F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezione Unite – 2025/2026 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione n. 0051/CFA pubblicata il 24 Novembre 2025 (motivazioni) – OMISSIS
Decisione/0051/CFA-2025-2026
Registro procedimenti n. 0040/CFA/2025-2026
LA CORTE FEDERALE D’APPELLO
SEZIONI UNITE
composta dai Sigg.ri:
Mario Luigi Torsello – Presidente
Antonino Anstasi – Componente
Daniele Maffeis – Componente
Vincenzo Barbieri - Componente
Renato Grillo - Componente (Relatore)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul reclamo n. 040/CFA/2025-2026 proposto dal Procuratore federale interregionale in data 13 ottobre 2025 avverso la decisione del Tribunale federale territoriale presso il Comitato regionale Lazio, pubblicata con il Comunicato Ufficiale n. 92 del 3.10.2025 e notificata il 6.10.2025;
Visto il reclamo e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza dell’11.11.2025, tenutasi in videoconferenza, il Cons. Renato Grillo, e uditi gli Avv.ti Elisa Galeani per il Sig. OMISSIS; Ernesto Marzano per il sig. OMISSIS e per la società A.S.D. Tarquinia calcio; Claudia Trippanera per il sig. OMISSIS e Mario Taddeucci Sassolini per la Procura federale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del 18 luglio 2025, nell’ambito del proc. n. 1812/658pfi24-25/PM/fl, il Procuratore federale interregionale deferiva davanti al Tribunale federale territoriale presso il C.R. Lazio, per quanto qui di interesse, i signori OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, calciatori tesserati all’epoca dei fatti per la A.S.D. Tarquinia Calcio, nonché il sig. OMISSIS, tesserato all’epoca dei fatti per la A.S.D. Civitavecchia, il sig. OMISSIS tesserato FIGC, nonché ancora la società A.S.D. Tarquinia Calcio per rispondere dei seguenti fatti:
- il Sig. OMISSIS, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società A.S.D. Tarquinia Calcio:
della violazione degli artt. 4, comma 1 e 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, in occasione della gara Tarquinia Calcio-Tolfa Calcio del 19.1.2025, valevole per il girone A del campionato Under 17 provinciali del Comitato regionale Lazio, alla quale ha assistito tra il pubblico, rivolto le seguenti espressioni nei confronti del sig. G.I.B., calciatore tesserato per la società Tolfa calcio: “negro di mera…..zingaro…puzzi di cipolla…vai a fare il kebab…sporco negro…tornatene in Egitto…kebabbaro di merda…”;
- il Sig. OMISSIS, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società A.S.D. Civitavecchia:
della violazione degli artt. 4, comma 1 e 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, in occasione della gara Tarquinia Calcio-Tolfa Calcio del 129.1.2025 valevole per il girone A del campionato Under 17 provinciali del Comitato regionale Lazio, alla quale ha assistito tra il pubblico, rivolto le seguenti espressioni nei confronti del sig. G.I.B. calciatore tesserato per la società Tolfa calcio: “negro di mera…..zingaro…puzzi di cipolla…vai a fare il kebab…sporco negro…tornatene in Egitto…kebabbaro di merda…”;
- il Sig. OMISSIS, calciatore tesserato nella stagione sportiva 2023-24 per la società A.S.D. Tarquinia Calcio e tesserato F.I.G.C. all’epoca dei fatti ai sensi dell’art. 4 del Regolamento FIFA sullo status e i trasferimenti internazionali dei calciatori:
della violazione degli artt. 4, comma 1 e 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, in occasione della gara Tarquinia Calcio-Tolfa Calcio del 129.1.2025, valevole per il girone A del campionato Under 17 provinciali del Comitato regionale Lazio, alla quale ha assistito tra il pubblico, rivolto le seguenti espressioni nei confronti del sig. G.I.B. calciatore tesserato per la società Tolfa calcio: “negro di mera…..zingaro…puzzi di cipolla…vai a fare il kebab…sporco negro…tornatene in Egitto…kebabbaro di merda…”
- il Sig. OMISSIS, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società A.S.D. Tarquinia calcio:
della violazione degli artt. 4, comma 1 e 28, comma 1, del Codice di giustizia sportiva, per avere lo stesso, in occasione della gara Tarquinia Calcio-Tolfa Calcio del 129.1.2025, valevole per il girone A del campionato Under 17 provinciali del Comitato regionale Lazio, alla quale ha assistito tra il pubblico, rivolto le seguenti espressioni nei confronti del sig. G.I.B. calciatore tesserato per la società Tolfa calcio: “negro di mera…..zingaro…puzzi di cipolla…vai a fare il kebab…sporco negro…tornatene in Egitto…kebabbaro di merda…”;
- il Sig. OMISSIS, all’epoca dei fatti calciatore tesserato per la società A.S.D. Tarquinia calcio:
- della violazione degli artt. 4 e 38 del Codice di giustizia sportiva per avere lo stesso, in occasione della gara Tarquinia Calcio – Tolfa calcio del 19.1.2025, valevole per il girone A del campionato Under 17 Provinciali del Comitato regionale Lazio, partecipato ad una rissa scambiando pugni con il calciatore avversario sig. A.S.;
- la società A.S.D. Tarquinia Calcio a titolo di responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del Codice di giustizia sportiva per gli atti ed i comportamenti posti in essere dai sigg. OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS, così come descritti nei precedenti capi di incolpazione.
Tale deferimento era scaturito a seguito delle indagini promosse ed espletate dalla Procura federale interregionale cui era pervenuta una segnalazione via email da parte del sig. Claudio Bellacima con la quale era stato sollecitato l’intervento della Procura federale a far luce su alcuni episodi accaduti nel corso dell’incontro di calcio del campionato Under 17 Provinciali, disputatosi il 19 gennaio 2025 tra le squadre del Tarquinia e del Tolfa. In particolare, in tale segnalazione, si faceva cenno ad una rissa verificatasi a fine gara tra numerosi giocatori delle due squadre documentata da un video “amatoriale” girato mediante un telefono cellulare da uno spettatore. L’episodio era poi stato ripreso da alcune testate giornalistiche ed emittenti televisive locali per come riferito nella segnalazione.
Dalle ulteriori indagini svolte mediante l’audizione dell’arbitro della gara Sig. Gianguido Rossi era anche emerso, oltre all’episodio della rissa, anche un episodio a sfondo razziale consistito in ripetuti insulti proferiti nei riguardi di un giovane calciatore extracomunitario tesserato con la società Tolfa calcio, preso di mira da un gruppo di sostenitori del Tarquinia calcio che occupava una delle due tribune dello stadio; gruppo all’interno del quale erano presenti, quali autori degli insulti a sfondo razziale, alcuni calciatori del Tarquinia non partecipanti all’incontro. In particolare gli insulti erano consistiti in frasi ed espressioni del seguente tenore: “negro di merda…..zingaro…puzzi di cipolla…vai a fare il kebab…sporco negro…tornatene in Egitto…kebabbaro di merda…”.
L’attività istruttoria svoltasi mediante l’audizione dei due presidenti delle società, era stata poi integrata mediante l’acquisizione, previo nulla osta dell’Autorità giudiziaria, degli atti assunti dalla Polizia giudiziaria di Viterbo che aveva svolto una dettagliata indagine, sia per la parte riguardante gli insulti a sfondo razziale, sia per la parte riguardante la rissa scoppiata a fine gara, riferendo i fatti alla competente autorità giudiziaria di Viterbo (Procura delle Repubblica presso il Tribunale dei minori di Roma e Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia) per i reati di cui all’art. 1 del D.L. 122/93 (discriminazione, odio o violenza per motivi razziali) e 588 c.p..
All’esito dell’attività istruttoria il Procuratore federale interregionale deferiva i tesserati coinvolti dinnanzi al competente Tribunale federale territoriale presso il C.R. Lazio.
Il relativo procedimento si concludeva con la decisione pubblicata nel C.U. n. 92 del 3 ottobre 2025 con la quale il Tribunale – preso atto della inutilizzabilità in ambito processuale penale delle dichiarazioni rese in assenza dei difensori dai tesserati OMISSIS e OMISSIS (che oltre a confessare le rispettive responsabilità, avevano chiamato in correità i tesserati OMISSIS e OMISSIS) – e ritenuto che tale inutilizzabilità si riverberava sul procedimento sportivo, ha deciso, in assenza anche di altre prove certe riguardanti le responsabilità dei tesserati in ordine alle frasi discriminatorie pronunciate, di sospendere ogni decisione nel merito all’esito del passaggio in giudicato della decisione penale pendente per i medesimi fatti di cui al deferimento dinnanzi al Tribunale per i minorenni di Roma, onerando la Procura federale di riassumere il giudizio all’esito del passaggio in giudicato della decisione relativa al suddetto procedimento penale.
Avverso tale decisione ha interposto reclamo il Procuratore federale interregionale sulla base di tre distinti motivi.
1. Violazione ed erronea applicazione del disposto di cui agli artt. 3, comma 3, e 111, commi 3, 6 e 7 del Codice di giustizia sportiva.
Con tale motivo la Procura federale reclamante ritiene che il provvedimento impugnato abbia natura decisoria: da qui la possibilità di impugnativa in coerenza con quanto previsto dall’art. 279 c.p.c. e in aderenza ad un consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte in tema di impugnabilità di ordinanze aventi contenuto di sentenza richiamato nel reclamo. Precisa, in aggiunta, che indebitamente il Tribunale federale ha disposto la sospensione del procedimento all’esito del passaggio in giudicato della decisione nell’ambito del procedimento penale pendente a carico dei tesserati, in palese violazione degli artt. 3, comma 3, CGS FIGC (autonomia dell’ordinamento federale nella qualificazione dei fatti ed autonomia degli organi di giustizia sportiva nella definizione dei giudizi indipendentemente dai procedimenti dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria) e dell’art. 111, commi 2, 6 e 7 (divieto di sospensione del processo sportivo), in correlazione con quanto previsto dall’art. 39, commi 6 e 7 del CGS CONI. Ha, per l’effetto, sottolineato che, da un lato, la sospensione in attesa della celebrazione del procedimento penale si pone in contrasto con il principio cardine della celerità del procedimento sportivo e, dall’altro, che la disposta sospensione fino alla formazione del giudicato su una sentenza della A.G., comporterebbe un vero e proprio “diniego di giustizia nell’ambito sportivo”.
2. Violazione ed erronea applicazione del disposto di cui all’art. 57, comma 1, del Codice di giustizia sportiva.
Con il secondo motivo la reclamante Procura federale contesta la statuizione del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto il deferimento sfornito di prova certa, stante la inutilizzabilità, anche nell’ambito del procedimento sportivo, di atti ritualmente e legittimamente acquisiti da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria e da ritenersi inutilizzabili in sede penale, avendo il Tribunale federale affermato del tutto erroneamente che “le preclusioni all’utilizzo degli atti di indagine, fissate dall’ordinamento statuale, permangano inalterate anche se tali atti vengano trasfusi in un procedimento sportivo”.
Evidenzia il reclamante la non sovrapponibilità del procedimento disciplinare sportivo rispetto al processo penale, né per finalità, né per regole procedurali con specifico riferimento al regime probatorio, ben potendo il Giudice del procedimento sportivo “valutare liberamente le prove fornite dalle parti, senza limitazione alcuna” (ed anzi con espressa autorizzazione ex art. 119 CGS).
In buona sostanza il reclamante sostiene la tesi della piena utilizzabilità degli atti provenienti da un diverso procedimento (nella specie penale) ritenuti in quella sede inutilizzabili ex art. 63 c.p.p., stante la piena autonomia del procedimento disciplinare sportivo rispetto al procedimento penale statuale e la libertà di valutazione dell’organo di giustizia sportiva indipendentemente dalle valutazioni proprie dell’Autorità giudiziaria penale.
3. Omesso esame delle risultanze probatorie acquisite agli atti del procedimento; violazione ed erronea applicazione dell’art. 4, comma 1, 28, comma 1, e 38 del Codice di giustizia sportiva; omessa pronuncia su un punto decisivo dell’azione disciplinare promossa.
Con il terzo, ed ultimo, motivo la Procura federale lamenta che il primo giudice avrebbe omesso ingiustificatamente di valutare il materiale probatorio acquisito agli atti del procedimento, ritenendo altrettanto ingiustificatamente che lo stesso non potesse formare oggetto di valutazione nell’ambito del procedimento disciplinare sportivo.
In particolare la reclamante ritiene che negli atti di indagine vi fossero elementi che il primo giudice avrebbe potuto e dovuto valutare al fine di pervenire ad un giudizio di responsabilità con riferimento alla posizione dei tesserati OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS mentre, con riferimento alla posizione del tesserato OMISSIS, lamenta che il Tribunale ha del tutto mancato di valutare le convergenti e molteplici prove a carico, incorrendo nel vizio di omessa motivazione su un punto decisivo dell’azione disciplinare promossa nei confronti del tesserato.
Sulla base delle suesposte censure, il reclamante Procuratore interregionale ha chiesto che, in accoglimento del reclamo, venisse irrogata ai tesserati OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS la sanzione della squalifica per anni due in relazione alla violazione disciplinare loro rispettivamente ascritta; al tesserato OMISSIS la sanzione della squalifica per sei giornate di gara e alla società A.S.D. Tarquinia calcio la sanzione dell’ammenda nella misura di € 1.000,00 con obbligo di disputare una gara ufficiale a porte chiuse, così come a suo tempo richiesto dalla Procura federale nel corso del procedimento di primo grado.
Nel corso dell’udienza dell’11 novembre 2025, celebratasi in video conferenza, presenti da remoto i difensori degli incolpati (tranne per OMISSIS) e il rappresentante della Procura federale, quest’ultimo si riportava al reclamo in atti, insistendo per il suo accoglimento, con conseguente dichiarazione di responsabilità dei tesserati deferiti e correlata irrogazione delle sanzioni richieste in calce al reclamo stesso o, in subordine, la rimessione degli atti al primo giudice per la trattazione nel merito del procedimento.
Il difensore dell’incolpato OMISSIS, nel riportarsi alle memorie difensive in atti, ha ribadito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal predetto tesserato dinnanzi all’Autorità di P.G. in quanto rilasciate in assenza del difensore e come tali inutilizzabili anche nell’ambito del presente procedimento, trattandosi di dichiarazioni rese in assenza delle garanzie di legge. Ha conseguentemente concluso per il proscioglimento dell’incolpato per la mancanza di prove a carico, chiedendo il rigetto del reclamo.
Il difensore dell’incolpato OMISSIS, nel riportarsi alle memorie difensive in atti e alle indagini difensive compiute ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., ha ribadito – pur dando atto dell’autonomia del procedimento disciplinare sportivo rispetto a quello penale – l’inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie a carico del OMISSIS e in ogni caso, la carenza assoluta di prove a suo carico indicative di una sua responsabilità, concludendo per il proscioglimento del proprio assistito e per il rigetto del reclamo.
Lo stesso difensore, nell’interesse della società A.S.D. Tarquinia Calcio, nel richiamare gli atti difensivi a suo tempo depositati in atti, ha ribadito che, versandosi in tema di responsabilità oggettiva, in assenza di prove a carico dei tesserati, nessuna responsabilità è ravvisabile a carico della società, sottolineando come questa avesse fornito ampia prova liberatoria in merito alle misure adottate per prevenire e vigilare sui comportamenti indebiti dei propri tesserati, concludendo quindi per il proscioglimento della società e per il rigetto del reclamo.
Il difensore dell’incolpato OMISSIS, in via preliminare rappresentava che ai tesserati OMISSIS e OMISSIS non era stata notificata alcuna comunicazione, chiedendo pertanto a questa Corte di valutare se procedere separatamente nei riguardi dei predetti ovvero disporre la rinnovazione delle notifiche. Con riferimento poi alla posizione del proprio assistito OMISSIS, si riportava a quanto esposto dagli altri difensori, sottolineando che, in riferimento al procedimento penale in corso, era stata avanzata richiesta al P.M. procedente di archiviazione per irrilevanza del fatto. Concludeva quindi per il proscioglimento del OMISSIS e per il rigetto del reclamo.
Il rappresentante della Procura federale, in replica alle eccezioni preliminari sollevate dal difensore dell’incolpato OMISSIS in ordine alla mancata notifica per i tesserati OMISSIS e OMISSIS, si rimetteva alla decisione di questa Corte, reiterando poi le conclusioni già esposte all’inizio dell’udienza.
All’esito della discussione il reclamo veniva trattenuto in decisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Per evidenti ragioni di priorità logica e processuale va esaminata l’eccezione preliminare sollevata dalla difesa dell’incolpato OMISSIS, con specifico riferimento alla supposta assenza di notifiche nei riguardi di altri due calciatori dell’A.S.D. Tarquinia Calcio (OMISSIS e tale OMISSIS, non meglio generalizzato).
1.1. L’eccezione è manifestamente infondata: dagli atti risulta che l’avviso di conclusione delle indagini era stato notificato dalla Procura federale a tutti gli odierni incolpati – ivi compreso OMISSIS – presso la società Tarquinia Calcio.
Altrettanto è avvenuto con riferimento all’atto di deferimento, tenuto conto del fatto che da parte del tesserato non è stata inviata alcuna memoria, né sottoscritto un mandato difensivo, né indicato un recapito alternativo presso il quale inviare eventuali notificazioni.
Anche nel corso dell’udienza svoltasi dinnanzi al Tribunale federale territoriale, da parte del tesserato OMISSIS non è stata presentata alcuna memoria difensiva né era stato alcun difensore.
Infine, con riferimento al reclamo interposto dalla Procura federale interregionale, questo è stato notificato agli odierni incolpati (incluso OMISSIS) presso la società Tarquinia Calcio, nonché ai rispettivi difensori (con esclusione di OMISSIS, stante la mancanza di nomina di difensore).
Ne consegue che il tesserato OMISSIS ha ritualmente ricevuto la notifica del reclamo (così come degli atti precedenti) presso la sua società di appartenenza in quanto nessuno risultava costituito per lo stesso in primo grado.
Quanto, infine, alla posizione del tesserato OMISSIS, non meglio identificato, il suo nominativo non figura nell’atto originario di deferimento né in alcun altro atto del procedimento. Verosimilmente, l’eccezione sollevata dal difensore del OMISSIS in ordine alla posizione dei menzionati OMISSIS e OMISSIS fa riferimento alla pregressa intervenuta nomina nel procedimento penale pendente presso la Procura dei minorenni di Roma dell’Avv. Claudia Trippanera, quale difensore di entrambi, senza alcun riferimento al procedimento sportivo (che in ogni caso non vede il OMISSIS quale incolpato).
2. Ciò doverosamente precisato, la prima questione che questa Corte è chiamata a risolvere riguarda la natura del provvedimento gravato e la sua conseguente impugnabilità.
3. Con riguardo al primo profilo, la reclamante ha ritenuto che si verserebbe in una tipica ipotesi di ordinanza avente natura di sentenza e come tale, impugnabile.
4. Secondo la prospettazione del reclamante, l’atto in questione sarebbe impugnabile, facendo richiamo ad una risalente decisione della S.C. secondo la quale “Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di sentenza o di ordinanza, è decisiva non già la forma adottata ma il suo contenuto (cosiddetto principio della prevalenza della sostanza sulla forma), di modo che allorquando il giudice, ancorché con provvedimento avente veste formale di ordinanza, abbia, senza definire il giudizio, deciso una o più delle questioni di cui all'art. 279 cod. proc. civ. - in particolare affermando la propria giurisdizione - a detto provvedimento va riconosciuta natura di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ.: con l'ulteriore conseguenza - riguardo alla sentenza del giudice di pace secondo equità - che, a norma dell'art. 361 cod. proc. civ., avverso la stessa va fatta riserva di ricorso per cassazione o deve essere proposto ricorso immediato, determinandosi, in difetto, il passaggio in giudicato della decisione, senza che rilevi in contrario che, nella sentenza definitiva, lo stesso giudice abbia poi ribadito la propria giurisdizione” (Cass. Civ. S.U., sentenza n. 20470 del 24/10/2005).
4.1. A ben vedere si tratta di un orientamento consolidato, come dimostrato da una recentissima pronuncia della S.C. secondo la quale ”Per stabilire se un provvedimento costituisce sentenza o ordinanza endoprocessuale è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o all'intestazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché hanno natura di sentenze - come tali, soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato - i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279 c.p.c., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio (Cass. Civ. Sez. 3^ 8.7.2025 n. 18603).
5. Ritiene il Collegio che tale impostazione non sia persuasiva nella misura in cui la tesi della impugnabilità risulta strettamente collegata al disposto di cui all’art. 279 c.p.c. il cui contenuto si reputa utile riportare in questa sede, per la parte che qui può rilevare.
“Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide soltanto questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa. Il collegio pronuncia sentenza: 1) quando definisce il giudizio, decidendo questioni di giurisdizione [o di competenza]; 2) quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito; 3) quando definisce il giudizio, decidendo totalmente il merito; 4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1, 2 e 3, non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa [125 bis, 129, 129 bis, 133 bis disp. att.]; 5) quando, valendosi della facoltà di cui agli articoli 103, secondo comma, e 104, secondo comma , decide solo alcune delle cause fino a quel momento riunite, e con distinti provvedimenti dispone la separazione delle altre cause e l'ulteriore istruzione riguardo alle medesime, ovvero la rimessione al giudice inferiore delle cause di sua competenza.”OMISSIS.
6. Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il provvedimento reclamato non abbia natura sostanziale di sentenza, in carenza dei presupposti richiesti tassativamente dai nn. 1-5 del secondo comma dell’art. 279 c.p.c., bensì di ordinanza, proprio perché il giudizio non solo non risulta definito, ma addirittura rimesso alla definitività di altro giudizio pendente davanti all’Autorità giudiziaria.
6.1. Tale conclusione dovrebbe inevitabilmente condurre alla non impugnabilità della decisione adottata dal Tribunale federale territoriale.
7. Senonchè tale provvedimento, per le caratteristiche peculiari che lo connotano, può – ed anzi deve – qualificarsi quale “abnorme” e, come tale suscettibile di impugnazione, ma per ragioni diverse da quelle ipotizzate dalla Procura federale interregionale.
7.1. Il concetto di abnormità del provvedimento giurisdizionale, sebbene conosciuto nei vari settori del diritto (civile, amministrativo e penale), ha formato oggetto di una ricca elaborazione giurisprudenziale da parte della Suprema Corte, soprattutto in ambito penale, cui viene tradizionalmente accostato proprio per la progressiva e sempre più affinata elaborazione operata dai giudici di legittimità.
7.2. In un recente arresto delle Sezioni unite penali, la Suprema Corte (Cass. Pen. SS.UU. 28.4.2022 n. 37502) ha analiticamente passato in rassegna l’istituto – ma sarebbe più corretto definirlo, il “fenomeno” – della abnormità, muovendo dalla definizione concettuale, per poi pervenire alla bipartizione tra abnormità cd. “strutturale” ed abnormità cd. “funzionale” dell’atto giurisdizionale.
7.3. Secondo l’impostazione seguita nella menzionata sentenza, l’abnormità - oggetto nel tempo di numerose pronunce da parte delle Sezioni Unite - afferisce ad una particolare e grave patologia dell’atto, pur se non specificamente individuata e definita dal codice di rito.
La mancanza di una classificazione delle ipotesi di abnormità è frutto di una precisa scelta del legislatore penale che, ben consapevole della estrema difficoltà di una possibile tipizzazione dei casi di abnormità, ha sostanzialmente rimesso alla giurisprudenza il compito di rilevare, di volta in volta, l’esistenza di un atto abnorme e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità, come peraltro emerge dalla Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale.
7.4. Muovendo da tale considerazione, la giurisprudenza ha fornito una nozione dell’atto abnorme progressivamente precisata nel tempo: e così alla abnormità derivante da un provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulta avulso dall’intero ordinamento processuale - tanto da legittimare il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. quale unico strumento processuale utilizzabile per rimuoverne gli effetti - si è aggiunta, nella progressiva elaborazione giurisprudenziale, la figura del provvedimento che, seppur astrattamente inquadrabile nell’ordinamento, in quanto manifestazione di legittimo potere, si esplica al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.
Da qui la distinzione tra una abnormità cd. “strutturale”, che si collega alla non inquadrabilità dell’atto nel sistema processuale, e una abnormità cd. “funzionale”, che si verifica quando, pur non essendo l’atto estraneo al sistema normativo, esso determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo. Tali tipologie non sono estranee all’ambito civile e all’ambito amministrativo, sia pure con caratteristiche lievemente diverse.
7.5. L’abnormità, quindi, si traduce in un vero e proprio sviamento della funzione giurisdizionale, che si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento, tanto nel caso della abnormità strutturale che in quello funzionale, con la conseguenza che entrambi le tipologie sono riconducibili ad un fenomeno unitario.
La categoria dell’abnormità presenta carattere eccezionale e derogatorio al principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, sancito dall’art. 568 cod. proc. pen., e consente, quindi, di porre rimedio, attraverso la sua impugnabilità, agli effetti pregiudizievoli connaturati ai provvedimenti non impugnabili, ma affetti da anomalie genetiche o funzionali che li rendono – per la loro eccentricità - inconciliabili con il sistema processuale.
8. E’, dunque, alla stregua di tali principi ermeneutici che occorre fare riferimento per valutare – con riguardo al caso sottoposto al vaglio di questa Corte – la possibilità di impugnare l’ordinanza pronunciata dal Tribunale federale territoriale.
9. Che si tratti di un atto abnorme, più che anomalo, lo si evince dal fatto che esso si pone in totale antinomia con il sistema elaborato dal Codice di giustizia CONI, successivamente ripreso dai regolamenti di giustizia delle singole federazioni.
9.1. Per quanto qui di interesse, e come esattamente osservato dal Procuratore federale reclamante, l’ordinanza in parola contrasta in modo evidente con il disposto di cui all’art. 111, comma 7, del CGS FIGC secondo il quale “In nessun caso è ammessa la sospensione del procedimento salvo che, per legge, debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale di merito e la relativa causa sia stata già proposta davanti all’Autorità giudiziaria”.
9.2. Tale disposizione ripropone il testo contemplato dall’art. 39, comma 7, del CGS CONI, il quale disciplina l’istituto della sospensione del procedimento disciplinare, ponendo rigorosissimi limiti all’applicabilità dell’istituto.
9.3. La ragione di fondo di tali disposizioni è da rinvenirsi nell’esigenza di celerità del procedimento sportivo che ha caratteristiche assolutamente peculiari rispetto ai procedimenti statuali, pur essi comunque assoggettati al principio di speditezza ex art. 111 Cost. (in termini CFA, SS.UU., n. 30/2017-2018).
9.4. Come è agevole dedurre dal testo della disposizione in esame, gli spazi per una sospensione del procedimento disciplinare sportivo rispetto al parallelo procedimento penale sono davvero esigui.
9.5. Alla reciproca autonomia tra i due procedimenti sotto un profilo diacronico, fa da pendant l’autonomia valutativa dell’organo di giustizia disciplinare rispetto a quello penale: con la conseguente limitazione al massimo della possibilità di sospensione del giudizio sportivo, circoscritta ad ipotesi assolutamente residuali.
Sono note le ragioni di fondo per le quali è consentita – anzi, è imposta - una trattazione separata del giudizio disciplinare rispetto al processo penale: la giustizia sportiva è la forma più alta in cui si esprime l’autonomia dell’ordinamento sportivo, che si traduce, oltre che in via normativa con l’individuazione delle regole della vita dell’associazione, anche in via giustiziale, attraverso la predisposizione di organi e procedure diretti a garantire il rispetto di tali regole al suo interno.
Da tempo, è stato ritenuto che è conseguenza naturale dell’autonomia dell’ordinamento sportivo la capacità dello stesso di munirsi, in via indipendente, di un circuito normativo che reagisca alla negazione dei valori del mondo dello sport. Questa premessa, che riassume decenni di conforme indirizzo giurisprudenziale sportivo, porta ad affermare, in linea generale, la niente affatto obbligata permeabilità dell’ordinamento sportivo ad ogni e ciascuna disposizione dell’ordinamento generale astrattamente applicabile alla singola fattispecie (ex plurimis: Corte di giustizia federale, SS.UU., n. 13/2012-2013).
Tale autonomia – come è noto – è stata confermata dalla Corte costituzionale che, nella decisione n. 49/2011, ha ritenuto che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità». E ancora nella decisione n. 160/2019, la Corte ha affermato che “Nel quadro della struttura pluralista della Costituzione, orientata all'apertura dell'ordinamento dello Stato ad altri ordinamenti, anche il sistema dell'organizzazione sportiva, in quanto tale e nelle sue diverse articolazioni organizzative e funzionali, trova protezione nelle previsioni costituzionali che riconoscono e garantiscono i diritti dell'individuo, non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua personalità (art. 2 Cost.) e che assicurano il diritto di associarsi liberamente per fini che non sono vietati al singolo dalla legge penale (art. 18).”.
9.6. Pertanto, l’unica ipotesi di possibile sospensione del giudizio è quella che ha come suo presupposto “la risoluzione di una questione pregiudiziale di merito” (Collegio di garanzia dello sport, n. 63/2021).
9.7. E su questo stesso filone interpretativo si collocano numerose decisioni dagli organi di giustizia federali (tra le più recenti si segnalano: TFN FIGC, Sezione disciplinare, n.73/TFN del 9 ottobre 2024; TFN FIGC, Sezione disciplinare, n. 168 del 3 maggio 2023) con le quali, oltre a riaffermarsi la piena indipendenza dell’azione disciplinare sportiva rispetto a quella penale per i medesimi fatti, si ribadisce il divieto di sospensione ex art. 39, comma 7, tranne che per legge debba essere decisa una pregiudiziale di merito già sottoposta alla cognizione dell’Autorità giudiziaria, facendosi richiamo ai principi in tal senso affermati dal Collegio di garanzia dello sport con la decisione della sez. IV, n. 16 /2016 e a quelli espressi dalla Sezione consultiva del Collegio di garanzia con il parere n. 1/2016.
9.8. Risultano ispirate ai medesimi principi ermeneutici la decisione della Corte federale d’appello FIGC a Sezioni Unite n. 30 del 25 ottobre 2019, in cui si ribadisce il principio dell’autonomia del giudizio sportivo che consente una trattazione separata del giudizio disciplinare rispetto ad analoga vicenda processuale e, ancora più distintamente, la decisione della Corte federale d’appello, sez. III, n. 22 del 25 novembre 2019, in cui si è escluso che la mera pendenza di procedimento penale, peraltro nemmeno approdato alla fase processuale, può giustificare una richiesta di sospensione del procedimento disciplinare.
9.9. L’ abnormità – nel caso di specie - del provvedimento che sospende il giudizio sportivo in attesa degli esiti della pronuncia penale, è confermata anche – indirettamente ma chiaramente – da una disposizione dell’ordinamento generale.
Difatti, l’art. 16, comma 5, del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39, prevede che i regolamenti delle Federazioni sportive nazionali devono prevedere sanzioni disciplinari a carico dei tesserati che “siano stati condannati in via definitiva” per i reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies, 604bis, 604-ter, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinques, 609-octies 609-undecies del codice penale.
Dal che si evince che, anche per l’ordinamento generale, il potere del giudice sportivo di sospendere il giudizio in attesa che il tesserato sia condannato in via definitiva, è rigorosamente limitato alle fattispecie delittuose espressamente previste dalla disposizione sopra citata. In questi casi, difatti, il legislatore nazionale ha selezionato una serie di condotte penalmente rilevanti, di particolare gravità, per le quali il giudice sportivo deve attendere la condanna in via definitiva del giudice penale (per una applicazione, v. CFA, SS.UU., n. 100-2023/2024).
Ne deriva, a contrario, che per tutte le altre fattispecie penali – come quella che viene qui in rilievo - non è consentita la sospensione del giudizio sportivo poiché, se esistesse il principio che in pendenza di processi penali il tesserato possa in qualche modo sottrarsi alle responsabilità nascenti dal rapporto di affiliazione con una federazione sportiva, invocando la conclusione delle stesse, si andrebbe a svuotare di ogni significato la giurisdizione del CONI e di tutte le entità giuridiche ad esso affiliate, quali, in primis, le federazioni sportive (Collegio di garanzia dello sport, n. 11/2016).
10. Alla stregua di tali ragioni, ritiene il Collegio che l’ordinanza pronunciata dal Tribunale federale territoriale si ponga al di fuori del sistema ordinamentale sportivo, incentrato sul duplice tema dell’autonomia del procedimento disciplinare sportivo rispetto al parallelo procedimento penale e sulla celerità della decisione, che rischia di essere del tutto pretermessa là dove dovesse accedersi alla tesi della sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione di quello penale.
11. L’abnormità dell’ordinanza ne consente quindi l’impugnabilità dinnanzi a questa Corte.
12. Si pone, a questo punto, un problema non secondario, ma più volte affrontato da questa Corte, circa la possibilità – in caso di mancata decisione nel merito della controversia da parte del primo giudice – di annullamento con rinvio degli atti al Tribunale per un nuovo giudizio, anche in considerazione di analoga richiesta formulata dal Procuratore federale, in via subordinata, nel corso dell’udienza.
12.1. Sul punto appare utile richiamare un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che ritiene circoscritta ad ipotesi assolutamente residuali la possibilità di annullamento con rinvio al giudice di primo grado, nei soli casi di lesione del contraddittorio processuale (tra le più recenti: CFA, Sez. I, n. 82/2024-2025; CFA, SS.UU. n. 79/2024-2025; CFA, SS.UU., n. 109/2024-2025).
12.2. Di annullamento con rinvio tratta l’art. 106 del CGS FIGC, il cui comma secondo ultima parte, testualmente prevede che “Se [la Corte] ritiene insussistente l’inammissibilità o la improcedibilità dichiarata dall’organo di primo grado o rileva la violazione delle norme sul contraddittorio, annulla la decisione impugnata e rinvia per l’esame del merito all’organo che ha emesso la decisione”.
12.3. Secondo il costante indirizzo espresso da questa Corte, la corretta interpretazione di tale disposizione, in coerenza con il principio della speditezza del processo sportivo e della sua ragionevole durata, restringe in modo rigoroso il campo di applicazione della norma, limitandolo alle sole fattispecie di mero rito, “per effetto delle quali non vi sia stato alcun ingresso alla valutazione del merito delle questioni e per le quali è pertanto mancata una qualsiasi parvenza di contraddittorio” (così CFA, Sez. I, n. 42/CFA/2024-2025).
12.4. In un recentissimo arresto di questa Corte (CFA, SS.UU., n. 109/2024-2025) è stato rilevato che “Ai sensi dell’art. 106, comma 2, del Codice di giustizia sportiva (CFA, SS.UU., n. 2/2023-2024) sul tema dell’annullamento con rinvio da parte del giudice d’appello si confrontano due principi contrapposti: da un lato, l’esigenza di garantire il doppio grado di giurisdizione, che agisce nel senso di ampliare i casi di annullamento con rinvio; dall’altro, la necessità di definire speditamente il giudizio, che agisce ovviamente nel senso opposto.
La speditezza e la tempestività sono le caratteristiche fondamentali dell’ordinamento processuale sportivo che intanto ha una propria legittimazione in quanto è in grado di assicurare forme di tutela pressoché immediate: i procedimenti sportivi devono essere veloci in relazione alla necessità di dare certezza ai campionati, ai tempi di apertura e chiusura del mercato dei trasferimenti degli atleti, oltreché alla partecipazione dei singoli alle manifestazioni sportive. E non da ultimo, per l’esigenza degli appassionati di conoscere tempestivamente la situazione in classifica delle varie squadre. Pertanto le esigenze di celerità e speditezza devono essere considerate prevalenti sull’altro principio sopra detto. Conseguentemente i casi di rimessione al giudice sportivo di primo grado devono essere considerati eccezionali, in quanto derogatori di un principio generale, come del resto avviene nel Codice del processo amministrativo e nel Codice di procedura civile. Va quindi espressa riserva sulla previsione normativa secondo cui la rimessione al giudice di primo grado è prevista anche nel caso di erronea declaratoria di inammissibilità (e di improcedibilità). Del resto, l'esigenza di una più intensa tutela giurisdizionale, che è alla base del reclamo - quale mezzo idoneo a denunciare qualsiasi errore o ingiustizia della decisione di primo grado (cosiddetto rimedio a critica libera) - non comporta l'inderogabile necessità, nel caso di utilizzazione di tale gravame, di una duplice pronunzia sul merito della controversia. Infatti, la doppia cognizione garantita dal legislatore alle parti contendenti riguarda la lite, intesa nella sua totalità, cioè nel complesso dei profili di natura sostanziale e di natura processuale che essa presenta e non, invece, le singole questioni di rito o di merito, suscettibili di autonoma considerazione, nelle quali è logicamente scomponibile la lite medesima. Né, d'altronde, può dubitarsi che il giudice decide l'intera controversia sia allorché risolve tutti i punti in contestazione della causa, sia allorché - correttamente o meno - ne risolve solo alcuni, con una pronunzia il cui contenuto precluda l'esame di ogni questione di merito o di una parte di esso (Cons. St., Ad. plen. n. 18/1978). In tali casi, in effetti, il processo si instaura e si svolge regolarmente, concludendosi con una sentenza che, pronunciandosi sulla domanda proposta, ravvisa la carenza di una delle condizioni per l’esame del merito (Cons. St., Ad. plen. n. 10/2018). In definitiva, è più coerente con i principi generali del diritto sportivo che il rinvio debba essere limitato al solo caso dell'incompletezza del contraddittorio in primo grado.”
12.5. Tale orientamento ha trovato ulteriore ed autorevole conferma in una recentissima decisione del Collegio di garanzia dello sport (Sez. II, n. 57/2025) che, nel condividere i principi affermati dalla Corte federale d’appello, ha disatteso il motivo di ricorso fondato sull’asserita violazione dell’art. 106, comma 2, ultima parte, del CGS FIGC).
13. Ritiene il Collegio di non doversi discostare da tale impostazione, tanto più che non sembrano affatto ricorrere i presupposti sui quali si fonda l’istituto dell’annullamento con rinvio, per come delineato dalla norma sportiva.
14. Il primo Giudice infatti, lungi dal rilevare un difetto del contraddittorio ovvero dallo statuire una improcedibilità o inammissibilità, ha semplicemente omesso di pronunciarsi sul deferimento della Procura federale, per un verso, in ragione della esigenza di conoscere prima l’esito definitivo del parallelo procedimento penale sui medesimi fatti oggetto della contestazione disciplinare e, per altro verso, omettendo di valutare le pur convergenti e molteplici prove riguardanti la contestazione di partecipazione alla rissa mossa nei riguardi del calciatore OMISSIS.
15. Alla stregua di tali principi, ritiene allora la Corte di poter passare alla trattazione nel merito della fattispecie in esame nella sua interezza.
16. Secondo quanto è dato leggere dalla motivazione del provvedimento oggi impugnato, gli atti trasmessi dalla Procura federale all’esito delle indagini contengono – a sostegno dell’ipotesi di violazione regolamentare – il fascicolo del procedimento penale non ancora approdato alla fase dell’esercizio dell’azione penale, così come trasmesso dalla Questura di Viterbo, previo nulla osta dell’Autorità giudiziaria competente (Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Roma).
17. Lo stesso Tribunale, nel censurare l’operato della Procura per la mancata reiterazione dell’interrogatorio degli incolpati e della audizione dei testimoni, prosegue sottolineando testualmente: “A tal fine vale sottolineare che le dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dai Sigg. Carburi e Battista, convocati come persone informate dei fatti, non sono utilizzabili in sede penale in quanto acquisite senza l’assistenza del difensore, e risultano essere state interrotte nel momento in cui sono emersi elementi di reità a carico dei dichiaranti. Il codice di procedura penale sancisce l’inutilizzabilità di quelle dichiarazioni (art. 63 c.p.p.) e la Giurisprudenza della Suprema Corte ha vietato l’utilizzabilità delle dichiarazioni autoaccusatorie anche con il consenso del dichiarante.”
18. Prosegue poi il Tribunale ricordando la possibilità dell’ordinamento disciplinare sportivo di accedere agli atti di indagine della Procura della Repubblica, in coerenza con quanto previsto dall’art. 49 del CGS CONI, occorrendo, quindi, che gli atti processuali trasmigrati dall’Autorità giudiziaria all’Organo disciplinare della giustizia sportiva vengano acquisiti legittimamente e ritualmente: il che è in effetti accaduto nella specie.
19. E tuttavia, muovendo dalla premessa della inutilizzabilità delle dichiarazioni dei due tesserati OMISSIS e OMISSIS di natura autoindiziante in quanto rese in assenza dei difensori, il Tribunale ha ulteriormente e conclusivamente affermato che” le preclusioni all’utilizzo degli atti di indagine, fissate dall’ordinamento statuale, permangano inalterate anche se tali atti vengano trasfusi in un procedimento sportivo, proprio per la particolarissima natura che tali esperimenti istruttori hanno e per le garanzie che l’ordinamento statuale assicura agli indagati. La Procura federale, pur in presenza di tali preclusioni, non ha ritenuto di ripetere l’audizione dei deferiti nel procedimento sportivo, nel quale, invece, non opera la necessità della presenza del difensore ma solo, nel caso di minori, dell’esercitante la potestà genitoriale, e quindi, allo stato, il deferimento non è più sostenuto dalle chiamate di correità contenute nelle SIT sopra richiamate. Allo stato, quindi, se non si considerano le dichiarazioni autoaccusatorie rese alla Polizia giudiziaria in quanto inutilizzabili anche in sede di Giustizia federale, il deferimento a carico dei tesserati appare sfornito di prove certe. Dagli atti è emersa, inoltre, la pendenza di due procedimenti penali, uno di fronte alla Procura della Repubblica di Viterbo ed uno alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Roma, nel corso del quale potranno essere acquisite formalmente e ritualmente dichiarazioni testimoniali o dichiarazioni degli indagati utili all’accertamento dei fatti ed esaustive sulla responsabilità di tesserati eventualmente coinvolti. Alla luce di tutte le considerazioni sopra riportate, al fine di non lasciare senza adeguata sanzione comportamenti obiettivamente gravissimi per il loro contenuto discriminatorio reiterato durante tutto il corso della gara, appare quindi necessario sospendere il procedimento sino alla conclusione dei procedimenti penali sopra richiamati con onere dell’Organo Requirente di riassumere il Giudice nel termine indicato in dispositivo dal passaggio in giudicato dei provvedimenti conclusivi dei detti procedimenti”.
20. Il tema della utilizzabilità, in ambito disciplinare sportivo, degli atti provenienti da altro procedimento di natura statuale (nella specie penale) è stato al centro dell’attenzione degli organi di giustizia sportivi che, in nome della piena autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statuale, hanno sempre ritenuto pienamente utilizzabili, purché legittimamente e ritualmente acquisiti, gli atti ritenuti inutilizzabili ex art. 191 c.p.p. (in particolare le intercettazioni), potendo questi essere valutati autonomamente nella sede loro propria (quella disciplinare sportiva).
In particolare, è stato considerato che le intercettazioni telefoniche raccolte nel processo penale sono utilizzabili in sede di procedimento disciplinare a carico di soggetti appartenenti all'ordinamento sportivo: l'eventuale inutilizzabilità di dette intercettazioni nell’ambito processuale penale non può spiegare effetti oltre tale ambito, in conformità al principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che opera in assenza di un principio di tipicità dei mezzi di prova. Né, con ciò, possono ritenersi violati i principi di civiltà giuridica attinenti al diritto di difesa, tra i quali, anzitutto, quello del contraddittorio, per come configurato dall’ordinamento processuale. Al riguardo, vale ricordare che, pur valorizzando sempre più, sul piano teleologico ed applicativo, la disciplina contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/1990, la giurisprudenza costantemente afferma che contraddittorio e partecipazione sono soddisfatti allorché la parte interessata sia adeguatamente informata della natura e dell'effettivo avvio del procedimento, nonché del contenuto degli atti dello stesso e sia posta in condizione di fornire gli apporti ritenuti utili in chiave istruttoria e logico-argomentativa, senza necessità di assicurare quel contraddittorio continuo ed integrale tipico del processo penale. Difatti, i principi e le regole di formazione della prova penale sono volti a soddisfare finalità tutte interne all'attività di indagine sui comportamenti criminosi; finalità non comparabili con interessi esterni che possano in qualsiasi modo essere avvantaggiati o pregiudicati dalla inapplicabilità di quelle regole specifiche che non si prestino ad essere estese ad ipotesi del tutto estranee alla loro "ratio" (Corte cost., 29 maggio 2002, n. 223, con riguardo alla inapplicabilità dell’art. 117 c.p.p. al processo amministrativo). D’altra parte ed ancor più in generale, deve essere rammentato, che nel nostro ordinamento non vige un principio di necessaria uniformità di regole tra i diversi tipi di processo, sicché i diversi sistemi processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione all'epoca della disciplina ed alle tradizioni storiche di ciascun procedimento (Corte Cost., 21 gennaio 2000, n. 18) (Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, 6 dicembre 2011, Lodo Ascoli; Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, 12 dicembre 2011, Lodo Sommese; Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, 20 gennaio 2012, Lodo Cremonese; Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, 20 gennaio 2012, Lodo Benevento; Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, 27 febbraio 2012, Lodo Paoloni).
20.1. Pertanto, anche in ambito endofederale, alla luce dell’inequivoca previsione dell’art. 57, comma 1, del Codice – secondo cui “Gli organi di giustizia sportiva possono liberamente valutare le prove fornite dalle parti e raccolte in altro giudizio, anche dell'ordinamento statale” - si è affermato, in tema di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli in cui le intercettazioni sono state disposte, che il relativo divieto non è applicabile ai procedimenti disciplinari, in quanto le decisioni degli organi di giustizia sportiva rappresentano “l’epilogo di procedimenti amministrativi seppure in forma giustiziale) e non già giurisdizionali sì che non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo. In particolare alla “giustizia sportiva” si applicano oltre che le regole sue proprie, previste dalla normativa federale, per analogia, quelle dell’istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti semplici e complessi che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi. Con la conseguente inapplicabilità delle regole processuali di formazione della prova in contraddittorio, tipiche specialmente del processo penale” (tra le tante: CFA, SS.UU., n. 90/2019-2020; CFA, SS.UU., n. 122-2018-2019).
20.2. In termini sostanzialmente analoghi si è espresso il Collegio di garanzia dello sport, chiamato a valutare la utilizzabilità e validità delle fonti di prova necessarie ai fini della affermazione di responsabilità disciplinare, affermando che “il processo sportivo gode di piena autonomia rispetto a quello penale e il Giudice sportivo ha la possibilità di valutare, in assoluta libertà e autonomia, gli elementi istruttori raccolti in sede di procedimento penale o altrove, indipendentemente anche dal rilievo penale dei fatti rappresentati” ed ancora, che diversamente opinando, verrebbero condizionate le valutazioni degli organi della giustizia sportiva all’esito della raccolta delle prove necessarie al fine dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato, fino a ritenere che “il Giudice sportivo può attingere le prove da elementi diversi, a prescindere dalla natura e dalla valenza degli atti da cui esse sono scaturite, con conseguente possibilità di esaminare e valutare circostanze risultanti da atti di indagine compiti dal Pubblico ministero o dagli organi di polizia giudiziaria, anche se di per sé insuscettibili di costituire fonte di prova nel processo penale” (Collegio di garanzia dello sport, Sez. IV, n. 14/2016).
21. Emerge quindi un quadro che consente di affermare – proprio in nome della ricordata autonomia del procedimento disciplinare sportivo rispetto a quello penale – la piena utilizzabilità di atti assunti nel processo penale anche se inidonei a costituire fonte di prova per l’affermazione della responsabilità penale, essendo del tutto diverso il metro di valutazione del giudice sportivo rispetto a quello penale.
21.1. Tali esiti interpretativi devono essere ribaditi anche in questa sede.
Non v’è alcun dubbio che il principio ispiratore del sistema di giustizia sportiva sia quello della tendenziale giurisdizionalizzazione del procedimento.
Già dalle previsioni dell’art. 2 del Codice di giustizia sportiva del CONI è possibile cogliere l’orientamento del legislatore sportivo, a conferma della volontà di attrarre il procedimento alle garanzie sostanziali dell’attività giurisdizionale (Collegio di garanzia dello sport, Sezione consultiva, parere n. 1/2016).
Questa considerazione è confermata da una lettura sistematica delle norme contenute nel Codice di giustizia sportiva della FIGC, dalla quale emerge chiaramente l’intento di affermare nel procedimento disciplinare una serie di garanzie processuali, al fine di conciliare la tutela della persona e l’esigenza di un corretto ed efficace raggiungimento dei fini istituzionali dell’ordinamento sportivo, in generale, e della FIGC, in particolare (Corte federale d’appello, SS.UU, n. 30/2019-2020).
Senonchè, proprio la ricerca dell’equilibrio tra la tutela del tesserato e gli scopi che intende raggiungere la Federazione - connessi inscindibilmente alla sua autonomia – consente che la Federazione medesima possa perseguire la propria pretesa punitiva con autonomi mezzi di ricerca e valutazione della prova, che non necessariamente debbono identificarsi con quelli propri dell’ordinamento statale.
Del resto, nella Costituzione, nessun diritto fondamentale ivi previsto ha carattere assoluto ma esso è contemperato con gli altri diritti e l’esito del bilanciamento non può mai essere il sacrificio totale di uno dei valori in gioco, altrimenti si darebbe luogo a una tirannia del valore, utilizzando il linguaggio di Carl Schmitt.
E l’operazione compiuta dalla Corte costituzionale con le due note decisioni in materia di giustizia sportiva n. 49/2011 e n. 160/2019 si è sostanziata proprio in un bilanciamento tra la tutela del tesserato in giudizio e l’autonomia del fenomeno sportivo.
22. Ma anche a voler ritenere ipoteticamente inutilizzabili tali atti, ciò non esimeva il Tribunale dal ricercare all’interno del materiale probatorio acquisito al procedimento, l’esistenza o meno di prove idonee ad affermare o escludere la responsabilità dei tesserati per i comportamenti loro ascritti in violazione delle disposizioni federali.
23. Sotto tale profilo la decisione del Tribunale è senz’altro censurabile in quanto dal fascicolo trasmesso dalla Procura federale emergevano (ed emergono) quegli indizi plurimi, convergenti, gravi, precisi e concordanti idonei a pervenire ad un giudizio di responsabilità quanto meno per gli incolpati OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS.
24. Prima di passare ad esaminare la posizione dei singoli incolpati è necessario verificare se le frasi razziste pronunciate all’indirizzo del sig. G.I.B. siano state effettivamente pronunciate.
24.1. Di ciò esiste ampia prova negli atti acquisiti dalla Procura federale e poi inseriti nell’atto di deferimento.
24.2. In modo analitico ne parla il direttore di gara sig. Gianguido Rossi, sentito il 3 marzo 2025 dal Collaboratore della Procura federale, che, a proposito degli insulti razzisti diretti nei riguardi di G.I.B., ha precisato che questi è stato fatto oggetto di cori razzisti per tutta la durata dell’incontro da persone presenti sugli spalti, avendo nettamente percepito i cori per quasi tutta la partita, aggiungendo di essersi avvicinato al calciatore e di avergli chiesto se fosse tutto okay. Identiche dichiarazioni il Rossi ha reso dinnanzi alla P.G. di Viterbo come emerge dai verbali di s.i.t. del 10 e 20 febbraio 2025, anche se non è stato in grado di indicare i responsabili di tali insulti. Ed ancora. nel supplemento di referto della gara. l’arbitro ha ribadito di aver sentito gli insulti razzisti proferiti contro il G.I.B. per l’intera durata dell’incontro.
24.3. La persona offesa G.I.B., in sede di dichiarazioni spontanee rese dinnanzi al Commissariato di Tarquinia il 10 febbraio 2025, ha dichiarato di essere stato fatto oggetto di insulti a sfondo razzista del tipo “Scimmia di merda, negro di merda ed egiziano di merda” ed altre frasi dello stesso tenore, tanto che il suo allenatore, per evitare il protrarsi di tali condotte, decideva di spostarlo nella fascia opposta lato panchina (v. dichiarazioni spontanee alla P.G. del 10 febbraio 2025).
24.4. Di insulti razzisti ha parlato il sig. Cesarini Matteo, allenatore della squadra del Tolfa calcio, il quale, nel corso delle dichiarazioni rese quale persona informata sui fatti alla P.G. di Viterbo, ha indicato il tipo di frasi razziste da lui sentite (Negro di merda”…”sei venuto sul gommone”).
24.5. L’incolpato OMISSIS ha ricordato la frase “negro di merda” da lui più volte sentita nel corso della partita.
24.6. Ed altrettanto ha dichiarato alla P.G. OMISSIS che ha udito pronunciare frasi tipo “sporco negro, tornatene in Egitto, kebabaro di merda”.
25. Sulla base di quanto testé indicato, è certamente integrata la fattispecie prevista dall’art. 28, comma 1, del CGS FIGC.
26. Ciò precisato, e iniziando a trattare la posizione dei singoli incolpati, a carico del sig. OMISSIS emerge la prova rappresentata da due file audio consegnati dal sig. G.I.B. (l’extracomunitario oggetto degli insulti razzisti) alla Polizia giudiziaria di Viterbo tramite whatsapp (v. annotazione di P.G. dell’11 febbraio 2025) e relativi ad uno scambio di messaggi intercorsi tra l’incolpato e il sig. G.I.B. sul sito Instagram di quest’ultimo: si tratta di due file della durata, rispettivamente, di 18 secondi e di 9 secondi, che i due ragazzi si sono scambiati la stessa sera del 19 gennaio 2025, il primo dei quali (autore il OMISSIS) è del seguente tenore: “Allora, secondo me, te parli tanto, fra’….allora, in poche parole, sulla tribuna, fratello, siamo stati tutti ad insultarti, capito? E’ partito un corso su di te, punto e basta, fra’! Capito come? Non fa’ tanto il malavitoso…di qua, di là…falla finita!”; il secondo, molto più breve, in risposta al primo, risultata pronunciato dal G.I.B. ed è del seguente tenore: “Mi hai insultato per tutto il tempo…okay? Bene! Hai detto che sono negro? Okay, Ora ti fo vede’ il negro….semplice oh…eehh…semplice”.
26.1. Il tenore del messaggio è inequivoco e costituisce la prova della diretta responsabilità del OMISSIS il quale, in quel contesto, ammette di essere stato, insieme ad altri del gruppo, autore degli insulti razzisti.
Si tratta di un atto sottratto al regime previsto dall’art. 63 c.p.p. in quanto, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, si tratta di dichiarazioni autoaccusatorie circa la commissione di determinati fatti-reato rese nel corso di una conversazione spontanea, non assimilabili alle dichiarazioni rese dinnanzi alla Autorità giudiziaria o alla Polizia giudiziaria, aventi quindi piena valenza probatoria e come tali sottratti al regime degli artt. 62 e 63 del cod. proc. pen.
Peraltro le registrazioni delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze “de relato” su dichiarazioni dell’indagato, in quanto indicano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto (in tal senso Cass. Sez. 4^ 2.7.2010 n. 34807; Cass. Sez. 2^ 12.6.2019 n. 37794 in tema di dichiarazioni autoaccusatorie rese nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzate).
26.2. In aggiunta a tale elemento, va rilevato che lo stesso G.I.B. ha consegnato alla P.G. di Viterbo (v. annotazione di P.G. dell’11.2.2025) tramite messaggistica whatsapp, uno screenshot relativo ad uno scambio di messaggi intercorso tra lo stesso (destinatario del messaggio) e tale OMISSIS, capitano della squadra del Tarquinia, nel corso del quale quest’ultimo, in risposta alla frase pronunciata dal G. “Guarda che siete una bella squadra!”, risponde dicendo “a bello te chiedo scusa da parte di tutti degli insulti, manno fatto gira’ rcazzo pure a me”. Si tratta di un messaggio che prova oltre la pronuncia degli insulti razzisti, la responsabilità dei giocatori del Tarquinia calcio non partecipanti alla gara e siti nella tribuna dello stadio così come detto spontaneamente dal OMISSIS nel messaggio precedente. Peraltro il OMISSIS, in sede di audizione dinnanzi alla P.G., ha dichiarato di aver sentito gli insulti razzisti da parte di alcuni sostenitori del Tarquinia Calcio posizionati nella parte centrale della tribuna, senza tuttavia fornire i nomi degli autori dei cori razzisti.
26.3. Inoltre, dalle dichiarazioni rese alla P.G. dal sig. Forlini Maurizio, direttore sportivo del Tarquinia calcio, in data 20 febbraio 2025, risulta che questi, tra l’altro, si è così espresso: “In tribuna ho visto dei giovani che conosco in OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS e mi sembra che c’era OMISSIS, nonché altri giovani alquanto facinorosi da me sconosciuti che sono sempre presenti alle partite del Tarquinia Under 17. Questi ultimi sono soliti gridare alla fine della partita, al di fuori del campo, epiteti offensivi nei confronti dei giocatori dell’altra squadra”. E’ vero che lo stesso Forlini ha dichiarato che, a causa dei suoi continui spostamenti non aveva avuto modo di sentire insulti razzisti provenienti dalla Tribuna in cui si trovavano alcuni giocatori del Tarquinia, ma è anche vero che il detto dirigente ha precisato di aver parlato prima dell’inizio della gara con i ragazzi sostenitori del Tarquinia, dicendo loro di stare calmi e di non proferire frasi offensive o oltraggiose nei confronti dell’arbitro e dei calciatori della squadra avversaria.
26.4. Orbene, l’incrocio tra tali dichiarazioni e i messaggi scambiati tra il OMISSIS e il G.I.B. e tra il OMISSIS e il calciatore extracomunitario, consente di pervenire ad una affermazione di responsabilità a carico del OMISSIS non solo perché questi si è autoaccusato degli insulti con lo stesso G.I.B., ma perché è certa la sua presenza nel gruppetto dei ragazzi del Tarquinia Calcio siti nella tribuna dalla quale proveniva il corso di offese razziste all’indirizzo del G.I.B..
26.5. In aggiunta a tali elementi, militano ancora a carico del OMISSIS le dichiarazioni rese alla P.G. da OMISSIS nella parte in cui questi indica il OMISSIS quale uno dei coautori degli insulti razzisti, avendo l’incolpato OMISSIS dichiarato di essersi recato a vedere la partita Tarquinia – Tolfa posizionandosi sulla tribuna lato destro insieme ad alcuni amici, tra i quali per l’appunto il OMISSIS (giunto per ultimo) e, per quanto qui possa rilevare, il OMISSIS (vedi postea). Sempre il OMISSIS, nella sua iniziale dichiarazione resa quale persona informata sui fatti, ha riferito che alcuni ragazzi da lui non indicati, intonavano un coro contro G.I.B. rivolgendogli l’’espressione “Negro di merda” e aggiungendo che anche lui e gli altri (tra cui il OMISSIS) si sono uniti fin quando non è intervenuto il Direttore sportivo del Tarquinia calcio, sig. Forlini Maurizio invitandoli a smettere.
27. Si osserva al riguardo che le dichiarazioni rese dal OMISSIS, sebbene non utilizzabili contra se in relazione alle preclusioni rappresentate dall’art. 63 c.p.p., rientrano nel paradigma normativo di cui all’art. 63, comma 1°, cod. proc. pen. e pertanto, ad avviso del Collegio, sono pienamente utilizzabili se indirizzate verso terzi in quanto si tratta di dichiarazioni a contenuto autoindiziante rese alla P.G. da soggetto inizialmente sentito come persona informata sui fatti e non indagato.
27.1. Va, in proposito, richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza penale di legittimità secondo il quale “le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria od all'autorità giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante, non sono utilizzabili, per violazione dell'art. 63, comma I, cod. proc. pen., solo contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, in relazione ai quali la sanzione processuale della inutilizzabilità, prevista dall'art. 63, comma I, cod. proc. pen., non opera. (in termini Cass. Sez. 2^ 14.7.2016 n. 30965; idem 26.11.2020 n. 5823).
27.2. Con riferimento alla posizione del calciatore OMISSIS, oltre alle dichiarazioni del Forlini che lo ha individuato all’interno del gruppo di calciatori del Tarquinia occupanti la tribuna dello stadio nel settore dal quale provenivano gli insulti, acquistano specifico rilievo le dichiarazioni dello stesso OMISSIS, contenute nel messaggio inviato sul sito Instagram al G.I.B., nella parte in cui l’incolpato dichiara di essere stati “tutti” ad insultare l’avversario, dovendosi intendere l’espressione “tutti” come indicativa di quel gruppo di giocatori del Tarquinia individuato dal Forlini.
27.3. Inoltre dalle dichiarazioni rese alla P.G. dal Sig. OMISSIS, il quale assisteva alla partita posizionato sul lato sinistro degli spalti, risulta quanto segue: “Durante tutta la partita e più precisamente nel secondo tempo, ho sentito da parte di alcuni ragazzi, posizionati sul lato opposto della tribuna, urlare delle frasi: “sporco negro, tornatene in Egitto, kebabaro di merda” ed altre similari all’indirizzo del giocatore del Tolfa che conosco per G.I.B.. Dei ragazzi che hanno proferito tali frasi non conosco nessuno, anche perché erano di spalle alla mia visuale. Posso precisare che tra loro c’era OMISSIS con il quale a fine partita ho avuto un acceso diverbio per motivi extraxcalcistici”.
27.4. Tali dichiarazioni consentono, quindi, di individuare con la dovuta certezza il OMISSIS quale facente parte del gruppetto dei ragazzi che urlavano insulti razzisti e si incrociano perfettamente con le precedenti dichiarazioni che evidenziano la presenza del OMISSIS in quel gruppo.
28. Identiche considerazioni vanno svolte in riferimento alla posizione dell’incolpato OMISSIS, indicato con certezza dal Forlini quale soggetto facente parte del gruppetto dei tesserati del Tarquinia occupanti il settore della Tribuna da cui provenivano gli insulti ed ancora indicato – seppur indirettamente – dallo stesso OMISSIS nel messaggio indirizzato sul sito Instagram al G.B.I., là dove riferisce al suo interlocutore che “tutti” avevano iniziato un coro (di insulti) verso di lui. E tra quei “tutti” vi era certamente il OMISSIS.
29. Per completezza, va poi sottolineato che le dichiarazioni del OMISSIS, del OMISSIS e del OMISSIS sono state da loro rese in presenza dei rispettivi genitori Perugini Ivana (OMISSIS), Felci Angela (OMISSIS) e OMISSIS Alberto (OMISSIS), in quanto soggetti infradiciottenni, sicché, trattandosi di dichiarazioni utilizzabili anche in sede sportiva, non ricorre comunque l’ipotesi preclusiva di inutilizzabilità prevista dall’art. 119, comma 8, del CGS FIGC.
30. Emerge quindi a carico degli incolpati OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS un quadro sufficiente rassicurante per affermarne la rispettiva responsabilità per l’illecito loro contestato: quadro costituito da un complesso di indizi, convergenti, precisi, gravi e concordanti, per come precedentemente esposto.
31. In proposito si fa richiamo al costante indirizzo di questa Corte che ha più volte affermato il principio secondo il quale “nel procedimento disciplinare non è richiesta la certezza assoluta della commissione dell’illecito, né il superamento del ragionevole dubbio, come previsto nel processo penale, essendo, invece, sufficiente un grado inferiore di certezza, ottenuta sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, in modo tale da acquisire un ragionevole affidamento in ordine alla sussistenza della violazione contestata sicché la ragionevole certezza in ordine alla commissione dell'illecito può essere anche provata mediante indizi, qualora essi siano gravi, precisi e concordanti e la prova del nesso causale tra la condotta dell'agente e la violazione della fattispecie regolamentare può essere raggiunta sulla base della regola della preponderanza del ragionevole dubbio o del più probabile che non” (CFA, Sez. I, n. 116/2022-2023 e CFA, Sez. I, n. 14/2020-2021). Nel medesimo senso si sono espresse anche le Sezioni Unite, con decisione n. 2/2023-2024 ove si ribadisce che “(i)l valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare si deve attestare ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio (come invece è previsto nel processo penale), nel senso che è necessario e sufficiente acquisire - sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti - una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito” (CFA, Sez. I, n. 24/2022-2023; Sez. IV, n. 18/2022-2023; CFA, Sez. I, n. 87/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 81/2021-2022; CFA, Sez. I, n. 76/2021- 2022; CFA, Sez. III, n. 68/20212022; CFA, SS.UU., n. 35/2021-2022. CFA, SS.UU., n. 105/2020-2021).
31.1. Identiche affermazioni sono state fatte a più riprese dal Collegio di garanzia dello Sport (tra le tante: SS.UU. 10 febbraio 2016, n. 6; nello stesso senso SS.UU., 2 agosto 2016, n. 34 e SS.UU., 4 agosto 2016, n. 37; da ultimo, Sez. II, n. 37/2024).
32. Resta, a questo punto, da esaminare la posizione dell’incolpato OMISSIS, per il quale, ad avviso del Collegio, non vi sono prove certe della sua responsabilità.
32.1. Né il OMISSIS, né il Marri hanno indicato il suo nominativo tra gli autori degli insulti razzisti. Un accenno indiretto potrebbe provenire dalle dichiarazioni di OMISSIS, nella misura in cui lo stesso ha indicato il OMISSIS presente insieme al fratello Federico e ad altri soggetti, per poi aggiungere che tutti si erano uniti al coro indirizzato al G.I.B.. Ma in ogni caso il OMISSIS non indica il OMISSIS quale autore delle frasi incriminate.
32.2. Le dichiarazioni rese dal Forlini con riferimento al OMISSIS sono connotate da incertezza in quanto il dichiarante si è espresso in riferimento al detto incolpato con l’espressione “e mi sembra che c’era anche OMISSIS” (dichiarazioni Forlini del 20.2.2025).
32.3. Dalle indagini difensive espletate nell’interesse del OMISSIS emerge poi che tale OMISSIS, calciatore in forza al Tarquinia Calcio, sentito quale persona informata sui fatti ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., ha dichiarato che il OMISSIS era accanto a lui in tribuna ad assistere alla partita ma ha recisamente negato che il suo amico abbia pronunciato epiteti razzisti verso il G.I.B., pur avendo nettamente sentito che altri urlavano al suo indirizzo frasi quali “negro” e simili provenienti dal lato destro rispetto a dove erano seduti, senza tuttavia essere in grado di identificarli.
32.4. Lo stesso OMISSIS, sentito dalla P.G. in qualità di soggetto indagato per il reato di cui all’art. 1 della L. 122/93, alla presenza del difensore e del proprio genitore esercente la potestà, nel corso delle dichiarazioni rese il 9 luglio 2025, ha recisamente negato di aver pronunciato le frasi razziste all’indirizzo del G.I.B., pur avendo sentito proferire da parte di altre persone assiepate sugli spalti della tribuna espressioni quali “negro, tornatene al tuo paese e offese similari” (v. verbale di interrogatorio delegato del 9 luglio 2025 dinnanzi a ufficiali di P.G. della Questura di Viterbo).
35. In conclusione, con riferimento al OMISSIS, ritiene il Collegio che il quadro accusatorio a suo carico sia poco certo sicché trova applicazione il principio più volte espresso da questa Corte secondo il quale, se è vero – come sopra si è visto – che il valore probatorio sufficiente per appurare la realizzazione di un illecito disciplinare sportivo si attesta ad un livello superiore alla semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio o alla certezza assoluta della commissione dell’illecito, tale grado di preponderante certezza (sia pure inferiore rispetto allo standard dell’ambito penale) deve essere pur sempre conseguito sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, cioè tali da condurre ad un ragionevole affidamento in ordine alla sussistenza della violazione contestata, e cioè corrispondenti a dati di fatto certi e pertanto non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza.
34. Per tale ragione il tesserato OMISSIS va prosciolto dall’addebito contestatogli.
35. Rimane in ultimo da verificare la posizione del calciatore OMISSIS, incolpato ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, comma 1, e 38 CGS FIGC, per avere partecipato ad una rissa a fine gara.
35.1. Come accennato in precedenza, il Tribunale nulla ha statuito sul conto del OMISSIS, pur essendoci ampia documentazione cui attingere per valutare la sua responsabilità materiale, peraltro assolutamente utilizzabile tanto in sede penale quanto in sede disciplinare sportiva.
35.2. Al riguardo, il primo elemento a suo carico emerge da un video “amatoriale” ripreso attraverso un telefono cellulare, ritualmente acquisito agli atti, e che vede diversi giocatori colluttare tra loro a fine gara.
35.3. A corroborare le accuse a carico del OMISSIS soccorrono, da un lato, le dichiarazioni rese da tale Gufi Nazareno, allenatore del Tarquinia Under 17, il quale, nel visionare il video mostratogli dalla P.G., ha espressamente indicato OMISSIS quale soggetto duellante con un altro giovane.
35.4. Ancora più eloquenti e precise le dichiarazioni di Forlini Maurizio, Direttore sportivo del Tarquinia, che ha indicato espressamente il OMISSIS quale soggetto intento a scambiarsi pugni con il calciatore OMISSIS del Tolfa, fin quando non è intervenuto l’allenatore Gufi Nazareno per separare i due contendenti.
35.5. Ne consegue un quadro di assoluta certezza a carico del OMISSIS, ancor più significativo perché proveniente da due tesserati (allenatore e direttore sportivo) della sua stessa squadra.
36. In ultimo, a carico della società Tarquinia Calcio si profila una responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 6, comma 2, del CGS FIGC, in riferimento alla condotta posta in essere sia dai giocatori OMISSIS e OMISSIS sia a quella posta in essere da OMISSIS.
36.1. Sostiene il difensore che la società non sarebbe responsabile della condotta dei propri tesserati, avendo fatto il possibile per impedire fatti come quelli oggetto della incolpazione. Ma dagli atti non emerge la prova, gravante sulla società, di aver adottato accorgimenti tali da prevenire e/o impedire il verificarsi di eventi di questo genere, né possono considerarsi scriminanti gli interventi - a suo dire - effettuati dal direttore sportivo della società nei confronti degli autori degli insulti razzisti volti a placarne gli animi, trattandosi comunque di atti inidonei a scongiurare tali eventi.
37. Sulla base delle suesposte considerazioni, il reclamo va parzialmente accolto per quanto di ragione. Vanno dichiarati responsabili dell’illecito loro rispettivamente contestato i calciatori OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS nonché il calciatore OMISSIS.
38. Quanto alla misura della sanzione, tenuto conto della gravità dei fatti, della loro reiterazione, della intensità dell’elemento soggettivo e della assenza di circostanze attenuanti, si ritiene congruo irrogare, in relazione al disposto di cui all’art. 28, comma 2, CGS, ai sigg.ri OMISSIS, OMISSIS e OMISSIS la squalifica per la durata di un anno; al calciatore sig. OMISSIS, in relazione al disposto di cui all’art. 38 CGS, la squalifica per quattro giornate di gara; alla società Tarquinia calcio a titolo di responsabilità oggettiva, in relazione al disposto di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) ed e) del CGS, la sanzione di € 1.000,00 di ammenda e l’obbligo di disputare una gara ufficiale a porte chiuse.
P.Q.M.
accoglie in parte il reclamo in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, irroga le seguenti sanzioni:
ai Sigg.ri OMISSIS, OMISSIS, OMISSIS la squalifica di anni uno (uno);
al sig. OMISSIS la squalifica di 4 (quattro) giornate; alla società A.S.D. Tarquinia Calcio, l’ammenda di € 1.000,00 (mille/00) e l’obbligo gi disputare una gara ufficiale a porte chiuse.
Dispone la comunicazione alle parti con PEC.
L’ESTENSORE Il PRESIDENTE
Renato Grillo Mario Luigi Torsello
Depositato
IL SEGRETARIO
Fabio Pesce
