CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Prima – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 11 del 28/01/2025 – Brindisi Football Club S.r.l. / Federazione Italiana Giuoco Calcio / Procura Federale della FIGC
Decisione n. 11
Anno 2025
IL COLLEGIO DI GARANZIA PRIMA SEZIONE
composta da
Vito Branca - Presidente
Giuseppe Musacchio - Relatore
Anna Cusimano
Marcello de Luca Tamajo
Angelo Maietta - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 52/2024, presentato, in data 30 settembre 2024, dalla S.S. Brindisi Football Club S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Ferriero e Daniele De Leo,
contro
la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), rappresentata e difesa dall’avv. Giancarlo Viglione,
e
la Procura Federale della FIGC, non costituitasi in giudizio,
avverso
la decisione della Corte Federale d'Appello della FIGC, Sezioni Unite, n. 0021/CFA-2024-2025 (Registro procedimenti n. 0008/CFA/2024-2025 - Registro procedimenti n. 0009/CFA/2024-2025), depositata, completa di motivazioni, il 27 agosto 2024 e comunicata in pari data, con la quale, previa riunione dei reclami n. 0008/CFA/2024-2025 e n. 0009/CFA/2024-2025 proposti dalla S.S. Brindisi Football Club S.r.l., li ha respinti, confermando le decisioni del Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare, con le quali, rispettivamente, quanto al procedimento n. 241/TFNSD/2023-2024, è stata irrogata, a carico della suddetta ricorrente, la sanzione della penalizzazione di 4 punti in classifica, da scontarsi nella stagione sportiva 2024/2025, nonché l’ammenda di € 2.000,00, e, quanto al procedimento n. 240/TFNSD/2023-2024, è stata irrogata alla medesima società la sanzione della penalizzazione di 2 punti in classifica, da scontarsi nella stagione sportiva 2024/2025, nonché l’ammenda di € 2.000,00; nonché avverso tutti gli atti prodromici, pregressi, presupposti, preliminari, contestuali e/o successivi (qualora esistenti ed anche incogniti) alla decisione impugnata.
Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costitute;
uditi, nell’udienza dell’8 novembre 2024, il difensore della parte ricorrente - S.S. Brindisi Football Club S.r.l. - avv. Antonio Ferriero; l’avv. Noemi Tsuno, giusta delega all’uopo ricevuta dall’avv. Giancarlo Viglione, per la resistente FIGC, nonché il Procuratore Nazione dello Sport, dott. Alfredo Briatico Vangosa, per la Procura Generale dello Sport presso il CONI, intervenuta ai sensi dell’art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, avv. Giuseppe Musacchio.
Ritenuto in fatto
- Con ricorso del 30 settembre 2024, la S.S. Brindisi Football Club S.r.l. (d’ora in poi anche solo il Brindisi), ha adito il Collegio di Garanzia dello Sport al fine di ottenere l’annullamento della decisione della Corte Federale d'Appello della FIGC, Sezioni Unite, n. 0021/CFA-2024-2025 (Registro procedimenti n. 0008/CFA/2024-2025 - Registro procedimenti n. 0009/CFA/2024-2025), depositata, completa di motivazioni, il 27 agosto 2024 e comunicata in pari data, con la quale sono stati respinti i reclami proposti dalla società ricorrente avverso le decisioni del Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare, n. 0013/TFNSD/2024-2025 del 17 luglio 2024 (che ha irrogato, a carico del Brindisi, la penalizzazione di 4 punti, oltre € 2.000,00 di ammenda) e n. 0015/TFNSD/2024-2025 del 22 luglio 2024 (che ha irrogato, a carico della suddetta ricorrente, la penalizzazione di 2 punti, oltre a € 2.000,00 di ammenda).
Il procedimento per cui è causa prende le mosse da due distinti deferimenti spiccati dalla Procura Federale nei confronti della ricorrente, derivanti, su segnalazione della Co.Vi.So.C. del 16 aprile 2024, uno dal mancato pagamento, entro il termine perentorio del 18 marzo 2024, delle ritenute Irpef e dei contributi Inps relativi agli emolumenti dovuti ai tesserati per le mensilità di gennaio e febbraio 2024 (in violazione dell’art. 85, lett. C), par. V, delle NOIF); l’altro, dal mancato pagamento degli emolumenti dovuti ai tesserati per le mensilità di gennaio e febbraio 2024 (in violazione dell’art. 85, lett. C), par. IV, delle NOIF).
Ne scaturivano così due distinti procedimenti dinanzi al Tribunale Federale, il quale riteneva fondate le contestazioni mosse al Brindisi ed irrogava: i) quanto al procedimento n. 241/TFNSD/2023-2024 (relativo al mancato versamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps), nei confronti della signora Mariachiara Rispoli l’inibizione per quattro mesi e, per la società Brindisi, la penalizzazione di quattro punti in classifica, da scontarsi nella stagione sportiva 2024/25, nonché l’ammenda di € 2.000,00; ii) quanto al procedimento n. 240/TFNSD/2023-2024 (relativo al mancato pagamento degli emolumenti), nei confronti della signora Mariachiara Rispoli l’inibizione per quattro mesi e, per la società Brindisi, la penalizzazione di due punti in classifica, da scontarsi nella stagione sportiva 2024/25, nonché l’ammenda di € 2.000,00.
1.1. Il Brindisi promuoveva appello avverso dette decisioni chiedendo alla Corte Federale la riunione dei procedimenti.
Il giudice di seconde cure, con la decisione quivi impugnata, riuniti i procedimenti per ragioni di economia processuale, li respingeva, così motivando «[…] In ogni caso – pur seguendo l’iter argomentativo contenuto nei gravami - il reclamante muove il proprio ragionamento dal presupposto (innegabile) che le ritenute Irpef e i contributi Inps debbano essere versati al momento del pagamento degli emolumenti dovuti ai dipendenti, per sostenere che le condotte ad esso ascritte nei due procedimenti - ossia la mancata corresponsione degli emolumenti ai tesserati e il mancato versamento di ritenute Irpef e contributi Inps - non sarebbero tra loro cumulabili, giacché il mancato pagamento delle retribuzioni determinerebbe l’impossibilità di versare ritenute Irpef e contributi Inps, che avrebbero come condizione presupposta la corresponsione delle prime, per cui la violazione consisterebbe solo nel mancato pagamento delle retribuzioni e non anche nel mancato versamento delle somme dovute a titolo di contributi previdenziali (come testualmente si legge nei due atti di impugnazione). In realtà - secondo questa Corte - così non è ed è vero anzi il contrario. Non sussiste cioè alcun collegamento funzionale tra il pagamento delle retribuzioni ed il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, trattandosi di condotte autonome che rispondono a principi di diritto ed interessi giuridici ben distinti. Mentre è pacifico che la mancata corresponsione degli emolumenti costituisca sostanzialmente un inadempimento ad una obbligazione contrattuale, il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ha invece natura pubblicistica e, come precisato dal Giudice delle leggi, “… il mancato adempimento dell'obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di disposizioni costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte I della Costituzione” (cfr. C. Cost. 21.5.2014 n. 139). Sulla scorta di tale indirizzo, la Corte di Cassazione ha quindi ritenuto che “… i contributi non costituisc[a]no parte integrante del salario ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell'azienda. Ciò trova la sua ‘ratio’ nelle finalità, costituzionalmente garantite, cui risultano preordinati i versamenti contributivi e anzitutto la necessità che siano assicurati i benefici assistenziali e previdenziali a favore dei lavoratori” (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 25.6.2013 n. 29755). La mancata corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori di una società è pertanto da ritenersi scollegata dall’obbligo, in capo al datore di lavoro, di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali. Anzi, lungi dal ritenere assorbita la seconda condotta - che peraltro a determinate condizioni costituisce ipotesi di reato - rispetto alla prima, sempre la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare altresì che è preciso onere del datore di lavoro “… quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare. Né, per escludere la punibilità, potrebbe essere richiamata la causa di giustificazione di cui all'articolo 51 del C.p., in quanto l'adempimento dell'obbligo di corrispondere le retribuzioni ai dipendenti non assume una valenza prioritaria e prevalente rispetto quello di versare i contributi previdenziali: infatti, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice” (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 8.3.2023, n. 23945). Erra quindi la reclamante nel sostenere che la mancata corresponsione degli emolumenti avrebbe reso impossibile il versamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps, perché così non è ed anzi essa avrebbe dovuto provvedere al secondo adempimento anche a prescindere dall’avere effettuato il primo. Il motivo di impugnazione è quindi privo di fondamento. 4. Altrettanto infondato, nonché contraddittorio rispetto al primo, è il secondo motivo di impugnazione. Sostiene la reclamante che la Giustizia sportiva abbia ormai ritenuto applicabile il beneficio della continuazione tra i fatti contestati, pur non essendo stato esplicitamente codificato dalla normativa vigente. A giudizio del Collegio ciò è innegabilmente vero, e difatti anche di recente questa Corte federale si è già espressa in questo senso: “La continuazione ex art. 81 c.p., istituto di diritto comune, sebbene non espressamente contemplato dall’art. 9 CGS, trova applicazione nell’ordinamento federale (CFA, Sez. III, n. 1/2019-2020; n. 68/2021-2022)” (CFA, Sez. IV, decisione n. 0038/CFA/2022-
2023). Va rammentato tuttavia che la ratio di tale istituto è da rinvenirsi nell'apprezzamento del minor disvalore sociale che connota più illeciti che non scaturiscano da altrettanti diversi progetti, ma che invece conseguano ad un'unica determinazione; il più mite trattamento sanzionatorio risiede pertanto nella minore riprovevolezza complessiva dell'agente - che cede ai motivi a commettere l’illecito una sola volta, quando concepisce il disegno criminoso - e nella conseguente opportunità di mitigare l'effetto del cumulo delle pene, al quale viene sostituito un cumulo giuridico (in questo senso: Cass. Pen., SS.UU. 28.2.2013 n. 25939). E’ stato già rilevato da questa Corte federale, peraltro, che l’istituto della continuazione presuppone la sussistenza di una serie di elementi costitutivi, ossia: 1) una pluralità di azioni o omissioni, compiute anche in tempi diversi;
2) una pluralità di violazioni di legge (della medesima o di diverse norme); 3) il collegamento tra le diverse condotte volte alla esecuzione di un “medesimo disegno criminoso” (cfr. CFA, Sez. I, decisione n. 0055/CFA/2022-2023) e che, con particolare riferimento a tale ultimo elemento, costituisca preciso onere della parte provare la sussistenza dell’univocità del disegno criminoso (CFA, Sez. II, decisione n. 0039/CFA/2022-2023). In questo senso, la Giustizia sportiva allineata alla giurisprudenza statuale di legittimità, che da sempre ritiene che l'imputato che invochi la continuazione fra i vari reati per i quali è sottoposto a giudizio abbia l'onere di allegare gli specifici elementi dai quali possa desumersi l'identità del disegno criminoso (tra le tante: Cass. Pen., Sez. III, n. 41063/2019; Cass. Pen., Sez. II, n. 2224/2018; Cass. Pen. Sez. VI, n. 43441/2010; Cass.
Pen. Sez. V, n. 18586/2004). Nel caso in esame, non può non rilevarsi, in primo luogo, che dai verbali del procedimento davanti al Tribunale federale nazionale non emerge che sia stata avanzata dalla difesa della società F.C. Brindisi s.r.l. alcuna richiesta di continuazione, la cui sollecitazione in secondo grado è quindi una assoluta novità. Ma soprattutto, tale richiesta non è fondata sul supporto probatorio circa l’identità del disegno nella commissione dei fatti ascritti nei due procedimenti. Dai due reclami, cioè, non emerge in alcun modo da quali elementi possa trarsi argomento per sostenere che le due condotte ascritte all’odierno reclamante siano state poste in essere in esecuzione di un medesimo disegno teso a violare la normativa vigente. Ma anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere applicabile ai fatti in questione l’istituto della continuazione - come detto non codificato dall’ordinamento federale, ma rinvenibile nell’art. 81 c.p. - ciò sarebbe ininfluente ai fini del presente giudizio. Con l'art. 5 della legge n. 251/2005, infatti, il Legislatore ha introdotto all'art. 81 c.p. un quarto comma che ha aggravato il trattamento sanzionatorio per i recidivi reiterati, disponendo che in tali casi la pena non possa essere inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave. Ora, ritenuto che delle due fattispecie contestate alla reclamante, quella sanzionata in modo più grave sia stata certamente l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, in relazione alla quale è stata inflitta la sanzione di quattro punti di penalizzazione, e considerato che nei confronti della società è stata contestata la recidiva di cui all’art. 18, comma 1, C.G.S., l’aumento per un eventuale riconoscimento della continuazione non avrebbe potuto comunque ridursi al di sotto dei due punti di penalizzazione. Infatti, come già precisato da questa Corte federale, esiste una differenza sostanziale tra le sanzioni a carico delle persone e quelle a carico delle società, con specifico riferimento a quelle consistenti nella attribuzione di punti negativi in classifica. Le prime, connotate da finalità essenzialmente retributive, ma anche con funzione general-preventiva, devono essere calibrate in ragione della gravità dell’infrazione, ma anche della personalità dell’agente, desumibile da molteplici indicatori: intensità del dolo, grado della colpa, eventuale recidiva, comportamento post factum ecc.; le seconde non possono non tener conto dell’immanente conflitto agonistico di interessi tra i vari attori della competizione. Conseguentemente mentre, nel primo caso, il giudicante certamente può determinare in concreto la sanzione facendo largo uso delle circostanze - tanto aggravanti quanto attenuanti - aumentando notevolmente o diminuendo, anche al di sotto del minimo, la sanzione in concreto da applicare, nel secondo, viceversa, tale potere discrezionale egli deve necessariamente contenere in limiti più angusti, potendo senza dubbio esercitarlo nell’ambito della gamma sanzionatoria prevista dai limiti edittali, ma non oltre, salva esplicita, eventuale (e derogatoria) previsione normativa. Ciò in quanto la sanzione della penalizzazione in termini di punti di classifica viene certamente ad incidere nella sfera del sanzionato, ma ha un immediato riflesso nei confronti dei competitori, che potranno essere più o meno avvantaggiati dall’handicap che il giudice ha decretato nei confronti del trasgressore. E proprio perché, in tal caso, la sanzione si traduce in un danno, in termini di classifica, per una squadra e, conseguentemente, in un vantaggio per le altre, essa deve essere assistita da un maggior grado di certezza in riferimento alla sua graduazione; il che comporta la insormontabilità dei limiti edittali (CFA, SS.UU., decisione n. 0078/CFA/2022-2023 che conferma CFA, SS.UU., n. 89/CFA/2019-2020; n. 88/CFA/2019-
2020/B). Conseguentemente, nel caso in esame, l’eventuale applicazione dell’istituto della continuazione - che, come detto, per effetto di quanto previsto dal comma 4 dell’art. 81 c.p. non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per l’illecito più grave - non potrà mai determinare una sanzione al di sotto di due punti di penalizzazione, ché altrimenti violerebbe il principio di insormontabilità dei limiti edittali in caso di irrogazione di punti di penalizzazione in classifica. Per questa serie di considerazioni, anche il secondo motivo di impugnazione non merita quindi accoglimento. 5. La reclamante chiede infine il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 13, lett. c), del vigente C.G.S., avendo corrisposto sia gli emolumenti ai tesserati, che le ritenute Irpef e i contributi Inps in ritardo rispetto al termine normativamente previsto, ma prima della definizione del giudizio di primo grado. Anche tale richiesta non è accoglibile ed a tal riguardo va ancora una volta ribadito che, sia il mancato pagamento degli emolumenti per i propri dipendenti, sia l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, costituiscono illeciti connotati da mera condotta omissiva in quanto violativi di un obbligo di facere, ossia la corresponsione di una determinata somma entro un preciso termine normativamente stabilito, per cui il mancato adempimento dell’obbligo è elemento costitutivo della fattispecie di illecito. Del resto, la giurisprudenza sportiva (CFA, SS.UU., n. 63/2022-2023) sotto questo profilo è chiara e univoca nell’affermare che “… la ratio di tutto il sistema amministrativo-contabile delle società calcistiche professionistiche [è quello di] garantire la regolarità delle competizioni mediante la partecipazione di società che possano dimostrare, anche attraverso un rigoroso sistema di controllo ex post ed in adesione ad inderogabili criteri di trasparenza, una capacità finanziaria riferita a tutto l’arco temporale della specifica annualità sportiva, assolvendo agli oneri finanziari e contributivi previsti dalla legge, facendo fronte diligentemente agli oneri di gestione ed in generale ai costi che caratterizzano una stagione sportiva nel suo complesso, ivi compresa l’eventuale partecipazione alle competizioni europee” (Collegio di garanzia dello sport, SS.UU., n. 45/2022 cit.). Il rispetto di tali regole, prima tra tutte la prevalenza della substance over form e della trasparenza informativa, ha, quindi, un diretto collegamento con le norme sanzionatorie previste dall’ordinamento sportivo (in questo senso Collegio di garanzia dello sport, SS.UU., n. 45/2022 cit.). Vero è che, in linea generale, sarebbe certamente possibile una commisurazione in concreto della sanzione irrogata con conseguente riduzione della stessa per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, ma - come già affermato dalla giurisprudenza sportiva - nel caso in esame, da un lato il dato letterale della norma (art. 33 C.G.S.), nello stabilire a carico della società inadempiente l’applicazione della sanzione di cui all’art. 8, comma 1, lett. g), “a partire da almeno due punti di penalizzazione in classifica” lascia evidentemente intendere che il Legislatore sportivo abbia voluto indicare un limite al di sotto del quale non sia possibile scendere; dall’altro lato che nell’ordinamento sportivo la sanzione ha essenzialmente una funzione retributiva e restauratrice della par condicio nelle competizioni agonistiche, e poiché per la ragioni che si sono più sopra richiamate, la sanzione della penalizzazione in termini di punti di classifica certamente incide nella sfera del sanzionato, ma ha anche un immediato riflesso nei confronti dei competitori, essa deve avere un maggior grado di certezza in merito alla sua graduazione, rispetto a sanzioni di specie differente, rendendo invalicabili i limiti edittali fisati dalla norma (cfr. ancora CFA, SS.UU., decisione n. 0089/CFA/2019-2020). Anche la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti deve essere quindi rigettata».
- il Brindisi ha, dunque, proposto ricorso al Collegio di Garanzia, articolando i seguenti motivi di diritto.
- “Omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”.
A giudizio della ricorrente, la Corte Federale non avrebbe dovuto ricercare la natura della condotta ed i principi di diritto, certamente ben distinti, essendo l’uno (la corresponsione degli emolumenti) un inadempimento ad una obbligazione contrattuale, mentre l’altro (il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti) un inadempimento di natura pubblicistica, ma avrebbe dovuto analizzare semplicemente la circostanza unica ed univoca che la Società Brindisi, in quel determinato periodo dell’anno, non aveva denaro liquido necessario per provvedere al pagamento di quanto dovuto; da tale circostanza sono derivate le due condotte, punibili a mente del CGS: a) di non aver potuto far fronte al pagamento degli stipendi dei propri tesserati, e di conseguenza, b) di non aver potuto pagare i relativi contributi previdenziali ed assistenziali.
In considerazione che il mancato pagamento dei contributi discenderebbe dal mancato pagamento degli emolumenti, la condotta punibile sarebbe esclusivamente quest’ultima.
- “Violazione dei principi del giusto processo sanciti dall’art. 44, comma 1, CGS FIGC; con riferimento al trattamento sanzionatorio”.
Riprendendo i principi espressi dalla medesima Corte Federale in altri procedimenti, la Società ricorrente sottolinea la passata grave crisi finanziaria che ha determinato carenza di liquidità, dalla quale è uscita al termine della stagione sportiva passata (superata attraverso l’apporto di nuovi capitali da parte di nuovi soci, che hanno provveduto al risanamento della situazione e all’adempimento di tutte le obbligazioni scadute nei confronti dei dipendenti, e accessorie conseguenziali); in tal guisa, secondo la prospettazione del Brindisi, la Corte avrebbe dovuto, comunque, per equità disporre l’applicazione dell’istituto della continuazione di cui all’art. 81 c.p.
2.1. Si è costituita in giudizio la FIGC, concludendo per l’inammissibilità ed in ogni caso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
I.
Quanto al primo motivo di ricorso, deve evidenziarsi che, ai sensi dell’art. 33, comma 4, del CGS FIGC, le società di Serie B e di Serie C sono tenute al pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Inps e del Fondo di Fine Carriera relativi agli emolumenti dovuti in favore dei tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo, con contratti ratificati, nei termini fissati dalle disposizioni federali. In particolare, secondo la lett. b) della citata disposizione, il mancato pagamento del quarto bimestre (1° gennaio - 28-29 febbraio) comporta l’applicazione, a carico della società responsabile, della sanzione di cui all’art. 8, comma 1, lett. g), di almeno due punti di penalizzazione in classifica. L’art. 85, lett. c), par. IV, delle NOIF stabilisce che le società devono documentare alla FIGC - Co.Vi.So.C., secondo le modalità e le procedure stabilite dalla FIGC, entro il 16 marzo di ciascun anno, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti per il quarto bimestre (1° gennaio - 28-29 febbraio) e per quelli precedenti, ove non assolti prima, in favore dei tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo con contratti ratificati, mentre il par. V della stessa lett. c) dell’art. 85 delle NOIF stabilisce che: le società devono documentare alla FIGC - Co.Vi.So.C., secondo le modalità e le procedure stabilite dalla FIGC, entro il 16 del mese successivo alla chiusura del quarto bimestre (1° gennaio - 28-29 febbraio), l’avvenuto pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Inps e del Fondo Fine Carriera, per detto bimestre e per quelli precedenti, ove non assolti prima, in favore dei tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo con contratti ratificati.
Dunque, le disposizioni di cui all’art. 85 delle NOIF della FIGC - nella parte in cui prevedono che le società devono documentare alla FIGC, secondo le modalità e le procedure stabilite, l’avvenuto pagamento sia degli emolumenti che delle ritenute Irpef, dei contributi Inps e del Fondo Fine Carriera in favore dei tesserati, lavoratori, dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo -, costituiscono parte integrante e rilevante del sistema dei controlli finalizzati alla verifica dell’equilibrio finanziario delle società che partecipano ai campionati di calcio professionistici e perseguono il fine di garantire il regolare svolgimento delle competizioni.
La ratio delle disposizioni, che nella loro attuale formulazione non ammettono deroghe all’obbligo di periodica dimostrazione dell’avvenuto pagamento degli emolumenti e degli oneri fiscali e previdenziali dovuti per legge, deve essere individuata non soltanto nell’esercizio di un controllo sull’avvenuto rispetto di norme primarie volte alla tutela degli operatori del settore, ma anche sulla solidità finanziaria delle società e sulla correttezza della loro gestione economica, che sono elementi fondamentali per garantire la regolarità nello svolgimento delle competizioni sportive. Tale impostazione ermeneutica risulta confermata dall’art. 10, comma 3, del CGS della FIGC, che prevede specifiche sanzioni per il caso di accertato mancato pagamento, da parte delle società, degli emolumenti, delle ritenute Irpef, dei contributi Inps e del Fondo di Fine Carriera, nei termini fissati dalle disposizioni federali (in argomento, Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione 19 febbraio 2016, n. 9).
Sia le Sezioni Unite di questo Collegio (decisione n. 44/2023), che questa stessa Sezione (decisione 26/2024) hanno ribadito che la portata di tale norma deve intendersi in senso onnicomprensivo, come riferentesi a tutte le obbligazioni scadute ed il relativo scrutinio deve parimenti essere conforme non soltanto al tenore letterale dell’art. 85, lett. c) (ove il riferimento anche a «quelle precedenti ove non assolte prima» viene ribadito per ciascuna scadenza bimestrale), ma anche a tutto il contesto regolamentare nel quale la disposizione è inserita, con la centralità del perseguimento dell’obiettivo di un attento controllo sull’equilibrio economico- finanziario delle società di calcio professionistiche a garanzia del regolare svolgimento dei campionati. E ciò in quanto l’inadempimento relativo al pagamento degli emolumenti, delle ritenute Irpef e dei contributi Inps nei confronti dei dipendenti e collaboratori è un oggettivo indice (secondo la normativa organizzativa della FIGC) della stabilità economica e finanziaria delle società, tanto da imporne il regolare adempimento, con l’indicazione di precisi termini ed anche di specifici obblighi di comunicazione periodica all’autorità federale di controllo (Co.Vi.So.C.), nonché come precondizione per l’ottenimento del titolo idoneo all’iscrizione al campionato successivo. Invero, la norma di cui all’art. 85 delle NOIF, lett. C), par. IV e V, come nel caso della disciplina delle c.d. Licenze Nazionali e, quindi, nel settore delle ammissioni ai campionati, è posta a presidio della regolarità delle competizioni sotto il profilo della sostenibilità economico-finanziaria dei clubs. La ragione di tale interesse, anche con riferimento all’adempimento di prestazioni pur formalmente rientranti nel novero dei rapporti privati con terzi, risiede nella esigenza di garantire la stabilità economica e finanziaria dei partecipanti ai campionati nazionali come parametro fondamentale da monitorare e verificare nel continuo, attraverso l’informativa periodica, nonché come precondizione per l’ottenimento del titolo idoneo all’iscrizione al campionato successivo. Emerge evidente come le norme federali poste (appunto) a presidio del richiamato “controllo” sulle società sportive prevedano, in caso di una loro violazione da parte delle stesse società, l’applicazione di una sanzione predeterminata ex lege, che, nel caso di specie, è pari ad “almeno” due punti di penalizzazione. E tanto a prescindere da eventuali termini quantitativi e qualitativi che connotano la violazione ascritta, in ogni caso non conoscibili dal Collegio di Garanzia.
Adeguando siffatte disposizioni alla vicenda in esame, è pacifico, essendo documentalmente provato, che la società deferita non abbia provveduto al pagamento degli emolumenti e degli oneri relativi alle ritenute Irpef ed ai contributi Inps, dovuti per il bimestre 1° gennaio 2023 – 28 febbraio 2023, entro il termine fissato dalla normativa federale nella data del 16 marzo 2023. Tuttavia, pur essendo incontestato tale evento, il primo motivo di ricorso insiste, in sostanza, sia sull’asserito sdoppiamento, ai fini sanzionatori, dell’unica ed univoca circostanza – mancanza di denaro liquido
– che ha comportato il mancato pagamento degli emolumenti e del conseguente versamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps per il bimestre in oggetto, con conseguente plurima penalizzazione e sia, quanto all’omesso versamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps, sulla inscindibilità dell’obbligazione alla corresponsione degli emolumenti. Con la conseguenza che, quanto alle ritenute Irpef ed ai contributi Inps, non vi sarebbe alcun obbligo di provvedere entro il 16 del mese successivo al bimestre di riferimento nel caso in cui gli emolumenti non vengono corrisposti. A supporto di tale ultimo assunto, la ricorrente invoca un inconferente arresto delle Sezioni Unite penali.
Le censure sono del tutto infondate, sebbene la motivazione della decisione impugnata debba essere integrata nei termini di cui appresso.
Premesso che è assolutamente pacifico che le ritenute previdenziali ed assistenziali sono dovute indipendentemente dalla corresponsione degli emolumenti a cui attengono (ex plurimis, Cass., sez. lav., 22 febbraio 2021, n. 4676) e, quindi, la relativa obbligazione disciplinata dal par. IV della lett. c) dell’art. 85 NOIF è da considerarsi del tutto autonoma rispetto alle obbligazioni di cui al successivo par. V, anche con riferimento a queste ultime la sanzione prevista non è affatto ricollegabile ad un’unica, unitaria, cumulativa e complessiva violazione, punibile con un’unica penalizzazione di due punti, sia per l’ipotesi dell’omesso versamento di una sola delle obbligazioni ivi previste (ritenute Irpef o contributi Inps), sia per l’ipotesi, obiettivamente diversa e connotata da oggettiva gravità per le già esposte motivazioni, dell’omesso versamento cumulativo di tutte quelle obbligazioni, come pacificamente accaduto nella fattispecie sottoposta al vaglio dell’odierno Collegio. Al contrario, l’autonomia e l’indipendenza delle obbligazioni previste dalla norma in parola si desume agevolmente dal fatto che diversi sono i soggetti creditori (Stato, Inps), diversa è la loro natura giuridica (tributaria nel caso delle ritenute Irpef, previdenziale nel caso dei contributi Inps) e diversa ancora è la loro finalità (di fiscalità generale quella delle ritenute Irpef, sostanzialmente di garanzia per i lavoratori del settore quella dei contributi Inps). E, quindi, la locuzione “… a partire da almeno due punti di penalizzazione in classifica” conduce a ritenere fonte di responsabilità ogni singola fattispecie di omesso versamento, ricollegando ad essa per ogni mese (del bimestre in considerazione) un punto di penalizzazione. Su tale aspetto, vale ribadire, sulla scorta di un consolidato orientamento di codesto Collegio, che «la locuzione “almeno due punti” non consente alcun sindacato agli organi di giustizia perché l’avverbio “almeno” sancisce un limite edittale minimo al di sotto del quale non può scendersi neppure all’esito di valutazioni su attenuanti o altre circostanze di esonero di responsabilità. Milita in tale direzione anche un ragionamento a contrario laddove, ad esempio, la norma stabilisse una sanzione con la locuzione “fino a 10 punti”, cioè fissando un tetto massimo, e ciò tanto perché la certezza della sanzione deve essere ben chiara nel suo “effetto fisarmonica”, costruendo, cioè, un tracciato, con una linea di partenza ed una di traguardo, all’interno del quale e solo in quella forbice operare una rimodulazione della sanzione in un senso o nell’altro» (Collegio di Garanzia, Sez. I, decisione n. 26/2024, n. 42/2020, nonché Sez. Un., n. 44/2023).
Diversamente opinando si avrebbe che, per non incorrere nelle sanzioni di cui al par. V, basta non corrispondere gli emolumenti, subendo così l’unica sanzione per la violazione dell’obbligo di cui al par. IV, così come ogni società, provvedendo ad un pagamento parziale (ad esempio) delle ritenute Irpef, si riterrebbe legittimata a non pagare i contributi Inps (o viceversa), essendo (in ipotesi) limitata la sanzione a due punti di penalizzazione, con ciò violando il principio della par condicio per tutte le società partecipanti al campionato e, per l’effetto, autorizzando un calcolato (e pianificato) peso della sanzione.
Mentre si deve ribadire che il mancato pagamento degli emolumenti, delle ritenute Irpef e dei contributi Inps è assunto tout court dall’ordinamento sportivo a indicatore della stabilità economica e finanziaria delle società sportive e le ragioni di tale interesse, nonché del regime sanzionatorio, risiedono proprio nella esigenza di garantire la stabilità economica e finanziaria delle società partecipanti ai campionati, nonché la par condicio tra le stesse.
II.
Con il secondo motivo, la ricorrente si duole della mancata applicazione, da parte della Corte di Appello Federale, dell’istituto della continuazione, di cui all’art. 81 c.p., ritenuto dalla stessa Corte pacificamente applicabile anche dalla Giustizia Sportiva, pur in assenza di un esplicito rinvio.
Il motivo è inammissibile oltreché infondato.
Come puntualmente rilevato dalla Corte di Appello Federale nella pronuncia gravata, l’istituto della continuazione presuppone la sussistenza di una serie di elementi costitutivi, ovvero: una pluralità di azioni o omissioni; una pluralità di violazioni della medesima o di diverse norme; il collegamento tra le diverse condotte volte alla esecuzione del medesimo disegno criminoso.
La stessa Corte ha, altresì, ricordato che grava sull’”imputato” l’onere di allegare gli specifici elementi dai quali possa desumersi l’identità del disegno criminoso, mentre, nel caso che ci occupa, la richiesta della continuazione non è fondata sul supporto probatorio circa l’identità del disegno nella commissione dei fatti ascritti nei due procedimenti (di primo grado), dai quali non emerge in alcun modo da quali elementi possa trarsi argomento per sostenere che le condotte ascritte siano state poste in essere in esecuzione di un medesimo disegno teso a violare la normativa vigente.
Infatti, posto che, come ampiamente dedotto con riguardo al primo motivo di ricorso, l’odierna ricorrente si è resa responsabile di tre distinte violazioni, ovvero l’omessa corresponsione degli emolumenti, l’omesso versamento delle ritenute Irpef e l’omesso versamento dei contributi Inps, tra le quali non sussiste alcun collegamento funzionale, trattandosi di condotte autonome che rispondono a principi di diritto ed interessi giuridici ben distinti, incombeva sulla stessa fornire la prova dell’univocità del disegno criminoso.
Come sopra riportato, quanto al mancato assolvimento dell’onere della prova, la Corte di Appello Federale ha ampiamente dedotto, mentre la ricorrente, con il ricorso in esame, non ha formulato alcuna specifica censura, essendosi limitata alla sola mera reiterazione dell’invocazione della continuazione senza, appunto, valorizzare quali sarebbero gli elementi probatori sui quali la stessa si fonderebbe e che, appunto, non sarebbero stati adeguatamente tenuti in considerazione da parte del giudice del merito.
Quindi, il motivo di ricorso, così come formulato, è da considerarsi inammissibile per difetto del requisito della specificità e, comunque, infondato, in ragione della mancata prova dell’univocità della condotta che avrebbe legittimato il ricorso all’istituto della continuazione.
Sotto altro profilo il motivo di ricorso è, altresì, inammissibile per carenza di interesse.
Ed infatti, sul pacifico presupposto dell’autonomia delle singole violazioni accertate, la circostanza che la sanzione della penalizzazione in termini di punti in classifica, oltre ad incidere negativamente sulla sfera del sanzionato, ha un immediato riflesso nei confronti dei competitori impone che la sanzione sia assistita da un maggior grado di certezza in riferimento alla sua graduazione.
Ciò determina che, come già ampiamente argomentato con riguardo al primo motivo di ricorso, per espressa volontà del legislatore, la sanzione da applicare per ogni violazione non può essere inferiore a due punti di penalizzazione.
Orbene, tenuto conto del tenore dell’art. 81, commi 1 e 2, c.p., nonché della circostanza che nella fattispecie sono state accertate e contestate tre violazioni, anche applicando l’istituto della continuazione la sanzione non sarebbe potuta essere inferiore a sei punti di penalizzazione.
In questi termini, ex art. 384, ultimo comma c.c., deve intendersi integrata la motivazione della decisione impugnata.
III.
Anche la richiesta formulata in via subordinata di ridimensionamento della punizione è inammissibile in quanto «il Collegio di Garanzia dello Sport può valutare la legittimità della misura di una sanzione, solo se la stessa è stata irrogata in violazione dei presupposti di fatto e di diritto o per la sua manifesta irragionevolezza, tuttavia, il Collegio non può valutare la doglianza sulla pretesa abnormità di una sanzione, adottata in ossequio ai suddetti presupposti, ed è, dunque, inammissibile la domanda volta alla graduazione della sanzione in considerazione della gravità dell’infrazione e della condotta» (Collegio di Garanzia, Sez. Un., n. 44/2023; Collegio di Garanzia, Sez. Un., decisione n. 46/2017; Sez. I, decisione n. 31/2018; Sez. II, decisione 14/2015; Sez. II, decisione n. 13/2017; Sez. Un., decisione n. 68/2021).
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Collegio di Garanzia dello Sport Prima Sezione
Rigetta il ricorso e conferma la decisione impugnata.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate in € 3.000,00, oltre accessori di legge, in favore della resistente FIGC.
Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 8 novembre 2024.
Il Presidente Il Relatore
F.to Vito Branca F.to Giuseppe Musacchio
Depositato in Roma, in data 28 gennaio 2025.
Il Segretario
F.to Alvio La Face