CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Seconda- coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 41 del 09/06/2025 – omissis / FIGC
Decisione n. 41
Anno 2025
IL COLLEGIO DI GARANZIA
SECONDA SEZIONE
composta da
Ferruccio Auletta - Presidente
Ermanno de Francisco - Relatore, Estensore
Giuseppe Albenzio
Enrico del Prato
Michele Re - Componenti
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 42/2024, presentato, in data 21 agosto 2024, dal sig. [omissis], rappresentato e difeso dagli avv.ti Giambattista Petrella e Gianluca Rudino del Foro di Savona, elettivamente domiciliato in Savona (SV), Via Paleocapa, n. 22/4, presso lo studio del primo di detti difensori (PEC: giambattista.petrella@ordineavvocatisv.it), per procura ed elezione di domicilio in calce al ricorso a questo Collegio,
contro
la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa in questo grado del giudizio dall’avv. Giancarlo Viglione, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 17 (PEC: legale@pec.studiolegaleviglione.it), per delega in calce alla memoria di costituzione,
e
la Procura Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio, in persona del Procuratore
pro tempore, non costituita in questo grado del giudizio,
e nei confronti
della Procura Generale dello Sport presso il CONI, in persona del Procuratore Generale dello Sport pro tempore, con sede in Roma, piazza Lauro De Bosis, n. 15, rappresentata e difesa dal Procuratore Nazionale dello Sport, Cons. Giuseppe Leotta, intervenuta ai sensi dell’art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI,
per l’annullamento
della decisione della Corte Federale di Appello FIGC, Sezioni Unite, n. 0008/CFA-2024-2025 del 22 luglio 2024 (Registro procedimenti nn. 0144 - 0145 - 0146 - 0147/CFA/2023-2024), comunicata, quanto al dispositivo, in data 11 luglio 2024, nella parte in cui ha respinto il reclamo proposto dall’odierno ricorrente, per l’effetto confermando la decisione del Tribunale Federale Nazionale FIGC, Sezione Disciplinare, n. 0248/TFNSD-2023-2024 del 7 giugno 2024, che ha irrogato, a carico del Sig. [omissis] (oltre alle sanzioni inflitte ad altri soggetti, qui non rilevanti perché in questa sede non appellanti), la sanzione della squalifica per anni 5 (cinque).
Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;
uditi, nell’udienza pomeridiana del 5 maggio 2025, il difensore della parte ricorrente - sig. [omissis] - avv. Gianluca Rudino, anche in sostituzione dell’avv. Giambattista Petrella, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sanzione impugnata; l’avv. Noemi Tsuno, giusta delega all’uopo ricevuta dall’avv. Giancarlo Viglione, per la resistente FIGC, nonché il Procuratore Nazionale dello Sport, cons. Giuseppe Leotta, per la Procura Generale dello Sport presso il CONI, intervenuta ai sensi dell’art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, che hanno entrambi concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza del gravame, con riferimento a tutti i suoi motivi;
udito, nella successiva camera di consiglio dello stesso giorno, il relatore, Cons. Ermanno de Francisco.
Ritenuto in fatto
1. Con la decisione del Tribunale Federale Nazionale FIGC, Sezione Disciplinare, n. 0248/TFNSD-2023-2024 del 7 giugno 2024, è stata irrogata, a carico del sig. [omissis], all’epoca dei fatti allenatore della [omissis] - unitamente ad altre sanzioni inflitte ad altri soggetti (e, in dettaglio: ad [omissis], all’epoca dei fatti Arbitro Effettivo della Sezione AIA di Albenga; a [omissis], all’epoca dei fatti allenatore della [omissis]; a [omissis], all’epoca dei fatti tesserato della [omissis]; alla società ASD Dego Calcio e alla società Nolese R.G. 1946-2001), che in questa sede non rilevano più, giacché viene in trattazione unicamente il ricorso proposto dal sig. [omissis] -, la sanzione della squalifica per anni 5 (cinque), per «violazione dell’art. 30, comma 1, del Codice di giustizia sportiva in relazione all’art. 38 del CGS per aver tutti in concorso tra loro (e con altri soggetti allo stato non identificati), ciascuno con un proprio autonomo apporto causale, posto in essere atti diretti in modo non equivoco ad alterare il regolare svolgimento e il conseguente risultato finale della gara Dego Calcio vs. Nolese disputata in data 02.04.2023 e valevole per il Campionato di 2^ Categoria FIGC Liguria della stagione sportiva 2022-2023 al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione sportiva, favorendo la vittoria della squadra ospitante (ASD Dego Calcio) ai danni di quella ospite (Nolese R.G. 1946-2001) così da assicurare alla stessa un vantaggio in classifica e consentirle per l’effetto di poter disputare “in casa” l’andata della successiva partita valida per i play-off di fine stagione. In particolare … [[omissis] e] [omissis] per aver nei giorni antecedenti alla gara concordato tra loro di operare l’alterazione del risultato finale della stessa (all’uopo dichiarandosi il [omissis] disponibile a <far giocare i più scarsi>, nonché a far incontrare e parlare prima dell’inizio della gara [omissis] con il proprio portiere e capitano, [omissis], onde <chiedergli la partita>».
La decisione della Corte Federale d’Appello, Sezioni Unite, FIGC n. 0008/CFA-2024-2025 dell’11 luglio 2024 ha respinto tutti i reclami proposti, anche quello dell’odierno ricorrente, per l’effetto integralmente confermando la decisione del Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare.
2. In data 21 agosto 2024, il sig. [omissis], con il ricorso n. R.G. 42/2024, ha adito questo Collegio di Garanzia dello Sport per l’integrale riforma – con o senza rinvio – della decisione n. 0008/CFA-2024/2025 e, per l’effetto, con richiesta di:
«- in via principale: assolvere e tenere indenne il predetto [omissis] da tutti gli addebiti o, comunque, disporre la riforma o l’annullamento o la revoca o la disapplicazione dell’instaurato procedimento, in quanto infondato in fatto e in diritto e, comunque, revocare, o riformare qualsivoglia provvedimento sanzionatorio o afflittivo avverso il soggetto indagato;
- in via subordinata: derubricare la contestazione in altra fattispecie meno grave e, in ogni caso, disapplicare la contestata aggravante e, comunque, riconoscere ogni attenuante e ogni disposizione di favore, con giudizio di prevalenza delle attenuanti stesse su ogni denegata circostanza aggravante;
- in via di estremo subordine e in ogni caso: contenere la sanzione applicata o qualsivoglia provvedimento afflittivo nel minimo edittale possibile, con riconoscimento di ogni beneficio previsto dall’ordinamento e, comunque, ridurre complessivamente la sanzione irrogata nei precedenti gradi di giudizio».
3. La vicenda che qui ci occupa trae origine dai fatti di cui appresso.
In data 2 aprile 2023, si disputava la gara, valevole per il Campionato di Seconda Categoria della Liguria, stagione sportiva 2022/2023, tra la A.S.D. Dego Calcio e la Polisportiva Nolese, che terminava con il punteggio di 3-2 per la Dego.
4. Il successivo 15 novembre 2023, la Procura Federale iscriveva nel pertinente registro il procedimento avente a oggetto “Segnalazione del Comitato Nazionale AIA avente ad oggetto una notizia stampa pubblicata su un quotidiano locale e relativa all’arresto di un associato AIA di Albenga”. Nel corso della fase istruttoria relativa a tale procedimento e, in particolare, all’esito dell’esame della documentazione trasmessa dalla Procura della Repubblica di Savona, il Procuratore Federale veniva a conoscenza «di un fatto disciplinarmente rilevante ulteriore e diverso rispetto a quello oggetto del presente procedimento in quanto afferente alla presunta avvenuta alterazione del regolare svolgimento e conseguente risultato finale della gara DEGO CALCIO vs NOLESE, disputata in data 01.04.2023 e valevole per il Campionato di 2^ Categoria FIGC Liguria della stagione sportiva 2022/2023, quale diretta conseguenza di un asserito accordo illecito raggiunto allo scopo tra il Sig. [omissis], nella propria qualità all’epoca dei fatti di Arbitro designato per dirigere la gara de qua, il Sig. [omissis] nella propria qualità all’epoca dei fatti di allenatore della ASD DEGO, il Sig. [omissis] nella propria qualità all’epoca dei fatti di allenatore della NOLESE e il Sig. [omissis] nella propria qualità all’epoca dei fatti di capitano e portiere della NOLESE». Pertanto – come si legge nella nota prot. n. 14447/383pf23 24/GC/SAep del 1° dicembre 2023 – il Procuratore Federale, venuto a conoscenza di tale fatto disciplinare rilevante, ulteriore e diverso rispetto a quello oggetto del procedimento, disponeva “la formazione di un autonomo fascicolo, con nuova iscrizione nel registro dei procedimenti della Procura Federale”. In tale ulteriore fascicolo confluivano le trascrizioni delle intercettazioni relative al procedimento penale 4331/2022 Mod. 21 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Savona, aventi a oggetto le conversazioni telefoniche tra [omissis] (arbitro designato per la gara Dego – Nolese) e [omissis], allenatore della Dego.
5. Il successivo 26 gennaio 2024, la Procura Federale indirizzava al Procuratore Generale del CONI una “Richiesta di proroga del termine per la conclusione delle indagini, ai sensi dell’art. 119, comma 5, del C.G.S. e dell’art. 47, comma 3, del C.G.S. CONI”; lo stesso 26 gennaio 2024, la Procura Generale dello Sport del CONI concedeva la richiesta 1^ proroga di gg. 40 (quaranta), decorrenti dal giorno successivo della scadenza del termine ordinario ex art. 47, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI. In data 26 febbraio 2024, la Procura Federale FIGC riattivava, dunque, le indagini mediante le audizioni delle persone interessate dal procedimento disciplinare. Le indagini venivano concluse entro il 10 marzo 2024, data in cui veniva rimessa dal collaboratore al Procuratore Federale FIGC una relazione sulle attività svolte, a seguito delle quali, in data 22 marzo 2024, veniva notificato l’avviso di conclusione delle indagini agli incolpati.
6. In data 30 aprile 2024, la Procura Federale deferiva dinanzi al TFN, tra gli altri (i cui nominativi e le cui pertinenti qualità all’epoca dei fatti sono stati già indicati supra, per quanto possa qui rilevare), l’odierno appellante sig. [omissis], per rispondere del concorso nella violazione che si è trascritta al superiore punto 1.
7. In data 7 giugno 2024, il TFN pronunziava la decisione n. 0248/TFNSD-2023-2024, con cui condannava (anche) il sig. [omissis] (al pari degli altri deferiti, salvo l’arbitro [omissis], che veniva invece sanzionato con l’esclusione dall’AIA) alla sanzione di anni cinque (5) di squalifica, per l’illecito ex art. 30 CGS FIGC, con l’aggravante di cui al comma 6 del medesimo articolo.
8. Avverso la citata decisione il ricorrente presentava reclamo alla CFA della FIGC, che lo respingeva con rinveniente integrale conferma della predetta sanzione di cinque anni di squalifica per l’illecito ex art. 30 CGS FIGC, con l’aggravante di cui al comma 6 del medesimo articolo.
9. A sostegno del ricorso presentato a questo Collegio di Garanzia dello Sport avverso la suindicata decisione, reiettiva, della Corte Federale di secondo grado, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di impugnazione:
I – Totale omissione di motivazione ex art. 12-bis Statuto CONI in riferimento alle ragioni di reclamo interposte dal ricorrente ai paragrafi I), II) e III) nel proprio gravame e nella successiva memoria d’udienza, con conseguente violazione dell’art. 44, comma 3, CGS FIGC e dell’art. 2, comma 4, Codice CONI, in relazione anche all’art. 111, commi 1, 2 e 6, Cost..
Con tale primo motivo dell’odierno ricorso, il [omissis] deduce che della gran parte dei motivi di reclamo da lui proposti la Corte Federale d’Appello, prima ancora di disattenderli, ha radicalmente pretermesso ogni scrutinio, senza alcun tipo di argomentazione né di ragionamento a confutazione.
In particolare, rileva che nell’atto di reclamo, alla pagina 3 (par. I), nonché nella successiva replica d’udienza, alle pagg. 3-4-5 (par. II), aveva articolato una specifica eccezione di omesso deposito degli atti di indagine, lamentando la lesione del diritto di difesa per non essersi potuto avvalere tempestivamente di una compiuta discovery del compendio investigativo.
Detta eccezione si appuntava sugli effetti deleteri della tardiva produzione, da parte del Procuratore Federale, di due “screen-shot” tratti dal portale telematico CONI in cui, a suo dire, si sarebbe rinvenuta la prova dell’inosservanza dei termini decadenziali e perentori di cui all’art. 119 CGS per la richiesta e per la successiva concessione di proroga dell’attività investigativa (i due screenshot attestavano la ricezione della richiesta di proroga alla Procura Generale del CONI, avvenuta il 26 gennaio 2024, e la trasmissione, in pari data, alla Procura FIGC dell’autorizzazione).
Nei propri scritti difensivi il sig. [omissis] aveva contestato il distorto utilizzo delle facoltà di produzione documentale di cui agli art. 101 e 103 CGS, posto che le presunte attestazioni dell’ottemperanza ai termini perentori d’esercizio dell’azione disciplinare non rappresentano meri “documenti” (c.d. screenshot), bensì costituiscono veri e propri atti d’indagine divenuti ormai inutilizzabili in quanto non ritualmente esibiti alla difesa (cfr. Cass. pen., sez. V, 17 marzo 2021, n. 20855, secondo cui “Il mancato deposito della documentazione relativa alle indagini preliminari insieme alla richiesta di rinvio a giudizio, determinando la inutilizzabilità degli atti non trasmessi ai fini della decisione, integra un vizio radicale di motivazione della sentenza, tale da costituire violazione di legge perché lesiva dei diritti di difesa dell'imputato”).
Aveva, inoltre, rilevato che l’effettiva ubicazione telematica presso uno qualsiasi dei portali, o dei data base, della Procura Federale risultasse totalmente irrilevante e indifferente nella valutazione concreta della questione procedurale di mancata ostensione integrale del fascicolo d’accusa.
Invero, quand’anche alcuni atti fossero stati effettivamente inseriti in uno degli archivi informatici dell’ufficio (invero non visionabili né consultabili dagli indagati), gli stessi avrebbero comunque dovuto essere messi subito a disposizione dell’incolpato e non certo essere tenuti celati nel portale CONI fino alla celebrazione udienza di reclamo.
Osserva, perciò, il ricorrente che il mancato disvelamento integrale della documentazione in possesso dell’accusa ha comportato una sostanziale compromissione della corretta instaurazione del contraddittorio e un’oggettiva sottrazione di elementi essenziali per valutare sin da subito la percorribilità delle varie opzioni tecniche e procedurali della propria difesa. Inoltre, l’appellante obietta che gli screen-shot allegati alla memoria del 27 giugno 2024 non avrebbero potuto essere egualmente ricondotti alla nozione di semplice documento, di cui agli artt. 101 e 103, comma 1, CGS FIGC, anche per la funzione che rivestono nel processo sportivo, trattandosi di veri e propri atti di scansione procedimentale, la cui produzione sarebbe stata ben possibile, e perciò doverosa, in occasione della conclusione delle indagini; rimarcandosi, infatti, che, in dottrina, la nozione di atto processuale – ben diverso dal semplice documento – viene, ancor oggi e tradizionalmente, definita sulla base della sua “attitudine a produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale […] e il suo realizzarsi nel contesto del processo, ossia all’interno di una fattispecie a formazione progressiva” (così G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, VII edizione, CEDAM, pag. 175).
Ebbene, in tesi del ricorrente, la CFA non si è in alcun modo pronunciata in ordine all’errata classificazione dei citati screen-shot nella categoria dei “documenti”, né in merito all’omesso deposito di tali atti di indagine e alla conseguente illegittima instaurazione del contraddittorio. Del pari, osserva il ricorrente che non è reperibile nella decisione n. 0008/CFA 2024-2025 alcuna illustrazione del percorso inferenziale seguito dal Giudicante per affrontare i motivi incentrati sul difetto di correlazione tra accusa solennemente contestata e pronuncia.
Nella propria impugnazione in seconde cure, l’odierno ricorrente aveva sottolineato come, sin dalla fase investigativa, non fosse stata posta la giusta attenzione sulle insussistenti condotte materiali trascritte nel capo di incolpazione, visto che – in modo sbrigativo – non ci si fosse mai realmente soffermati sul solo e unico fulcro dell’accusa, ovverosia sull’asserita manifestazione di “disponibilità a far giocare i più scarsi” e sulla presunta intermediazione finalizzata a “far incontrare” il portiere, sig. [omissis], con il sig. [omissis].
La tesi del sig. [omissis], in proposito, è dunque che sia la Procura Federale che il Tribunale Federale Nazionale abbiano erroneamente inteso punire l’allenatore della Nolese R.G. per una sorta di generica “responsabilità da posizione”, senza incentrare la propria valutazione – come invece sarebbe stato doveroso fare – sull’effettivo oggetto di accertamento giudiziale: ovverosia sulle sole accuse e sul solo fatto storico cristallizzati nel capo di incolpazione.
Nel gravame proposto dinanzi alla CFA il ricorrente aveva evidenziato che ciò che gli è stato contestato corrisponde in sostanza a una sorta di concorso in un illecito altrui, consistente esclusivamente (i) nell’essersi asseritamente dichiarato “disponibile a far giocare i più scarsi”, nonché nella riferita, ma denegata, opera di intermediazione volta a (ii) “far incontrare e parlare prima dell’inizio della gara il [omissis] con il proprio portiere e capitano” (cfr. decisione n. 0248/TFNSD, pag. 1).
La CFA, tuttavia, non si sarebbe premurata di spiegare come il sig. [omissis] abbia potuto, in tesi accusatoria, concordare con l’allenatore avversario una formazione di comodo, stanti le innumerevoli defezioni che lo avrebbero poi obbligato a schierare in ogni caso una compagine scelta non già fra “i giocatori più scarsi”, bensì negli unici undici atleti effettivamente a sua disposizione.
Inoltre, non sarebbe stata minimamente illustrata la ragione per cui il Giudice di seconde cure abbia continuato a considerare il sig. [omissis] alla stregua di un suggeritore e intermediatore dell’incontro tra il proprio portiere e il tecnico dell’A.S.D. Dego, pur se dalla lettura delle intercettazioni siffatta presunta istigazione all’organizzazione dell’abboccamento illecito risulterebbe essere promanata solo e soltanto dall’opera del sig. [omissis].
Tale modus operandi, in tesi della parte qui ricorrente, contrasta con gli obblighi motivazionali riconosciuti a livello codicistico sportivo e addirittura costituzionale (art. 111, comma 6, Cost., in base al quale “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, come anche ex art. 2, comma 4, CGS CONI, “La decisione del giudice è motivata”).
II – Violazione ed errata applicazione dell’art. 44, commi 1 e 2, CGS FIGC, nonché dell’art. 2, comma 2, Cod. CONI, in relazione agli artt. 111, commi 2 e 3, Cost. e 6, commi 1 e 3, lett. c), CEDU e insufficiente motivazione in ordine alla mancata ammissione dei testi a difesa.
Con tale secondo motivo di gravame, il sig. [omissis] rileva, per un verso, che non gli è stato consentito di difendersi utilmente, in quanto tutte le prove testimoniali richieste sono state pregiudizialmente rigettate; per altro verso, nel contraddittorio tra accusa e difesa, che sia il
TFN che la CFA mostrano di aver adottato “due pesi e due misure”, dando credito solamente alla lettura in chiave accusatoria degli atti, con totale disinteresse per le ragioni e per le interpretazioni avanzate dalla difesa.
Ad esempio, la Corte ha continuato a considerare il sig. [omissis] come il suggeritore dell’asserito coinvolgimento del sig. [omissis], anche se nelle intercettazioni il sig. [omissis] aveva riconosciuto di aver caldeggiato il suo interessamento in prima persona: “gli ho detto belin … però gioca in porta [omissis], che giocava, che sono anni che gioca, non è un ragazzino gli ho detto”.
Parimenti, si è continuato erratamente a considerare il sig. [omissis] come colui il quale avrebbe esortato la controparte a far leva su un episodio passato di quattro anni prima, anche se – a onor del vero – dalle intercettazioni è chiaramente emerso che il medesimo non fosse neppure a conoscenza di tale episodio poiché non ricordasse a quale vicenda intendesse riferirsi il sig. [omissis] (cfr. atto di conclusione indagini, a pag. 5: “[omissis]: gli ho mandato una cosa di una partita di quattro anni fa Dego-Nolese che a loro gli serviva un punto che tra l’altro lui non si ricordava”).
Nella censurata decisione, la CFA si sarebbe limitata a ripercorrere pedissequamente quanto già statuito dal TFN sull’asserita inammissibilità e irrilevanza delle richieste istruttorie del reclamante, con l’erronea precisazione che le prove orali richieste avrebbero palesato un contenuto meramente valutativo e non dirimente per la causa.
In aggiunta, il Giudice di seconde cure ha recisamente puntualizzato che “i principi della giustizia sportiva sono ispirati a ragioni di speditezza che mal si conciliano con l’espletamento di prove orali”. Dette considerazioni – osserva il ricorrente – non possono in alcun modo essere condivise e accettate, perché rappresentano la diretta negazione del criterio di parità tra accusa e difesa e del diritto di difendersi “provando”.
Escutere almeno uno dei due calciatori-testimoni richiesti dal sig. [omissis] (i sigg. [omissis] e [omissis]), da un lato, non avrebbe certamente pregiudicato definitivamente la speditezza della decisione, dacché l’incombenza si sarebbe potuta espletare in una manciata di minuti soltanto; dall’altro lato, sarebbe stato particolarmente utile ottenere delucidazioni sia sull’assoluta esiguità dei calciatori schierabili fin dalle sessioni d’allenamento precedenti la partita, sia sul regolare andamento della gara (non per come “valutata” dei testi indicati, ma per come “vista” con i loro occhi).
La prova per testi – rigettata con una motivazione insufficiente e meramente basata su un asettico richiamo di massime inconferenti rispetto alla vicenda in disamina – avrebbe certamente contribuito a cristallizzare suddette contingenze, dimostrando una volta per tutte la natura lecita e legittima degli intenti del ricorrente (cercare, cioè, di giocare una partita tranquilla, per non destabilizzare i già precari equilibri della propria squadra).
III – Violazione di norme di diritto ex art. 12-bis, comma 2, Statuto CONI per errata valutazione nel caso di specie del dolo intenzionale dell’illecito di cui all’art. 30 CGS FIGC - Insufficiente motivazione in ordine all’erronea affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo al sig. [omissis].
Con il terzo motivo di gravame, il ricorrente deduce che la CFA, con motivazione insufficiente e lacunosa, ha omesso di indagare quale fosse l’elemento psicologico ravvisabile in capo allo stesso: e certamente non il dolo intenzionale.
Secondo il sig. [omissis], alla stregua degli atti d’indagine e dei motivi esposti nel reclamo, v’è ragione di ritenere che egli, lungi dal voler intenzionalmente attentare al naturale esito della competizione, abbia solo inteso consigliare ai propri giocatori di “non andare a prendere dei calci” e di “giocare una partita tranquilla”, al precipuo scopo di conservare la salute degli atleti e la parità numerica sul campo, proprio in virtù dell’assenza di possibili sostituzioni in panchina e della fase ormai non particolarmente tesa del campionato. L’intenzionalità dell’allenatore della Nolese R.G., in tesi di tale parte, sarebbe stata tutto fuorché direttamente indirizzata a influire sul risultato della gara, anche in considerazione del fatto che i numerosi richiami captati dalla P.G. alla presunta necessità di elaborare un “piano B” con l’arbitro denotano l’obiettiva mancanza di un affidabile pactum sceleris concluso per volontà del sig. [omissis]. All’evidenza – osserva il ricorrente – se il sig. [omissis], in quella fase, fosse già stato realmente convinto della diretta intenzionalità illecita del proprio avversario, non avrebbe manifestato alcuna esigenza di ricercare altri escamotage alternativi, né di insistere affinché l’arbitro sig. [omissis] si facesse carico di parlare in prima persona con il Mister della Nolese R.G. (evidentemente per cercare di persuaderlo a fare qualcosa che, dunque, egli non aveva alcuna volontà di fare).
A ulteriore negazione dell’elemento soggettivo più intenso in capo al sig. [omissis], ci sarebbe poi anche la circostanza che, stando a quanto si legge nelle trascrizioni, egli ha ripetutamente ribadito al sig. [omissis] di voler giocare una partita genuina e leale, pur se molto cauta per non esporre i propri ragazzi ad infortuni e defezioni ulteriori (cfr. RIT 432/2022: “mi ha detto … tanto sai a fare allenamento eravamo in 8 […] preferisco magari … provare … tanto alla fine tanto perdiamo … e io gli ho detto … va be quello va bene […]”.
IV – Omessa o insufficiente motivazione ovvero motivazione meramente apparente sul diniego di applicazione delle circostanze attenuanti in favore del sig. [omissis] e contestuale violazione degli art. 12 e 13, comma 1, CGS FIGC. Conseguente sproporzione del trattamento sanzionatorio globalmente adottato e insufficiente motivazione sulla quantificazione finale della sanzione comminata.
Con il quarto motivo del ricorso, il ricorrente lamenta sostanzialmente di essere stato punito fin troppo rigidamente, pur avendo offerto un apporto proattivo e commendevole nella conduzione delle indagini, in spregio al dettato normativo che prevede un trattamento sanzionatorio di favore per chi abbia “prestato collaborazione fattiva per l’accertamento degli illeciti disciplinari”. In particolare, la CFA non avrebbe fatto altro che respingere “di default” la richiesta di applicare qualsivoglia attenuante, sulla base dell’unica considerazione che la fattispecie ex art. 30 CGS, in sé, sarebbe da reputarsi come intrinsecamente grave (“non potendosi concedere le attenuanti, stante la gravità dei comportamenti posti in essere”).
Se non ché siffatta valutazione contrasterebbe con il dato codicistico/sistematico e con il disposto letterale e testuale dell’art. 13 CGS, in quanto né la lett. e) del primo comma, né qualsivoglia altra norma tipizzata, impongono di non attenuare la pena laddove sia stato contestato il fatto tipico di cui all’art. 30 CGS.
10. In base a tali motivi di ricorso, il sig. [omissis] ha rassegnato le conclusioni che si sono già riportate nel superiore punto 2 di questa narrativa in fatto, instando in questa sede per la completa assoluzione o almeno per l’attenuazione della sanzione che gli è stata inflitta dalla giustizia federale.
11. In data 30 agosto 2024, si è costituita la FIGC, eccependo l’inammissibilità del ricorso sull’assunto che la parte ricorrente richiederebbe, in sostanza, una rivalutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, nonché un sindacato e una rideterminazione della sanzione. La Federazione ha, quindi, richiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, che sia respinto (riservandosi di argomentare successivamente con riferimento alla infondatezza nel merito).
È seguita la memoria ex art. 60, comma 4, in cui la stessa parte resistente ha dedotto che nella decisione impugnata non vi sia alcuna delle lacune motivazionali lamentate dal ricorrente. Con riferimento alle “eccezioni preliminari riguardanti la improcedibilità dell’azione disciplinare o la inutilizzabilità delle attività di indagine successive al termine del 30 gennaio 2024”, si assume che la CFA si sia profusa in una “compiuta valutazione delle stesse, tramite una ricostruzione dei documenti oggetto di discussione"; la CFA, specificamente, ha ritenuto di non discostarsi dalla recente interpretazione sulla portata dell’art. 101, comma 3, terzo periodo, del CGS, contenuta nella decisione delle Sezioni Unite della stessa CFA n. 29/CFA/2022-2023, confermata dal Collegio di Garanzia dello Sport con decisione, Sez. II, n. 76/2023, secondo cui «l’art. 101 del Codice di giustizia sportiva – in modo molto ampio – ha dunque previsto la piena possibilità di produzione in appello di nuovi documenti, con il solo limite dell’indicazione analitica degli stessi nel reclamo e della comunicazione alla controparte. Si tratta di un regime derogatorio rispetto ai principi dell’ordinamento generale sopra detti, giustificato certamente dalla peculiarità degli interessi implicati nel giudizio sportivo». In altri termini la CFA ha riconosciuto la “regolarità” e la “tempestività” del deposito dei c.d. screenshot da parte della Procura Federale, pur se avvenuto “solo” in secondo grado, anche alla luce dell’orientamento assunto da questo Collegio circa la “piena possibilità di produzione in appello di nuovi documenti”, laddove gli stessi siano “utili a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi” (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, n. 56/2018).
Con riferimento, poi, alla tesi di parte ricorrente, secondo cui l’estraneità del sig. [omissis] ai fatti di causa sarebbe dimostrata dalla semplice circostanza che, durante la partita tra Dego e Nolese, i calciatori da lui schierati erano “gli unici atleti effettivamente a disposizione”, la tesi sarebbe priva di pregio, posto che dalle “intercettazioni telefoniche acquisite dalla Procura di Savona”, poste a base sia del deferimento e sia poi delle decisioni degli organi di giustizia federali, emerge con evidenza come già molti giorni prima della partita disputatasi in data 2 aprile 2023 il [omissis] fosse stato rassicurato dal [omissis] sulla formazione che avrebbe schierato.
Con riferimento alla mancata ammissione dei testi a difesa, che sarebbero stati “dirimenti” ai fini del decidere, osserva la FIGC che da una lettura della pronuncia oggi impugnata emergono le evidenti ragioni sottese alla scelta del Giudice di prime cure di non accogliere tali istanze. Si legge, infatti, nella decisione impugnata che «secondo la costante giurisprudenza di questa Corte federale (da ultimo CFA, Sez. I, n. 2019/2023-2024) i procedimenti in ordine alle infrazioni oggetto di denuncia o deferimento da parte della Procura federale si svolgono sulla base degli elementi contenuti nel deferimento e nelle deduzioni difensive, ossia sulla base delle evidenze documentali e delle prove precostituite, rispetto alle quali la prova testimoniale costituisce, nel procedimento disciplinare come in genere in quello sportivo, eccezione (CFA, n. 20/2017-2018)».
Pertanto, aderendo alla granitica giurisprudenza della Corte Federale, l’escussione di un teste in un procedimento sportivo costituirebbe solo un’“eccezione” – come pure confermato dal dato letterale dell’art. 60 CGS FIGC – il cui espletamento, specie in appello, deve esser valutato solo se “assolutamente necessario per assumere la decisione”. Nel caso di specie non si ravvisava tale necessità in quanto – come ampiamente chiarito dalla Corte – le prove testimoniali richieste dal [omissis] erano “irrilevanti”, oltre che inammissibili avendo “contenuto valutativo”.
Relativamente alla doglianza riferita all’elemento psicologico dell’illecito, la FIGC osserva che la stessa CFA nella decisione si è soffermata più volte sulle condotte tenute dal [omissis], riprendendo “i passaggi delle intercettazioni maggiormente rilevanti per la configurabilità dell’illecito sportivo”. Nella motivazione si legge che «Da questo punto di vista, è emblematico il contenuto della prima telefonata intercettata intercorsa tra l’arbitro designato [omissis] e l’allenatore della Dego Calcio [omissis] del 28 marzo 2023. In disparte dai motivi della telefonata, il tenore letterale del colloquio è eloquente, poiché si fa espresso riferimento alla gara con la Nolese – [omissis] riferisce di aver sentito [omissis] – allenatore della Nolese – che, nel manifestare la sua disponibilità, si è posto il problema di dirlo ai propri giocatori “ma il problema non è quello, il problema è di dire ai ragazzi di perdere che ci vuole un minimo di orgoglio” (…) Segue nello stesso giorno, a distanza di tre ore circa, un’altra telefonata tra i medesimi soggetti. [omissis] riferisce le risposte del [omissis] alle reiterate richieste di combine (“... a me guarda ... io non me ne frega niente ... Però mi mette anche male ... io non voglio fare figure di merda ...”) e alle rassicurazioni rappresentategli per evitare un “figura di merda”, “perché non ne facciamo di sicuro, se la facciamo bisogna farla bene”».
E ancora: «anche la telefonata del 30 marzo 2023 conteneva una serie di elementi confermativi sull’accaduto illecito e sulla necessità per il Dego della vittoria con una sola rete di scarto e la promessa del [omissis] in tal senso: il giorno prima della gara, nel corso di un’ulteriore telefonata, [omissis] riferisce all’[omissis] delle modalità concordate con [omissis] per coinvolgere il portiere [omissis] (…). Stando a quanto riferito dal [omissis] all’[omissis], infatti, il [omissis], pur non contrario alla combine, chiedeva che fosse il primo ad esporsi con il [omissis] che, a suo dire, non si sarebbe sottratto, proprio perché parte dell’episodio di quattro anni prima, e ne avrebbe parlato negli spogliatoi con i compagni di squadra».
Con riferimento, infine, alle censure di parte ricorrente relative alla rideterminazione della sanzione irrogata dalla CFA e alla valutazione delle circostanze attenuanti da parte di questo Collegio, rileva la parte resistente che la Corte ha sanzionato le condotte poste in essere dal [omissis] in quanto integranti illecito disciplinare, pure valutando – e non poteva che essere così – l’effettivo verificarsi dell’alterazione del risultato di gara e del vantaggio in classifica della Dego ai sensi dell’art. 30, comma 6, CGS; in altri termini, “la gravità dei comportamenti in essere” unitamente alla “contestata aggravante” hanno condotto la Corte a irrogare la sanzione di cui è causa e a non “concedere le attenuanti” richieste dal ricorrente.
12. Il contraddittorio si è ulteriormente sviluppato con il deposito della memoria ex art. 60, comma 4, CGS del CONI, da parte del sig. [omissis] che sostanzialmente insiste per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate.
13. In data 5 maggio 2025, si è svolta l’udienza davanti a questo Collegio, in cui le predette parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni ut supra indicate; il Procuratore Nazionale dello Sport – dichiarando di riportarsi, nel resto, alle conclusioni della FIGC – ha richiesto che sia valutata l’inammissibilità di tutti i motivi del ricorso, per la parte in cui essi sono volti a ottenere il riesame delle valutazioni compiute dalla C.F.A., e ha, altresì, rilevato, più in particolare, in ordine al primo motivo del ricorso che gli atti di proroga non sono atti dell’indagine; sulle prove testimoniali non ammesse che la testimonianza dibattimentale è un’eccezione nell’ordinamento sportivo e che nella specie vi è stata una sufficiente motivazione da parte della CFA circa la sua non ammissione; sul terzo motivo del ricorso, così come anche sul quarto, che la sentenza gravata ha sufficientemente motivato in ordine sia all’affermazione della responsabilità del [omissis] per illecito sportivo, sia in relazione al quantum della sanzione che conseguentemente gli è stata inflitta.
Considerato in diritto
I. Il Collegio ritiene di disattendere il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso, in quanto essi si palesano parzialmente inammissibili e per il resto infondati.
Viceversa, è fondato e va accolto – nei sensi, nei limiti e per gli effetti di cui infra – il quarto motivo di ricorso: da ciò scaturendo l’annullamento dell’impugnata decisione, con rinvio del giudizio alla stessa CFA per rinnovare la valutazione dei parametri applicabili per una corretta dosimetria della sanzione da infliggere all’odierno ricorrente, conformemente ai criteri in questa sede indicati.
II. Il primo motivo di ricorso è parzialmente inammissibile, e per il resto infondato – così com’è stato dedotto dal Procuratore Nazionale dello Sport – condividendo il Collegio l’assunto che gli atti relativi alla richiesta e concessione della proroga delle indagini non siano, essi stessi, atti d’indagine: con il corollario che non restano inficiati da nullità, quand’anche non vengano fatti oggetto di c.d. discovery, o deposito, senza esser dunque posti a immediata conoscenza e disposizione delle parti.
Ciò che unicamente resta precluso è il compimento di atti d’indagine – e comunque la relativa utilizzabilità – nel lasso di tempo intercorrente tra la scadenza del relativo termine e la concessione della sua proroga dal Procuratore Generale dello Sport: ciò che, nella specie, di certo non c’è stato.
Sono perciò inammissibili le doglianze in proposito reiterate ed è, altresì, assorbita la rilevanza delle censure con cui il ricorrente deduce che la CFA, immotivatamente, non si sarebbe pronunziata su tale profilo, avendo omesso in sostanza di rispondere ai pertinenti motivi di reclamo già dedotti in seconde cure dalla difesa qui ricorrente.
Infondata, perciò, era – come lo è la sua reiterazione in questa sede – l’eccezione di tardività della produzione, da parte della Procura Federale, di due c.d. screen-shot (tratti dal portale del CONI) volti a dimostrare la “osservanza dei termini decadenziali e perentori di cui all’art. 119
C.G.S. per la richiesta e per la successiva concessione di proroga dell’attività investigativa”: non rilevando affatto – una volta assodatasi pacificamente l’insussistenza di effettivi atti d’indagine compiuti oltre i relativi termini e prima della loro proroga – quando i c.d. screen-shot (attestanti l’effettiva richiesta di proroga dei termini e la sua concessione) siano stati depositati dalla Procura e resi così conoscibili alle parti.
Le reiterate argomentazioni che il ricorrente svolge in proposito nel corpo del motivo in esame sono dunque destinate a infrangersi nell’implausibilità della tesi che ne vorrebbe negare la natura meramente documentale per configurarli invece come veri e propri atti d’indagine – soggetti ai relativi termini, a pena d’irrecuperabile inutilizzabilità – la quale ontologicamente non può condividersi.
Né, in proposito, si potrebbe configurare un difetto motivazionale della decisione qui gravata – come pure la difesa del ricorrente reiteratamente deduce – perché la natura documentale di tale atto, qui accertata, depriva di rilievo il dedotto difetto motivazionale della decisione di seconde cure.
Del tutto correttamente, invero, la CFA ha affermato che nella specie non sono stati violati i commi 4 e 5 dell’art. 119 del CGS – a tenore dei quali, rispettivamente, “La durata delle indagini non può superare sessanta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante”; e “Su istanza congruamente motivata del Procuratore federale, la Procura generale dello sport autorizza la proroga del termine di cui al comma 4 per quaranta giorni. In casi eccezionali, la Procura generale dello sport può autorizzare una ulteriore proroga di durata non superiore a venti giorni. Il termine prorogato decorre dalla comunicazione della autorizzazione” – giacché tali norme sono poste a garanzia del diritto di difesa dell’incolpato, rispetto al quale, in assenza della comunicazione della proroga, non possono essere svolte indagini.
Nel caso di specie, la ripresa delle attività di indagine in data 26 febbraio 2024, in relazione alla proroga autorizzata dalla Procura Generale dello Sport il 26 gennaio 2024, ha ampiamente garantito i diritti difensivi dell’incolpato, che non è stato esposto ad attività di indagini prima della autorizzazione di proroga, rimanendo perciò assorbita ogni eventuale irregolarità formale relativa al mancato deposito della comunicazione dell’avvenuta proroga.
Invece, in ordine alle deduzioni di omessa “illustrazione del percorso inferenziale adottato dal Giudicante per affrontare i motivi di reclamo di cui al par. n. II, incentrato sul difetto di correlazione tra accusa solennemente contestata e pronuncia”, con cui “l’odierno ricorrente aveva sottolineato … che, sin dalla fase investigativa, non è stata posta la giusta attenzione sulle insussistenti condotte materiali trascritte nel capo di incolpazione, visto che – in modo quantomeno sbrigativo – non ci si è mai realmente soffermati sul solo e unico fulcro dell’accusa, ovverosia sull’asserita manifestazione di “disponibilità a far giocare i più scarsi” e sulla presunta intermediazione finalizzata a far incontrare il portiere sig. [omissis] con il sig. [omissis]”, va detto che esse sono certamente infondate, in quanto tese a negare la sussistenza del contestato illecito sportivo (che costituisce una fattispecie di pericolo perfezionata anche dalla mera promessa di fare qualcosa che poi per cause esterne non potrà farsi); ma che saranno invece riprese, e pro parte accolte, in sede di successivo scrutinio del quarto motivo, in quanto volte a ottenere un’attenuazione della responsabilità del [omissis] – sia in assoluto, sia in relazione a quella, maggiore, ascrivibile agli altri soggetti compartecipi nell’illecito – per la più corretta dosimetria della (più attenuata) sanzione che gli dovrà essere concretamente inflitta.
Del pari, e del tutto analogamente, il Collegio non rileva alcun deficit motivazionale della qui gravata decisione, in ordine all’affermazione della responsabilità del ricorrente per l’illecito sportivo, nemmeno quanto alla dedotta insussistenza di concretezza del relativo pericolo indotto; mentre tale deficit sussiste e rileva, come si dirà a suo luogo, come parametro del quantum della sanzione inflitta.
È per tali ragioni che il primo motivo è in parte dichiarato inammissibile e per il resto infondato.
III. Il secondo motivo – parimenti esposto analiticamente nella superiore narrativa in fatto, cui perciò si rinvia – è invece volto a censurare la “mancata ammissione dei testi a difesa”. Anche tale motivo è in parte inammissibile e de residuo infondato.
È inammissibile la richiesta a questo Collegio di rivalutare la necessità e l’opportunità dell’ammissione delle prove testimoniali richieste, in quella sede, dal reclamante, dovendosi qui dare continuità all’interpretazione in tal senso tracciata da questa Sezione con la decisione
n. 46 del 2022, essendosi ivi già chiarito che «La mancata ammissione della prova testimoniale, o di altre istanze istruttorie, può essere denunciata per Cassazione (e, dunque, anche al Collegio di Garanzia dello Sport, attese le analogie tra i due giudizi di legittimità) solo nel caso in cui abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno inciso sulla soluzione della controversia adottata dal giudice, in modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento».
Posto che non è dato ravvisare nel caso di specie tale ultima situazione, la dedotta violazione non sussiste: nella specie la configurazione, anche in capo al [omissis], dell’illecito sportivo risulta adeguatamente e ragionevolmente dimostrata dal compendio probatorio prodotto dalla Procura Federale – salvo, beninteso, quanto si osserverà infra in punto di deficit motivazionale sull’entità e sulla proporzionalità della sanzione inflitta al predetto ricorrente – di tal ché il rigetto disposto in seconde cure delle sue istanze di prova per testi non è meritevole di censura alcuna in questa sede.
IV. Del pari immeritevole di positivo esito risulta il terzo motivo di ricorso, con cui il [omissis] assume essere stata erroneamente apprezzata la sussistenza del dolo intenzionale che caratterizza l’illecito sportivo, ai sensi dell’art. 30 del CGS della Federazione; con rinveniente violazione di detta disposizione, nonché dell’art. 12-bis, comma 2, dello Statuto del CONI.
È ben noto che, ex art. 30 cit., l’illecito sportivo si perfeziona con “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica” (comma 1); i tesserati, “riconosciuti responsabili di illecito sportivo, sono puniti con la sanzione non inferiore alla inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di quattro anni e con l’ammenda in misura non inferiore ad euro 50.000,00” (comma 5), ma “Le sanzioni sono aggravate … se lo svolgimento o il risultato della gara è stato alterato oppure se il vantaggio in classifica è stato conseguito” (comma 6). Ritiene questo Collegio che la qui impugnata decisione rechi sufficiente motivazione in ordine all’affermazione di sussistenza del dolo normativamente richiesto per la configurazione, anche in capo al [omissis], di tale grave fattispecie illecita.
In tal senso la CFA ha correttamente valorizzato sia il contributo causale (pur se assai minore rispetto a quello degli altri concorrenti: ma su ciò si tornerà in sede di scrutinio del successivo motivo di ricorso) volontariamente apportato dal [omissis] per la conclusione del pactum sceleris – soprattutto, per quanto intermediato dall’odierno ricorrente, tra il [omissis] e il [omissis], che egli ha messo in contatto proprio al fine di consentire al primo di essi di convincere il secondo ad alterare il risultato della gara direttamente, ovvero facendo a sua volta da tramite nei confronti dei compagni di squadra – sia l’accettazione da parte di costui del progetto del [omissis] volto ad alterare lo svolgimento e il risultato della partita tra le loro due squadre nell’ultima giornata della stagione regolare del campionato.
Non persuade, infatti, l’assunto del ricorrente, secondo cui la CFA non avrebbe indagato quale sia l’elemento psicologico ravvisabile in capo allo stesso: giacché, al contrario, correttamente la Corte Federale ha colto nella collaborazione prestata dal [omissis] per consentire che la partita si concludesse con la sconfitta della propria squadra – pur se in effetti più modesta e contenuta di quella degli altri coautori dell’illecito – il dolo intenzionale proprio dell’illecito sportivo ex art. 30 cit..
In proposito è sufficiente rilevare che il [omissis] non ha rimandato il [omissis] a vedersela da solo col [omissis] – nel qual caso egli avrebbe limitato la propria responsabilità a quella, assai più modesta, di cui al comma 7 dello stesso art. 30, per omessa denuncia dell’illecito sportivo commesso solo da altri – essendosi invece personalmente attivato (al di là di una pur opinabile promessa di far giocare i più scarsi, su cui si tornerà infra) affinché l’incontro del portiere e capitano della propria squadra con l’allenatore dell’altra si realizzasse nel modo più propizio alla conclusione dell’accordo illecito tra i due: ossia in apparenza casualmente, ma in realtà sotto l’abile regia del [omissis] stesso.
Ciò basta, ad avviso di questo Collegio, a rendere ampiamente sufficiente la motivazione con cui la CFA è pervenuta all’affermazione di responsabilità del ricorrente per l’illecito contestatogli (e non invece per la diversa e più tenue fattispecie dell’omessa denuncia): con rinveniente definitiva infondatezza anche del terzo motivo di ricorso, sin qui trattato.
Va da sé, infatti, che i numerosi richiami, offerti dalle intercettazioni penali, all’elaborazione anche di un “piano B” tra il [omissis] e l’arbitro a lui asservitosi, lungi dall’implicare l’obiettiva carenza di un affidabile pactum sceleris concluso con il [omissis] – come sostenuto dalla difesa di costui – unicamente attestano la pervicace volontà dell’allenatore della Dego Calcio di non accettare alcun rischio d’insuccesso o di imprevisti; sicché potrebbero eventualmente solo attenuare, ma non certamente elidere, la responsabilità del [omissis] per l’illecito sportivo, che la Procura Federale ha correttamente contestato a tutti i soggetti concorrenti, nei confronti dei quali la CFA l’ha poi ritenuto sussistente.
V. Resta infine da scrutinare il quarto motivo del ricorso – con cui la difesa qui ricorrente censura l’omessa o insufficiente motivazione, o la motivazione meramente apparente, circa il diniego di applicazione delle circostanze attenuanti in favore del sig. [omissis], e la contestuale violazione degli art. 12 e 13, comma 1, del CGS della FIGC; con conseguente sproporzione del trattamento sanzionatorio globalmente adottato e l’insufficiente motivazione sulla quantificazione finale della sanzione applicata al ricorrente – che è invece fondato, nei sensi di cui infra.
Si premette che – come risulta dalla motivazione, reiettiva, sin qui svolta quanto ai primi tre motivi del ricorso in trattazione – questo Collegio condivide pienamente, della qui impugnata decisione della CFA, la fondamentale sussistenza di una “… ragionevole certezza del compimento di atti idonei per la configurabilità dell’illecito sportivo, con l’affermazione di responsabilità di tutte le persone fisiche (ognuno per quanto di competenza) incolpate”. Nondimeno, la concorrente responsabilità di tutti i prevenuti non è correttamente predicabile in misura paritaria tra loro – diversi essendo stati sia gli apporti causali al compimento dell’illecito, sia l’intensità del dolo per ciascuno di costoro – imponendosi invece un’articolata declinazione della risposta sanzionatoria, da differenziare adeguatamente rispetto (per ciò che qui rileva) al [omissis].
Donde l’esigenza di una sanzione più mite per costui, rispetto a quelle inflitte agli altri correi. Giova, in proposito, muovere dal rilievo che l’illecito sportivo – di cui, mercé il rigetto dei motivi precedentemente scrutinati, si è già riconosciuta la sussistenza anche in capo all’odierno ricorrente – pur integrando una fattispecie di per sé sempre e comunque assai grave, non per ciò è implausibile di risultare circostanziato, nel caso concreto in senso attenuativo (rispetto alla fattispecie base di cui al cit. art. 30 CGS): giacché non c’è alcuna disposizione che per tale illecito escluda la valutazione delle circostanze attenuanti (artt. 12 e 13 cit.); né la loro possibile prevalenza rispetto alla contestata, unica aggravante di cui al comma 6 del cit. art. 30 (per l’effettiva alterazione del risultato della partita).
Ne deriva che, in punto di stretto diritto, la mera (e pur ovvia) affermazione della gravità del tipo di illecito non dà, in alcun modo, ragione del diniego di applicazione delle circostanze attenuanti.
Né, peraltro, la decisione qui impugnata denota di essersi fatta correttamente carico della necessaria applicazione dei parametri generali di dosimetria della sanzione: sia rispetto ai contributi causali – oggettivamente diversi – che i quattro soggetti prevenuti ([omissis], [omissis], [omissis] e [omissis]: qui appunto indicati in ordine decrescente di apporto al pactum sceleris, che pur è in effetti intercorso tra ciascuno di loro e il [omissis]) hanno posto in essere; sia rispetto ai generali criteri della sua commisurazione, che pure in ambito sportivo – per il tramite degli artt. 12, comma 1, e 16, comma 2, CGS – rimandano agli indici di gravità (prima soggettiva e poi oggettiva) dell’illecito da sanzionare, secondo il generale paradigma desumibile dai principi espressi dall’art. 133 cod. pen..
Sicché quello che si palesa sussistente rispetto alla decisione qui gravata – lungi dall’essere un profilo di merito, sottratto al sindacato di legittimità di questo Consiglio – è un vizio motivazionale, certamente rilevante e censurabile in questa sede, perché in concreto sussistente nel caso di specie.
Ai sensi dell’art. 54, comma 1, secondo periodo, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI, è ammesso, infatti, il ricorso a questo Collegio di Garanzia dello Sport, oltre che “per violazione di norme di diritto”, anche “per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti”.
E, nella specie, coglie nel segno la riferita censura, di “omessa o insufficiente motivazione”, alla decisione della CFA, per non aver correttamente applicato gli artt. 12 e ss. del CGS, ai sensi dei quali (per quanto potrà concretamente rilevare in sede di rinvio):
a) “Gli organi di giustizia sportiva stabiliscono la specie e la misura delle sanzioni disciplinari, tenendo conto della natura e della gravità dei fatti commessi e valutate le circostanze aggravanti e attenuanti nonché la eventuale recidiva” (art. 12, comma 1);
b) “La sanzione disciplinare è attenuata se dai fatti accertati emerge a favore del responsabile una o più delle seguenti circostanze: … (omissis) … e) aver ammesso la responsabilità o l'aver prestato collaborazione fattiva per la scoperta o l'accertamento di illeciti disciplinari” (art. 13, comma 1, lett. e);
c) “Gli organi di giustizia sportiva possono prendere in considerazione, con adeguata motivazione, ulteriori circostanze che ritengono idonee a giustificare una diminuzione della sanzione” (art. 13, comma 2);
d) “Se concorrono una o più circostanze attenuanti, la sanzione può essere diminuita, qualora riferita ad un parametro temporale o pecuniario, sino alla metà del minimo previsto per l'infrazione” (art. 15, comma 1);
e) “Nell’ipotesi di concorso di persone nell’infrazione, le circostanze che aggravano o diminuiscono la sanzione, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole, sono valutate soltanto riguardo al soggetto cui si riferiscono” (art. 16, comma 2).
Va da sé che non spetta a questo Collegio rideterminare – ovviamente in diminuzione – la sanzione correttamente applicabile al ricorrente per effetto del combinato disposto di tali disposizioni: nonché del cit. art. 133 cod. pen. (sebbene non in via diretta, bensì nei principi da esso espressi, in quanto richiamati dalle succitate disposizioni del CGS della FIGC).
Non è in discussione, infatti, il fondamentale arresto espresso dalla decisione di questo Consiglio, a Sezioni Unite, n. 19 del 2017, secondo cui «Il vizio di omessa o insufficiente motivazione che legittima il ricorso al Collegio di Garanzia dello sport si configura soltanto qualora dal percorso argomentativo del giudice di merito emerga il mancato esame di elementi che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione, ovvero la mancata esposizione del procedimento logico o motivazionale seguito dal giudice».
Nondimeno, è certo che questo «Collegio di Garanzia dello Sport non può procedere a una nuova valutazione dei fatti, ma può … verificare se il Giudice di merito abbia nelle sue valutazioni violato una norma (sostanziale o processuale), ovvero abbia motivato la propria decisione in modo lacunoso o illogico o contraddittorio» (così la Sezione IV di questo Collegio, decisione n. 5 del 2022); così come «può valutare la legittimità della misura di una sanzione
… se la stessa è stata irrogata in palese violazione dei presupposti di fatto o di diritto o per la sua manifesta irragionevolezza» (così le Sezioni Unite di questo Collegio, 6 settembre 2019, n. 71).
Orbene, il Collegio ritiene che l’accoglimento del IV motivo di ricorso necessariamente comporti l’annullamento dell’impugnata decisione della CFA – limitatamente all’entità della sanzione irrogata al [omissis] – con rinvio della causa alla stessa CFA per la rinnovazione della valutazione dei succitati parametri, applicabili per la corretta dosimetria della sanzione da infliggere al ricorrente, la Corte Federale dovendo motivatamente riconsiderare nel giudizio di rinvio:
A) l’entità della sanzione da applicare al [omissis] – il cui apporto causale all’illecito è stato marginale, perché palesemente inferiore a quello di tutti gli altri prevenuti – in misura adeguatamente differenziata (in melius) rispetto a quella (cinque anni) che è stata inflitta agli altri tesserati FIGC;
B) la difficoltà di disancorare la base del calcolo della sanzione a lui applicabile dal minimo edittale (quattro anni), in difetto di un’affermazione di prevalenza dell’aggravante (che però, ex art. 16, comma 2, cit., non parrebbe agevolmente predicabile per il [omissis]), nel rispetto dei parametri normativi costituiti (ad exemplum dell’art. 133 cod. pen.) “dalla natura … e da ogni altra modalità dell'azione”, nonché “dalla intensità del dolo” (in proposito potendosi, altresì, considerare, da un lato, che le intercettazioni sono avvenute inter alios e, dall’altro, che anche da esse l’accettazione della combine da parte del [omissis] appare essere stata sempre alquanto tentennante, tanto da aver indotto il [omissis] a concordare con l’arbitro anche “un piano B”);
C) l’eventuale non applicazione delle attenuanti – di cui s’è già detto – che postulerebbe però la confutazione, da parte della Corte Federale, sia del contributo da lui fornito alle indagini sull’illecito (ex art. 13, comma 1, lett. e, cit.), sia la negazione di “ulteriori circostanze … idonee a giustificare una diminuzione della sanzione” (art. 13, comma 2, cit.): e in tale sede potrà rilevare anche verificare se, effettivamente, il [omissis] abbia avuto a disposizione esclusivamente gli undici giocatori schierati in campo (e dunque la panchina vuota) perché in tal caso il suo contributo causale all’illecito non parrebbe estensibile – come ritenuto invece dalla CFA – all’aver fatto “giocare i più scarsi”.
Tali rivalutazioni non potranno comunque implicare il travalicamento del limite inferiore della sanzione applicabile, che resta ovviamente costituito da quello ex art. 15, comma 1, cit. (due anni).
Dall’accoglimento di questo IV motivo di ricorso deriva l’annullamento della decisione gravata con rinvio alla stessa CFA della FIGC (così questo Consiglio, Sezione I, 15 febbraio 2016, n. 8).
VI. Quanto al regolamento delle spese, il Collegio ritiene di rimetterlo alla emananda decisione definitiva, conseguente all’odierno rinvio restitutorio, giacché solo in quella sede sarà possibile correttamente declinare l’incidenza e la misura del principio della soccombenza tra le parti.
P.Q.M.
Il Collegio di Garanzia dello Sport Seconda Sezione
Dichiara in parte inammissibili e nel resto infondati i primi tre motivi di ricorso.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla la decisione impugnata e rinvia alla Corte Federale di Appello FIGC in diversa composizione.
Spese al definitivo.
Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.
Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 5 maggio 2025.
Il Presidente Il Relatore
F.to Ferruccio Auletta F.to Ermanno de Francisco
Depositato in Roma, in data 9 giugno 2025.
Il Segretario
F.to Alvio La Face