F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2021/2022 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0075/CFA pubblicata il 15 Aprile 2022 (motivazioni) Procura Federale
Decisione/0075/CFA-2021-2022
Registro procedimenti n. 0093/CFA/2021-2022
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
SEZIONI UNITE
composta dai Sigg.ri:
Mario Luigi Torsello – Presidente
Salvatore Lombardo – Componente
Claudio Franchini – Componente
Vincenzo Barbieri – Componente
Marco Stigliano Messuti - Componente (relatore)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul reclamo numero 0093/CFA/2021-2022 proposto dalla Procura Federale, in persona del Procuratore federale pt,
avverso l’inammissibilità del proprio deferimento nei confronti del sig. Modesto Francesco Antonio (all'epoca dei fatti allenatore del F.C. Crotone) per la violazione degli artt. 4, comma 1, e 37 CGS; seguito proprio deferimento n. 4163/250pf21-22/GC/ep del 9 dicembre 2021
contro
il Sig. Antonio Francesco Modesto per la riforma della decisione del Tribunale federale nazionale – sezione disciplinare - n. 108 dell’11.03.2022.
Visti il reclamo con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza, tenutasi in videoconferenza il giorno 6 aprile 2022, l’Avv. dello Stato Marco Stigliano Messuti e udito per il reclamante l'Avv. Giorgio Ricciardi e presenti altresì il Dott. Luca Scarpa, l'Avv. Angela De Michele; udito per il reclamato l’Avv. Elio Manica.
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.
RITENUTO IN FATTO
La Procura Federale, con atto del 9 dicembre 2021, deferiva al Tribunale Federale – sezione disciplinare - il sig. Francesco Antonio Modesto, all’epoca dei fatti allenatore della società FC Crotone, al quale contestava la violazione degli artt. 4, comma 1, e 37 CGS per aver pronunciato nel corso della gara Crotone – Benevento del 28 ottobre 2021, valida per il Campionato di Serie B di quella stagione sportiva, un’espressione blasfema.
Il fatto veniva segnalato da uno dei tre collaboratori della Procura federale designati al controllo della gara suddetta, nella cui relazione si evidenziava che l’espressione era stata dal Modesto pronunciata al 21° minuto dell’incontro.
Il deferito, nelle proprie difese, eccepiva che la Procura federale non aveva rispettato i termini stabiliti dagli artt. 123 e 125 CGS, in quanto il deferimento, rispetto all’avviso di conclusione delle indagini, intervenuto il 4 novembre 2021, era stato notificato il 9 dicembre successivo, quindi oltre il termine di gg. 30 (trenta) stabilito dall’art. 125, comma 2, cit., con conseguente improcedibilità dello stesso; eccepiva altresì che l’iter seguito dalla Procura federale aveva disatteso la disciplina dettata dall’art. 61, comma 3, CGS, in quanto, non essendo stata l’espressione blasfema udita (e, quindi non refertata) dall’arbitro né dai suoi collaboratori, né essendo stata neppure udita dal VAR, la Procura Federale, anziché avviare il procedimento poi sfociato nel deferimento, doveva far pervenire al Giudice Sportivo Nazionale riservata segnalazione entro le ore 16.00 del giorno feriale successivo a quello della gara.
Il Tribunale, con ordinanza istruttoria disponeva l’acquisizione a carico della Procura federale della documentazione con la quale la Procura stessa aveva inviato al Giudice sportivo la segnalazione del collaboratore, con specifica della data e dell’orario dell’invio.
In ottemperanza alla detta ordinanza, la Procura federale depositava gli atti richiesti dal Tribunale, consistenti nella e-mail delle ore 12.52 del 29 ottobre 2021 di trasmissione al Giudice sportivo degli atti della gara in oggetto, che era stata ricevuta alle ore 14.58 dello stesso giorno; la Procura specificava che la trasmissione degli atti al Giudice sportivo non aveva compreso la segnalazione oggetto del presente procedimento, cioè l’espressione blasfema contestata al Modesto, riportata nella relazione del collaboratore della Procura federale presente alla gara.
All’esito della discussione il Tribunale riteneva quanto segue: “Il Tribunale ritiene che il deferimento non possa che essere dichiarato inammissibile. Come già descritto, la fattispecie di procedimento riguarda una contestata espressione blasfema, non udita dagli ufficiali di gara né dal VAR ma udita da uno dei collaboratori della Procura federale presenti in campo e riportata nel rapporto tempestivamente inviato alla Procura federale e altrettanto tempestivamente inviato al competente Giudice sportivo (ma privo della segnalazione dell’espressione blasfema). In tema (tra altro) di uso di espressione blasfema, l’art. 61, comma 3, CGS dispone testualmente (per quanto qui rileva) che “Per le gare della Lega di Serie A e della Lega di Serie B, limitatamente ai fatti… concernenti l’uso di espressione blasfema…il Procuratore federale fa pervenire al Giudice sportivo nazionale riservata segnalazione entro le ore 16:00 del giorno feriale successivo a quello della gara. … L’inosservanza del termine o di una delle modalità prescritte determina l’inammissibilità della segnalazione…”. In punto di fatto, nel presente procedimento, è pacifico che la segnalazione al Giudice sportivo è stata effettuata tempestivamente, ma priva della indicazione dell’espressione blasfema riportata nel rapporto inviato alla Procura federale. Quindi, rispetto all’espressione blasfema, può darsi per pacifico che la segnalazione al Giudice sportivo risulta inammissibile. Sul punto, la Procura federale ha tuttavia osservato che la mancanza della segnalazione non pregiudica il ricorso al disposto dell’art. 79 CGS, attraverso l’apertura di un procedimento a sé stante da portare alla cognizione del Tribunale competente. A parere del Tribunale, seguire la tesi della Procura federale significherebbe ledere il riparto di competenze fissato dal CGS. L’articolo 65 CGS recita (per quanto qui rileva): “I Giudici sportivi giudicano, senza udienza e con immediatezza, in ordine: a) ai fatti, da chiunque commessi, avvenuti nel corso di tutti i campionati…sulla base delle risultanze dei documenti ufficiali e dei mezzi di prova di cui agli artt. 61 e 62 o comunque su segnalazione del Procuratore federale…”. Quindi, è di tutta evidenza che la competenza a giudicare sui fatti “di gara” segnalati dal Procuratore federale spetta ai Giudici sportivi. Né appare ammissibile che, dimenticando una segnalazione pur risultante dagli atti in suo possesso, la Procura federale possa poi ricorrere alla competenza residuale che il citato art. 79 prevede. Ciò significherebbe trascurare una dimenticanza (espressamente sanzionata con l’inammissibilità) della Procura federale e darle la sostanziale possibilità di trasferire poi la competenza ad altro Organo del sistema della giustizia sportiva. Ben vero che tale Organo è attributario di una competenza c.d. residuale che riguarda “fatti rilevanti per l’ordinamento sportivo in relazione ai quali non sia stato instaurato né risulti pendente un procedimento dinanzi al Giudice sportivo”. Ma siffatta mancata instaurazione o pendenza non può che derivare da cause oggettive. Altrimenti si darebbe anche modo, a titolo di esempio, al “soggetto interessato” ex art. 66, comma 1 lett. b), CGS, al quale sia sfuggito il rispetto dei rigorosi termini prescritti dall’art. 67 CGS, di rivolgersi al Tribunale federale, con violazione (anche in questo caso, oltreché dei termini dettati) del riparto delle competenze tra i due Organi di giustizia interessati. Né può giovare alla Procura federale il richiamo alla decisione n. 108/TFN-SD 2020/2021, successivamente riformata dalla CFA con decisione n. 119/CFA/2020/2021. In quella fattispecie procedimentale, l’espressione blasfema pronunciata da un calciatore nel corso di una gara di campionato non era stata percepita dagli ufficiali di gara, né dal VAR, né dal collaboratore della Procura Federale né era stata percepibile all’interno della ripresa televisiva in quanto coperta dalle voci dei commentatori. Solo dopo la disputa della gara, organi di stampa avevano segnalato la pronuncia dell’espressione, probabilmente perché profferita da un calciatore particolarmente noto. Sulla scorta di queste segnalazioni, acquisita dalla Lega di serie A la registrazione della gara senza commenti, la Procura federale accertò il fatto procedendo all’apertura di un procedimento ordinario, sfociato nel deferimento. Tale deferimento trovava il suo fondamento nella previsione dell’art. 79 CGS. Al riguardo, come ha ritenuto la CFA nella richiamata decisione (pag. 6), che questo Tribunale condivide integralmente, “ Va da sé che la natura eccezionale di tale disposizione (ndr: l’art. 79) ne impone un’interpretazione improntata a canoni di prudenza ermeneutica, al fine di evitarne una lettura estensiva che potrebbe comportare una sostanziale vanificazione del riparto di competenze tra i diversi organi di giustizia … il termine di cui al citato art. 61, comma 3, CGS è spirato senza che la Procura federale potesse avere la possibilità di adire il Giudice sportivo … Ne consegue, dunque, la legittimità del ricorso al Tribunale federale da parte della Procura, impossibilitata ad avvalersi della procedura straordinaria di cui all’art. 61, 3° comma, CGS”. Laddove, nel caso, la Procura federale era pienamente abilitata a segnalare tempestivamente al Giudice sportivo l’espressione udita da uno dei suoi collaboratori presente in campo e riportata nel rapporto da costoro redatto”.
Avverso la predetta decisione veniva ritualmente e tempestivamente proposto reclamo da parte della Procura Federale, la quale in sintesi evidenziava: “contrariamente a quanto assume il Tribunale Federale Nazionale, non si è trattato affatto di una dimenticanza della Procura Federale di inviare al Giudice Sportivo, tra le altre segnalazioni effettuate dal Collaboratore in campo, anche quella relativa all’espressione blasfema proferita dal tesserato deferito, ma piuttosto (e più semplicemente) di una determinazione della Procura FIGC, nell’esercizio delle sue funzioni, in ordine alla instaurazione di un procedimento disciplinare, sulla scorta di valutazioni inquirenti e requirenti di propria esclusiva competenza. Iniziativa, questa, certamente legittima, poiché la perseguibilità processuale delle condotte integranti espressioni blasfeme (ed il correlato giudizio da parte degli Organi di Giustizia Sportiva) non rientra necessariamente nella disciplina di cui all’art. 61, comma 3 del CGS, come erroneamente argomenta il primo Giudice. In altre parole, considerato che la normativa federale non impedisce alla Procura Federale di instaurare un procedimento disciplinare dinanzi al Tribunale Federale Nazionale, laddove non sia già pendente un giudizio dinanzi al Giudice Sportivo per i medesimi fatti occorsi durante una gara (art. 79 CGS), la correlata valutazione a monte non può certamente essere messa in discussione in termini di preclusione/inammissibilità dell’azione disciplinare. La corretta applicazione dei predetti principi impone di ritenere che ogni qualvolta la notizia dell’illecito necessiti di atti istruttori, la Procura Federale, anche a garanzia del tesserato sottoposto all’indagine che può per tale via esercitare tutte le garanzie difensive previste dal CGS nel procedimento disciplinare sportivo, possa non effettuare la segnalazione al Giudice Sportivo ma aprire un formale procedimento disciplinare, ed eseguire nell’ambito di detto procedimento tutti gli atti di indagine necessari per accertare compiutamente i fatti. Solo all’esito dell’attività istruttoria, il Procuratore Federale potrà compiutamente determinarsi o mediante l’archiviazione (ove la notizia dell’illecito si sia manifestata infondata o comunque non provata) ovvero mediante il deferimento dinanzi al Tribunale Federale Nazionale munito di competenza residuale ai sensi del già ricordato art. 79 CGS”.
Con memoria difensiva, ritualmente depositata, il reclamato reiterava le difese svolte in I° grado, precisando che laddove l’espressione blasfema fosse stata percepita dai collaboratori della Procura federale presenti a bordo campo, come nella fattispecie in esame, si rientrava nel rigido campo di applicazione dell’art. 61, comma 3 CGS; mentre una competenza residuale del TFN ai sensi dell’art. 79 CGS poteva ricorrere solo laddove l’espressione blasfema non fosse stata percepita immediatamente, ma solo tempo dopo a seguito di pubblicazione su organi di stampa etc.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.In via preliminare queste Sezioni unite intendono richiamare quanto ritenuto nella propria decisione n. 91/CFA/2020-2021 ed in particolare:
- che l’art. 61, 3° comma, CGS, individua una specifica ipotesi di competenza del Giudice sportivo, che viene ad integrare l’elenco di cui al successivo art. 65. Conseguentemente, nelle ipotesi previste dal citato art. 61, comma 3°, sussiste una competenza degli organi di giustizia sportiva, in deroga a quanto previsto dal citato art. 65, 1° comma, lett. b), anche su “fatti che investono decisioni di natura tecnica o disciplinare adottate in campo dall’arbitro”; tale competenza del Giudice sportivo deve essere attivata nelle ipotesi e nel rispetto della tempistica dettagliatamente indicata nel citato art. 61, 3° comma;
- pur tuttavia, una volta stabilita la sussistenza in tale ambito della competenza del Giudice sportivo, questa implica, necessariamente, la competenza residuale del Tribunale federale. Dalla lettura comparata dell’art. 65 e del successivo art. 79 (il cui testo riproduce pressoché pedissequamente quanto disposto dall'art. 25, c. 1°, CGS CONI), la competenza del Giudice sportivo è declinata in positivo, attraverso l’elencazione delle fattispecie sulle quali è chiamato a giudicare mentre quella del Tribunale federale è individuata in negativo. Quest’ultimo, infatti, si pronuncia su tutti i fatti rilevanti per l’ordinamento sportivo “in relazione ai quali non sia stato instaurato né risulti pendente un procedimento dinanzi al Giudice sportivo”;
- conseguentemente, per radicare la competenza residuale del Tribunale federale è sufficiente che la questione – purché rilevante per l’ordinamento sportivo – non sia stata fatta oggetto di un ricorso innanzi al Giudice sportivo con conseguente natura residuale della competenza del Tribunale federale che emerge in tutti i casi in cui non sia stata azionata quella del Giudice sportivo; il nuovo Codice, all’art. 79 - con un profilo assertivo e definitorio non presente nel Codice previgente introduce una norma “di sistema”;
- peraltro la natura eccezionale di tale disposizione ne impone un’interpretazione improntata a canoni di prudenza ermeneutica, al fine di evitarne una lettura estensiva che potrebbe comportare una sostanziale vanificazione del riparto di competenze tra i diversi organi di giustizia;
- pertanto allorché sia spirato il termine di cui all’art. 61, 3° comma, CGS senza che la Procura federale possa avere la possibilità di adire il Giudice sportivo per esercitare l’azione prevista dal citato articolo, è ammesso il ricorso al Tribunale federale da parte della Procura, impossibilitata ad avvalersi della procedura straordinaria di cui all’art. 61, 3° comma, CGS.
2. Orbene, nel caso allora all’esame di queste Sezioni unite, era incontroverso che né gli ufficiali di gara, né il collaboratore della Procura ebbero modo di percepire l’espressione blasfema pronunciata dal giocatore. Pertanto, il termine di cui al citato art. 61, 3° comma, CGS era spirato senza che la Procura federale potesse avere la possibilità di adire il Giudice sportivo per esercitare l’azione prevista dal citato articolo.
Ne conseguì, dunque, la legittimità del ricorso al Tribunale federale da parte della Procura, impossibilitata ad avvalersi della procedura di cui all’art. 61, 3° comma, CGS.
Nel caso oggi all’esame di questa Corte, invece, è incontestato e dimostrato che la Procura, sebbene ne fosse stata tempestivamente informata dai suoi collaboratori di campo presenti in occasione della partita, valutò di non inviare al giudice sportivo, la segnalazione relativa all’espressione blasfema proferita dal tesserato deferito (cfr. pag. 3 del reclamo), ritenendo erroneamente, di potersi rivolgere in via alternativa attraverso lo strumento del deferimento, al Tribunale federale.
Il fatto veniva segnalato da uno dei tre collaboratori della Procura federale designati al controllo della gara suddetta, nella cui relazione, inviata la mattina successiva alla partita alla Procura, si evidenziava che l’espressione era stata dal Modesto pronunciata al 21° minuto dell’incontro.
Pertanto, nella fattispecie oggi all’esame della Corte federale, non v’è stata un’impossibilità oggettiva da parte della Procura federale di adire il giudice sportivo – come nella decisione n. 91/CFA/2020-2021 – ma una scelta procedimentale liberamente effettuata dalla Procura medesima.
Ciò che, però, non pare ammissibile de iure condito in quanto – come sopra detto – il canone ermeneutico da utilizzare – in conseguenza della natura eccezionale della disposizione contenuta nell’art. 79 che radica la competenza residuale del Tribunale federale – è quello della prudenza ermeneutica, al fine di evitarne una lettura estensiva che potrebbe comportare una sostanziale vanificazione del riparto di competenze tra i diversi organi di giustizia.
3. Il Collegio non intende disconoscere la teorica condivisibilità – sotto il profilo della giustizia sostanziale - di quanto affermato dalla Procura nell’atto di reclamo.
In effetti, potrebbe apparire in contrasto con i principi generali di efficienza dell’azione disciplinare - al fine di non incorrere nella sanzione di inammissibilità - un’interpretazione che oneri la Procura Federale, una volta acquisita la notizia di una espressione blasfema proferita da un calciatore durante una gara, di effettuare la segnalazione al Giudice Sportivo entro il brevissimo termine di cui all’art. 61, comma 3, CGS.
E ciò anche quando per avere certezza della commissione dell’illecito fossero necessari ulteriori atti istruttori (acquisizione del referto arbitrale, escussione di testimoni, acquisizione di filmati della gara, ecc.).
Del resto occorre rammentare che “nell’ordinamento sportivo il fine principale da perseguire, al di là dell’aspetto giustiziale pur fondamentale, è quello di affermare sempre e con forza i principi di lealtà, imparzialità e trasparenza, tipici del movimento sportivo, come pensato sin dalla sua fondazione da Pierre De Coubertin e, quindi, è compito degli Organi di giustizia considerare meno stringenti le regole formali rispetto ad aspetti sostanziali, che siano utili all’accertamento dei menzionati valori.” (Collegio di garanzia n. 56/2018).
Ciò nonostante, l’attuale diritto positivo non consente altra interpretazione se non quella sopra indicata e quindi il reclamo va respinto.
4. Peraltro queste Sezioni unite intendono in questa sede ribadire la particolare riprovevolezza dell’illecito contestato poiché la blasfemia si sostanzia in una condotta significativamente grave, in quanto manifesta dispregio per tutti i presenti, non tenendo nel debito conto né dei valori religiosi né di quelli, positivi, che attraverso lo sport si vuole affermare, giacché è indice di mancanza di rispetto per le regole sportive e per quelle di pura e semplice educazione civile (cfr. Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 4 maggio 2012, n. 239/CGF; nonché, Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 28 marzo 2012 n. 204/CGF; e Corte giust. fed., in C.u. FIGC, 1 febbraio 2012, n. 151/CGF).
Del resto – come è stato rilevato dalla dottrina - la disposizione di cui all’art. 37 del vigente Codice di giustizia sportiva era già contemplata all’art. 19, comma 3-bis della precedente versione del Codice, nell’àmbito delle sanzioni a carico di dirigenti, soci e tesserati delle società. La nuova autonoma collocazione della disposizione non potrebbe che essere interpretata come un chiaro indice dell’importanza che il legislatore federale ha inteso attribuire al precetto, “ai fini di arricchire e meglio definire il contenuto dei doveri sociali dell’attività sportiva calcistica, alla quale, anche per il grande séguito presso i giovani, viene confermata la funzione di modello verso la collettività oltre che in termini di lealtà e correttezza, anche di moralità in senso lato”.
Per tali motivi queste Sezioni unite ritengono di trasmettere la presente decisione al Presidente della Federazione affinché valuti se sussistano i presupposti per un’iniziativa normativa diretta ad evitare che tali comportamenti – nelle situazioni sopra indicate - possano restare sostanzialmente impuniti.
P.Q.M.
Respinge il reclamo in epigrafe.
Dispone la comunicazione alle parti, presso i difensori con PEC.
L'ESTENSORE
Marco Stigliano Messuti
IL PRESIDENTE
Mario Luigi Torsello
Depositato
IL SEGRETARIO
Fabio Pesce