F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione Unite – 2023/2024 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0005/CFA pubblicata il 5 Luglio2023 (motivazioni) – A.S.D. Calcio Ceglie/Procura Federale Interregionale

Decisione/0005/CFA-2023-2024

Registro procedimenti n. 0154/CFA/2022-2023

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

SEZIONI UNITE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello - Presidente (Estensore)

Salvatore Lombardo – Componente

Vincenzo Barbieri – Componente

Maria Luisa Garatti - Componente

Massimo Galli - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul reclamo numero 0154/CFA/2022-2023 proposto dalla società A.S.D. Calcio Ceglie in data 01.06.2023

Contro

Procura federale interregionale

per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Puglia, di cui al Com. Uff. 187 del 25.05.2023;

Visto il reclamo e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza del 28.06.2023, tenutasi in videoconferenza, il Pres. Massimo Galli e uditi gli Avv.ti Francesco Spagnolo per la reclamante e Francesco Keller per la Procura federale interregionale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

RITENUTO IN FATTO

Con atto del 26 aprile 2023 il Procuratore federale interregionale ha deferito innanzi al Tribunale federale territoriale Puglia:

a) il sig. Marco Devole, all’epoca dei fatti tesserato per Associazione Sportiva Dilettantistica Calcio Ceglie, per rispondere: ” della violazione dell’art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva per avere lo stesso in data 2.11.2022, a seguito di una banale discussione in ordine all’uso dello spogliatoio dell’impianto sportivo di Ceglie Messapica, promosso, organizzato e partecipato, in concorso con altre quattro persone tra le quali il sig. Ciracì Nicola a sua volta calciatore tesserato per la A.S.D. Calcio Ceglie, un’aggressione violenta nei confronti del sig. Arcangelo Di Coste, anch’egli calciatore tesserato per la medesima società che si è concretizzata nell’attendere lo stesso in prossimità della sua abitazione sita in Francavilla Fontana (BR), aggredirlo in gruppo sferrando calci e pugni su tutte le parti del corpo, per poi proseguire tutti insieme nell’azione violenta sia quando l’aggredito è caduto al suolo, sia quando lo stesso ha cercato di fuggire dirigendosi verso la propria abitazione; il sig. Marco Devole, inoltre, nel corso dell’aggressione cercava di strangolare il sig. Arcangelo Di Coste per poi, quando questi è riuscito a raggiungere la propria abitazione, colpire con un pugno al volto anche il fratello dello stesso, che era intervenuto per proteggere il proprio germano. L’aggressione procurava al sig. Arcangelo Di Coste un trauma cranio facciale non commotivo con ematoma all’occhio sinistro, cervicalgia post traumatica, trauma toracico con infrazione della settima costola sinistra e trauma contusivo dell’anca destra con prognosi di giorni trenta; con l’aggravante di cui all’articolo 14, comma 1, lettera d), del Codice di Giustizia Sportiva dell’aver agito per futili motivi”;

b) il sig. Nicola Ciracì, all’epoca dei fatti tesserato per Associazione sportiva dilettantistica calcio Ceglie, per rispondere “della violazione dell’art. 4, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva per avere lo stesso in data 2.11.2022, a seguito di una banale discussione in ordine all’uso dello spogliatoio dell’impianto sportivo di Ceglie Messapica, in concorso con altre quattro persone tra le quali il sig. Marco Devole a sua volta calciatore tesserato per la A.S.D. Calcio Ceglie, partecipato ad un’aggressione violenta nei confronti del sig. Arcangelo Di Coste, anch’egli calciatore tesserato per la medesima società che si è concretizzata nell’attendere lo stesso in prossimità della sua abitazione sita in Francavilla Fontana (BR), aggredirlo in gruppo sferrando calci e pugni su tutte le parti del corpo, per poi proseguire tutti insieme nell’azione violenta sia quando l’aggredito è caduto al suolo, sia quando lo stesso ha cercato di fuggire dirigendosi verso la propria abitazione; l’aggressione procurava al sig. Arcangelo Di Coste un trauma cranio facciale non commotivo con ematoma all’occhio sinistro, cervicalgia post traumatica, trauma toracico con infrazione della settima costola sinistra e trauma contusivo dell’anca destra con prognosi di giorni trenta; con l’aggravante di cui all’articolo 14, comma 1, lettera d), del Codice di Giustizia Sportiva dell’aver agito per futili motivi”;

c) la società AS.D. Calcio Ceglie “a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva per gli atti de i comportamenti posti in essere dai propri tesserati all’epoca dei fatti sigg.ri Marco Devole e Nicola Ciracì”.

Il Tribunale federale territoriale, con la decisione qui impugnata, così ha deciso:

“1) delibera di comminare al tesserato Devole Marco (A.S.D. Calcio Ceglie) la squalifica a tutto il 15/05/2028, con preclusione definitiva alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC, ai sensi dell’art. 9, comma 1, ultimo capoverso C.G.S.;

2) di comminare all’A.S.D. Calcio Ceglie l’ammenda di 1.500,00;

3) di rinviare la trattazione del deferimento a carico del tesserato Ciracì Nicola all’udienza del 10/07/2023, onde consentire alla difesa l’ostensione dei documenti decisori emessi dalla magistratura penale a carico del suo assistito. Il Collegio precisa che la decisione non potrà in alcun caso essere ulteriormente differita, dovendosi rispettare il termine di 90 gg. dalla data di esercizio dell’azione disciplinare, previsto dall’art. 110, comma 1 C.G.S.”.

Avverso tale decisione ha proposto reclamo innanzi a questa Corte federale d’appello l’Associazione sportiva dilettantistica calcio Ceglie, chiedendo di annullare o riformare la decisione oggetto di gravame disponendo il proscioglimento della reclamante o, in subordine, di annullare o riformare la decisione riducendo la sanzione irrogata.

Con un primo motivo la Società reclamante rappresenta come non sia suo intendimento quello di sminuire in alcun modo la gravità delle condotte contestate nell’ambito del deferimento ai tesserati sig.ri Marco Devole e Nicolo’ Ciracì; la peculiarità della vicenda induce però a ritenere censurabile la decisione là dove ha ritenuto di affermare la sussistenza della “responsabilità oggettiva di cui all’art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva” in capo alla reclamante. Ciò in quanto le condotte ascritte nell’ambito dell’atto di deferimento ai tesserati non appaiono, in realtà, riferibili all'attività sportiva. Difatti – sempre secondo la reclamante - i comportamenti sono stati posti in essere: a) in circostanze di tempo e luogo estranee allo svolgimento dell’attività sportiva (alle ore 19:00 circa dopo il termine delle sessioni di allenamento, nei pressi della dimora privata del sig. Arcangelo Di Coste posta in città diversa da quella in cui ha sede la reclamante); b)  nei confronti e con partecipazione di soggetti (rispettivamente il fratello del sig. Arcangelo Di Coste e gli altri aggressori) non tesserati, estranei all’Ordinamento Sportivo; c) non certo nell’espletamento della prestazione sportiva e/o nell’ambito dell’agire dei soggetti quali tesserati della reclamante.

Con un secondo motivo viene dedotto che la decisione gravata, ha ritenuto “congrua è la sanzione disciplinare proposta a carico della A.S.D. Calcio Ceglie, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera b) del C.G.S., per la responsabilità oggettiva di cui all’art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva”, salvo poi specificare che trattasi “non propriamente di una responsabilità oggettiva ma di un’ipotesi di responsabilità aggravata, dal momento che la società - secondo l’art. 7 - può fornire, al fine di escludere o attenuare la propria responsabilità, la prova di aver adottato le misure preventive a cui la norma, mediante rinvio all’art. 7, comma 5, dello Statuto FIGC, fa riferimento e la cui valutazione è rimessa all’Organo di giustizia”.

Orbene – sempre secondo la reclamante - il Tribunale federale territoriale, nell’affermare la responsabilità dell’odierna reclamante, avrebbe omesso qualsivoglia accertamento, in realtà sul piano logico preliminare, in ordine al fatto che l’aggressione in danno del sig. Arcangelo Di Coste e del di lui fratello si è svolta al di fuori della sfera di azione della società, in un ambito non riconducibile all’espletamento di attività sportiva ed al di fuori di ogni ragionevole possibilità materiale di controllo dei comportamenti del tesserato. Difetterebbe, dunque, la ricorrenza del nesso eziologico, quale vincolo di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e “le mansioni” del calciatore. Nel caso di specie - secondo il reclamante - non si vede come l’evento, attesa la sua abnormità, potesse essere in qualche modo prevedibile da parte della società e come anche l’eventuale adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo avrebbe potuto in qualche misura contribuire a evitare il verificarsi dei fatti.

Infine la reclamante deduce che la sanzione comminata appare incongrua e non rispondente ai canoni di proporzionalità ed afflittività.

Si è costituita la Procura federale chiedendo il rigetto dell’appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello la Società reclamante deduce che le condotte ascritte ai tesserati non sarebbero riferibili all'attività sportiva poiché i comportamenti sono stati posti in essere: a) in circostanze di tempo e luogo estranee allo svolgimento dell’attività sportiva medesima; b) nei confronti e con partecipazione di soggetti non tesserati, estranei all’ordinamento sportivo; c) non nell’espletamento della prestazione sportiva e/o nell’ambito dell’agire dei soggetti quali tesserati della reclamante.

1.1. Il motivo è infondato.

Come osserva la Procura federale, la fase prodromica dell’aggressione si è verificata presso l’impianto sportivo di Ceglie Messapica e, in particolare, nei locali adibiti a spogliatoi ovvero in spazi che si trovano nella disponibilità e nel controllo della società e nel corso di tale fase sono stati coinvolti soggetti tesserati per la medesima società.

Pertanto i comportamenti posti in essere sono riferibili, quantomeno in parte, all’attività sportiva in quanto l’aggressione è stata determinata “a seguito di una banale discussione in ordine all’uso dello spogliatoio dell’impianto sportivo di Ceglie Messapica”.

Al riguardo, è appena il caso di osservare - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte federale - che il dovere di comportarsi secondo il principio di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva, rappresenta il principale parametro di condotta per tutti coloro che, a qualsiasi titolo, siano sottoposti all’ordinamento federale. L’obbligo in esame, sebbene solitamente riconducibile al canone di lealtà sportiva (c.d. fair play), già sotto il vigore del Codice previgente ha assunto una dimensione più ampia, riferibile anche al di là della competizione sportiva e della corretta applicazione delle regole di gioco, traducendosi in una più generale regola di condotta in ambito associativo, alla cui osservanza sono tenuti tutti i soggetti comunque facenti parte dell’ordinamento federale e tale da ricomprendere in essa ogni violazione delle generali regole di correttezza e di lealtà da parte di coloro che, a qualsiasi titolo, entrino in contatto con l’ordinamento federale (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 38/2019-2020; Corte federale d’appello, SS.UU., n. 69/2021-2022).

E’ vero – secondo quanto recentemente statuito da questa Corte federale con decisione n. 98/2022-2023 – che l’art. 4, comma 1, C.G.S., nella parte in cui consente di sanzionare la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità, non può essere esteso ad ogni rapporto sociale. E ciò ancorché, de iure condendo, l’ordinamento sportivo, al fine di promuovere al massimo i suoi fini e la funzione sociale dello sport ampiamente intesa, potrebbe estendere tali principi per i soggetti dell’ordinamento sportivo oltre i rapporti riferibili all’attività sportiva, fino a ricomprendere i rapporti sociali. Con una estensione dell’ambito applicativo dei principi, peraltro, che non può essere rimessa alla singola Federazione, ma deve muovere dall’ambito esofederale e costituire una scelta dell’intero ordinamento sportivo nazionale.

Ma nel caso in esame – come si è visto - i comportamenti posti in essere sono riferibili, quantomeno in parte, all’attività sportiva.

2. Con il secondo motivo l’appellante deduce che l’aggressione si è svolta al di fuori della sfera di azione della società e di ogni ragionevole possibilità materiale di controllo dei comportamenti del tesserato e l’evento, attesa la sua abnormità, non poteva essere in qualche modo prevedibile da parte della società; con la conseguenza che l’eventuale adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo non avrebbe potuto contribuire a evitare il verificarsi dei fatti.

2.1 Pur essendo formulata in modo pregevole, anche tale doglianza è infondata.

Come è noto, fino all’entrata in vigore del Codice vigente, la responsabilità oggettiva era stata definita, a più riprese, come l’architrave della giustizia sportiva la cui caratteristica era rappresentata dal fatto che la società di calcio rispondeva disciplinarmente a prescindere dalla colpa o dal dolo. Si trattava, dunque, di una responsabilità senza colpevolezza, imputata per fatto altrui. V’era, dunque, un vero e proprio trasferimento, in capo alla società, della responsabilità soggettiva di tutte le persone che, a vario titolo, agivano nell’interesse della medesima società o comunque svolgevano attività rilevante per l’ordinamento sportivo (Corte federale d’appello, Sez. III, n. 124/2015-2016).

Vero è che nei confronti di tale forma di responsabilità furono manifestate diverse prese di posizione volte a contestarne non solo l’opportunità, ma la stessa compatibilità con i principi di civiltà giuridica e con gli stessi fondamenti dell’ordinamento comune.

Al contrario, però, si osservava che la responsabilità oggettiva trovava una valida giustificazione nell’ottica della particolare autonomia dell’ordinamento sportivo e delle sue finalità (ex multis: Corte di giustizia federale, SS.UU. n. 43/2011-2012).

Ciò nel presupposto che il più caratteristico e qualificante momento espressivo dell'autonomia regolamentare di una formazione sociale che aspiri ad avvalersi della propria prerogativa di organizzarsi come un'istituzione è rappresentato dalla individuazione, in ragione dei fini suoi propri, dei valori e dei disvalori rispettivamente da tutelare e da reprimere e dalla strumentale identificazione dei mezzi per promuovere gli uni e condannare gli altri. Tale libertà ordinamentale si risolve sia nella costituzione, in positivo ed in negativo, del telaio delle condotte meritevoli di riconoscimento che nel quomodo, ossia nei mezzi attraverso i quali, premialmente o punitivamente, inverare tale scelta pregiudiziale. E tale libertà ordinamentale punitiva si è espressa, tra l’altro, con la previsione – da parte del Legislatore federale - dell’istituto della responsabilità oggettiva (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 90/2019-2020).

Fondamentale dunque appariva il richiamo all’autonomia dell’ordinamento sportivo – com’è noto costituzionalmente garantita - e l’ammissibilità di tale forma di responsabilità veniva indicata come la misura del grado di effettivo riconoscimento della autonomia medesima.

Sotto il profilo della ratio, si sottolineava che la responsabilità oggettiva trovava la sua ragione nell’opportunità di assicurare il pacifico svolgimento dell’attività sportiva e delle competizioni agonistiche, incentivando (o meglio responsabilizzando) le società di calcio ad un controllo sui propri tesserati (ex multis: Corte federale d’appello, Sez. III, n. 124/2015-2016); ovvero nella necessità di tutelare al massimo grado il fine primario perseguito dall’organizzazione sportiva, vale a dire la regolarità delle gare, addossando anche sulle società le conseguenze disciplinari delle infrazioni realizzate dai propri tesserati (Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, lodo 26 marzo 2012, Lodo Atalanta Bergamasca e, da ultimo, Collegio di garanzia dello sport, SS.UU., n. 71/2021).

In particolare, si rilevava che la sua larga utilizzazione era correlata a necessità operative ed organizzative, trattandosi di strumento di semplificazione utile per venire a capo - in tempi celeri e compatibili con il prosieguo dell’attività sportiva e quindi con la regolarità delle competizioni e dei campionati - di situazioni di fatto che altrimenti avrebbero richiesto - anche al fine di definire le varie posizioni giuridicamente rilevanti in campo - lunghe procedure e complessi, oltre che costosi, accertamenti che l’ordinamento sportivo non poteva permettersi di lasciare impuniti o comunque privi di conseguenze sanzionatorie (ex multis: Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 43/2011-2012).

Secondo un approccio parzialmente diverso, si sottolineava che nelle fattispecie di responsabilità oggettiva l’interesse protetto era già predeterminato dal legislatore sportivo, non dovendo essere lo stesso ricercato all’interno della categoria del danno ingiusto. Del danno (prefigurato) rispondeva (per l’ordinamento sportivo) un soggetto diverso dall’autore dell’illecito (responsabilità per fatto altrui), ovvero colui che rivestiva una data qualità o esercitava un certo mestiere o attività, a prescindere dalla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa. E ciò in forza e conseguenza del principio cuius commoda eius et incommoda (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 101/2017-2018).

Parte della dottrina evidenziava che con tale forma di responsabilità non si perseguiva uno scopo punitivo, bensì il giusto equilibrio dei valori che determinano il risultato sportivo e che la sanzione disciplinare non era rivolta a colpire soggettivamente la società, ma a mutare oggettivamente una situazione di fatto verificatasi contro e nonostante le regole dell’ordinamento sportivo.

In questa prospettiva, la giurisprudenza esofederale metteva in evidenza che, nella società contemporanea, l'ordinamento sportivo ma anche quello statale - prevede casi in cui, soprattutto ove alcune attività possono determinare rischi per una collettività, determinati soggetti debbano rispondere di illeciti altrui pur in assenza di propria colpevolezza; si enfatizzava il c.d. principio di “precauzione”, in forza del quale l'esigenza di prevenire pericoli derivanti da illeciti è talmente forte che il criterio di imputazione della responsabilità, a carico della società calcistica, è talmente severo e rigoroso da consentire di irrogare sanzioni oltre e al di là di ogni individuazione di colpevolezza (e ciò, ovviamente, fatta salva la punibilità anche penale dell'autore materiale ove individuato). Il principio di precauzione era ben coerente con le finalità istituzionali perseguite dalle istituzioni e dagli altri soggetti operanti nel mondo dello sport: promuovere trasparenza, correttezza, ordine e rispetto dell'avversario in una libera competizione ove il migliore prevalga. Di conseguenza, la responsabilità oggettiva aveva un forte effetto dissuasivo, preventivo e riparatorio. Ma è anche vero che prescindeva da ogni giudizio di disvalore verso la società sanzionata. (Collegio di garanzia dello sport, SS.UU., n. 42/2015; Collegio di garanzia dello sport, SS.UU., n. 58/2015).

Tale principio di precauzione imponeva dunque l’adozione delle misure idonee, prima che a sanzionare, a prevenire la possibilità di commissione di illeciti che potessero influire negativamente sul corretto svolgimento dell’attività sportiva (ex multis: Corte federale d’appello, Sez. IV, n. 68/2019-2020).

D’altro canto, si  rilevava che tale modello era stato riconosciuto e adottato in più occasioni anche dal Tribunale arbitrale dello sport di Losanna (TAS), il quale ne aveva sottolineato, in particolare, la funzione deterrente nei confronti degli episodi di violenza commessi dai sostenitori, statuendo che «The principle of strict liability for supporters’misbehaviour is a fundamental facet of the current football regulatory framework and one of the few legal tools that football authorities have at their disposal to deter hooliganism and, more in general, supporters’improper conduct”(CAS 2015/A/3875 Football Association of Serbia (FAS) v. Union des Associations Européennes de Football (UEFA), lodo del 10 luglio 2015).

Veniva anche rilevato come tali norme rivestono natura negoziale in quanto sono il risultato dell’autonomia concessa alla Federazione, che è la stessa che viene riconosciuta a qualsiasi altro ente con personalità giuridica di diritto privato; autonomia che, comunque, era assoggettata ai limiti del giudizio di liceità e del controllo di meritevolezza e di proporzionalità come qualsiasi altro atto negoziale.

Ma è proprio tale autonomia negoziale che era idonea ad escludere l’assimilabilità degli illeciti sportivi agli illeciti amministrativi o agli illeciti penali e quindi a contraddire una risalente pronuncia di un tribunale amministrativo che aveva desunto l’illegittimità delle norme che prevedono la responsabilità oggettiva invocando il principio della personalità della pena. Laddove - era stato notato - l'art. 27 della Costituzione si riferisce alla sola responsabilità penale.

2.1.1 In realtà, talune perplessità sollevate in dottrina avevano comunque indotto la giurisprudenza a ispirarsi a criteri di proporzionalità della sanzione e pertanto, già prima del nuovo Codice - nella prospettiva della costruzione di un sistema di responsabilità dei sodalizi maggiormente conforme a giustizia e, in particolare, al principio di proporzionalità tra violazione dell’interesse e sanzione - era stato ritenuto corretto calibrare quest’ultima valutando attentamente la fattispecie posta di volta in volta all’attenzione degli organi di giustizia sportiva (Corte sportiva d’appello, Sez. II, n. 129/2017-2018).

In sostanza – come è stato riconosciuto - gli organi di giustizia della Federazione avevano già mostrato di discostarsi da un’applicazione rigida dell’istituto, in favore di una moderazione dello stesso da valutarsi caso per caso.

Inoltre la dottrina aveva sottolineato che già prima del nuovo Codice alcuni casi di responsabilità cd. oggettiva rappresentavano in realtà esempi di responsabilità presunta, in quanto l’art. 13 del precedente Codice forniva alle società calcistiche la prova liberatoria in grado di esonerarle dall’addebito o, quantomeno, la possibilità di vederne attenuata la relativa sanzione.

E dunque con il nuovo Codice del 2019 v’è stata una rimodulazione della responsabilità oggettiva, con la previsione di una “scriminante o attenuante” a favore delle società.

Orbene, dal confronto tra l’art. 4, commi 2 e 3 del precedente Codice e l’art. 6, commi 2 e 3 del Codice in vigore, emerge in primo luogo, la soppressione del termine “oggettivamente”.

Inoltre – e soprattutto -  il nuovo art. 7 del CGS, che si applica a tutte le ipotesi di cui all’art. 6, rubricato “ Scriminante o attenuante della responsabilità della società”, prevede che il giudice sportivo, al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società, valuti l’adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5, dello Statuto FIGC.

Al riguardo giova richiamare i contenuti di tale ultima disposizione statutaria: “Il Consiglio federale, sentite le Leghe interessate, emana le norme o le linee guida necessarie e vigila affinché le società che partecipano a campionati nazionali adottino modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire il compimento di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto. I predetti modelli, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca, devono prevedere: a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento.”

E in attuazione di tale disposizione, il Consiglio federale ha approvato le relative linee guida (C.U. n. 131/L del 4 ottobre 2019), dettando una serie di principi ai quali le società devono attenersi nell’adozione di c.d. “Modelli di prevenzione”.

Il rispetto delle linee guida consente, dunque, di accertare un’assenza di colpa in capo alle società.

Queste ultime dovranno, dunque, provare di aver attivato ed effettivamente, correttamente ed appropriatamente utilizzato un modello organizzativo ed un organismo di vigilanza, controllo e prevenzione tali da consentire, da un esame concreto della fattispecie, un esimente o attenuazione di responsabilità.

Si tratta di un modello di responsabilità (che ha riscontri anche nell’ordinamento civile ex artt. 2047 e 2048 c.c. al pari della responsabilità della PA per atto illegittimo) in cui si presume la sussistenza dell’elemento soggettivo fino a prova contraria fornita dalla società.

Si verifica, quindi, un’inversione dell’onere della prova, atteso che non è l’organo inquirente a dover provare la colpa della società, ma è quest’ultima che, per andare esente da responsabilità, deve provare l’assenza di colpa (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 58/2021-2022; Corte federale d’appello, n.  77/2021-2022; Corte federale d’appello, Sez. III, n. 82/2021-2022; Corte federale d’appello, SS.UU. n. 91/2022-2023).

Si nota, quindi, come il nuovo codice evidenzia una transizione del legislatore sportivo dalle ipotesi di responsabilità senza colpa a forme di responsabilità per colpa presunta (o aggravata), tendente ad eliminare o, quantomeno, attenuare il carattere direttamente ‘oggettivo’ per l’attribuzione della responsabilità delle società.

Ampliando il raggio d’azione del previgente art. 13, comma 1, lett. a), C.G.S., si attribuisce al giudice sportivo la potestà di «escludere o attenuare» l’addebito disciplinare riferito alle società incolpate che, comunque, si siano dotate di un assetto organizzativo interno adeguato a prevenire il rischio di illeciti, a meno che non sia provato il contrario.

In dottrina si è correttamente evidenziato che tale scelta ricalca quanto avviene nell’ambito della responsabilità amministrativa delle società e degli enti, là dove l’adozione di modelli organizzativi atti a prevenire illeciti-presupposto (rectius, reati-presupposto) della specie di quello poi verificatosi, può essere impiegato per escludere o limitare la responsabilità delle figure apicali o delle persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza (artt. 6 e 7, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) (Corte sportiva d’appello, Sez. III, n. 144/20202021).

Viene quindi a delinearsi un sistema basato su una forma di attribuzione della responsabilità meno rigida, ancorata alla c.d. “colpa organizzativa”.

Il modello, sottoposto al vaglio del giudice, dovrà essere esaminato da quest’ultimo al fine di verificare se vi sia stata un’incapacità della società nel prevenire l’illecito che si è verificato.

L’accertamento circa un eventuale deficit organizzativo rispetto ad un “modello di diligenza esigibile” configurerà quella rimproverabilità posta a fondamento della fattispecie sanzionatoria.

La mancata adozione del modello organizzativo da parte della società, qualifica dunque la sua responsabilità quale oggettiva in senso stretto, mentre, là dove viene adottato, se ne verifica un suo affievolimento, demandandosi agli organi di giustizia sportiva la verifica in concreto se il modello adottato e le relative cautele prese possano costituire un esimente o un’attenuazione della responsabilità ex art. 7 CGS.

Ove tale accertamento risulti negativo, riespande anche in tal caso la responsabilità di tipo oggettivo (Corte federale d’appello, SS.UU., n. 58/2021-2022; Corte federale d’appello, n. 77/2021-2022; Corte federale d’appello, Sez. III, n. 82/2021-2022).

2.2 Orbene, venendo al caso sottoposto al Collegio, la Società ricorrente non ha adottato alcun modello di organizzazione, gestione e controllo (cd. modello di prevenzione) diretto a contrastare le condotte illecite individuate dal Codice di giustizia sportiva.

Laddove – come detto - soltanto dopo l’allegazione e prova del modello organizzativo da parte della società il giudice può valutare l’adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5, dello Statuto FIGC.

In mancanza di adozione, quindi, non si può ritenere superata la presunzione di colpa e riespande la responsabilità di tipo oggettivo (Corte federale d’appello, Sez. I, n. 80/2022-2023).

3. Per analoghe ragioni deve essere respinta anche la terza doglianza, in quanto anche il potere di graduazione della pena – nel nuovo assetto di responsabilità delineato dal Codice di giustizia sportiva del 2019 – presuppone, in ogni caso, l’adozione del cd. modello di prevenzione che, nella specie, non è intervenuta.

Ciò che si evince chiaramente dalla lettera dell’art. 7 del Codice, rubricato “Scriminante o attenuante della responsabilità della società” (“Al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società di cui all'art. 6, così come anche prevista e richiamata nel Codice, il giudice valuta la adozione, l'idoneità, l'efficacia e l'effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all'art. 7, comma 5 dello Statuto”).

Il reclamo, pertanto, deve essere respinto.

P.Q.M.

Respinge il reclamo in epigrafe.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

IL PRESIDENTE ED ESTENSORE

      Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

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