CONI – Collegio di Garanzia dello Sport – Sezione Seconda – coni.it – atto non ufficiale – Decisione n. 56 del 01/07/2025 – OMISSIS / FIGC / CR ABRUZZO

Decisione n. 56

Anno 2025

IL COLLEGIO DI GARANZIA

SECONDA SEZIONE

composta da

Piero Sandulli - Presidente

Silvio Martuccelli - Relatore

Alessandro di Majo  Antonio Poli

Raffaele Tuccillo - Componenti

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Nel giudizio iscritto al R.G. ricorsi n. 74/2024, presentato, in data 30 dicembre 2024, dai sigg. [omissis] e [omissis], in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul minore [omissis], rappresentati e difesi dagli avvocati Flavia Tortorella e Cristina Di Renzo ed elettivamente domiciliati presso lo  studio  dell’avvocato Tortorella  in  Roma, Piazza Alessandria, n. 24, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio,

nei confronti

della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), con sede in Roma, in Via Gregorio Allegri, n. 14, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro-tempore, Dott. Gabriele Gravina, rappresentata e difesa dall’avv. Giancarlo Viglione,

della Procura Federale FIGC, con sede in Roma, in Via Campania, n. 47, in persona del Procuratore Federale, Dott. Giuseppe Chinè, non costituitasi in giudizio,

con notifica anche

al Comitato Regionale Abruzzo FIGC-LND, con sede in L’Aquila,  in persona del suo Presidente, Dott. Concezio Memmo, non costituitosi in giudizio,

e

alla Procura Generale dello Sport presso il CONI, in persona del Procura Generale dello Sport, Dott. Ugo Taucer,

avverso

la decisione della Corte Federale di Appello della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) n.  0057/CFA/2024-2025, pubblicata, completa di motivazioni, il 2 dicembre 2024, con la quale, in accoglimento del reclamo proposto dal Procuratore Federale Interregionale avverso la decisione del Tribunale Federale Territoriale presso il Comitato Regionale Abruzzo della FIGC-LND, è stata, inter alia, irrogata al calciatore [omissis] la squalifica per due anni.

Viste le difese scritte e la documentazione prodotta dalle parti costituite;

uditi, nell’udienza del 12 maggio 2025, il difensore delle parti ricorrenti - sigg. [omissis] e [omissis], in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul minore [omissis] - avv. Flavia Tortorella; l’avv. Giancarlo Viglione, per la resistente FIGC, nonché il Procuratore Nazionale dello Sport, prof. avv. Aristide Police, per la Procura Generale dello Sport presso il CONI, intervenuta ai sensi dell’art. 59, comma 2, lett. b), e dell’art. 61, comma 3, del Codice della Giustizia Sportiva del CONI;

udito, nella successiva camera di  consiglio dello stesso giorno, il relatore, Prof. Silvio Martuccelli.

Ritenuto in fatto

1.         La controversia all’esame del Collegio trae origine dal procedimento disciplinare avviato dalla Procura Federale Interregionale della FIGC, mediante atto di deferimento del 12 dicembre 2024, nei confronti: (i) del sig. [omissis], all’epoca dei fatti presidente dotato dei poteri di rappresentanza della società [omissis], per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS-FIGC, sia in via autonoma, quale norma primaria volta a imporre il rispetto dei “principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva”, sia in via mediata, per il rinvio contenuto nella medesima all'osservanza delle norme federali, tra cui devono ricomprendersi anche quelle della “Policy per la tutela dei minori” adottata dalla FIGC e rivolta a tutti coloro che ricoprono un ruolo o sono coinvolti a qualsiasi titolo nel percorso di crescita e formazione dei giovani calciatori e delle giovani calciatrici; (ii) del sig. [omissis], all’epoca dei fatti calciatore minorenne tesserato per la società [omissis], per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS FIGC, che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di mantenere una condotta conforme ai principi di etica, correttezza, lealtà e rettitudine morale;

(iii) del sig. [omissis], all’epoca dei fatti calciatore minorenne tesserato per la società [omissis], per la violazione dell’art. 4, comma 1, CGS FIGC, che impone a tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo di mantenere una condotta conforme ai principi di etica, correttezza, lealtà e rettitudine morale; (iv) della società [omissis] (la “Società”), a titolo di responsabilità diretta ed oggettiva ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2, CGS FIGC, per gli atti ed i comportamenti posti in essere dai sigg. [omissis], [omissis] e [omissis], così come descritti nei capi di incolpazione.

In particolar modo, al sig. [omissis] è stato contestato di avere posto in essere – il giorno 2 febbraio 2024, in concorso con il proprio compagno di squadra, sig. [omissis], al termine della seduta di allenamento della squadra under 14, all’interno dello spogliatoio e durante la doccia

– una “condotta contraddistinta da prevaricazione, sopraffazione e bullismo, idonea a turbare e suscitare nella vittima una condizione di diffuso disagio, persuadendo un altro calciatore minorenne, suo compagno di squadra, a baciare per due volte consecutive il pene del sig. [omissis]” (atto di deferimento, p. 8).

2.         Il 13 marzo 2024, è pervenuta presso la Procura Federale una segnalazione (protocollata 23179/SS 23-24) da parte della “mamma di un ragazzino tesserato nella squadra under 14 dello [omissis]”, nella quale si legge: “Qualche giorno fa, l’allenatore della squadra [...] è stato sollevato dall’incarico, poiché ritenuto dalla società responsabile di un presunto grave atto di bullismo accaduto all’interno dello spogliatoio, al termine dell’allenamento. [...] Con la presente, prima di rivolgermi ai media ed alla Procura Ordinaria, Vi chiedo di indagare ed intervenire nel miglior modo possibile”.

Il successivo 10 aprile 2024, il Procuratore interregionale ha trasmesso ai collaboratori della Procura Federale la nota prot. n. 25610/949 pfi 23 24/PM/ag, avente ad oggetto “Accertamenti in merito alle presunte condotte di prevaricazione che sarebbero avvenute nell’ambito della squadra under 14 della società [omiss]”, con la quale ha chiesto di riferire sulle iniziative da intraprendere. Successivamente, la Procura Federale ha iscritto il procedimento de quo nel relativo registro al n. 949 pfi 23-24.

In data 4 luglio 2024, il sig. [omissis] è stato dunque ascoltato dalla Procura Federale Interregionale quale persona sottoposta ad indagini e, nel corso della suddetta audizione, lo stesso, in quanto minore di età, è stato accompagnato dal difensore nominato avv. Cristina Di Renzo, presso la quale aveva altresì eletto il domicilio ai fini del relativo procedimento.

Il giorno 16 luglio 2024, un Collaboratore della Procura Federale ha trasmesso al Sostituto Procuratore la relazione di indagine relativa al procedimento n. 949 pfi 23- 24, anch’essa avente ad oggetto “Accertamento in merito alle presunte condotte di prevaricazione che sarebbero avvenute nell’ambito della squadra under 14 della società [omissis]”.

Infine, il 12 settembre 2024, la Procura Federale ha notificato, presso il difensore nominato dal sig. [omissis], l’atto di deferimento a giudizio.

3.         Il procedimento disciplinare si è dunque concluso con la decisione del Tribunale Federale Territoriale presso il Comitato Regionale Abruzzo, pubblicata sul C.U. n. 31 del 21 ottobre 2024, con la quale è stata dichiarata la nullità “della notifica della conclusione delle indagini preliminari della Procura Federale per l’irregolare notifica del relativo avviso a due soggetti poi deferiti e la conseguente nullità dell’atto di deferimento della Procura Federale del 12.9.24 e del conseguente deferimento di questo Tribunale del 13.9.24”.

La motivazione posta dal Tribunale a fondamento della pronuncia è stata così articolata: (i) nella Comunicazione di Conclusione delle Indagini (“CCI”) è stato erroneamente indicato il nome della sig.ra [omissis] (in luogo di [omissis]), quale esercente la potestà genitoriale sull’incolpato, sig. [omissis]; (ii) l’atto è stato erroneamente notificato alla sola società [omissis], anziché all’avvocato – il cui indirizzo p.e.c. è stato altresì indicato nell’intestazione della stessa CCI – presso il quale il sig. [omissis] aveva eletto domicilio in sede di audizione presso la Procura; (iii) non è stata provata l’avvenuta notifica della CCI alla sig.ra [omissis], esercente la potestà genitoriale sull’ulteriore incolpato, sig. [omissis]: la sig.ra [omissis] non si è infatti poi costituita nel procedimento.

4.         Avverso tale decisione, la Procura Federale Interregionale ha presentato reclamo dinanzi alla Corte Federale di Appello, articolando la propria impugnazione sulla base di due principali motivi, mediante i quali: (i) ha rilevato la regolarità delle notifiche della CCI agli interessati; (ii) ha invocato il principio della “prevalenza degli aspetti sostanziali utili all’accertamento dei principi propri dell’ordinamento sportivo rispetto alle regole formali” per ribadire la centralità, nel caso di specie, di principi cardine dell’ordinamento sportivo quali la correttezza, l’etica e la certezza. Alla luce di ciò, la Procura ha reiterato la richiesta sanzionatoria già avanzata nell’ambito del giudizio di primo grado.

Costituendosi nel suddetto giudizio, i sig.ri [omissis] e [omissis] hanno: (i) contestato la validità della notifica de qua (argomentando che l’art. 53 CGS FIGC impone una gerarchia tra le modalità di notifica in esso elencate, gerarchia non rispettata dalla Procura) e denunciato come la Società non abbia mai  provveduto ad inoltrare la CCI  al  sig. [omissis]; (ii) eccepito l’illegittimità e la nullità dell'intero procedimento disciplinare, perché avviato sulla base di una denuncia anonima; (iii) contestato che l’attività istruttoria avesse portato alla sicura ricostruzione dei fatti oggetto del procedimento disciplinare; (iv) denunciato la sproporzionalità/abnormità della richiesta sanzionatoria avanzata dalla Procura Federale.

5.         Con Comunicato Ufficiale n. 57 - 2 dicembre 2024, la Corte Federale d’Appello ha accolto il reclamo proposto dalla Procura Federale, statuendo che:

(i)        la notifica della CCI eseguita nei confronti del sig. [omissis] è da considerarsi regolare: in primo luogo, perché l’errore nell’indicazione del cognome della sig.ra [omissis] non è tale da far sorgere dubbi sull’identificazione della destinataria dell’atto e, in secondo luogo, poiché dall’esame delle norme vigenti in materia di modalità di comunicazione degli atti (art. 53 CGS FIGC) e di avviso della conclusione delle indagini (art. 123 CGS FIGC) si evince che non è prescritta a pena di nullità o inammissibilità alcuna specifica modalità di notifica, né può dirsi che fra tali modalità sussista una gerarchia da rispettarsi (essendo queste del tutto alternative fra loro). La notifica della CCI eseguita nei confronti della sola Società è stata dunque valutata pienamente valida ed efficace, e il fatto che la comunicazione non sia stata poi inoltrata alla sig.ra [omissis] non è stato considerato fatto imputabile alla Procura, bensì alla Società (su cui grava uno specifico obbligo in tal senso, ex art. 53, comma 5, CGS FIGC);

(ii)       anche la notifica della CCI eseguita nei confronti della sig.ra [omissis] è stata considerata valida, poiché è stato dimostrato dalla Procura come la stessa sia stata effettuata con raccomandata con avviso di ricevimento e che l’atto era stato restituito per compiuta giacenza solo il giorno successivo alla celebrazione dell’udienza davanti al Tribunale;

(iii)      sussiste una vera e propria omissione di pronuncia nella decisione di primo grado, dal momento che il Tribunale Federale Interregionale non si è espresso sui deferimenti mossi nei confronti del sig. [omissis] e della società [omissis], nonostante le incolpazioni di questi ultimi abbiano tratto origine da fatti diversi da quelli contestati ai sig.ri [omissis] e [omissis]. Tale omissione di pronuncia ha portato dunque la Corte Federale a riformare la decisione di primo grado e decidere nel merito le domande il cui esame era stato omesso dal primo giudice;

(iv)      quanto alla natura anonima della denuncia che ha dato origine all’intera vicenda, la Corte Federale ha argomentato che “[…] l’iniziativa ufficiosa della Procura è giustificabile in ragione dei fatti oggettivamente gravi e sufficientemente circostanziati indicati nell’esposto anonimo riguardante una materia estremamente delicata in relazione alla quale può dubitarsi della persistenza vigenza della preclusione nei confronti della Procura di quanto previsto nel comma 2 dell’art. 118. Si veda, al riguardo, il modulo di segnalazione del Settore giovanile e scolastico FIGC che - in relazione alla piattaforma volta a raccogliere le segnalazioni circa violazioni dei codici di condotta, maltrattamenti o abusi, verificatisi nello svolgimento dell’attività sportiva - ammette le segnalazioni anonime purché sufficientemente dettagliate e circostanziate”;

(v)       la condotta oggetto del procedimento disciplinare è risultata inconfutabilmente provata, grazie all’attività istruttoria svolta, in relazione a tutte le circostanze di tempo, luogo e modo indicate nell’avviso di conclusione delle indagini e nell’atto di deferimento. Ciò anche in virtù del principio per cui “nel processo sportivo il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (come invece è previsto nel processo penale), nel senso che è necessario e sufficiente acquisire - sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti - una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito”.

6.         Alla luce delle suesposte motivazioni, la Corte Federale d’Appello si è dunque pronunciata nel merito ed ha irrogato le seguenti sanzioni:

-           al sig. [omissis]: inibizione di mesi 18 (diciotto);

-           al sig. [omissis]: squalifica di anni 2 (due);

-           al sig. [omissis]: squalifica di anni 2 (due);

-           alla società [omissis]: ammenda di € 10.000,00 (diecimila/00).

7.         Con ricorso del 30 dicembre 2024, i sigg. [omissis] e [omissis], in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minorenne, sig. [omissis], hanno adito il Collegio di Garanzia dello Sport per l’annullamento della decisione della Corte Federale d'Appello, chiedendo, altresì, il conseguente annullamento del provvedimento sanzionatorio inflitto a carico del sig. [omissis]. Il ricorso è stato articolato sulla base dei seguenti motivi: “1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 53, comma 5 lett. a) e 123 CGS FIGC; violazione dell’art. 24 Costituzione della Repubblica Italiana – omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che ha formato oggetto di disputa tra le parti”; “2) In via gradata violazione e falsa applicazione dell’art. 106 co. 2 ult. periodo CGS FIGC; violazione dell’art. 24 Costituzione della Repubblica Italiana in relazione al diritto al doppio grado di merito.”; “3) violazione e falsa applicazione dell’art. 118, comma 2, CGS; violazione del principio di inutilizzabilità della denuncia anonima; motivazione perplessa e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia che ha formato oggetto di disputa tra le parti”; “4) Omesso esame circa un punto decisivo della controversia; travisamento della prova; omessa pronuncia su istanze istruttorie rilevanti ai fini della decisione”; “5) violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità della sanzione; violazione e/o falsa applicazione del principio di dosimetria sanzionatoria”.

8.         In data 9 gennaio 2025 si è costituita la FIGC, chiedendo che fosse dichiarata l’inammissibilità del ricorso (insistendo, in via subordinata, per il rigetto), posto che i ricorrenti avrebbero richiesto al Collegio di Garanzia una nuova valutazione nel merito della vicenda, comprensiva dell’esame dei fatti oggetto di causa, delle risultanze istruttorie e della sanzione irrogata, in contrasto con i limiti del giudizio di legittimità.

Le parti hanno poi provveduto al deposito di memorie ex art. 60, comma 4, CGS FIGC, con le quali hanno ribadito le rispettive argomentazioni.

9.         La controversia è stata discussa all’udienza del 12 maggio 2025.

Considerato in diritto

1.         Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano che la Corte Federale d’Appello, nel riformare la decisione assunta dai Giudici di primo grado, avrebbe violato l’art. 53 CGS FIGC sulle modalità di comunicazione degli atti. In particolar modo, i sigg. [omissis] e [omissis] evidenziano che – nonostante il sig. [omissis] al momento dell’audizione presso la Procura Federale avesse eletto domicilio presso il proprio difensore, indicando espressamente l’indirizzo  p.e.c.  dell’avvocato  Di  Renzo  per  ricevere  tutte  le  comunicazioni  relative  al procedimento – la CCI è stata trasmessa via p.e.c. esclusivamente all’indirizzo della Società, indirizzandola per giunta a una persona (indicata come la signora “[omissis]”) estranea al procedimento. Inoltre, sebbene nell’intestazione della Comunicazione fosse stato effettivamente riportato l’indirizzo p.e.c. del difensore del sig. [omissis], questi non sarebbe stato poi effettivamente destinatario della notifica, eseguita nei confronti della sola Società, la quale non aveva poi provveduto a inoltrare l’atto all’interessato. Sul punto, i ricorrenti richiamano taluni precedenti giurisprudenziali con i quali la Corte Federale ha statuito che la notifica presso la società non può considerarsi validamente eseguita se non si dimostra che l’atto è stato effettivamente trasmesso all’interessato (SS.UU., n. 66 e 67/2022), reputandoli conferenti al caso di specie, non essendovi alcuna prova del fatto che il sig. [omissis] abbia effettivamente ricevuto la suddetta CCI. I ricorrenti contestano, infine, la tesi sostenuta dalla Corte Federale relativamente all’“alternatività” delle modalità delle comunicazioni di cui all’art. 53 CGS FIGC, sottolineando che, in presenza di elezione di domicilio presso il difensore, la Procura avrebbe dovuto notificare la CCI esclusivamente all’indirizzo p.e.c. dell’avvocato Di Renzo, come richiesto espressamente dall’interessato.

Quanto, invece, al secondo motivo di ricorso, i ricorrenti sottolineano che la Corte Federale d’Appello, dopo aver accolto il primo motivo di reclamo della Procura, avrebbe dovuto limitarsi ad annullare la decisione di primo grado e rinviare la causa al Tribunale Federale per l’esame del merito, come espressamente previsto dall’art. 106, comma 2, ultimo periodo, CGS FIGC. Tale norma tutela, infatti, il principio fondamentale del doppio grado di giudizio di merito, garantendo che, in assenza di una valutazione di merito da parte del primo giudice, il procedimento torni al primo grado per consentire alle parti di esercitare pienamente il diritto di difesa e di beneficiare di due distinti momenti decisionali. Nel caso in esame, il Tribunale Federale si è limitato a dichiarare la nullità degli atti, senza entrare nel merito della vicenda: pertanto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare la norma citata e rinviare la questione al Tribunale, anziché decidere essa stessa sul merito del deferimento.

Con il terzo motivo di impugnazione, viene censurata la decisione della Corte Federale per violazione dell’art. 118, comma 2, CGS FIGC, che sancisce la inutilizzabilità delle denunce anonime ai fini dell’avvio di un procedimento disciplinare. Ad avviso dei ricorrenti, nel caso in esame la notizia è stata iscritta sulla base di una mera denuncia anonima presentata in data antecedente al compimento degli atti di indagine (i.e. 10 aprile 2024), così dando sostanziale ingresso a una notizia priva della completa identificazione del denunciante. Ciononostante, la Corte Federale giustificherebbe l’operato della Procura sulla base della gravità e della delicatezza dei fatti segnalati nell’esposto anonimo, arrivando ad escludere che la preclusione

prevista dall’art. 118, comma 2, sia effettivamente applicabile in simili circostanze e sostenendo che la denuncia, pur formalmente anonima, sarebbe comunque riconducibile a una persona identificabile (“una mamma di un ragazzino tesserato”).

Il quarto motivo di ricorso attiene invece alle risultanze istruttorie del procedimento: sul punto, la Corte Federale d’Appello avrebbe errato nel reputare che il materiale probatorio raccolto fosse sufficiente a dimostrare, con il necessario grado di certezza, la commissione dell’illecito contestato. In particolare, viene criticata la valutazione delle dichiarazioni rese dai due testimoni oculari, che la Corte ha ritenuto convergenti con quelle della presunta vittima. I ricorrenti sostengono invece che tali testimonianze presenterebbero evidenti contraddizioni su elementi centrali della vicenda, come la presenza effettiva dei testimoni nello spogliatoio e la presunta ripetizione del gesto incriminato davanti ad altri compagni, i quali però non sono stati ascoltati, pur essendo certamente presenti. I sig.ri [omissis] e [omissis] denunciano, altresì, la mancata motivazione, da parte dei Giudici di secondo grado, in merito al rigetto della richiesta, avanzata dalla stessa difesa, di ammettere la testimonianza del padre della presunta vittima: secondo la difesa, tale audizione avrebbe potuto chiarire meglio la circostanza oggetto del procedimento, i rapporti tra i ragazzi e la reale portata dell’episodio, che viene dai ricorrenti descritto come un semplice atto di goliardia tra compagni, privo di intenti violenti o intimidatori. Con il quinto e ultimo motivo, i ricorrenti sostengono che la decisione impugnata debba essere annullata in quanto contraria al principio di proporzionalità, avendo comportato per il minore sig. [omissis] una sanzione di due anni di squalifica, ritenuta eccessiva rispetto alla reale gravità dei fatti contestati. I sig.ri [omissis] e [omissis] evidenziano, inoltre, che, al momento del presunto illecito, l’art. 28bis CGS FIGC – sulla base del quale sarebbe stata irrogata la suddetta sanzione – non era ancora entrato in vigore. Di conseguenza, il disvalore disciplinare dell’episodio avrebbe dovuto essere valutato esclusivamente alla luce della norma effettivamente applicabile all’epoca, ossia l’art. 4, comma 1, CGS FIGC.

2.         Questo Collegio ritiene, tuttavia, che la decisione del Giudice d’appello sia condivisibile e che nessuno dei suesposti motivi di ricorso possa trovare accoglimento, per le ragioni di seguito esposte.

3.         Con riguardo al primo motivo di ricorso, si rileva innanzitutto che le principali fonti normative che regolano la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini sono rappresentate dagli artt. 11, comma 1, CGS CONI, 53 CGS FIGC e 123 CGS FIGC.

In particolare, con riferimento al procedimento disciplinare, l’art. 123 CGS FIGC disciplina specificamente l’avviso di  conclusione delle indagini, stabilendo al primo comma che il Procuratore Federale debba notificare all’interessato l’avviso di conclusione delle indagini entro venti giorni dalla scadenza del termine di durata delle stesse – qualora non debba essere formulata richiesta di archiviazione – assegnando allo stesso interessato un termine non superiore a quindici giorni per chiedere di essere sentito o per presentare una memoria difensiva. Tuttavia, la norma non specifica le modalità con cui tale notifica debba essere effettuata, né tantomeno – come correttamente rilevato dai Giudici di secondo grado – prescrive, a pena di inammissibilità e/o di nullità, alcuna determinata modalità di notifica della CCI.

La disciplina di tale notifica è dunque rimessa a quanto previsto sia dall’art. 11, comma 1, CGS CONI (relativo alle “Comunicazioni”), sia dall’art. 53, comma 1, CGS FIGC (rubricato “Modalità di comunicazione degli atti”), i quali generalmente dispongono che “tutti gli atti del procedimento per i quali non sia stabilita la partecipazione in forme diverse, sono comunicati a mezzo di posta elettronica certificata”. Più nel dettaglio, poi, il comma 5 dell’art. 53 CGS FIGC individua le specifiche modalità da seguire per la notifica degli atti per i quali il Codice impone la comunicazione agli interessati, precisando espressamente che le suddette modalità devono “considerarsi alternative fra loro”.

Ebbene, quando il soggetto interessato è una persona fisica, una delle modalità prescritte dall’art. 53, comma 5, lett. a), n. 1, consiste nella trasmissione della CCI “all’indirizzo di posta elettronica certificata del tesserato o della società di appartenenza, comunicato all’atto del tesseramento”. Una volta avvenuta la notifica presso la p.e.c. della società di appartenenza dell’interessato, in virtù del principio dell’alternatività fra le modalità dettate dall’art. 53 CGS FIGC, la comunicazione deve considerarsi perfezionata: grava, infatti, sulla società stessa l’obbligo di inoltrare la comunicazione al tesserato, pena l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 8 CGS FIGC. Soltanto nell’ipotesi di cui all’art. 53, comma 5, lett. a), n. 2 – ossia quando “l'interessato non risulti tesserato al momento della instaurazione del procedimento” – la società “ha l’obbligo di trasmettere la comunicazione all’interessato dandone prova all'organo procedente”: è solo in questa circostanza, dunque, che si richiede alla società di fornire la prova dell’avvenuta comunicazione.

Alla luce della disciplina sopra richiamata, appare evidente come, nel caso di specie, la notifica della CCI effettuata nei confronti del sig. [omissis] non presenti profili di censurabilità, né sul piano formale né su quello sostanziale.

Innanzitutto, da un punto di vista formale, la notifica della CCI all’indirizzo p.e.c. della società [omissis] (presso la quale il sig. [omissis] risultava tesserato all’epoca dei fatti) e indirizzata comunque alla sig.ra [omissis], deve reputarsi perfezionata in quanto eseguita nel rispetto di una delle (alternative) modalità previste dall’art. 53, comma 5, CGS FIGC. Né può trovare accoglimento l’eccezione sollevata dai ricorrenti in merito all’erronea indicazione del nome della sig.ra [omissis] (in luogo di [omissis]) nell’intestazione della CCI: come correttamente motivato dalla Corte Federale d’Appello, l’errore nell’indicazione del cognome della sig.ra [omissis] non è tale da far sorgere dubbi sull’identificazione del soggetto destinatario dell’atto, atteso che la stessa veniva inoltre espressamente individuata quale soggetto esercente la potestà genitoriale sull’incolpato, sig. [omissis]. Tutte le circostanze di fatto sopra descritte dimostrano che la Procura Federale ha correttamente notificato la CCI alla società di appartenenza del sig. [omissis] e che la mancata trasmissione dell’atto all’interessato non è imputabile alla Procura, bensì alla società che, avendo correttamente ricevuto l’avviso via p.e.c., aveva l’obbligo di inoltrare la comunicazione al sig. [omissis].

Al di là di tali rilievi formali, si osserva come la ratio sottesa all’art. 123 CGS FIGC sia quella di consentire al soggetto indagato di “interloquire” con la Procura Federale in una fase ancora procedimentale (e, dunque, antecedente il giudizio), mediante il deposito di una memoria difensiva ovvero formulando richiesta di audizione. Ebbene, nel caso in esame il diritto di difesa del sig. [omissis] non può dirsi leso poiché questi, da un lato, era già stato sottoposto ad audizione in data 4 luglio 2024 e, dall’altro, ha avuto modo di difendersi pienamente nel corso di tutti i gradi del giudizio.

Alla luce di quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve ritenersi infondato.

4.         Anche il secondo motivo di ricorso non merita accoglimento.

Contrariamente a quanto esposto dai ricorrenti – i quali denunciano la violazione da parte della Corte Federale d’Appello dell’art. 106, comma 2, ultimo periodo, CGS FIGC – nel caso di specie il Tribunale Federale non ha dichiarato “la inammissibilità o la improcedibilità” del ricorso, bensì ha rilevato un’irregolarità relativa alla fase finale del procedimento disciplinare, consistente nella nullità della notifica della CCI nei confronti dei sig.ri [omissis] e [omissis]. Da siffatta declaratoria è poi scaturita la pronuncia sulla nullità dell’atto di deferimento che ha avviato il giudizio. Tale decisione, tuttavia, ha erroneamente indotto il Tribunale ad un’ingiustificata omissione di pronuncia nei confronti degli altri soggetti deferiti (i.e. il sig. [omissis] e la Società), la cui posizione processuale risultava distinta rispetto a quella del sig. [omissis], e che dunque ben poteva essere valutata e decisa nel merito dal Tribunale Federale. Il motivo di ricorso non può essere accolto, poiché le circostanze che consentono l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado sono rigidamente e dettagliatamente previste dalla legge e, conseguentemente, gli Organi di Giustizia Sportiva non hanno la facoltà di ampliare o estendere tali ipotesi attraverso interpretazioni analogiche. Sul punto, le Sezioni Unite della Corte Federale d’Appello FIGC, con decisione n. 96/2022, hanno rilevato che l’art. 106 CGS FIGC ricalca quanto già previsto dall’art. 37, comma 4, del previgente Codice, sottolineando che, sulla questione dell’annullamento con rinvio da parte del giudice d’appello, si confrontavano due principi opposti: da un lato, la tutela del doppio grado di giudizio, che porterebbe ad ampliare i casi di rinvio; dall’altro, l’esigenza di una definizione rapida del procedimento, che invece suggerisce una restrizione di tali ipotesi. Al riguardo, le medesime Sezioni Unite hanno chiarito che: “Il Legislatore federale – in via generale – ha privilegiato quest’ultima prospettiva, limitando le ipotesi di rinvio al primo giudice, visto che nel processo sportivo le esigenze di celerità devono essere considerate prevalenti sull’altro principio sopra detto. Conseguentemente i casi di rimessione al giudice sportivo di primo grado devono essere considerati eccezionali, in quanto derogatori di un principio generale, come del resto avviene nel Codice del processo amministrativo e nel Codice di procedura civile” (Corte Federale d’Appello FIGC, Sezioni Unite, n. 96/2022, cit., pp. 7-8).

Con riferimento al caso di specie, è evidente che le circostanze di fatto (i.e. la declaratoria di nullità della notifica della CCI e dell’atto di deferimento) siano ben diverse da quelle espressamente indicate dall’art. 106, comma 2, ultimo periodo (i.e. declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del ricorso) e dunque il Giudice di secondo grado ha correttamente disatteso la norma in esame, inapplicabile al caso specifico.

È, infine, essenziale rilevare come la doppia cognizione garantita alle parti riguarda l’intera controversia, ossia l’insieme degli aspetti sostanziali e processuali della lite, e non le singole questioni di rito o di merito che la compongono e che possono essere considerate separatamente. Inoltre, non può essere messo in dubbio che il giudice decida sull’intera controversia sia quando affronta tutti i punti contestati, sia quando – correttamente o meno – si pronuncia solo su alcuni di essi, con una decisione che esclude l’esame di ulteriori questioni di merito o di parte di esse (Cons. St., Ad. plen., n. 18/1978). In tali circostanze, il processo si instaura e si svolge regolarmente, concludendosi con una sentenza che, pronunciandosi sulla domanda, rileva eventualmente la mancanza di una delle condizioni necessarie per l’esame del merito (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2018).

Da quanto sopra esposto, consegue il rigetto del motivo di ricorso.

5.         In relazione al terzo motivo di ricorso e alla questione concernente la validità della denuncia che ha dato origine al procedimento disciplinare, va osservato – in linea con quanto già rilevato dalle Sezioni Unite di questo Collegio con sentenza n. 17/2022 – che, sebbene una denuncia anonima o una segnalazione priva dell’individuazione certa del suo autore non possa costituire né elemento di prova né vera e propria notizia di illecito (la quale richiede, per sua natura, una fonte riconoscibile), ciò non impedisce all’organo inquirente di attivarsi autonomamente. È, infatti, del tutto legittimo che la Procura Federale, anche a partire da un documento anonimo o da una segnalazione non sottoscritta, svolga accertamenti preliminari per verificare se da tali elementi possano emergere circostanze idonee a far sorgere una notizia di illecito. In tal caso, la notizia si forma dunque per iniziativa libera e ‘propria’ dell’organo inquirente, ‘propria’ ancorché soltanto stimolata dal documento anonimo.

In linea con questo orientamento, è stato anche chiarito che, sebbene la denuncia anonima non possa essere utilizzata come prova, ciò non esclude che possano essere svolte delle indagini volte a ottenere riscontri indipendenti sui fatti esposti nella medesima denuncia. In particolare, non si può negare alla Procura Federale il potere di agire d’ufficio (sancito dall’art. 44 CGS CONI), avviando un’indagine ogniqualvolta venga a conoscenza di una ipotesi di illecito, sia autonomamente sia attraverso segnalazioni ricevute, a prescindere dalla loro forma (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione n. 35/2024).

Ebbene, nel caso in esame, la denuncia – non solo non può dirsi anonima in senso stretto, essendo possibile farla risalire con sufficiente certezza ad una cerchia limitata di soggetti determinati, ma – ha rappresentato il punto di partenza delle successive indagini, che hanno poi portato all’apertura del procedimento disciplinare. In questo contesto, l’operato della Procura Federale appare pienamente conforme a quanto previsto dall’art. 118, comma 2, CGS FIGC, che riconosce al Procuratore Federale la facoltà di attivarsi anche su propria iniziativa, o di avviare un procedimento nel caso in cui la denuncia, come nel caso di specie, descriva fatti gravi e circostanziati e l’autore della stessa sia agevolmente identificabile all’interno di un gruppo ristretto di persone.

Va, altresì, precisato che, anche laddove si volesse ipotizzare un’irregolarità nella fase iniziale della raccolta delle notizie, tale vizio non sarebbe comunque tale da incidere sulla legittimità complessiva del procedimento o sulla validità degli atti di incolpazione, non risultando in alcun modo compromesso né il diritto di difesa dell’incolpato né il principio del contraddittorio.

6.         La doglianza mossa dai ricorrenti con il quarto motivo è inammissibile.

Secondo il consolidato orientamento di questo Collegio di Garanzia dello Sport, il motivo di ricorso che si risolve nella mera contestazione delle risultanze istruttorie acquisite nella fase di merito, così come quello che si fonda su “doglianze dirette esclusivamente a contrapporre una possibile soluzione alternativa rispetto a quella cui è pervenuta la decisione impugnata in ordine ai fatti posti a fondamento dell’incolpazione”, deve essere dichiarato inammissibile (Collegio di Garanzia, decisione n. 5/2022). Nel primo caso, infatti, è pacifico che il giudice di legittimità non possa effettuare un giudizio “volto a sindacare le istanze istruttorie acquisite nella fase di merito” (Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. II, decisione n. 86/2023); per quanto concerne il secondo caso, è principio consolidato quello in virtù del quale non può essere prospettato come motivo di diritto “l’assunto che un fatto è vero o non vero (è o non è provato) e che per questa ragione si sarebbe dovuto giungere a soluzioni diverse da quelle fatte proprie dalla decisione impugnata” (Collegio di Garanzia, decisione n. 5/2022, cit.).

Nel caso di specie, risulta parimenti priva di pregio anche la contestazione mossa dai ricorrenti in merito alla pretesa carenza di motivazione da parte della Corte Federale d’Appello in ordine al rigetto della richiesta, avanzata dalla difesa, di ammettere la testimonianza del padre della presunta vittima. Al contrario, la decisione del giudice di secondo grado appare puntualmente motivata, avendo la Corte chiarito che il fatto che ha costituito oggetto del procedimento disciplinare “risulta inconfutabilmente provato dall’attività istruttoria in relazione a tutte le circostanze di tempo, di luogo e modali” (decisione della Corte Federale d’Appello, p. 8). La Corte ha, cioè, ritenuto pienamente sufficiente il compendio probatorio acquisito, escludendo la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, così respingendo la richiesta di ammissione della prova testimoniale. Pertanto, non si ravvisa alcuna violazione procedurale né vizio motivazionale da parte del Giudice di secondo grado.

7.         Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso deve essere respinto, per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto – con riferimento alla contestata violazione dei principi  di  proporzionalità e ragionevolezza della sanzione irrogata dalla Corte Federale d’Appello – è pacifico che il Collegio di Garanzia dello Sport possa intervenire sulla misura di una sanzione disciplinare solo quando questa risulti adottata in evidente difetto dei presupposti fattuali o giuridici, oppure sia connotata da una manifesta irragionevolezza (Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione n. 71/2019); così come è pacifico che la valutazione sulla quantificazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice di merito e, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità, purché rientri nei limiti previsti dalla norma applicata e sia supportata da una motivazione adeguata (Collegio di Garanzia dello Sport, Sezioni Unite, decisione n. 46/2015).

Ne consegue che non è ammissibile, dinanzi al Collegio di Garanzia, una doglianza diretta a censurare la concreta determinazione della sanzione da parte del giudice disciplinare, ove questa risulti congrua, logicamente motivata e rientrante nell’ambito previsto dalla disposizione sanzionatoria (cfr. anche Collegio di Garanzia, Quarta Sezione, decisione n. 7/2019; Sezioni Unite, decisioni nn. 19/2017, 13/2017, 2/2016, 35/2015, 14/2015).

Nel caso in esame, la Corte Federale d’Appello ha motivato in modo puntuale e coerente sia sulla scelta della tipologia di sanzione (la squalifica) sia sulla sua durata, richiamando la gravità della condotta addebitata e le sue specifiche modalità, caratterizzate da un atteggiamento prevaricatore e da minacce rivolte nei confronti di un altro minore.

Il motivo di ricorso deve dunque reputarsi inammissibile.

Anche la contestazione concernente l’applicazione di una norma – l’art. 28bis CGS FIGC – non ancora entrata in vigore al momento della commissione dell’illecito non risulta pertinente, poiché sia l’avviso di conclusione delle indagini sia il reclamo presentato dalla Procura richiamano in modo chiaro e inequivocabile l’art. 4, comma 1, CGS FIGC. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non si riscontra nel caso in esame l’applicazione da parte degli Organi di Giustizia Sportiva di una norma diversa da quella espressamente indicata. Inoltre, la Corte Federale d’Appello ha puntualizzato che “tali regole [i.e. l’art. 28bis CGS FIGC] erano evidentemente già esistenti e, comunque, immanenti al sistema, al di là del formale recepimento di cui al C.U, n. 69/A del 27 agosto 2024 con cui – come detto – è stato introdotto l'art. 28 bis del Codice di giustizia sportiva”: ne deriva che la stessa Corte ha escluso l’applicabilità della suddetta disposizione e, coerentemente, non ne ha fatto uso nella decisione in oggetto.

La decisione della Corte Federale d’Appello appare dunque corretta e adeguatamente motivata, anche in termini di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione; pertanto, – per tutte le ragioni sopra esposte – anche l’ultimo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

8.         Le spese di lite seguono la soccombenza per legge e sono liquidate d’ufficio come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Collegio di Garanzia dello Sport Seconda Sezione

Respinge il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate in € 500,00, oltre accessori di legge, in favore

della resistente FIGC.

Dispone la comunicazione della presente decisione alle parti tramite i loro difensori anche con il mezzo della posta elettronica.

Così deciso in Roma, nella sede del CONI, in data 12 maggio 2025.

Il Presidente               Il Relatore

F.to Piero Sandulli      F.to Silvio Martuccelli

Depositato in Roma, in data 1° luglio 2025.

Il Segretario

F.to Alvio La Face

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