TRIBUNALE DI ROMA – SEZIONE LAVORO – SENTENZA N. 654/2018 DEL 29/01/2018
Tribunale di Roma
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del giudice designato Daniela Bracci Alla udienza del 29/01/2018 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa lavoro di I grado iscritta al N. (...) R.G. promossa da: (...), parte ricorrente con il patrocinio degli avv.ti Francesco Di CIommo ed Eduardo Chiacchio
contro:
A.S. (...) S.P.A. in persona del legale rappresentante p.t., parte resistente con il patrocinio dell’avv. Cristina Mazzamauro
OGGETTO: retribuzione
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato il 13.7.2017, (...) adiva il Tribunale di Roma in funzione di Giudice del Lavoro chiedendo 1) di accertare e dichiarare l’adempimento da parte dell’istante delle obbligazioni di cui al contratto di prestazione sportiva stipulato il 18.7.2011 con la società A.S. (...) s.p.a. per la stagione calcistica 2012/2013; 2) di accertare e dichiarare la non necessarietà della costituzione in mora da parte del sig. (...) nei confronti della A.S. (...) s.p.a. ex art. 1219 cc. co 2 n. 2; 3) di accertare e dichiarare la inopponibilità dell’art. 5.5 del contratto collettivo stipulato tra FIGC, Lega Nazionale Professionisti serie A ed Associazione Italiana Calciatori il 7.8.2012 al ricorrente in relazione alla vicenda per cui è causa; 4) di accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale della A.S. (...) spa per non aver adempiuto alla propria prestazione consistente nel pagamento a favore del ricorrente della somma di € 1.128.390,64 in virtù del contratto di prestazione sportiva sottoscritto il 18.7.2011 tra le parti per la stagione sportiva 2012/2013, se non per € 71.157,00; 5) di condannare per l’effetto la convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma così pattuita, e al netto dell’acconto di € 71.157,00, oltre gli accessori di legge e con il favore delle spese di lite.
Deduceva di essere un calciatore professionista tesserato presso la Federazione Italia Giuoco Calcio (FIGC); di aver sottoscritto in data 18.7.2011 un contratto di prestazione sportiva con la società A.S. (...) spa; che tale contratto di durata biennale (1.7.2012/30.6.2014) prevedeva per le stagioni sportive 2012/2013 e 2013/2014 una retribuzione fissa annua di € 1.128.390,64, oltre ad alcuni premi per obiettivi; che circa un mese dopo la sottoscrizione del predetto contratto, al ricorrente veniva irrogata dalla Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC la sanzione della squalifica per tre anni per violazione dell’art. 7 co. I, II e V del Codice di Giustizia Sportiva, per avere asseritamente, prima della gara Bari – Sampdoria del 23.4.2011, in concorso con altri soggetti , posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara medesima (all’epoca dei fatti contestati il ricorrente era tesserato con la U.C. Sampdoria spa); che tale decisione si era rilevata successivamente ingiusta, essendo stato poi il ricorrente prosciolto con formula piena e con sentenza penale del 17.9.2015 passata in giudicato; che all’esito di tale sentenza la FIGC aveva concesso al ricorrente la “grazia” con provvedimento del 5.1.2016; che nelle more di tale sentenza, il ricorrente aveva continuato a svolgere la sua attività professionale a favore della A.S. (...), come previsto dal contratto di ingaggio sportivo; che dopo qualche mese la convenuta non gli aveva più corrisposto i compensi pattuiti; di avere contenuto le sue rimostranze nella stagione 2012/2013, sentendosi inibito psicologicamente dalla sanzione subita; di aver cominciato a chiedere il pagamento di quanto a lui spettante al termine della stagione 2012/2013; che con missiva del 18.12.2014 la convenuta sosteneva di avergli già comunicato in data 8.11.2012 che avrebbe provveduto alla sospensione del pagamento
dei corrispettivi a lui spettanti in virtù di quanto previsto dall’art. 5.5. dell’Accordo Collettivo tra FIGC, LNP-A e AIC; che la norma collettiva invocata non era applicabile ratione temporis, per essere stato il contratto individuale sottoscritto prima dell’accordo collettivo; di aver diritto al pagamento del compenso pattuito; di aver fornito per tutta l’intera stagione 2012/2013 le proprie prestazioni sportive tutti i giorni della settimana, partecipando anche a tutte le gare non ufficiali della (...); di aver interrotto le sue prestazioni professionali all’inizio della stagione 2013/2014; di aver percepito dalla convenuta solo la somma di € 71.157,00. Svolte articolate considerazioni in diritto, concludeva chiedendo al Giudice del Lavoro l’accoglimento della domanda.
Fissata l’udienza, si costituiva in giudizio la A.S. (...) spa, che preliminarmente eccepiva il difetto di giurisdizione del Giudice adito, per avere le parti previsto nel contratto di ingaggio sportivo la clausola compromissoria di cui all’art. 30 dello Statuto FIGC. Nel merito chiedeva il rigetto della domanda.
Fallito il tentativo di conciliazione, all’udienza del 29.1.2018, previo esame delle note autorizzate, la causa veniva discussa e decisa con sentenza pronunciata ex art. 429 co. 1 c.p.c., dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto.
OSSERVA IL GIUDICE che è fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso giudiziario per avere le parti previsto nel contratto la clausola compromissoria di cui all’art. 30 dello Statuto FIGC.
L’art. 30 citato, al 2° comma, contiene l’impegno di tutti coloro che operano all’interno della Federazione di accettare “la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla F.I.G.C., dai suoi organi, e soggetti delegati, nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico”.
Da tale impegno è desumibile un divieto – che fa salva l’ipotesi di specifica autorizzazione, e la cui inosservanza è sanzionata da misure anche espulsive – di devolvere le relative controversie all’autorità giudiziaria statale.
Secondo i giudici di legittimità il c.d. vincolo di giustizia ha natura negoziale e costituisce un momento fondamentale dell’ordinamento sportivo, essendo
ontologicamente finalizzato a garantire l’autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale; siffatta autonomia è ritenuta generalmente necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi, sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte.
Come affermato dai giudici di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 5838/1984), la rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale rileva quale clausola compromissoria per arbitrato irrituale, ed è espressamente prevista anche dall’art. 4 comma 5° della legge n. 91/1981 relativa ai rapporti tra società e sportivi professionisti (“nello stesso contratto potrà essere prevista una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra la società sportiva e lo sportivo sono deferite ad un collegio arbitrale. La stessa clausola dovrà contenere la nomina degli arbitri oppure stabilire il numero degli arbitri e il modo di nominarli”).
La Cassazione ha chiarito che il c.d. vincolo di giustizia si fonda sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia (cfr. Cass. n. 4351/1993). Né diversamente può ritenersi a seguito del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito, con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003, n. 280. Infatti la nuova disciplina, nel ribadire (art. 1) il principio di autonomia nei rapporti tra l’ordinamento sportivo e quello statuale –fatte salve le competenze del giudice statale con riguardo alle situazioni giuridiche soggettive rilevanti nell’ordinamento generale e connesse con quello sportivo
-, prevede (art. 2 comma 2) l’onere di adire gli organi della giustizia sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell’ordinamento sportivo, che sono, a mente dello stesso d.l. (art. 2 comma 1), quelle aventi ad oggetto l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, nonché i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni.
Per altro verso il d.l. n. 220 del 2003, nel devolvere (art. 3 comma 1) alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – salva la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, in relazione ai quali, peraltro, già per effetto della l. n. 91/1981, l’ordinamento statuale aveva assorbito il lavoro sportivo, qualificandolo come subordinato o autonomo – ogni altra controversia non riservata agli organi di giustizia sportiva, subordina, come è desumibile dalla formulazione dell’art. 3 co. 1 citato, al previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva anche il ricorso alla giustizia statuale nelle materie ad essa riservato. Appare in tal modo meno plausibile la tradizionale opinione che circoscriveva l’ambito del vincolo di giustizia ai soli diritti soggettivi disponibili, dovendosi precisare, alla luce del nuovo dato normativo, che tale limitazione opera oggi solo con riferimento alla riserva di giustizia sportiva (cfr. Cass. n. 18919/2005).
Con il d.l. n. 220 del 2003, il vincolo sportivo, già operante in forza di clausole inserite negli statuti federali, cui l’affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse federazioni comportava volontaria adesione, viene a ripetere la propria legittimità da una fonte legislativa. Comunque, l’ultima parte dello stesso comma 1 dell’art. 3 fa salve le clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI e delle federazioni sportive.
Al riguardo non appare condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo il quale il vincolo di giustizia sarebbe un istituto illegittimo perché contrario agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione.
Invero, premesso che il fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo è da rinvenire nella norma costituzionale di cui all’art. 18 Cost., concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell’art. 2 Cost., relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo, deve rilevarsi che il vincolo di giustizia non comporta rinuncia a qualunque tutela, in quanto l’ordinamento pone in essere un sistema, nella forma dell’arbitrato irrituale ex art. 806 c.p.c., che costituisce espressione dell’autonomia privata costituzionalmente garantita (cfr. Corte Cost. n. 127 del 1977). Tale istituto ricorre allorché le parti abbiano inteso non già, come nell’arbitrato rituale, demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di
quella del giudice, ma demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio d’accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi (cfr. Cass. n. 1398/2005).
L’istituto arbitrale, ove costituisca un atto derivante dalla libera volontà delle parti, come è nel caso di arbitrato irrituale, non si pone in contrasto con il principio di unicità e statualità della giurisdizione, come affermato dal giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. nn. 488 del 1991 e 127 del 1977), che ha sottolineato che solo le parti, sempre che si versi in materia non attinente ai diritti fondamentali, possono scegliere altri soggetti, quali gli arbitri, per la tutela dei loro diritti in luogo dei giudici ordinari, ai quali è demandata la funzione giurisdizionale ai sensi dell’art. 102 Cost., risultando detta scelta una modalità di esercizio del diritto.
Deve pertanto ritenersi valida la clausola compromissoria inserita nel contratto di lavoro degli sportivi professionisti, tanto nell’ipotesi di lavoro subordinato, quanto in quella di lavoro parasubordinato (cfr. Cass. n. 20800/2010).
Nello specifico il ricorrente, in quanto tesserato presso la FIGC, è tenuto all’osservanza della clausola compromissoria di cui all’art. 30 dello Statuto FIGC.
Peraltro tale clausola è stata espressamente richiamata nel contratto stipulato tra le parti (art.7) e risulta essere stata approvata in forma specifica, con duplice sottoscrizione posta in calce all’accordo medesimo (docc. 4 e 9 resistente).
Infine, non risulta concessa dalla FIGC, ex art. 30 co. 3 Stat., una specifica autorizzazione al ricorrente ad adire la giustizia ordinaria.
Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile per clausola compromissoria.
Ai sensi dell’art. 91 c.p.c., (...) va condannato a rifondere alla AS (...) spa le spese di lite che, visto il dm n. 55/2014, si liquidano in € 8.318,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso spese generali del 15%, iva e cpa.
P.Q.M.
Disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione:
DICHIARA IL RICORSO INAMMISSIBILE PER CLAUSOLA COMPROMISSORIA.
CONDANNA (...) A RIFONDERE ALLA AS (...) S.P.A. LE SPESE DI LITE, CHE LIQUIDA IN € 8.318,00 PER COMPENSI DI AVVOCATO, OLTRE RIMBORSO SPESE GENERALI DEL 15%, IVA E CPA.
Roma, 29 gennaio 2018
Il Giudice
Daniela Bracci