamo, il Tribunale Federale Territoriale proscioglieva la Società.
In sintesi, il Tribunale, dopo aver offerto una ricostruzione della vicenda sulla base della propria valutazione delle risultanze delle indagini, riteneva “dubbio che un insulto razzista sia stato effettivamente propalato e, soprattutto, sono rimaste non provate le circostanze, sia soggettive sia oggettive, nell’ambito delle quali lo stesso sarebbe stato proferito”. Riteneva, altresì, che i testimoni (arbitro, l’offeso, i dirigenti delle due società) avevano negato la verificazione del fatto.
In ogni caso, il Tribunale affermava che l’art. 28, comma 3, CGS fissa una soglia minima di punibilità costituita dalla percezione reale del fenomeno per aver assunto una dimensione non indifferente; soglia comunque non raggiunta nella fattispecie in esame, atteso che, al più, l’insulto sarebbe stato profferito da un’unica persona, neppure individuata, e udito da non più di due persone.
4. Con rituale reclamo a questa Corte, il Procuratore Federale Interregionale ha contestato la decisione chiedendone la riforma con accoglimento delle conclusioni rassegnate in primo grado.
4.1 In particolare, con il reclamo, ricordato che la prova in ambito sportivo si deve ritenere raggiunta con un grado di certezza superiore alla mera probabilità e non certo al di là di ogni ragionevole dubbio, la Procura deduce che l’insulto denunciato dalla madre del giovane calciatore è stato confermato via mail dai genitori di altro calciatore presenti nella tribuna del campo di gioco che hanno udito l’insulto proveniente da voce femminile e hanno assistito a un litigio tra la madre del giovane e altra donna presente sugli spalti, non rilevando in contrario che la madre aveva parlato di un insulto proveniente da un uomo ben potendo essere due gli insulti profferiti da due distinte persone. Del resto, anche questa donna ha confermato la violenta reazione, di chiaro significato, della madre verso l’autore dell’insulto. Così come conferma del fatto si ha dalla testimonianza di un dirigente della squadra dell’Ospedaletti.
4.2 Quanto poi all’interpretazione data dal Tribunale sulla soglia di punibilità, la decisione non ha tenuto conto del contesto, anche logistico, della gara che rende l’insulto di risalto proporzionato, tanto da essere stato udito da più persone, oltre ad avere avuto risalto sulle cronache locali.
5.1. La Società reclamata, con ampia memoria, ha contestato la fondatezza del reclamo, sostenendo che l’insulto in realtà non era stato profferito da alcuno come comprovato dalla circostanza che nessuno in campo, neppure il giovane calciatore, lo aveva udito e dalla insanabile contraddizione tra la denuncia della madre del giovane calciatore e il contenuto della mail dei genitori di altro calciatore. Del resto, anche l’arbitro della gara e i dirigenti delle due società presenti in campo non avevano udito alcunché. In ogni caso, richiamando un numero assai consistente di decisioni della giustizia sportiva, ha sostenuto la statuizione di primo grado in ordine all’interpretazione dell’art. 28 CGS.
RITENUTO IN DIRITTO
6.1 La Corte, esaminato e valutato il materiale istruttorio presente agli atti del procedimento, ritiene che il fatto si sia verificato; cioè l’insulto sia stato effettivamente profferito da un uomo presente in tribuna e ascrivibile tra i sostenitori della Società Sanremese.
6.2 Ascoltata dalla Procura federale dopo la presentazione dell’esposto alla FIGC, la madre di origina brasiliana del giovane calciatore ha affermato, per quanto rileva, che era giunta al campo di gioco verso la fine della partita in compagnia della cugina. Si erano entrambe posizionate nella parte bassa della tribuna che era “piena”, prevalentemente di genitori. A
seguito di un evento di gioco che aveva visto direttamente coinvolto suo figlio, aveva udito l’insulto proveniente da un uomo posizionato a qualche metro di distanza. Aveva quindi immediatamente reagito rivolgendo all’uomo un pesante insulto. Era intervenuta una donna con toni assai forti lamentandosi con lei per la volgarità profferita dicendole che nei pressi della tribuna erano presenti anche bambini. La partita era finita subito dopo e allora si era spostata verso gli spogliatoi intenzionata a riferire all’arbitro dell’insulto; ciò che non le era stato consentito. Aveva quindi chiesto al Presidente dell’Ospitaletti là presente di far uscire subito suo figlio; cosa che era avvenuta consentendole di allontanarsi subito dall’impianto con il figliolo.
6.3 Esaminando queste dichiarazioni, la Corte rileva che il racconto è intrinsecamente veridico. Innanzi tutto, non sarebbe comprensibile perché la madre del giovane calciatore si sarebbe dovuta inventare il fatto, dal quale lei e neppure il figlio avrebbero potuto ritrarre un qualche beneficio. Inoltre, l’ammissione del pesante insulto rivolto all’uomo è anch’essa espressione di attendibilità perché manifestazione di una rabbiosa reazione ad un comportamento altrettanto verbalmente violento. Infine, anche il nitido ricordo dell’intervento della donna presente in tribuna per stigmatizzare il suo comportamento non può che essere frutto del ricordo di un fatto effettivamente avvenuto.
6.4 Conferma sostanziale delle dichiarazioni della madre del giocatore si hanno dalla testimonianza resa dalla donna cui si è accennato. Costei, dopo aver ricordato che aveva visto la signora in compagnia di una ragazza italiana spostarsi (in realtà, arrivare) verso la fine della gara in una zona dove si trovava anche lei, pur non udendo alcun insulto, aveva invece udito “una frase molto volgare che non voglio nemmeno ripetere” ed era andata poi a riprenderla per il suo continuo urlare sentendosi rispondere che “urlava quanto voleva perchè avevano offeso suo figlio ripentendomi le parole che mi sembra di ricordare fossero…”. Aveva poi invitato, con toni della voce sempre alti, la signora “ad andare vicino a quelli della sua squadra che erano tutti posizionati dall’altro lato della tribuna”.
6.5 Con tale testimonianza la donna ha confermato le dichiarazioni della madre del giocatore, così dando riscontro alle stesse anche nella parte riguardante l’insulto, pur non direttamente udito.
6.6 Anche l’arbitro della gara ha riferito che, a fine partita, un dirigente dell’Ospedaletti, che aveva svolto funzione di assistente di linea posizionato dalla parte di campo ove trovavasi la tribuna, gli aveva detto che “dagli spalti si era sentito un insulto discriminatorio, razziale, nei confronti di un loro giocatore”. L’arbitro aveva quindi inserito nel proprio referto di gara questa segnalazione.
6.7 Si è, dunque, in presenza di un’altra fonte di conferma dell’insulto discriminatorio, ancorchè non proveniente dalla persona che lo ha udito, ma comunque da fonte privilegiata in ordine alle parole del dirigente il quale si trovava sotto la tribuna e che, visto il momento (a fine partita, come da referto), non poteva certamente aver parlato con la mamma del calciatore né con altri.
6.8 In conclusione, la Corte non nutre dubbi circa il fatto storico che l’insulto discriminatorio sia stato profferito e lo sia stato da un sostenitore della Sanremese, sia perché non avrebbe logica, nel contesto dato, un insulto a un proprio giocatore da parte di un sostenitore dell’Ospedaletti, sia perché la donna con cui ha discusso la madre del giocatore la aveva invitata a spostarsi da altra parta della tribuna ove stavano i sostenitori dell’Ospedaletti, così confermando che nella parte teatro degli accadimenti stavano i sostenitori della Sanremese.
6.9 In contrario, non rileva la circostanza acclarata che i presenti in campo (a parte il riferito dirigente che svolgeva funzione di assistente di linea sotto la tribuna) non abbiano sentito nulla, atteso che si è trattato di un solo insulto, come tale udibile da chi era in prossimità perché neppure urlato. Né in contrario rileva l’apparente antinomia tra le risultanze delle indagini e le dichiarazioni del Sig. Molinari, sostenitore dell’Ospedaletti (sito nella parte centrale della tribuna, mentre i fatti si sono svolti dalla parte verso il bar e gli spogliatoi), che all’evidenza ha attratto l’insulto discriminatorio all’interno della discussione avvenuta tra le due donne, nel corso della quale la madre del giocatore riportò urlando l’insulto da lei udito.
7.0 Accertato il fatto come contestato, la Corte ritiene di condividere la conclusione cui è pervenuto il giudice di primo grado in ordine all’insussistenza della violazione contestata.
7.1 L’art. 28, comma 4 secondo periodo, CGS prevede sanzione (rapportata alla gravità o alla reiterazione del fatto) per le società “responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione che siano, per dimensione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione“.
7.2 Nella concreta fattispecie all’esame della Corte, si è in presenza, come detto, di un solo insulto, non urlato e non udito da coloro che stavano in campo, neppure dal soggetto passivo dell’insulto. Non può, quindi, certamente parlarsi di cori o grida. E neppure di “manifestazione” che, per dimensione e percezione reale del fenomeno, sia espressione di discriminazione. Ben vero, come dedotto nel reclamo, che il fatto va contestualizzato rispetto al luogo in cui si è verificato, ma permane risolutiva in senso negativo la constatazione che, va ribadito, si è trattato di un solo insulto, udito da poche persone e solo in tribuna e nelle sue immediate vicinanze dall’assistente di linea. Dunque, non si è realizzata la fattispecie sanzionata dalla citata norma federale.
7.3 Il reclamo va, quindi, respinto.
P.Q.M.
La Corte Federale d’Appello (Sezione IV) respinge il reclamo. Dispone la comunicazione alle parti con PEC.
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