F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione I – 2024/2025 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0061/CFA pubblicata il 11 Dicembre 2024 (motivazioni) – PFI-Sig. Francesco Moscelli-USD Corato Calcio

Decisione/0061/CFA-2024-2025

Registro procedimenti n. 0062/CFA/2024-2025

 

LA CORTE FEDERALE D’APPELLO

I SEZIONE

 

composta dai Sigg.ri:

Mario Luigi Torsello – Presidente

Federica Varrone – Componente

Francesca Morelli - Componente (Relatore)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul reclamo n.62/CFA/2023-2024, proposto dalla Procura federale interregionale avverso la decisione del Tribunale federale territoriale - CR Puglia n. 96 del 31.10.2024,

per la riforma della decisione del Tribunale federale territoriale - CR Puglia n. 96 del 31.10.2024 che ha prosciolto il Sig. Francesco Moscelli, a cui era stata addebitata la violazione degli artt. 4, comma 1 e 38 CGS, nonché la società USD Corato Calcio chiamata a rispondere a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'art. 6, comma 2 CGS;

Visti il reclamo, la memoria difensiva e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza, tenutasi in videoconferenza, il Cons. Francesca Morelli e uditi l’avv. Mario Taddeucci Sassolini per la Procura federale e gli avvocati Attilio Altieri e Alberto Sica per il sig. Francesco Moscelli;

RITENUTO IN FATTO

Il sig. Francesco Moscelli, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società U.S.D. Corato Calcio 1946 A.S.D., è chiamato a rispondere “della violazione degli artt. 4, comma 1, e 38 del Codice di Giustizia Sportiva per avere lo stesso, in occasione della

gara Virtus Palese – Football Academy Andria del 7.4.2024 valevole per il campionato Under 16 regionale, nella tribuna dello stadio comunale di Palese (BA), partecipato ad una rissa colpendo con ripetuti calci e pugni un sostenitore della Football Academy Andria”.

La Società U.S.D. Corato Calcio 1946 A.S.D. “a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell'art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva per gli atti ed i comportamenti posti in essere dal sig. Moscelli Francesco così come descritti nel precedente capo di incolpazione”.

In estrema sintesi, la decisione oggetto di reclamo si fonda su due presupposti: da un lato, non sussisterebbero le condizioni di cui all'art. 62 CGS, che prevede, al comma 1, che i procedimenti relativi al comportamento dei sostenitori delle squadre si svolgano sulla base del rapporto degli ufficiali di gara, degli eventuali supplementi e delle relazioni della Procura federale nonché degli eventuali commissari di campo, atti che debbono essere trasmessi al Giudice sportivo entro le ore 14 del giorno feriale successivo alla gara; dall'altro, gli atti di indagine e, nella specie, la segnalazione dell’8.4.2024 inviata dal Sostituto giudice sportivo della Delegazione distrettuale di Barletta Andria e Trani - in cui egli riferisce di aver assistito ad atti di violenza tra i sostenitori di entrambe le squadre presenti nella tribuna dello stadio comunale di Palese (BA) in occasione della gara Virtus Palese – Football Academy Andria del 7.4.2024, valevole per il Campionato Under 16 regionale e, più specificatamente, che l'autore di espressioni oscene rivolte ad una sostenitrice dell’Andria, nonché́ di pugni e calci scagliati nei confronti di un altro sostenitore della squadra era il sig. Francesco Moscelli - non sarebbero pienamente attendibili.

Nel reclamo si confutano entrambe le affermazioni.

Quanto al primo punto, la Procura federale sostiene che competente a conoscere e giudicare i fatti in ordine alla fattispecie oggetto del presente procedimento è il Tribunale federale territoriale ai sensi dell’art. 79 CGS che prevede che detto Organo giudichi in primo grado su tutti i fatti rilevanti per l'ordinamento sportivo in relazione ai quali non sia stato instaurato né risulti pendente un procedimento dinanzi al Giudice sportivo nazionale o ai giudici sportivi territoriali e, in ogni caso, il Procuratore federale, ai sensi dell'art.118 CGS, esercita in via esclusiva l’azione disciplinare nei confronti di tesserati, affiliati e degli altri soggetti legittimati, quando non sussistono i presupposti per l’archiviazione e “prende notizia degli illeciti di propria iniziativa e riceve le notizie

presentate o comunque pervenute, purché́ non in forma anonima o priva della compiuta identificazione del denunciante.”.

Sicché, il reclamante ne desume che il Procuratore federale è sempre titolare dell’azione disciplinare anche in materia di comportamento di sostenitori e/o tesserati, come nel caso di specie, con l’unica limitazione della competenza per le questioni tecniche propria dell’arbitro sul campo e del Giudice sportivo in senso stretto nella fase giudicante e decidente ai fini dell’irrogazione delle sanzioni correlate ai comportamenti di giuoco.

Sarebbe quindi del tutto irrilevante l’assenza di una relazione, sul punto specifico, da parte del direttore di gara; tale mancanza non impedirebbe in alcun modo l’accertamento dei fatti da parte della Procura federale ed il successivo esercizio dell’azione disciplinare dinanzi al competente Tribunale federale secondo lo schema tipico del procedimento disciplinare ordinario.

Quanto al merito, si evidenzia l'attendibilità del denunciante e l'esistenza di elementi di riscontro, costituiti dalle dichiarazioni degli stessi testi introdotti dalla difesa, secondo cui il sig. Moscelli era presente nella tribuna dello stadio ed aveva preso parte al “parapiglia” o “tafferuglio”.

In esito all'udienza, la Procura federale si è richiamata al ricorso ed ha chiesto l'irrogazione della sanzione di dieci giornate di squalifica per il sig. Francesco Moscelli e di 800 euro di ammenda per la ASD Corato Calcio.

La difesa si è richiamata alla memoria depositata ed ha chiesto il rigetto del reclamo e, in via subordinata, l'audizione dei testimoni indicati nella memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La Procura federale ha deferito il sig. Francesco Moscelli per rispondere della violazione degli artt. 4, comma 1, e art. 38 CGS.

L’art. 4, comma 1 – com’è noto - impone ai soggetti indicati dall’art. 2 - quindi ai dirigenti, agli atleti, ai tecnici, agli ufficiali di gara e ad ogni altro soggetto che svolga attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale - l’osservanza dello Statuto, del Codice, delle Norme organizzative interne FIGC e, per quanto ci riguarda, dei principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva.

L’art. 38 sanziona poi i calciatori responsabili di condotta violenta nei confronti di altri calciatori o altre persone presenti, commessa in occasione o durante la gara.

Nel caso che ci occupa ci troviamo di fronte ad un calciatore, tesserato della ASD Corato Calcio, che assiste sugli spalti all’incontro fra altre due squadre, la Virtus Palese e la Football Academy Andria, e che, secondo la Procura federale, avrebbe tenuto un atteggiamento violento, verbale e fisico, in danno di altri sostenitori presenti sugli spalti.

2. Il Tribunale federale territoriale – con la decisione di proscioglimento qui impugnata – ha ritenuto, invece, che l’episodio oggetto dell’indagine federale rientrasse nell’art. 62, comma 1, CGS, riguardante i procedimenti relativi al comportamento dei sostenitori delle squadre, secondo cui tali procedimenti “si svolgono sulla base del rapporto degli ufficiali di gara, degli eventuali supplementi e delle relazioni della Procura federale nonché dei commissari di campo eventualmente designati dalle rispettive Leghe, Comitati o Divisioni, che devono essere trasmessi al Giudice sportivo entro le ore 14:00 del giorno feriale successivo alla gara”. E ha ritenuto che tale disposizione contenga “una specifica modalità per la gestione dei procedimenti disciplinari in tema di comportamenti dei tifosi”.

Quindi, da un punto di vista procedimentale, il Tribunale non ha tenuto conto che l’atto di deferimento era avvenuto ai sensi di una disposizione diversa (l’art. 38 CGS e non l’art. 62 CGS) ma soprattutto, sotto il profilo sostanziale, ha assimilato la posizione del calciatore che assiste ad una competizione tra due squadre (con cui non ha alcun rapporto di tesseramento) a quella del mero “sostenitore”.

In tal modo, però, non considerando che il comportamento del “sostenitore” – ai sensi del Codice di giustizia sportiva – non è suscettibile di essere sanzionato ex se ai sensi del Codice di giustizia sportiva, ma può solo costituire il presupposto della responsabilità della società ai sensi dell’art. 6, comma 3 e dell’art. 26 CGS.

In definitiva, se anche fossero state rispettate le modalità procedimentali previste dall’art. 62 - e secondo il Tribunale non sono state rispettate - le disposizioni vigenti non avrebbero consentito la condanna dell’incolpato.

3. D’altro canto, anche il riferimento della Procura federale alla (possibile) violazione dell’art. 38 CGS suscita perplessità.

Tale disposizione punisce i calciatori responsabili di condotta violenta nei confronti di altri calciatori o altre persone presenti, “commessa in occasione o durante la gara”.

Ora, appare problematica un’interpretazione estensiva di tale disposizione - che ne determini, quindi, l’applicazione anche ai calciatori di altre squadre presenti sugli spalti in qualità di tifosi - in quanto proprio il sostantivo impiegato (“calciatori”) delimita l’ambito di applicabilità della norma a coloro che si trovano in campo o comunque siano – in qualche modo - coinvolti nella competizione in senso stretto.

4. Resta da verificare se il comportamento dell’incolpato - pur non sussistendo i presupposti per affermare la responsabilità ai sensi degli articoli 38 e 62 del CGS - possa essere considerato in contrasto con l’art. 4 del CGS che – come detto - impone il rispetto dei principi di lealtà, probità e correttezza.

Sulla possibile violazione di tale ultima disposizione non c’è alcun cenno nella decisione del Tribunale federale territoriale qui impugnata.

4.1 In merito, conviene riepilogare gli approdi cui è giunta la giurisprudenza del giudice sportivo, secondo cui:

- quella contenuta nell’art. 4 CGS è una clausola di “chiusura” del sistema, poiché evita di dover considerare permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta e facoltativo ogni comportamento che nessuna norma rende obbligatorio (Collegio di garanzia dello sport, parere n. 5/2017); e ciò sulla scia di un autorevole insegnamento secondo cui il principio di lealtà sportiva si riporta alle clausole generali di correttezza e buona fede. Il dovere generale di buona fede contrattuale ha la funzione di colmare le inevitabili lacune legislative: la legge, per analitica che sia, non può prevedere tutte le possibili situazioni; non può sempre prevenire, con apposite norme, gli abusi che le parti possono commettere l’una a danno dell’altra. La legge prevede solo le situazioni più frequenti, sventa gli abusi più ricorrenti: molti riprovevoli comportamenti sfuggirebbero alle pur fitte maglie della legge, se si dovesse considerare permesso ogni comportamento che nessuna norma vieta (“la legge non lo vieta, dunque posso farlo”), o solo facoltativo ogni comportamento che nessuna norma di legge rende obbligatorio (“la legge non lo impone, dunque posso non farlo”). Il principio generale della correttezza e della buona fede consente di identificare altri divieti e altri obblighi oltre a quelli previsti dalla legge; si realizza, come si dice, la “chiusura” del sistema legislativo, ossia offre criteri per colmare le lacune che questo può rivelare nella varietà e molteplicità delle situazioni della vita economica e sociale;

- per quanto più specificamente rileva nell’ordinamento sportivo, altro autorevole insegnamento ha ritenuto che il tratto tipizzante di tale ordinamento  è rappresentato dal fatto che lo sport è una dimensione della persona attinente alla sua spiritualità e lo sportivo autentico è prima di tutto, un soggetto virtuoso, nel senso che è chiamato al dovere irrinunciabile di esercitare alcune virtù, ritenute supreme e il cui mancato esercizio lo pone fuori della comunità; pertanto tutti i comportamenti eticamente riprovevoli violano nel profondo l'ordinamento sportivo;

- la clausola di cui all’art. 4 CGS, lungi dal costituire una norma in bianco, non può essere ricostruita e applicata secondo i canoni propri del diritto penale e, in specie, di quelli di determinatezza e tassatività. Le connotazioni proprie del diritto sportivo e la libera adesione a esso dei soggetti che ne fanno parte consentono di aderire a una diversa prospettiva e di dare maggior rilievo a profili valoriali di cui la disposizione in questione si fa portatrice, introiettando nell’ordinamento sportivo positivo principi che debbono ispirare la stessa pratica sportiva e, inevitabilmente, i comportamenti posti in essere da tutti i soggetti che di quell’ordinamento fanno parte. La norma contenuta nell’art. 4, comma 1, del CGS consente al giudice sportivo di spaziare ampiamente secondo le esigenze del caso concreto e rende possibili decisioni che, secondo l’evidenza del caso singolo, completino e integrino la fattispecie sanzionatoria anche attraverso valutazioni e concezioni di comune esperienza. La disposizione, redatta secondo la tecnica della normazione sintetica, sfugge a una descrizione puntuale delle singole tipologie di comportamento, che presenterebbe l’inconveniente dell’eccesso casistico, per ricorrere a elementi normativi che rinviano a una fonte esterna come parametro per la regola di giudizio da applicare al caso concreto (la lealtà, la probità, la correttezza) secondo il prudente apprezzamento del giudice (ex multis: CFA, Sez, I, n. 111/2023-2024);

- con la conseguenza che nell’ordinamento sportivo, accanto ad illeciti disciplinari tipizzati, vi sono fattispecie disciplinari di carattere generale, come quelle che si fanno rientrare nella violazione dei principi in esame, quali canoni valutativi, assoluti ed imprescindibili del contegno dei tesserati, che non sono suscettibili di essere individuate e specificate ab origine, ma devono essere di volta in volta rielaborate alla stregua delle specifiche circostanze ed evidenze del caso concreto (Collegio di Garanzia dello sport, Sez. IV, 13 ottobre 2017, n. 76/2017; Collegio di garanzia dello sport n. 152/2024). Ne discende la configurabilità di una sanzione disciplinare anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico inadempimento ad una disposizione espressa. L’attività sportiva si fonda sul rispetto di tali canoni comportamentali che non suscettibili di essere circoscritti all’interno di fattispecie descritte secondo i criteri della precisione e della determinatezza (CFA, SS.UU. n. 12/2021-2022);

- pertanto la violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza può essere rilevante in via autonoma. Non è dunque necessaria alcuna concorrente violazione di altra norma del CGS perché possa dirsi violato il dovere di lealtà e correttezza. Un tale dovere è autonomamente e oggettivamente valutabile (CFA, SS.UU., n. 53/2021-2022).

4.2 Resta peraltro da verificare quale sia la latitudine di tale obbligo e, in particolare, se tale clausola imponga un comportamento conforme ai principi di lealtà, probità e correttezza anche oltre l’ambito della competizione sportiva.

Sul punto, questa Corte federale ha costantemente ritenuto che il dovere di tenere una condotta rigorosamente ispirata a tali principi, sebbene solitamente riconducibile al canone di lealtà sportiva in senso stretto (c.d. “fair play)”, ha assunto una dimensione più ampia, che si estende anche oltre l’ambito della competizione sportiva in sé e per sé considerata e della corretta applicazione delle regole di gioco, traducendosi in una regola di condotta generale che investe qualsiasi attività comunque rilevante per l’ordinamento federale, in ogni rapporto a qualsiasi titolo riferibile all’attività sportiva (ex multis: CFA, SS.UU., n. 5/2023-2024).

Al contrario, non sono sanzionabili dal giudice le condotte, pur molto deprecabili, poste in essere in ambito strettamente privato, senza alcun rapporto, quindi, con l’attività sportiva. Alla luce dell’art. 1 CGS (il quale afferma che il Codice di giustizia disciplina le fattispecie dei comportamenti rilevanti sul piano disciplinare), l’accertamento della responsabilità disciplinare deve essere fondato sulle fattispecie di responsabilità previste dal CGS medesimo e dalle altre fonti indicate dall’art. 3 del Codice e l’applicazione dell’art. 4, comma 1, CGS non può che essere limitata, in quanto la norma lo prevede espressamente, a ogni “rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”, senza poter essere esteso, per esempio, ad ogni rapporto sociale. La chiarezza del dato testuale non consente estensioni oltre i rapporti riconducibili all’attività sportiva, sia pure intesa nel senso più ampio (exmultis: CFA, SS.UU., n. 39/2023-2024).

4.3 Orbene nel caso di specie, v’è da chiedersi se tale dovere sia applicabile anche al di fuori del terreno di gioco e nei confronti di un atleta tesserato FIGC presente fra il pubblico ed estraneo alle squadre in campo.

In altre parole, ci si interroga se in capo al sostenitore/tesserato gravino gli obblighi dell’ordinamento sportivo, in ragione della sua appartenenza ad esso, diversamente che sul semplice sostenitore non tesserato.

Al riguardo, giova premettere che, ai sensi dell’art. 4 CGS, l’adesione all’ordinamento sportivo ed alle federazioni sportive nazionali comporta, oltre che l’accettazione delle sue norme, la condivisione di una serie di principi etici, che rendono ben più alta l’asticella della condotta del tesserato, che non può limitarsi ad un generico comportamento conforme ai principi del buon padre di famiglia, ma gli impone un più alto livello di attenzione e rispetto nei confronti degli altri tesserati e del sistema cui intende partecipare (CFA, SS.UU. n. 34/2024-2025).

Orbene, a giudizio di questa Corte federale, la risposta è affermativa, data l’interpretazione da sempre riconosciuta all'art. 4 CGS, sopra riferita: nel caso di specie si tratta indubbiamente di “rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.

I principi sopra esposti giustificano pienamente, dunque, l’assoggettamento del tesserato, che non partecipi ad una gara ma la segua quale sostenitore, agli obblighi di lealtà, correttezza e probità e lo distingue così dal sostenitore estraneo all’ordinamento sportivo.

E’ ben evidente, allora, che gli obblighi di cui all’art. 4 CGS gravino sul soggetto tesserato anche quando non si trovi sul campo di gioco ma sugli spalti, trattandosi di una situazione comunque collegata allo svolgimento dell’incontro, e debbano essere rispettati anche nei rapporti con gli altri sostenitori, essendo comunque rapporti legati allo svolgimento dell’attività sportiva.

Non è revocabile in dubbio che una condotta quale quella addebitata al sig. Moscelli - cioè l'avere colpito un'altra persona rappresenti una grave violazione dei principi di lealtà e correttezza sportiva sanciti dall'art. 4 CGS.

Ed è proprio quest’ultimo aspetto che radica la competenza della Giustizia sportiva che, altrimenti, non avrebbe titolo per valutare comportamenti di tesserati aventi carattere strettamente privatistico.

Ciò senza considerare che - secondo un recente orientamento - l’art. 4, comma 1, del CGS FIGC deve essere interpretato nel senso che è fatto obbligo di mantenere una condotta conforme ai principi sopra citati in ogni rapporto non solo di natura agonistica, ma anche – addirittura - economico e/o sociale, nonché di astenersi dall’adottare comportamenti scorretti e/o violenti (Collegio di garanzia dello sport n. 10/2024). In tal modo elidendo, a quanto sembra, anche il presupposto normativo della riferibilità dell’azione posta in essere all’attività sportiva.

5.Tutto ciò premesso e valutando il merito della vicenda, debbono essere richiamati i consueti principi in tema di prova e di accertamento della responsabilità nel procedimento sportivo.

In particolare, costituisce un principio ormai pacificamente affermato in giurisprudenza quello per cui, per dichiarare la responsabilità da parte del soggetto incolpato di una violazione disciplinare sportiva, non è necessaria la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento di ogni ragionevole dubbio, come nel processo penale, ma può ritenersi sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito (ex multis: CFA, Sez. I, CFA n. 87/2023-2024).

Per altro verso, la circostanza che dell’episodio contestato al sig. Moscelli nel capo di incolpazione non sia fatta menzione nei rapporti degli ufficiali di gara, non ha rilevanza, al fine di escluderne la responsabilità, dal momento che, come si vedrà, i fatti emergono da altre fonti di prova nei termini sopra ricordati

Ed è noto che il rapporto del direttore di gara, pur facendo “piena prova” di quanto si attesta essere avvenuto, non può assurgere a prova legale anche del quod non, cosicché il solo fatto che un evento non sia documentato nella relazione dell’arbitro o negli altri atti provenienti dai suoi collaboratori non implica di necessità che l’evento non si sia verificato e che la sua prova non possa essere desunta aliunde, in particolare dagli atti di indagine della Procura federale ( ex multis: CFA, Sez. I, n. 47/2024-2025).

I fatti esposti nella denunzia presentata dal sig. Giuseppe Elicio, Sostituto giudice sportivo della delegazione distrettuale BAT, possono essere così sinteticamente riassunti: nel secondo tempo della partita fra Virtus Polese e Football Academy Andria, la mamma di uno dei calciatori della Virtus Polese, sig. Mariangela Foschi, si trovava seduta fra i sostenitori della squadra avversaria ed aveva assunto un atteggiamento genericamente provocatorio verso le madri dei ragazzi dell’Andria impegnati nella partita; quando il figlio, Christian Moscelli, si era sentito male in campo, era nato un alterco con le sostenitrici avversarie; Francesco Moscelli, l’altro figlio della sig. Foschi, che si trovava con lei sugli spalti, era intervenuto insultando una delle sostenitrici dell’Andria, sicché un altro tifoso di quella squadra aveva cercato di allontanarlo, provocando, a sua volta, un attacco violento da parte di Francesco Moscelli e di altri sostenitori della Virtus.

E’ ben vero che la qualifica del denunciante non gli attribuisce fede privilegiata ma è altrettanto vero che, come afferma la Procura nel reclamo, la circostanza che il sig. Giuseppe Elicio presti volontariamente e gratuitamente un servizio nell’ambito dell’Ordinamento sportivo, induce a riconoscergli un maggior credito, trattandosi di persona che ben conosce i principi di tale ordinamento ed accetta i valori che esso implica.

A contrario, e per minarne l’attendibilità, non vale la considerazione che il figlio del sig. Elicio militasse nella Virtus Polese, in quanto il ragazzo e altri familiari non risultano coinvolti nell’episodio, né che egli abbia ipotizzato – falsamente, a detta della difesa - una premeditazione nella manovra perpetrata dalla signora Foschi e dal figlio Francesco Moscelli, essendo apodittica l'affermazione e comunque difficile da ricostruire l’antefatto dell’episodio che ci occupa.

E’ indubbio quindi che un episodio di violenza vi sia stato; risulta dalla relazione del direttore di gara, che interruppe la partita a causa della rissa fra i sostenitori; lo confermano gli stessi testi introdotti dalla difesa, che parlano di uno scontro verbale poi degenerato in uno scontro fisico.

Non vi sono motivi per ritenere che il sig. Giuseppe Elicio abbia mendacemente indicato Francesco Moscelli come autore della condotta violenta, in quanto non risulta che egli lo conoscesse personalmente (dal momento che sostiene di averlo identificato soltanto in un secondo tempo grazie ad una ricerca su internet) o avesse nei suoi confronti ragioni di astio o rancore tali da indurlo ad una falsa denunzia.

Per altro verso, le stesse testimonianze introdotte dalla difesa - Domenico Mantovano, Gaia Loconsole, Giacomi Lacalaprice, Vito Menca - danno conto dell’alterco violento e della partecipazione di Francesco Moscelli, pur prospettando una legittima difesa.

La testimonianza del sig. Milella, Presidente della Virtus, non ha peso determinante in quanto de relato.

Il certificato medico del Pronto soccorso, ove si recò Francesco Moscelli dopo i fatti di cui è causa, dà conto di una “ modesta contrattura cervicale” e non rileva altri segni di percosse, ponendo una prognosi di 3 giorni; si tratta di un documento certamente inidoneo a suffragare la tesi difensiva secondo cui il ragazzo fu la principale vittima dell’aggressione e, in tal senso, smentisce sul punto anche i testi della difesa.

Per il resto, i testimoni della difesa riferiscono della genesi dei tafferugli scoppiati sugli spalti e comunque confermano che il casus belli fu un alterco fra la madre di Francesco e Christian Moscelli e le madri dei giocatori avversari e che Francesco intervenne in difesa della madre.

Circa il passaggio da un semplice alterco verbale alle vie di fatto, che coinvolse certamente l’incolpato e i sostenitori, maschi, delle due squadre, vi è da un lato la versione del sig. Eligio, che identificò Francesco Moscelli, e dall’altro quella dei testi introdotti dalla difesa.

Come si è detto, il particolare ruolo del sig. Elicio, la circostanza che non conoscesse Francesco Moscelli e non avesse motivi di astio o risentimento nei suoi confronti, tali da indurlo a formulare false accuse, consentono di ritenerlo attendibile e di privilegiare la sua versione dei fatti rispetto a quella dei testimoni introdotti dalla difesa, che comunque danno atto che un alterco violento fra i sostenitori delle due squadre vi fu e che ad esso prese parte l’incolpato.

In base ai parametri di giudizio sopra enunciati, può essere quindi affermata la responsabilità di Francesco Moscelli per la violazione dell’art.4, comma 1, CGS.

6. Diversa questione è rappresentata dalla eventuale responsabilità cd. oggettiva dell’ASD Corato Calcio, squadra in cui militava Francesco Moscelli.

Come è stato recentemente statuito da questa Corte federale (CFA, SS.UU., n. 39/2024-2025), la responsabilità delle società trova fondamento nel rapporto di immedesimazione organica che lega il sodalizio sportivo a (colui o) coloro che, al suo interno, sono investiti del potere di agire in nome di questo. Affinché la responsabilità possa trasmettersi e risalire dal rappresentante al rappresentato non è necessaria alcuna indagine circa l’effettiva utilità per l’ente della condotta antisportiva (che si presume iuris et de iure). Se il legale rappresentante agisce all’interno dei poteri ad esso assegnati - anche a prescindere dal vantaggio o svantaggio economico provocato in capo alla società rappresentata – egli sta agendo nell’interesse della società rappresentata e quindi in virtù di un vincolo organizzativo e teleologico che, secondo la Cassazione, semmai rafforza, e non diminuisce, l’immedesimazione organica (Cass., sez. 4 penale, n. 570/2023). L’interruzione dell’immedesimazione organica può conseguire solo ove risulti che non vi è alcuna colpa organizzativa dell’ente.  Secondo i principi ormai via via accolti dalla giurisprudenza ordinaria (penale) la “colpa di organizzazione” ha per un ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione colpevole (ovvero rimproverabile) della regola cautelare. Sotto questo profilo, secondo Cass. Sez. 4, n. 32899/2021, proprio l'enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l'assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa (Cass., sez. 4 penale, n. 570/2023). Simili principi (rivolti al decreto legislativo n. 231/2001) possono dirsi ormai recepiti nell’art. 7 C.G.S. e risultano persino estesi a fattispecie che, pur non configurando reato, costituiscono comunque illecito sportivo. La colpa di organizzazione deve invero dirsi alla base della ratio dell’art. 7 C.G.S. a mente del quale “al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società di cui all'art. 6, così come anche prevista e richiamata nel Codice, il giudice valuta la adozione, l'idoneità, l'efficacia e l'effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all'art. 7, comma 5 dello Statuto”.

Se, allora, il fondamento della responsabilità cd. oggettiva ex art. 6 CGS si fonda sulla cd. colpa organizzativa - che può essere esclusa là dove sia dimostrata l'adozione di un efficace modello organizzativo astrattamente idoneo ad evitare l'evento - v'è da chiedersi come tale responsabilità possa essere riconosciuta in capo alla società sportiva per un fatto commesso da un tesserato presente in veste di sostenitore ad un incontro fra altre e diverse squadre.

All'evidenza, non è possibile imporre ad un club di adottare modelli di organizzazione e gestione che consentano di contenere la condotta dei propri tesserati quando assistano, in forma privata, a competizioni sportive ovunque esse si svolgano e rispetto a qualunque squadra in campo.

L'impossibilità di individuare una condotta doverosa in capo all'Ente, nel caso specifico che qui ci occupa, determina l'impossibilità di riconoscerne la responsabilità ai sensi dell'art.6 CGS.

7. Per quanto riguarda la memoria difensiva ed i suoi contenuti, occorre ribadire anche in questa sede che la disposizione dell’art. 103, comma 1, CGS deve essere ragionevolmente intesa nel senso secondo cui lo spirare del termine previsto cristallizza l’oggetto del contendere, fissando definitivamente il petitum e la causa petendi e correlativamente anche i mezzi di prova, di cui si chiede l’ammissione. La scadenza di quel termine non può invece precludere la mera costituzione in giudizio di colui che intende semplicemente difendersi dalle richieste della parte reclamante, richiesta che può avvenire anche direttamente e oralmente all’udienza di trattazione del reclamo, nel corso del quale potranno essere svolte mere difese, senza poter sollevare eccezioni in senso stretto e senza quindi che, in alcun modo, possa ampliarsi la materia del contendere (ex multis: CFA, Sez. I, n. 37/20242025).

Poiché la costituzione in giudizio dell'incolpato e la memoria difensiva con allegati documenti sono stati depositati soltanto il giorno prima dell'udienza, quindi al di fuori del termine di cui all'art.103, comma 1, CGS, le istanze e le eccezioni contenute nella memoria sono inammissibili e quanto in essa osservato potrà essere semplicemente valutato quali mere difese.

Vale la pena, comunque, di osservare che il contenuto della memoria e dei verbali delle testimonianze allegate è identico a quello degli atti difensivi nel procedimento di primo grado, di cui si è ampiamente tenuto conto nella presente sede processuale.

Peraltro, il supposto difetto di notificazione che si sarebbe verificato nel corso del giudizio di primo grado sarebbe comunque sanato dalla costituzione in giudizio della parte (CFA, SS.UU., n. 77/2023-2024) e la richiesta di rinnovazione istruttoria, oltre che tardiva, non può trovare accoglimento in quanto i mezzi di prova richiesti (le testimonianze raccolte dai difensori) non sono essenziali ai fini della decisione, oltre che già ampiamente esaminati.

E ciò senza considerare che, nel processo sportivo, la testimonianza costituisce un’eccezione, com’è dimostrato dal tenore dell’art. 60, comma 1, del C.G.S. che ricollega alla “necessità” l’ammissione della prova testimoniale («la testimonianza di uno dei soggetti di cui all'art. 2, può essere disposta dagli organi di giustizia sportiva su richiesta di una delle parti o d’ufficio quando, dal materiale acquisito, emerga la necessità di provvedere in tal senso»). Il procedimento disciplinare–sportivo, anche attese le esigenze di celerità dello stesso e il criterio di informalità cui è improntato, si svolge – ordinariamente – sulla base delle deduzioni difensive delle parti e delle evidenze documentali e delle prove precostituite, rispetto alle quali la prova testimoniale rimane, comunque, una eccezione (ex multis: CFA, Sez, I, n. 56/2024-2025).

8. Quanto, infine, alla commisurazione della sanzione, va considerato che la violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e probità è stata grave, trattandosi di gesti di violenza fisica, oltre che verbale, sicché la squalifica per cinque giornate pare commisurata ai criteri di cui agli artt. 12, comma 1 e 44, comma 5, CGS, secondo cui la misura della sanzione deve tener conto della natura e della gravità dei fatti commessi e deve avere carattere di effettività ed afflittività. Facendo corretta applicazione dei suddetti principi, in un’ottica di contemperamento dei diversi interessi contrapposti, la sanzione deve poter svolgere la funzione propria di prevenzione speciale e generale in ordine alla reiterazione della condotta illecita, deve necessariamente essere proporzionale al disvalore sociale della condotta, rispetto alla quale deve avere un adeguato effetto dissuasivo e, da ultimo, deve essere suscettibile anche di una valutazione di natura equitativa (ex multis: CFA, Sez. I, n. 120/2023-2024).

P.Q.M.

Accoglie in parte il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga al sig. Francesco Moscelli la squalifica di 5 (cinque) giornate effettive di gare da scontarsi nel campionato di competenza; conferma nel resto.

Dispone la comunicazione alle parti con PEC.

 

L'ESTENSORE                                                      IL PRESIDENTE

Francesca Morelli                                                   Mario Luigi Torsello

 

Depositato

 

IL SEGRETARIO

Fabio Pesce

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