CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Consultiva – coni.it – atto non ufficiale – Parere n. 2/2023 – Richiesta: Federazione Italiana Scherma

 

Parere n. 2

  Anno 2023

   

IL COLLEGIO DI GARANZIA SEZIONE CONSULTIVA

  Composta da Virginia Zambrano – Presidente e Relatore Barbara Agostinis Pierpaolo Bagnasco Amelia Falcone Cesare San Mauro - Componenti Ha pronunciato il seguente

PARERE N. 2/2023

  Su richiesta di parere iscritta al R.G. pareri n. 4/2022, presentata, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, dell’art. art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva e dell’art. 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, prot. n. 0002813/2022 dell’8 aprile 2022.  

LA SEZIONE

  Visto il decreto di nomina del Presidente del Collegio di Garanzia, prot. n. 00165/2022 del 16 febbraio 2022; vista la richiesta di parere n. 4/2022, presentata, in data 8 aprile 2022, ai sensi dell’art. 12 bis, comma 5, dello Statuto del CONI, e dell’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva,
dal Segretario Generale del CONI, dott. Carlo Mornati, in seguito alla richiesta formulata dalla Federazione Italiana Scherma (prot. FIS/P/2022/001420 dell’11 marzo 2022); visto l’art. 56, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva, in base al quale alla Sezione Consultiva spetta, tra l’altro, l’adozione di pareri su richiesta del CONI; visti gli articoli 2 e 3 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport; visto, in particolare, l’art. 3, commi 2-4, del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, che definisce la competenza della Sezione Consultiva dell’organo de quo; visto lo Statuto del CONI; vista la deliberazione del Consiglio Nazionale n. 1708 del 9 marzo 2022, con la quale sono stati emanati, da ultimo, i Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate; esaminati gli atti e udito il Relatore, prof. avv. Virginia Zambrano, ha rilasciato il seguente parere.  

Premesse in fatto

Il quesito presentato dalla Federazione Italiana Scherma (d’ora in poi FIS) nasce dalla esigenza di chiarire la posizione del socio minorenne all’interno della ASD specie in relazione all’esercizio del diritto di voto. Tale esclusione, alla luce di quanto previsto dalla lettera c), comma 8, dell'art. 148 TUIR e dall’art. 5 dei Principi Fondamentali del CONI per gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, è ampiamente diffusa negli statuti societari. Essa si presenta in contrasto sia con quanto stabilito nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/2028, che, in tal senso, si allinea a Cass. 23228/2017, ritenendo – a salvaguardia del principio di democraticità – giuridicamente non corretta l’esclusione dei minori “posto che essi sono rappresentati ex lege dai genitori ovvero dal responsabile genitoriale", sia con la nota del Ministero del Lavoro n. 1309 del 6 febbraio 2019.

Di qui la richiesta di parere, in considerazione “delle possibili gravi conseguenze in caso di contestazioni sul tema in questione alle ASD da parte dell'Agenzia delle Entrate, tenendo anche presente l'impatto, in caso di estensione del diritto di voto al minorenni sugli statuti e i regolamenti federali”.

 

Diritto

  La corretta impostazione della questione passa attraverso l’analisi di alcuni profili che hanno animato il dibattito dottrinale in tema di capacità del minore, nonché sull’eventuale riconoscimento del diritto di voto di tutti gli associati nelle ASD, in applicazione dei principi di democraticità, pari opportunità e uguaglianza. Minore età e capacità di discernimento – Come noto, in tema di capacità, il sistema delineato dal legislatore del '42 distingue fra la nascita – evento che attribuisce la mera titolarità di diritti e doveri – e il compimento della maggiore età, che a quella condizione di astratta titolarità sostituisce l’idoneità all’esercizio di tali diritti attraverso il compimento di atti giuridici. In tal senso, univoco è il disposto degli artt. 1 e 2 c.c., i quali, appunto, siffatta dissociazione rappresentano. La capacità di compiere atti giuridici appare, qui, ancorata ad un mero criterio temporale, ossia il raggiungimento di una soglia d'età prefissata dal legislatore. Nel sistema delineato dal Codice l’acquisto della capacità di agire appare, cioè, completamente svincolato da una concreta indagine circa l'effettiva maturazione del soggetto minore. L’acquisto della capacità di agire si regge su un “meccanismo” presuntivo, che fa di un criterio temporale (il compimento del 18° anno di età) il momento a partire dal quale si determina il passaggio da una situazione di mera titolarità di diritti ad una in cui gli stessi sono suscettibili di concreto esercizio. Lo schema seguito è, in tal senso, abbastanza semplice: alla capacità giuridica riconosciuta a tutti, segue la capacità di agire, in corrispondenza di una età che fa presumere il conseguimento di una presunta maturità.  Nell’att r ibuzione  o  m eno  di  un  dir it t o,  il  r if er im ent o  all’età, quale presupposto  pr incipale della  capacità  di agir e, applica , insomma, a tutti i soggetti, per esigenze di certezza, un unico t erm ine, soppr im endo  qualsiasi consider azione sogget t iva.  La ratio di questa costruzione è agevole da intendere. Aleggia, al fondo, l’esigenza di protezione del soggetto incapace minore di età, in una prospettiva attenta al profilo patrimoniale e quindi animata dal timore che – seppur dotato della sola capacità di intendere e di volere – il minore possa compiere atti pregiudizievoli al proprio patrimonio. In omaggio ad una superata tradizione scientifica, la fissazione di un termine unico per  l’acquisto della maggiore età risponde alla esigenza di evitare che una verifica caso per caso della capacità del minore possa essere di intralcio al traffico giuridico. Come è agevole intendere, la dimensione da cui parte la visione del legislatore del ’42 è espressione di un’ottica prettamente economicistica e in questo senso muove la previsione di strumenti di assistenza o di sostituzione del soggetto incapace - sia esso minore o malato di mente (rappresentanza dei genitori, tutela, curatela, amministrazione di sostegno) - volti ovviamente ad impedire il compimento di atti pregiudizievoli. Stimolata dalle riflessioni di attenta dottrina sensibile ai richiami che vengono da una lettura congiunta degli artt. 2 e 3 Cost. a questa dimensione statica della soggettività, si è andata progressivamente affiancando una lettura volta a mettere in rilevanza l’insufficienza di una regola rigida che fissi ad una età predefinita (e uguale per tutti) il momento a partire dal quale riconoscere l’esercizio anche di quelle situazioni giuridiche le quali, per essere strettamente connesse alla persona, possono definirsi “esistenziali”. Per queste, infatti, quella scissione fra titolarità ed esercizio della situazione soggettiva – di cui si è discorso in rapporto alle situazioni soggettive patrimoniali – perde la sua forza perché, in questi casi, “titolarità e realizzazione coincidono con l'esistenza stessa del riconoscimento  del valore delle situazioni soggettive” (P. Perlingieri e Aa.Vv., Manuale di diritto civile, Napoli, 2017, p. 136 ss.). Nel caso del minore, l’approdo alla capacità di discernimento segna così il netto superamento della contrapposizione capacità giuridica- capacità di agire (Ruscello, 193) ed esprime la tendenza dell’ordinamento alla rivalutazione dei diritti inviolabili dell’uomo; diritti il cui riconoscimento non può non accompagnarsi – in omaggio al principio di effettività di cui all’art. 3, comma 2, Cost. - al loro concreto esercizio.
Il tutto, ovviamente, alla luce di un doppio limite rappresentato, per un verso, dal benessere del  m inor e   e,   per   l’alt r o,   dai   conf ini   der ivant i   dalla   r esponsabilit à   genit oriale  (L.  Santoro,  Il Tesseramento, passim).

Ne consegue che il riconoscimento del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non può andare disgiunto dalla possibilità, anche per il minore, di iscriversi ad una determinata associazione, nonché di prendere parte alla vita della stessa, sia pur nel rispetto di quel doppio limite di cui si è discorso.

Fa da sfondo a questo processo di progressivo riconoscimento della autonoma posizione del minore la consapevolezza che il minore non è mero destinatario di protezione, ma “soggetto” cui è attribuito il diritto di esprimere liberamente la sua opinione. Il riconoscimento di diritti partecipativi (cfr., art. 12 Convenzione ONU) trova d’altro canto conferma in un ordito normativo – cfr. ad es., l’art. 155- sexies c.c., l. 54/2006 (poi abrogato dal D. lgs. 154/2013); l. 219/2012 – che rivaluta la volontà del minore. Questi, ad es., può promuovere l’azione di disconoscimento della paternità (art. 244 c.c.); far ricorso all’interruzione della gravidanza (art. 12 l. 194/1978); scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (l. 281/1986); o se sottoporsi o meno ad un programma terapeutico e socio - riabilitativo (DPR 9 ottobre 1990, n. 309, aggiornato al D.M. Salute 23 febbraio 2022). In altri termini, almeno per le situazioni esistenziali, l’allentamento della rigida distinzione fra capacità giuridica e capacità di agire rinvigorisce l’idea di un minore protagonista delle scelte che lo riguardano e impone un suo progressivo coinvolgimento (scelte relative ad amicizie, scuola, sport, etc., P. Stanzione, Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, p. 446 ss., spec. pp. 464- 465).
Ma v’è più, giacché, in questo contesto a cambiare è la stessa rappresentazione del gruppo familiare, il quale, abbandonate le categorie della “potestà” e della “soggezione”, apre alla dimensione relazionale del rapporto giuridico. Il fare genitoriale si traduce, cioè, in un atteggiamento di “accoglienza” (M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, IX ed., Milano, 2021,
  1. e, alla luce dei principi costituzionali, chiede una condotta responsabile orientata a favorire lo sviluppo della personalità del minore.
Di  questa  dimensione  relazionale  è  segno  evidente  in  quel  richiamo  alla  responsabilità    genit oriale  di  cui  all’art .  16  D. lgs.  36/ 2021.  Per  il  legislator e,  l’ingr esso  del  m inor e nel m ondo dello sport non può andare disgiunto da una valutazione delle sue inclinazioni naturali, laddove obiettivo evidente è, in uno con la rivalutazione della posizione del  minore, incidere sulla dimensione impositiva della pratica sportiva da parte dei genitori. Il legislatore della riforma, in altri termini, prende atto degli intervenuti mutamenti in tema di diritto di famiglia e non esita a ribaltare uno schema normativo governato dal vecchio concetto di potestà genitoriale.  L’acquisit a  consapevolezza  di  quella  cr escent e  aut onomia  decisionale  del  m inor e,  il  r ichiam o  alla sua capacità di discernimento, si riflette così nella previsione della necessaria richiesta di  un “ assenso” al t esser ament o, allorché abbia compiuto 12 anni ( art. 16, comma 2). Certo, anche in precedenza, il riconoscimento di una capacità anticipata del minore  sembrava talvolta trasparire da un ordito normativo che, ad es., riconosceva la possibilità per atleti che avessero compiuto il 16° anno di età di stipulare contratti per prestazioni dilettantistiche (Reg. organico FIGH, art. 31). Nello spirito della riforma è allora anche l’esigenza di superare quella sostanziale disorganicità di approcci che si rinviene in tema di tesseramento dei minori nei regolamenti delle varie Federazioni1. L’adeguam ent o  delle  Norm e  O r ganizzat ive  I nt er ne  della  F.I. G. C.  ( N.O. I. F.)
 al Decret o Legislativo n. 36/ 2021 è, in  quest o  senso,  la  r ispost a  imm ediata   all’invit o del legislatore nazionale di tener conto, in relazione al minore, del mutato contesto di riferimento,  sebbene l’art . 39, comma 2, nello st abilir e la sottoscrizione, “ nel caso di minori, dall'esercente la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata annuale e da entrambi gli esercenti la  r esponsabilit à genit or iale se il t esser ament o ha dur ata pluriennale”, f a dipendere da  un r equisit o temporale la natura del tesseramento, sì da ridare linfa al dibattito fra atti  di ordinaria e straordinaria amministrazione, che il legislatore della riforma pur ha inteso superare, stabilendo  che la r ichiesta “ può essere com piuta disgiunt am ent e  da  ciascun  genitore  nel  r ispett o  della  r esponsabilit à genit or iale” salvo, in caso  di  dissenso,  il  r icor so  all’art .  316  c. c.,  ovver o al l’art. 337-bis ss. c.c. Con il che, mut ato quel l o che v’è da mut are, non  può sf uggir e l a t endenza a rivalutare, in chiave partecipativa, la posizione del minore. Il tesseramento del minore e i diritti e obblighi che ne derivano - La dialettica oppositiva fra situazioni soggettive patrimoniali e situazioni soggettive esistenziali non ha mancato di investire l’ordinamento sportivo e, anzi, ha segnato le coordinate del dibattito in tema di tesseramento, alla luce della non agevole distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Con  il t esser am ent o si r ealizza l’ingr esso del soggett o nel m ondo spor t ivo ist it uzionalizzato;  un  mondo nel quale la programm azione dell’att ivit à conduce inevit abilm ent e ad una r iduzione degli  spazi r im essi all’aut onom ia. La nascita di questo “rapporto” assume un particolare  rilievo allorché investe la persona del minore in considerazione degli obblighi che ne discendono. Se è vero che l’esercizio dell’attività sportiva è funzionale allo sviluppo fisio-psichico del minore e che questi ha diritto al gioco, ad una corretta formazione sportiva, ad essere allenato da persone competenti, a partecipare a gare che a lui sono adatte, ad essere trattato con dignità, etc.2, è anche vero che tutto ciò si scontra con evidenti esigenze economiche ed organizzative della società/associazione. Di qui il consolidar si di   un’applicazione  r igor osa  della  r egola  che  al  r aggiungim ent o della maggiore età  collega  l’eser cizio  del  dir it t o  di  vot o  ( così  anche l’art. 63 Statuto Federscherma); limite inteso in maniera così rigida da non dare spazio al fatto che il potere rappresentativo riconosciuto ai genitori discende direttamente dal rapporto di filiazione e  sott ende un’ist anza di tutela non solo del m inor e,  m a  anche  dei  t erzi.  Almeno  prima della riforma, l’onerosità degli obblighi derivanti dal “vincolo sportivo” aveva portato non poca linfa
vitale al dibattito dottrinale che accompagna la distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, complice la non tassatività di quell’elenco di cui al comma 3 dell’art. 320 c.c., nonché la mancanza di chiare indicazioni volte a distinguere la tipologia di atti in esame. Per la dottrina civilistica, il punto di caduta del discorso segue (come noto) la distinzione fra atti che hanno finalità conservative o migliorative del patrimonio (A. Albanese, Gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione (e l’annullabilità del contratto non autorizzato), in Contratto e impresa, 2008, fasc. 4-5- pag. 1141 – 1167) e atti che, invece, mettono in discussione il mutamento dell’essenza economica o della situazione giuridica dello stesso ovvero, come altri ritiene superando la distinzione fra rendite e capitali, la idoneità dell’atto ad incidere negativamente sul patrimonio (D’Orazi, Gli atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoja, III, Bologna, 1953, pp. 351 ss.)3. Obiettivo della norma è perimetrare, insomma, gli atti che possono essere compiuti disgiuntamente dai genitori rispetto a quelli che invece debbono essere necessariamente compiuti con il consenso di entrambi e salva l’autorizzazione del giudice tutelare (art. 320, comma 3, c.c.). Ma, come è agevole constatare, la distinzione attinge a situazioni patrimoniali e tutto il dibattito che ne consegue è chiaramente influenzato da tale prospettiva. Nel caso del tesseramento, l’esigenza di attenuare la compressione di diritti derivanti dal vincolo sportivo ha così indotto taluni a considerarlo atto eccedente l’ordinaria amministrazione (G. Martinelli, M. Rogolino, Il minore nello sport: problemi di rappresentanza e di amministrazione, in Riv.dir.sportivo, 1997, p. 690 ss.). Laddove, proprio privilegiando il rilievo della progressiva autonomia decisionale del minore, è parso conseguenziale ritenere che si tratti di atto che il minore può ben compiere da solo, precisandosi, semmai, che la distinzione fra ordinaria e straordinaria amministrazione debba riempirsi di contenuti in relazione “all’intensità degli effetti” che tali atti producono sul patrimonio del minore (L. Santoro, Il tesseramento minorile, in Rivista della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Palermo, 2008, vol. I, fasc.2, sez. 1, p. 53 ss.)4. Il superamento della distinzione fra capacità giuridica e di agire porterebbe insomma con sé il riconoscimento che l’atto di tesseramento del minore debba ritenersi legittimo ove si accerti il possesso, in capo al minore, della necessaria maturità fisio-psichica (L. Santoro, Il tesseramento minorile, cit., p. 63 ss.). Orbene, in relazione al tesseramento, il principale
 problema sollevat o  dall’art.  320  c. c.  r isiede  pr oprio  nella  cr eazione  di  un  r apport o  che  ( pur  superat a con la  r if orm a  la  vecchia  dim ensione  del  vincolo  spor t ivo)  com unque  proiett a l’atlet a, qui il minore, in una dimensione contrattuale in cui un ruolo centrale  assume la volontà del  singolo al  compim ent o  dell’att o.   Il legislatore della riforma sembra cogliere questo non semplice atteggiarsi del profilo volontaristico nella fase  del  tesseramento. Siffatta  consapevolezza, a dispetto  delle considerazioni in tema di scelte esistenziali e diritti costituzionalmente garantiti, trova infatti respiro in un linguaggio normativo che rivaluta, in chiave partecipativa, la posizione del minore che abbia compiuto i 12 anni. Non a caso, il legislatore discorre di “necessario assenso” alla richiesta di tesseramento. Ma, assenso e consenso non sono la stessa cosa. Certo l’assenso presuppone pur sempre la sua capacità di discernimento. A ben vedere esso, però, si sostanzia in un mero atto di partecipazione che sottende la mancanza di obiezioni circa l’agire in un determinato modo. Non è altro, l’assenso, che un concordare con quanto da altri disposto5. A differenza del consenso che crea il vincolo, l’assenso si segnala dunque per una dimensione diversa e meramente partecipativa, ad un “procedimento” da altri intrapreso; un procedimento che, nella specie, solo il veto del minore, recte la sua opposizione, può mettere nel nulla. Il vincolo contrattuale del tesseramento continua così a costruirsi in virtù di un consenso che il genitore manifesta, ma la cui validità è subordinata al mancato esercizio di quella facoltà di “opt out” che la legge riconosce al minore ultradodicenne. Il sistema, così, valorizza la funzione educativa del genitore nella costruzione della personalità del soggetto e, senza mortificare la libertà decisionale del minore, sembra apprestare un regime intermedio tra rappresentanza e autonomia. La dimensione in cui si muove il legislatore, in considerazione del ruolo dello sport per lo sviluppo della personalità del minore e di quella responsabilità genitoriale dei cui contenuti si è detto, è nondimeno quella degli atti di ordinaria amministrazione, rinviando alle dinamiche di cui agli artt. 316 e 337 bis c.c. la soluzione di eventuali conflitti fra genitori.  Laddove,  per  il minore infradodicenne,  la  riespansione  del  profilo  rappresentativo  non  lascia  alcun  margine all’autonomia o alla sua volontà. E, tuttavia, che l’idea di obblighi e doveri particolarmente onerosi scaturenti dal tesseramento possano incidere profondamente sui vari aspetti della vita del minore non abbandona del tutto il campo, come dimostra la soluzione di cui all’art. 39, comma 2, NOIF, che, per il tesseramento di durata biennale, riapre agli atti eccedenti la ordinaria amministrazione.
Il dibattito sulla autonomia decisionale del minore e sul superamento della distinzione fra capacità giuridica e di agire è funzionale alla definizione del parere de quo. Il voto ai minori nelle ASD Sollevata dalla approvazione dei rendiconti economici, specie per quelle associazioni il cui corpo sociale è formato in gran parte da minori, la questione del riconoscimento del voto ai minori è attraversata dalla distinzione titolarità/esercizio delle situazioni soggettive. L’interessante dibattito che ne discende è stato, da ultimo, caratterizzato da un singolare rincorrersi di jurisdictio e legislatio, favorito dall’emanazione – come noto – di una circolare dell’Agenzia delle Entrate e da tutta una serie di decisioni, anche ad opera di diverse Commissioni tributarie, che hanno contribuito ad alimentare non pochi dubbi6. La discussione poggia, qui, su un tessuto normativo che, valorizzando una vecchia tradizione giuridica, segna il costante ed invariabile richiamo alla capacità di agire quale momento a partire dal quale il socio può far valere i propri diritti di partecipazione. Estraneo allo schema normativo  off er t o è  un qualsivoglia  r idim ensionament o  del  pr ofilo dell’incapacit à  del  m inor e  che  lo proiett i  in una dim ensione di r ivalutazione della sua aut onomia decisionale. A f ondament o  dell’accolt a soluzione non è solo la necessità di evitare che il minore possa assumere  obbligazioni particolarmente gravose rispetto alle sue possibilità, in considerazione delle  competenze assem blear i, m a anche la necessit à di non arr ecare pr egiudizio allo svolgim ent o  dell’att ivit à  sociale. Il riferimento alla maggiore età appare così apoditticamente richiamato negli statuti delle varie strutture organizzative dello sport (ASD, DSA e EPS) che, sul punto, si allineano a quanto disposto dall’art. 5 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate, a norma del quale “Gli atleti ed i tecnici maggiorenni, regolarmente tesserati ed in attività hanno diritto a voto nelle assemblee di categoria”7. E già qui, ai fini del discorso che ci occupa, una prima notazione si impone.
Appare, infatti, scorretto e prodotto di una interpretazione meramente letterale far dipendere dalla previsione di cui all’art. 5.1.4 Principi Fondamentali degli Statuti delle FSN e DSA la regola  gener ale su cui poggerebbe l’esclusione del m in ore di età. I l r if er im ent o alla  m aggiore età  lì  previsto deve, invero, essere correttamente inteso giacché esso sembra operare, più che come limite, come una sorta di requisito minimo che, per un verso, non  esclude  l’adozione  di  alt r e  soluzioni e, per l’alt r o,  intende  unicamente dire che per votare è necessaria la maggiore età. Il legislatore dei Principi Fondamentali degli Statuti delle FSN e DSA, in altri termini,  soltanto chiede che, tenuto appunto conto delle competenze assembleari, le decisioni siano assunte da un soggett o che abbia la m aggiore età ( sia esso l’atlet a o chi lo   rappresenta) . Lo dice chiaramente nel momento in cui stabilisce che il voto può essere esercitato unicamente da chi ha la maggiore età. Sullo sfondo, ed è aspetto su cui il  legislatore sportivo non interviene espressamente, ma che alla luce dei principi generali non può disconoscersi, è la configurabilità, per un verso, di un mero diritto di partecipazione  senza voto del minore, quale diritto che discende dallo status di associato che  si acquist a  con l’att o  di t esser am ento e, per l’alt r o, della possibilità di  intervento  con  voto  da  parte di chi esercita la responsabilità genitoriale. Precisazione questa che, dunque,  inevitabilmente ridimensiona quella lettura che vorrebbe individuare nei suddetti principi la fonte della applicazione rigorosa della regola della maggiore età. Obiettivo dei Principi Fondamentali degli Statuti delle FSN e DSA, infatti, è solo quello di fissare le coordinate - i principi appunto - entro i quali deve esercitarsi il potere normativo degli enti sportivi. E qui, quello che si vuole è solo che decisioni importanti per la vita sociale (e per il tesserato)  siano  prese  da  chi  ha  la  capacità  di  rendersi  conto  del  tenore  di  decisioni  pot enzialm ent e in gr ado di incider e non solo sull a vit a dell’ent e, m a  anche  sulla  propria  sf er a  personale e patrimoniale. Ciò posto, occorre considerare che il tesseramento è l’atto con il quale il minore, a mezzo del genitore, “conclude” il contratto associativo. Che – alla luce delle considerazioni svolte – si tratti di attività di ordinaria amministrazione non pare sia revocabile in dubbio e ne è prova (con i limiti di cui si è detto) la conclusione cui giunge lo stesso legislatore della riforma, allorché stabilisce che la richiesta può essere avanzata disgiuntamente dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale. Orbene, a prescindere dal momento “costitutivo” del rapporto, non v’è dubbio che il tesseramento determini la nascita di una serie di diritti espressione dello status di associato. L’ingresso del minore in una associazione porta, cioè, con sé il riconoscimento della titolarità di una serie di diritti, fra cui sicuramente il diritto di fruire di tutte le attività e le iniziative sportive. In questo senso, univoca indicazione si ricava dall’art. 15, D.lgs. 36/2021, che nel tesseramento vede l’atto con il quale “l’atleta instaura un rapporto associativo con la propria associazione o società sportiva o, nei casi ammessi, con la Federazione Sportiva Nazionale o Disciplina Sportiva Associata”, così risolvendo la questione della distinzione fra tesserato e associato. Orbene, sulla scorta delle osservazioni che precedono, non pare revocabile in dubbio l’ i nesist enza di motivi ragionevoli per escludere la partecipazione del minore alle assemblee. L’unica valida obiezione a siffatta partecipazione potrebbe ravvisarsi nell’età  del tesserato atteso che, talvolta, il tesseramento coinvolge effettivamente atleti molto giovani (è il caso della previsione di cui all’art. 8.11 Statuto FGI, che ammette al tesseramento già a partire dai 3 anni). In queste ipotesi, fermo il riconoscimento dell’astratto diritto di partecipazione, appare evidente come per il suo concreto esercizio occorra far riferimento al genitore esercente la responsabilità genitoriale. Soluzione, questa, che, tuttavia, se si considera la fascia di età che va dai 12 ai 18 anni, mal si adatta al c.d. “grande minore”. Lo riconosce, in fondo, lo stesso legislatore della riforma, che,  consapevole della  inadeguatezza di un qualsiasi confine temporale volto a segnare l’acquisto della capacità, avverte pur sempre la necessità di individuare il momento a partire dal quale il minore è presuntivamente ritenuto in grado di esprimere la propria opinione. E, nel farlo, sembra allinearsi alle previsioni del legislatore nazionale che, nel codice civile e nella legislazione ordinaria, si muove nella direzione di un sempre maggiore coinvolgimento del minore8. Di  qui  la  ir r agionevolezza  di  qualsiasi  r egola  volt a  ad  escludere  per  il  c. d.  “ grande m inor e” il dir itt o a m anifestar e le pr opr ie opinioni, a esprimer si  sulla  vita   associativa,  sulla  f r uibilit à dei ser vizi, sulle m odalit à e carat teristiche dell’organizzazi one, tenuto conto ovviamente  dell’utenza e delle decisioni  da  assum ere.
Esercizio del diritto di voto e principio di democraticità - Inevitabilmente più complesso il discorso sull’esercizio del diritto di voto. Con il voto l’associato tutela i propri interessi ed è, altresì, in grado di effettuare scelte che condizionano la vita dell’ente. Del tutto conseguenziale, dunque, ritenere che possa esercitare il diritto di voto esclusivamente il socio maggiore di età.
Su queste premesse, si può comprendere perché la gestione del socio minorenne in tema di elettorato attivo e passivo sia rimasta confinata ad una rigida applicazione della regola che, al conseguimento della maggiore età, attribuisce l’elettorato attivo. Dal canto suo, un legislatore statale particolarmente interessato, per un verso, ad agevolare e promuovere l’attività sportiva e, per l’altro, a perimetrare, dal punto di vista fiscale, lo spazio operativo entro cui possono muoversi associazioni e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, ha individuato nei principi di democraticità, pari opportunità e uguaglianza di tutti gli associati, nonché elettività delle cariche sociali, le condizioni per godere di taluni benefici. Indice sintomatico di democraticità è l’esistenza di una struttura che consenta la partecipazione attiva ed effettiva degli associati alla vita dell’ente, e cioè che assicuri loro il concorso effettivo al governo dell’associazione e all’elezione delle carche sociali9. Laddove chiaro è lo scopo: evitare che poche persone assumano il controllo dell’ente e ne traggano personale vantaggio. E qui il punto di frizione con la regola che prevede il diritto di voto per gli associati o partecipanti “maggiori d'età” è evidente (art. 148, comma 8, lett. c), TUIR. Nelle associazioni che presentano un numero elevato di minori tesserati la rigorosa applicazione della regola che lega l’esercizio del diritto di voto alla maggiore età mette in discussione quella dimensione partecipativa di cui si è detto, rischiando di affidare lo svolgimento della vita associativa alle stesse, poche persone. In questi casi non v’è chi non veda come quel principio di democraticità dell'amministrazione e gestione di tutti gli enti associativi, sul quale sia l'art. 90 legge 289/2002 che l'art. 7 D.lgs. 36/2021 di Riforma dello Sport, ma anche il D.lgs. 117/2017 di Riforma del Terzo Settore pongono fondamentale attenzione, subisca un pericoloso cedimento10; immediatamente rilevato dall’amministrazione finanziaria che già nella Circolare n. 18/2018 vi coglie un indizio di attività commerciale mascherata da associazione.
Ma il dato normativo, e le letture che ne sono state offerte, fa emergere un panorama tutt’altro che coerente, e non privo di interne contraddizioni. Vero è, infatti, che l’art. 148, comma 8, lett. c), TUIR, espressamente prevede il voto in assemblea per i maggiori di età. Del pari indubbio che siffatta precisazione non compare nel Codice del Terzo Settore, il quale, nel definire associati tutti coloro che aderiscono all’ente associativo, non introduce alcun limite di età per quanto riguarda la partecipazione in assemblea e l’esercizio del diritto di voto (art. 24). Dal canto suo, stimolata dalle conclusioni della Circolare Ag. Entrate n. 18/2018, una giurisprudenza sensibile al rispetto del momento partecipativo ha evidenziato l’illegittimità della “disapplicazione di fatto delle norme statutarie inerenti l’esercizio dei diritti partecipativi degli associati, non essendo giuridicamente corretto ravvisarne un’eccezione nella circostanza che si trattasse di persone minori, posto che essi sono rappresentati ex lege dai genitori ovvero dal responsabile genitoriale” (Cassazione civile, Sez. VI – ord. 4 ottobre 2017, n. 23228). Posizione, a sua volta, prontamente valorizzata dal Ministero del Lavoro che, in due note, ha sottolineato l’irragionevolezza della previsione che esclude i minori dall’elettorato attivo per violazione, ora, del principio di parità di trattamento (nota 1309/2019)11, ora dei diritti connessi allo “status” di socio (nota 18244/2021). Di qui il contrasto con quella regola che lega alla maggiore età l’esercizio del diritto di voto e che sembra ispirare la disciplina dell’elettorato attivo all’interno dell’ordinamento sportivo. A ben vedere, tuttavia, l’irriducibilità dell’antinomia fra il principio restrittivo di cui all’art. 148, comma 8, lett. c), TUIR e le diverse letture offerte in chiave partecipativa è solo apparente e non deve essere esasperata, trovando sul piano interpretativo la sua più chiara composizione. La norma, infatti, non è il risultato di una mera lettura della proposizione linguistica. L’enunciato normativo è il prodotto di un rapporto, articolato e complesso, fra norme, fra norme e sistema, fra norme e principi generali, nel tentativo di individuare quale lettura sia più adeguata a sorreggere le scelte predeterminate – espresse in regole e principi convenzionali – compiute dal legislatore. In discussione non è mai una meccanica applicazione delle norme, ma, piuttosto, una interpretazione delle stesse vincolata alle scelte e ai valori di un ordinamento che si configura come un sistema aperto ed in continuo divenire. Sulla scorta di quanto argomentato, il limite derivante dal riferimento alla maggiore età, che com par e  sia  nella  previsione  di  cui  all’art . 5.1.4 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle  FSN  e  DSA,  sia  nell’art.  148,  com m a 8, let t.  c) ,  TUIR, non deve allora essere esasperato. Una lettura più attenta e meditata della norma di riferimento chiarisce e conferma che il legislatore ha unicamente voluto individuare nel soggetto maggiore di età colui che è legittimato ad esprimere il voto.  Ma ciò posto, in entrambe le previsioni normative, il richiamo alla maggiore età si atteggia esclusivamente come un vero e
 proprio r equisit o  m inim o  che  non  soppr im e  l’eser cizio  del  dir it t o  di  voto  da  part e del genitore esercente la responsabilità genitoriale. Prova ne è, infatti, che nessuna espressa esclusione è  in  t al  senso  pr evist a.  Per  cont r o,  dall’im post azione  sist em atica  che  qui  si  è  inteso pr ivilegiare  (al netto di ogni riflessione sul pur condivisibile principio del riconoscimento della progressiva  aut onomia del c. d. “ gr ande m inor e” , che suggerirebbe quanto meno di prevedere il suo ascolto) discende piuttosto, in  uno  con  la  necessità  di  rispettare  i  principi  di  democraticità, pari opportunità e uguaglianza di tutti  gli  associati  ed  elettività  delle  cariche  sociali,  che,  nell’associazione, il genit ore adempie ad  una  f unzione  sostituiva  ( art .  320  c. c. ),  agendo  quale  rappresentante del figlio e compiendo atti negoziali validi ed efficaci nei  suoi confronti. Ne consegue, allora, alla luce anche della funzione riconosciuta al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, di cui al D.lgs. 39/2021, e a fronte di un modello normativo il quale  perm ett e l ’ at ti vit à sosti tuti va del genit ore , che quanto va realmente riconsiderato non è tanto l’impianto regolatorio offerto dall’ordinamento sportivo (esigenze di chiarezza  potrebbero semmai suggerire delle integrazioni), quanto prassi operative consolidatesi a partire da una letterale e meccanica applicazione di una formulazione normativa che non  valorizza quella prospettiva di sistema che è necessario privilegiare.  

PQM

  Si rilascia il presente parere. Deciso nella camera di consiglio del 5 maggio 2022. Il Presidente e Relatore F.to Virginia Zambrano Depositato in Roma, in data 29 settembre 2023.       Il Segretario F.to Alvio La Face
 
    1. Basti pensare che il Regolamento esecutivo sezione tesseramenti della FIP (art. 1) chiede il consenso di uno o entrambi i genitori a seconda della durata del vincolo; l’art. 42, comma 5, lett. c), del Regolamento organico FIR ritiene sufficiente la domanda sottoscritta “anche da uno dei genitori o da chi esercita la potestà genitoriale”. E di potestà genitoriale continua a discorrere ancora il Reg. Organico FITET (art. 10.8), precisando che il consenso scritto deve contenere espresso riferimento alla costituzione del vincolo.
    2. Cfr., Carta dei diritti dei ragazzi allo sport, Ginevra 1992 - Commissione Tempo Libero ONU, e Comunicato Ufficiale n. 1 del 1° luglio 2020, Settore Giovanile e Scolastico della FIGC.
    3. In quest’ottica – da ultimo – i giudici della Cassazione hanno precisato che atti di ordinaria amministrazione sono quelli: 1) oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patrimonio; 2) impegnano il patrimonio del minore alla luce di un valore economico non particolarmente elevato; 3) presentano un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio (Cass. civile, sez. II, 19 luglio 2022, n. 22662).
    4. In una lontana decisione del 2004, la Corte Federale FIGC aveva ritenuto che “l’attività sportiva determina il rischio di un possibile disimpegno scolastico del minore e legittima, anzi rende doveroso, il concorso della volontà di entrambi i genitori, nell’irrinunciabile esercizio della loro potestà” (dec. 29 gennaio 2004). Di diverso avviso andranno i giudici della Corte di Giustizia Federale (dec. 21 ottobre 2009, n. 048/CGF) in un caso di apocrifia della firma attribuita alla madre, precisando che non sussistono  ragioni  per  attrarre  il  tesseramento  agli  atti  eccedenti  l’ordinaria  amministrazione. Orientamento poi confermato da CAF n. 76 del 31 luglio 2015, nonché, da ultimo, CAF n. 086 del 23 marzo 2021. Sul punto, ex multis, altresì Trib. Roma, sez. XII, 9 settembre 2013, n. 17919.
    5. Emblematicamente, l’art. 250, comma 2, c.c. discorre di assenso al riconoscimento da parte del figlio che abbia compiuto i 14 anni
    6. Il riferimento è a CTP Varese n. 219/18.
    7. A titolo meramente esemplificativo, si vedano, per la Federazione sport rotellistici, l’art. 15 Reg. org. e l’art. 20, che attribuisce il diritto di voto solo agli atleti maggiorenni, nonché l’art. 58 Statuto. Per la FIDAL, l’art. 6 sulla partecipazione alle assemblee, nonché l’art. 11 che, per il tesseramento degli atleti minori, si richiama alla responsabilità genitoriale. Ancora, in tal senso, è l’art. 60 Reg. Org. FCI ovvero l’art. 8 Reg. Org. FGI
    8. Basti pensare, ad es., agli artt. 250, comma 3; 252, comma 5; 262, comma 4; 315 bis, comma 2, c.c., etc., in tema di diritto di ascolto al minore che abbia compiuto i 12 anni. O, in considerazione della importanza dell’atto, al limite dei 16 anni previsto per l’azione di riconoscimento di paternità ex art. 250 c.c. Laddove il Codice della Privacy fissa al compimento del 14° anno di età il limite per esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione; così come fa il legislatore del d.lgs. 120/2023, in materia di apprendistato (in tal senso, altresì. l’art. 2, l. 71/2017, sul cyberbullismo, nonché la l. 184/1983 in tema di adozione)
    9. Tanto meno, si osserva, questo requisito della democraticità acquista rilievo soltanto formale. Per i giudici della Commissione Tributaria Provinciale la violazione del principio di democraticità presuppone “una indagine di tipo qualitativo, molto più approfondita e accurata, non certo basata solo su semplici indizi o circostanze” come quelli sopra citati. Inoltre, “La scarsa partecipazione numerica ai momenti assembleari e la convocazione informale dell'assemblea, non può essere utilizzata dagli uffici finanziari per disconoscere i benefici fiscali delle ASD, in quanto non hanno alcun presupposto giuridico nell'ambito delle norme tributarie di settore”, così CTP Varese, n° 219/18. In tal senso, per una valutazione concreta del requisito della democraticità, Cass. civ., V, ord. n.30369 del 23.11.2018.
    10. Come noto, l’art. 148,  comma  3, TUIR prevede, in favore delle associazioni e  società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, una vera e propria “decommercializzazione” degli introiti per quelle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali dell’associazione. In particolare, l’art. 90, comma 18, lett. e), l. 289/2002, subordina il godimento di siffatti benefici fiscali alla presenza di alcuni requisiti statutari e di gestione, tra cui l’adeguamento ad un principio di democraticità interna, nonché “di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell'elettività delle cariche sociali”.
    11. In tal senso (Min. Lav. nota 1309/2019), si osserva che non si possono escludere i minori dall'elettorato attivo poiché "il relativo esercizio deve ritenersi attribuito ex lege per i soci minori agli esercenti la responsabilità            genitoriale         sugli     stessi"  (cfr.,https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/Terzo-settore-e- responsabilita-sociale-imprese/focuson/Riforma-terzo-settore/Pagine/Circolari-orientamenti-ministeriali- Codice-Enti-Terzo-settore.aspx). E, in nota Min. Lav. Nota 18244/2021, si precisa che “l'esclusione dal diritto di partecipare alle deliberazioni comuni, anche per il tramite dei soggetti investiti della potestà genitoriale, significherebbe ledere immediatamente il loro "status" di socio". Si osserva, ancora che “quanto al cd. voto passivo, il principio di uguaglianza deve essere contemperato, secondo criteri di ragionevolezza, con il possesso dei requisiti che consentano al candidato di svolgere l’incarico per il quale viene eletto. Tali requisiti sono in primis quelli legati alla piena capacità di agire: se da un lato non è ragionevole privare il minorenne legittimamente ammesso nella base associativa del diritto di prendere parte alle decisioni sociali (prevedendo  che  il  voto  possa  essere  esercitato  dal  titolare  della  potestà  genitoriale),  dall’altro  è comprensibile che un socio non possa assumere incarichi associativi comportanti specifiche responsabilità se  non  è  pienamente  e  legalmente  titolato  ad  assumerle”  (https://www.lavoro.gov.it/documenti-e- norme/normative/Documents/2021/Nota-n-18244-del-30112021-Quesiti-sulla-disciplina-degli-ETS.pdf        ).


         

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