F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 2/CF del 4 agosto 2006
F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it
e sul Comunicato ufficiale n. 2/CF del 4 agosto 2006
1. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. CLAUDIO LOTITO AVVERSO LE SANZIONI DELLA INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI SEI E DELL’AMMENDA DI € 10.00,00 INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
2. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ S.S. LAZIO S.P.A. AVVERSO LE SANZIONI DELLA RETROCESSIONE ALL’ULTIMO POSTO DELLA CLASSIFICA DEL CAMPIONATO 2005/2006, DELLA PENALIZZAZIONE DI DODICI PUNTI IN CLASSIFICA NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006/2007 E DELL’AMMENDA DI € 40.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
3. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. MASSIMO DE SANTIS AVVERSO LA SANZIONE DELL’ INIBIZIONE PER ANNI QUATTRO E MESI SEI INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
4. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. PAOLO DONDARINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI SEI INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
5. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. FABRIZIO BABINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE DI ANNI UNO INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
6. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. GIANLUCA PAPARESTA AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER MESI TRE INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
7. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. ANTONIO GIRAUDO AVVERSO LE SANZIONI DELLA INIBIZIONE PER ANNI CINQUE CON PROPOSTA AL PRESIDENTE FEDERALE DI PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C. E DELL’AMMENDA DI € 20.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
8. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. TULLIO LANESE AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI DUE E MESI SEI INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
9. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ BOLOGNA F.C. 1909 S.p.A. AVVERSO DECISIONI ADOTTATE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
10. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ BRESCIA CALCIO S.P.A. AVVERSO DECISIONI ADOTTATE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
11. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ JUVENTUS F.C. S.P.A. AVVERSO LE SANZIONI DELLA RETROCESSIONE ALL’ULTIMO POSTO IN CLASSIFICA DEL CAMPIONATO 2005/2006, DELLA PENALIZZAZIONE DI PUNTI TRENTA IN CLASSIFICA NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006/2007, DELLA REVOCA DELL’ASSEGNAZIONE DEL TITOLO DI CAMPIONE D’ITALIA 2004/2005, DELLA NON ASSEGNAZIONE DEL TITOLO DI CAMPIONE D’ITALIA 2005/2006 E DELL’AMMENDA DI € 80.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
12. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. LUCIANO MOGGI AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER ANNI CINQUE CON PROPOSTA DI PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA F.I.G.C. E DELL’AMMENDA DI € 50.000,00 A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
13. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. PIERLUIGI PAIRETTO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI DUE E MESI SEI INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
14. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. INNOCENZO MAZZINI AVVERSO LA SANZIONE DELLA INIBIZIONE PER ANNI CINQUE INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
15. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ LECCE S.P.A. AVVERSO DECISIONI ADOTTATE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
16. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. CLAUDIO PUGLISI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI UNO INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
17. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. SANDRO MENCUCCI AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI SEI E DELL’AMMENDA DI € 10.000,00 A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
18. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. ANDREA DELLA VALLE AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI SEI E DELL’AMMENDA DI € 20.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
19. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. DIEGO DELLA VALLE AVVERSO LE SANZIONI DELL’INIBIZIONE PER ANNI QUATTRO E DELLA AMMENDA DI € 30.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
20. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ A.C.F. FIORENTINA S.P.A. AVVERSO LE SANZIONI DELLA RETROCESSIONE ALL’ULTIMO POSTO IN CLASSIFICA DEL CAMPIONATO 2005/2006, DELLA PENALIZZAZIONE DI PUNTI DODICI IN CLASSIFICA NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006/2007, E DELLA AMMENDA DI € 50.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
21. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. FRANCO CARRARO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI QUATTRO E MESI SEI INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
22. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. LEONARDO MEANI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE E MESI SEI INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
23. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. ADRIANO GALLIANI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI UNO INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
24. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DELLA SOCIETÀ A.C. MILAN S.p.A. AVVERSO LE SANZIONI DELLA PENALIZZAZIONE DI PUNTI QUARANTAQUATTRO DA SCONTARE NELLA CLASSIFICA 2005/2006 E DI PUNTI QUINDICI IN CLASSIFICA DA SCONTARE NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006/2007 E DELL’AMMENDA DI € 30.000,00 INFLITTE A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
25. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL SIG. GENNARO MAZZEI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI UNO A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
26. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA DEL PROCURATORE FEDERALE AVVERSO LE DECISIONI ADOTTATE DALLA COMMISSIONE D’APPELLO FEDERALE NEI CONFRONTI DI PIERLUIGI PAIRETTO, JUVENTUS F.C., INNOCENZO MAZZINI, CLAUDIO LOTITO, GIANLUCA ROCCHI, S.S. LAZIO, DIEGO DELLA VALLE, ANDREA DELLA VALLE, SANDRO MENCUCCI, A.C.F. FIORENTINA, PAOLO BERTINI, PASQUALE RODOMONTI, MASSIMO DE SANTIS, A.C. MILAN (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 1/C del 14 luglio 2006).
Pertanto, la Corte Federale ha pronunciato la seguente decisione, in merito agli appelli in epigrafe specificati, sulla base delle osservazioni che seguono.
I - ATTO DI DEFERIMENTO
Invero, il presente procedimento trae origine dai deferimenti disposti in data 23 giugno 2006 dal Procuratore Federale nei confronti delle seguenti persone giuridiche e fisiche:
INCOLPAZIONI RELATIVE ALLA POSIZIONE DELLA FC JUVENTUS S.P.A.
1. Luciano Moggi, Antonio Giraudo, Innocenzo Mazzini, Paolo Bergamo, Pierluigi Pairetto, Tullio Lanese e Massimo De Santis, di violazione dell’art. 1, comma 1, C.G.S. e dell’art. 6, commi 1 e 2, C.G.S., per aver posto in essere, nelle rispettive qualità ricoperte all’epoca dei fatti, le condotte descritte nella parte motiva, in particolare nella sezione III, consistite, fra l’altro, nell’avere intrattenuto i contatti, realizzati anche su linee telefoniche riservate, e partecipato agli incontri, con modalità non pubbliche, sopra menzionati; condotte contrarie ai principi di lealtà probità e correttezza e, al contempo, dirette a procurare un vantaggio alla società Juventus, mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza, propri della funzione arbitrale. Con l’aggravante di cui al comma 6, dell’art. 6, C.G.S., per la pluralità di condotte poste in essere e per l’effettivo conseguimento del vantaggio in classifica.
2. La società Juventus F.C. SpA, della responsabilità diretta e presunta prevista dagli artt.
6, 9, comma 3, e 2, comma 4, C.G.S., in ordine a quanto ascritto nel capo che precede ai suoi dirigenti forniti di legale rappresentanza e agli altri soggetti non tesserati per essa società. Con l’aggravante di cui al comma 6, dell’art. 6, C.G.S., per la pluralità di condotte poste in essere e per l’effettivo conseguimento del vantaggio in classifica.
3. Moggi e Giraudo, di violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S. per avere tenuto, al termine della gara Reggina – Juventus del 6 novembre 2004, la condotta descritta nella parte motiva al punto nei confronti della terna arbitrale.
4. La società Juventus di responsabilità diretta ai sensi dell’art. 2, comma 4, C.G.S. in ordine agli addebiti contestati ai suoi dirigenti al capo che precede.
5. Paparesta e Ingargiola, di violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S. per avere omesso la segnalazione della condotta sopra descritta al capo C) tenuta da Moggi e Giraudo, come descritto nella parte motiva.
6. Lanese, di violazione dei principi di lealtà, probità e correttezza di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S. per avere avallato e consigliato il suddetto comportamento omissivo posto in essere da Ingargiola come descritto nella parte motiva.
7. Moggi, di violazione degli artt. 6, comma 1, prima parte, C.G.S., per aver posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento delle gare Juventus-Lazio del 5 dicembre 2004 e Bologna-Juventus del 12 dicembre 2004 come descritto nella parte motiva, e dell’art. 1, comma 1, C.G.S. in relazione alla gara Juventus-Udinese del 13 febbraio 2005, per aver posto in essere le condotte descritte nella parte motiva, relativamente a tale ultima gara. Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 C.G.S., per la pluralità di condotte poste in essere.
8. Paolo Bergamo, di violazione dell’art. 6, comma 1, prima parte, C.G.S., per aver tentato di alterare lo svolgimento della gara Juventus-Udinese del 13 febbraio 2005, secondo quanto descritto nella parte motiva relativa alla gara suddetta.
9. Massimo De Santis, di violazione dell’art. 6, comma 1, prima parte, C.G.S., per aver aderito al disegno di Moggi finalizzato all’alterazione dello svolgimento della gara Bologna- Juventus del 12 dicembre 2004, attraverso il ricorso alle ammonizioni di giocatori diffidati nella precedente gara Fiorentina-Bologna del 5 dicembre 2004, secondo quanto descritto nella parte motiva relativa alla gara suddetta.
10. la F.C. Juventus S.p.A., di responsabilità diretta e presunta ai sensi degli artt. 6, comma 1, 9, comma 3, e 2, comma 4, C.G.S., per quanto ascritto nei capi 7, 8 e 9 al suo dirigente con legale rappresentanza e agli altri soggetti non tesserati per la stessa società.
Con l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 C.G.S., per la pluralità di condotte poste in essere.
INCOLPAZIONI RELATIVE ALLA POSIZIONE DELLA S.S. LAZIO S.P.A.
Gara Lazio – Brescia
11. Claudio Lotito, presidente del consiglio di gestione della S.S. Lazio S.p.A., per avere, in prima persona o tramite altri, avviato e coltivato contatti con il presidente della F.I.G.C. Franco Carraro affinché questi a sua volta esercitasse pressioni sul designatore arbitrale Paolo Bergamo e sull’arbitro designato per la gara, tendenti ad ottenere un vantaggio per la S.S. Lazio S.p.A. conseguente all’alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Lazio e di una conseguente direzione di gara da parte dello stesso che concretizzasse tale atteggiamento di favore in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
12. Franco Carraro, nella qualità di presidente della F.I.G.C., per avere esercitato pressioni sul designatore arbitrale Paolo Bergamo affinché questi a sua volta intervenisse nei confronti dell’arbitro designato per la gara, al fine di ottenere un vantaggio per la S.S. Lazio S.p.A. conseguente all’alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Lazio e di una conseguente direzione di gara da parte dello stesso che concretizzasse tale atteggiamento di favore in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
13. Paolo Bergamo, nella qualità di designatore arbitrale, per avere esercitato pressioni sull’arbitro designato per la gara, al fine di ottenere un vantaggio per la S.S. Lazio S.p.A. conseguente all’alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame per il tramite di una direzione da parte del direttore di gara che concretizzasse tale atteggiamento di favore in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
14. Innocenzo Mazzini, nella qualità di vice presidente della F.I.G.C., per non aver adempiuto all’obbligo, che gli faceva capo in qualità di dirigente della F.I.G.C., di informare senza indugio i competenti organi federali di essere venuto a conoscenza che terzi avevano posto o stavano per porre in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Lazio – Brescia del 2 febbraio 2005, in violazione dell’art. 6, comma 7, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
15. S.S. Lazio S.p.A., a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi 3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, del C.G.S., con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da terzi nel suo interesse.
Gara Chievo Verona – Lazio
16. Claudio Lotito, presidente del consiglio di gestione della S.S. Lazio S.p.A., per avere in prima persona avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. lnnocenzo Mazzini affinché questi a sua volta esercitasse pressioni sui designatori arbitrali Paolo Bergamo e Pier Luigi Pairetto tendenti ad ottenere un vantaggio per la S.S. Lazio S.p.A. conseguente all’alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Lazio e di una conseguente direzione di gara da parte dello stesso che concretizzasse tale atteggiamento di favore in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
17. Innocenzo Mazzini, all’epoca dei fatti vice presidente della F.I.G.C., Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, all’epoca dei fatti designatori arbitrali dell’A.I.A e Gianluca Rocchi, arbitro della CAN A, perché con le rispettive condotte sopra descritte e con i contatti, diretti o per interposta persona, intercorsi fra gli stessi, hanno posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Chiedo Verona – Lazio dei 20 febbraio 2005, in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
18. S.S. Lazio S.p.A., a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi 3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, del C.G.S., con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da terzi nel suo interesse.
19. Cosimo Maria Ferri, all’epoca dei fatti componente della commissione vertenze economiche in seno alla F.I.G.C., per non aver adempiuto all’obbligo, che egli aveva in qualità di dirigente della F.I.G.C., di informare senza indugio i competenti organi federali di essere venuto a conoscenza che terzi avevano posto o stavano per porre in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Chievo Verona – Lazio del 20 febbraio 2005, in violazione dell’art. 6, comma 7, C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
Gara Lazio – Parma
20. Claudio Lotito, presidente del consiglio di gestione della S.S. Lazio S.p.A., per avere in prima persona avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. lnnocenzo Mazzini affinché questi a sua volta esercitasse pressioni sui designatori arbitrali Paolo Bergamo e Pier Luigi Pairetto tendenti ad ottenere un vantaggio per la S.S. Lazio S.p.A. conseguente all’alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Lazio e di una conseguente direzione di gara da parte dello stesso che concretizzasse tale atteggiamento di favore in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
21. Innocenzo Mazzini, all’epoca dei fatti vice presidente della F.I.G.C., Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, all’epoca dei fatti designatori arbitrali dell’A.I.A e Domenico Messina, arbitro della CAN A, perché con le rispettive condotte sopra descritte e con i contatti, diretti o per interposta persona, intercorsi fra gli stessi, hanno posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Lazio – Parma del 27 febbraio 2005, in violazione dell’art. 6 commi l e 2 C.G.S., come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
22. S.S. Lazio S.p.A., a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi 3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, C.G.S., con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da terzi nel suo interesse.
Gara Bologna – Lazio
23. Claudio Lotito, presidente del consiglio di gestione della S.S. Lazio S.p.A., per avere in prima persona avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini affinché questi a sua volta esercitasse pressioni sui designatori arbitrali Paolo Bergamo e Pier Luigi Pairetto tendenti ad ottenere un vantaggio per la S.S. Lazio S.p.A. conseguente all’alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Lazio e di una conseguente direzione di gara da parte dello stesso che concretizzasse tale atteggiamento di favore in violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, del C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
24. Innocenzo Mazzini, all’epoca dei fatti vice presidente della F.I.G.C., Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, all’epoca dei fatti designatori arbitrali dell’A.I.A, e Paolo Tagliavento, arbitro della CAN A, perché con le rispettive condotte sopra descritte e con i contatti, diretti o per interposta persona, intercorsi fra gli stessi, hanno posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara BOLOGNA – Lazio del 17 aprile 2005, in violazione dell’art. 6 commi l e 2 C.G.S., come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
25. S.S. Lazio S.p.A., a titolo di responsabilità diretta e presunta, ai sensi dell’art 6, commi
3 e 4, dell’art. 2, comma 4, e dell’art. 9, comma 3, C.G.S. con riferimento alle condotte sopra descritte, rispettivamente tenute dal suo legale rappresentante e da terzi nel suo interesse.
Aggravanti
26. Con l’aggravante di cui all’art. 6, comma 6, C.G.S., a carico del Lotito, Bergamo, Pairetto e Mazzini, per la pluralità di condotte poste in essere.
INCOLPAZIONI RELATIVE ALLA POSIZIONE DELLA ACF FIORENTINA S.P.A.
Gara Lazio – Fiorentina
27. Diego Della Valle, presidente onorario della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere rivolto una proposta al presidente della S.S. Lazio S.p.A. Claudio Lotito, avente ad oggetto un’ipotesi di combine, con riferimento alla gara di campionato in programma il 22 maggio
2005 tra Lazio e Fiorentina ed in particolare a raggiungere un accordo su un risultato di parità tra le due squadre (art. 6, comma 1 e 2 C.G.S.), come descritto nella parte motiva relativa alla gara in oggetto.
28. A.C.F. Fiorentina S.p.A., a titolo di responsabilità oggettiva, ex artt. 2, commi 3 e 4; e 6, comma 4, C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dal dirigente della società in questione, sopra descritta.
29. Claudio Lotito, presidente del consiglio di gestione della S.S. Lazio s.p.a, per non avere adempiuto all’obbligo, che gli faceva capo in qualità di tesserato, di informare, senza indugio, i competenti organi federali, in merito alla proposta rivoltagli dal presidente della A.C.F. Fiorentina S.p.A, con riferimento alla gara di campionato in programma il 22 maggio 2005 tra Lazio e Fiorentina, proposta di per sé integrante gli estremi della violazione del comma 1 dell’art. 6 C.G.S. (art. 6, ultimo comma, C.G.S.), come descritto nella parte concernente la gara in oggetto.
30. S.S. Lazio S.p.A., a titolo di responsabilità diretta, ex art. 2, comma 4 C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dal suo dirigente come sopra descritta.
31. Cosimo Maria Ferri, componente della commissione vertenze economiche in seno alla F.I.G.C., per non avere adempiuto all’obbligo, che gli faceva capo in qualità di dirigente della F.I.G.C., di informare, senza indugio, i competenti organi federali, in merito alla proposta di combine rivolta dal presidente della A.C.F. Fiorentina S.p.A. Diego Della Valle al presidente della S.S. Lazio S.p.A. Claudio Lotito, con riferimento alla gara di campionato in programma il 22 maggio 2005 tra Lazio e Fiorentina, proposta di per sé integrante gli estremi della violazione del comma 1 dell’art. 6 C.G.S. e della quale egli risulta dagli atti avere avuto notizia certa in virtù dei particolari rapporti di conoscenza con il presidente Lotito (art. 6, ultimo comma, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
32. Diego Della Valle, presidente onorario della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o tramite il fratello Andrea o il consigliere delegato Sandro Mencucci, con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo, e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
33. Andrea Della Valle, presidente del consiglio di amministrazione della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o tramite il consigliere delegato Sandro Mencucci, con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
34. Sandro Mencucci, consigliere delegato ed amministratore esecutivo della A.C.F. Fiorentina, per avere avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
35. Innocenzo Mazzini, vice presidente della F.I.G.C., per essersi reso parte attiva, quale protagonista di primo piano, nella instaurazione e consolidamento dei contatti tra i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A. ed il designatore arbitrale Paolo Bergamo, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
36. Paolo Bergamo, commissario della Commissione nazionale arbitri di serie A e B, per essersi reso disponibile, nonostante i particolari doveri di riservatezza, autonomia ed imparzialità connessi alla funzione esercitata, alla attivazione ed al successivo consolidamento di contatti con i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A., anche per il tramite del vice presidente federale Innocenzo Mazzini, ed in particolare a ricevere e assecondare pressioni e richieste, da parte di questi ultimi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione, da parte sua, di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
37. A.C.F. Fiorentina S.p.A., a titolo di responsabilità, sia oggettiva che diretta, ex artt. 2 commi 3 e 4; e 6, commi 2, 3 e 4 C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dai dirigenti della società in questione, sopra descritta; ed a titolo di responsabilità presunta, ex art. 9 comma 3, richiamato dall’art. 6, comma 4, C.G.S., con riferimento alla condotta, sopra descritta, tenuta dai soggetti estranei alla società in questione, sopra indicati.
Gara Bologna – Fiorentina
38. Diego Della Valle, presidente onorario della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere, in prima persona o tramite il fratello Andrea Della Valle o il consigliere delegato Sandro Mencucci, avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e/o con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
39. Andrea Della Valle, presidente del consiglio di amministrazione della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o tramite il consigliere delegato Sandro Mencucci, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
40. Sandro Mencucci, consigliere delegato ed amministratore esecutivo della A.C. F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
41. Innocenzo Mazzini, vice presidente della F.I.G.C., per essersi reso parte attiva e protagonista, nella instaurazione e successivo consolidamento dei contatti tra i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A. ed il designatore arbitrale Paolo Bergamo, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
42. Paolo Bergamo, commissario della Commissione nazionale arbitri di serie A e B: per essersi reso disponibile, nonostante i particolari doveri di riservatezza, autonomia ed imparzialità, connessi alla funzione esercitata, alla attivazione ed al successivo consolidamento di contatti con i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A., anche per il tramite del vice presidente federale, Mazzini, ed in particolare a ricevere ed assecondare pressioni e richieste, da parte di questi ultimi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione, da parte sua, di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
43. Paolo Bertini, arbitro della CAN di serie A e B, per avere ricevuto ed accolto, conformandosi alle stesse, indicazioni e direttive specifiche dal designatore arbitrale Paolo Bergamo, circa il comportamento da tenere nel corso della propria direzione della gara in esame, tendenti, in particolare, a garantire un arbitraggio di favore per la Fiorentina e, possibilmente, il risultato della vittoria per quest’ultima (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
44. A.C.F. Fiorentina S.p.A., a titolo di responsabilità, sia oggettiva che diretta, ex artt. 2, commi 3 e 4; e 6, commi 2, 3 e 4, C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dai dirigenti della società in questione, sopra descritta; ed a titolo di responsabilità presunta, ex art. 9 comma 3, richiamato dall’art. 6, comma 4, C.G.S., con riferimento alla condotta, sopra descritta, tenuta dai soggetti estranei alla società in questione, sopra indicati.
Gara Chievo Verona – Fiorentina
45. Diego Della Valle, presidente onorario della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato, in prima persona o tramite il fratello Andrea o il consigliere delegato Sandro Mencucci, contatti con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso,che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
46. Andrea Della Valle, presidente del consiglio di amministrazione della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato, in prima persona o tramite il consigliere delegato Sandro Mencucci, contatti con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
47. Sandro Mencucci, consigliere delegato ed amministratore esecutivo della A.C. F. Fiorentina, per avere avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, comma 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
48. Innocenzo Mazzini, vice presidente della F.I.G.C., per essersi reso parte attiva e nel caso di specie, a tratti, protagonista assoluto, nella instaurazione e successivo consolidamento dei contatti tra i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A. ed il designatore arbitrale Paolo Bergamo, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
49. Paolo Bergamo, commissario della commissione nazionale arbitri di serie A e B, per essersi reso disponibile, nonostante i particolari doveri di riservatezza, autonomia ed imparzialità, connessi alla funzione esercitata, alla attivazione ed al successivo consolidamento di contatti con i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A., anche per il tramite del vice presidente federale, Mazzini, ed in particolare a ricevere ed assecondare pressioni e richieste, da parte di questi ultimi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione, da parte sua, di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
50. Paolo Dondarini, arbitro della CAN di serie A e B, per avere ricevuto ed accolto, conformandosi alle stesse, indicazioni e direttive specifiche dal designatore arbitrale Paolo Bergamo, circa il comportamento da tenere nel corso della propria direzione della gara in esame, tendenti, in particolare, a garantire un arbitraggio di favore per la Fiorentina e, nello specifico, il risultato della vittoria per quest’ultima (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
51. A.C.F. Fiorentina S.p.A., a titolo di responsabilità sia oggettiva che diretta, ex artt. 2, commi 3 e 4; e 6, commi 2, 3 e 4 C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dai dirigenti della società in questione, sopra descritta; ed a titolo di responsabilità presunta, ex art. 9 comma 3, richiamato dall’art. 6, comma 4, C.G.S., con riferimento alla condotta, sopra descritta, tenuta dai soggetti estranei alla società in questione, sopra indicati.
Gara Fiorentina – Atalanta
52. Diego Della Valle, presidente onorario della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o tramite il fratello Andrea o il consigliere delegato Sandro Mencucci, con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
53. Andrea Della Valle, presidente del consiglio di amministrazione della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o per il tramite del consigliere delegato Sandro Mencucci, con il dirigente della F.C. Juventus S.p.A. Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. lnnocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di
gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
54. Sandro Mencucci, consigliere delegato ed amministratore esecutivo della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
55. Innocenzo Mazzini, vice presidente della F.I.G.C., per essersi reso parte attiva, quale protagonista di primo piano, nella instaurazione e consolidamento dei contatti tra i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A. ed il designatore arbitrale Paolo Bergamo, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
56. Paolo Bergamo, commissario della Commissione nazionale arbitri di serie A e B, per essersi reso disponibile, nonostante i particolari doveri di riservatezza, autonomia ed imparzialità, connessi alla funzione esercitata, alla attivazione ed al successivo consolidamento di contatti con i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A., anche per il tramite del vice presidente federale Mazzini, ed in particolare a ricevere ed assecondare pressioni e richieste, da parte di questi ultimi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C. F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame, per il tramite della designazione, da parte sua, di un arbitro favorevole alla Fiorentina e di una conseguente direzione di gara, da parte dello stesso, che concretizzasse tale atteggiamento di favore (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
57. Pasquale Rodomonti, arbitro della CAN di serie A e B, per avere ricevuto ed accolto, conformandosi alle stesse, indicazioni e direttive specifiche dal designatore arbitrale Paolo Bergamo, circa il comportamento da tenere nel corso della propria direzione della gara in esame, tendenti, in particolare, a garantire un arbitraggio di favore per la Fiorentina e, possibilmente, il risultato della vittoria per quest’ultima (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
58. A.C.F. Fiorentina S.p.A., a titolo di responsabilità sia oggettiva che diretta, ex artt. 2, commi 3 e 4; e 6, commi 2, 3 e 4 C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dai dirigenti della società in questione, sopra descritta; ed a titolo di responsabilità presunta, ex art. 9 comma 3, richiamato dall’art. 6, comma 4, C.G.S., con riferimento alla condotta, sopra descritta, tenuta dai soggetti estranei alla società in questione, sopra indicati.
Gara Lecce – Parma
59. Diego Della Valle, presidente onorario della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o tramite il fratello Andrea o il consigliere delegato Sandro Mencucci, con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., consistito nella salvezza conseguita dalla squadra viola al termine di tale ultima giornata di campionato, in conseguenza anche della alterazione del risultato della partita Lecce-Parma, per il tramite della designazione di un arbitro che, con la propria direzione di gara, scongiurasse la possibilità di una vittoria del Parma e che garantisse, quindi, alla Fiorentina il vantaggio suddetto (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
60. Andrea Della Valle, presidente del consiglio di amministrazione della A.C.F. Fiorentina S.p.A., per avere avviato e coltivato contatti, in prima persona o per il tramite del consigliere delegato Sandro Mencucci, con il dirigente della F.C. Juventus Luciano Moggi, con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., consistito nella salvezza conseguita dalla squadra viola al termine di tale ultima giornata di campionato, in conseguenza anche della alterazione del risultato della partita Lecce-Parma, per il tramite della designazione di un arbitro che, con la propria direzione di gara, scongiurasse la possibilità di una vittoria del Parma e che garantisse, quindi, alla Fiorentina il vantaggio suddetto (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
61. Sandro Mencucci, consigliere delegato ed amministratore esecutivo della A.C. Fiorentina, per avere avviato e coltivato contatti con il vice presidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini e con il designatore arbitrale Paolo Bergamo e per aver esercitato pressioni nei confronti degli stessi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., consistito nella salvezza conseguita dalla squadra viola al termine di tale ultima giornata di campionato, in conseguenza anche della alterazione del risultato della partita Lecce-Parma, per il tramite della designazione di un arbitro che, con la propria direzione di gara, scongiurasse la possibilità di una vittoria del Parma e che garantisse, quindi, alla Fiorentina il vantaggio suddetto (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
62. Innocenzo Mazzini, vice presidente della F.I.G.C., per essersi reso parte attiva ed a tratti, nella vicenda in esame, protagonista di primo piano, nella instaurazione e successivo consolidamento dei contatti tra i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A. ed il designatore arbitrale Paolo Bergamo, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., consistito nella salvezza conseguita dalla squadra viola al termine di tale ultima giornata di campionato, in conseguenza anche della alterazione del risultato della partita Lecce-Parma, per il tramite della designazione di un arbitro che, con la propria direzione di gara, scongiurasse la possibilità di una vittoria del Parma e che garantisse, quindi, alla Fiorentina il vantaggio suddetto (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
63. Paolo Bergamo, commissario della Commissione nazionale arbitri di serie A e B, per essersi reso disponibile, nonostante i particolari doveri di riservatezza, autonomia ed imparzialità, connessi alla funzione esercitata, alla attivazione ed al successivo consolidamento di contatti con i dirigenti della A.C.F. Fiorentina S.p.A., anche per il tramite del vice presidente federale, Innocenzo Mazzini, ed in particolare a ricevere ed assecondare pressioni e richieste, da parte di questi ultimi, tendenti ad ottenere un vantaggio per la A.C.F. Fiorentina S.p.A., conseguente alla alterazione del risultato e, comunque, dello svolgimento della gara in esame Lecce-Parma, per il tramite della designazione, da parte sua, di un arbitro che, con la propria direzione di gara, scongiurasse la possibilità di una vittoria del Parma e che garantisse, quindi, un vantaggio, in virtù della classifica avulsa, alla Fiorentina consistito nella salvezza conseguita dalla squadra viola al termine di tale ultima giornata di campionato (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
64. Massimo De Santis, arbitro della CAN di serie A e B, per avere ricevuto ed accolto, conformandosi alle stesse, indicazioni e direttive specifiche dal designatore arbitrale Paolo Bergamo, circa il comportamento da tenere nel corso della propria direzione della gara in esame, tendenti, in particolare, a scongiurare la possibilità di una vittoria del Parma ed a garantire, quindi, un vantaggio, in virtù della classifica avulsa, alla Fiorentina, consistito nella salvezza conseguita dalla squadra viola al termine di tale ultima giornata di campionato (ex art. 6, commi 1 e 2, C.G.S.), come descritto nella parte motiva concernente la gara in oggetto.
65. A.C.F. Fiorentina S.p.A., a titolo di responsabilità, sia oggettiva che diretta, ex artt. 2, commi 3 e 4; e 6, commi 2, 3 e 4 C.G.S., con riferimento alla condotta tenuta dai dirigenti della società in questione, sopra descritta; ed a titolo di responsabilità presunta, ex art. 9, comma 3, richiamato dall’art. 6, comma 4, C.G.S., con riferimento alla condotta, sopra descritta, tenuta dai soggetti estranei alla società in questione, sopra indicati.
65 bis. Con l’aggravante di cui all’art. 6, comma 6, C.G.S., a carico di Diego Della Valle, Andrea Della Valle, Mencucci, Bergamo, Pairetto e Mazzini per la pluralità di condotte poste in essere.
INCOLPAZIONI RELATIVE ALLA POSIZIONE DELLA AC MILAN S.P.A.
66. Leonardo Meani, Gennaro Mazzei ed Adriano Galliani per violazione dei doveri di lealtà, probità e correttezza di cui all’art. 1 C.G.S., perché, il primo, nella qualità, rivestita all’epoca del fatto, di dirigente addetto all’arbitro per la società A.C. Milan, nell’ambito di una protratta attività tendente ad ottenere l’assegnazione di determinati assistenti per le partite del Milan, il giorno 17 aprile 2005, con due telefonate a breve distanza una dall’altra, protestava veementemente con Gennaro Mazzei, vice commissario CAN addetto alla preparazione degli assistenti dell’arbitro, circa precedenti assegnazioni di assistenti per le partite del Milan fino ad arrivare ad ottenere l’assicurazione che per la successiva partita del Milan (Milan – Chievo Verona del 20 aprile 2005) sarebbe stato designato l’assistente Claudio Pugliesi, come in effetti avvenne; il secondo, perché, nella sua qualità vice commissario della CAN, in accoglimento delle proteste avanzate dal Meani, aderiva alla richiesta dello stesso finalizzata ad ottenere la designazione di assistenti dell’arbitro particolarmente vicini e bendisposti verso la società calcistica A.C. Milan; il Galliani, infine, perché nella sua qualità di vice presidente ed amministratore delegato della società Milan, ragguagliato dal Meani circa la sopradescritta iniziativa, l’approvava; condotte tutte descritte nella parte motiva relativa all’episodio in oggetto.
67. la società. Milan per responsabilità diretta e oggettiva, ai sensi dell’art. 2, commi 3 e 4, C.G.S., per i fatti di cui al capo che precede.
68. Leonardo Meani per violazione dell’art. 6, commi 1 e 2, C.G.S. perché, tra il 17 ed il 20 aprile 2005, ottenuta la designazione degli assistenti Puglisi e Babini per la partita Milan- Chievo del 20 aprile 2005, raggiungeva telefonicamente i due assistenti e formulava loro, al fine di alterare lo svolgimento della gara, la raccomandazione di decidere nei casi dubbi in favore del Milan, come descritto nella parte motiva relativa all’episodio in oggetto.
69. La società A.C. Milan, per responsabilità oggettiva ai sensi degli artt. 6, comma 4, e 2 commi 3 e 4, C.G.S., per la condotta ascritta al suo tesserato al capo di cui sopra.
70. Fabrizio Babini e Claudio Puglisi per violazione dell’art. 6, comma 7, C.G.S., perché avendo avuto conoscenza del fatto di cui sopra, ad opera dello stesso Meani, che la designazione degli assistenti dell’arbitro per la partita Milan-Chievo del 20 aprile 2005, individuati proprio nel Babini e nel Claudio Puglisi, era stata palesemente pilotata in adesione ad una logica di favore nei confronti della società rossonera, a fronte della richiesta ulteriore di questi di favorire la società Milan, omettevano di prestare osservanza al dovere di informare, senza indugio i competenti organi federali, della condotta posta in essere dal Meani, come descritto nella parte motiva.
A seguito dell’atto di deferimento veniva disposto il giudizio davanti la CAF, svoltosi tra il 29 giugno ed il 7 luglio 2006, e conclusosi con il provvedimento di cui si sta per dire.
II - SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO DI PRIMO GRADO
Con decisione del 14 luglio 2006 la CAF si pronunciava sui deferimenti disposti dal Procuratore Federale il 23 giugno precedente e conseguenti alla motivata relazione dell’Ufficio indagini.
In via preliminare, la Commissione ribadiva i propri provvedimenti istruttori letti nel corso della udienze dibattimentali del 29 giugno e 3 luglio 2006 e giudicava di ulteriori questioni pregiudiziali o preliminari, sollevate in difese scritte ed orali delle parti. In particolare, oltre a quanto si sta per dire relativamente a singoli profili costituenti oggetto delle ordinanze dibattimentali citate, la Commissione determinava la nozione di terzo interessato alla cui stregua individuare i soggetti a tale titolo ammessi al procedimento, in concreto identificati nelle società Bologna, Brescia, Lecce, Treviso, Messina Peloro e, successivamente, Arezzo.
I primi giudici osservavano, inoltre, in punto di metodo di valutazione dell’evidenza probatoria che le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali venivano in rilievo non quali prove in sé di addebiti, ma in quanto oggetto di vaglio interpretativo, in ragione anche del tono e delle cadenze usati dai protagonisti.I primi giudici proseguivano, in punto metodologico, precisando che:
1) gli episodi contestati non si sarebbero inquadrati in un sistema, ma sarebbero stati riferibili testualmente “ad un’atmosfera inquinata, una insana temperie”;
2) in relazione alla contestazione ex art. 6, comma 1, lettera c, CGS, il compimento di atti diretti ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica può ritenersi consistere in condotte che “prescindono dall’alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara”.
1. Con la decisione in parola la Commissione d’Appello Federale ha dichiarato Luciano Moggi ed Antonio Giraudo colpevoli della violazione dell’art. 6, comma 1, del codice di giustizia sportiva quale contestata nel capo di incolpazione n.1, ritenendo provata la capacità soggettiva ed oggettiva delle plurime condotte di interferire sulla terzietà della funzione arbitrale al fine di ottenere un trattamento preferenziale rispetto alle altre squadre ed in definitiva di assicurarsi un vantaggio in classifica, attraverso le condotte in questione, cui veniva riconosciuta una capacità causale adeguata per il conseguimento del risultato sperato. I primi giudici ritenevano che fossero assorbite nella dichiarazione di responsabilità ai sensi dell’art.6 citato, le violazioni di cui all’art. 1, comma 1, del medesimo codice, contestate in relazione alle condotte poste in essere al fine di realizzare il più grave illecito di frode sportiva, ed altresì che si fosse realizzato il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale e la lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza tipici della funzione. Ritenuta la sussistenza dell’aggravante della effettiva realizzazione, attraverso le condotte contestate, del vantaggio della Juventus rispetto alle altre squadre nel corso del campionato 2004-2005, vinto da quella squadra, agli incolpati veniva inflitta l’inibizione per cinque anni, con proposta al presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC, nonché un’ammenda di diversa entità (50.000 euro per Moggi e 20.000 euro per Giraudo). A fondamento della pronuncia di condanna veniva utilizzato il materiale probatorio proveniente dalle intercettazioni telefoniche acquisite agli atti, dalle quali sarebbero emersi stretti rapporti tra i due dirigenti ed i designatori arbitrali Pairetto e Bergamo, che venivano giudicati di natura preferenziale e posti alla base dell’opera di condizionamento da questi ultimi effettuata. Ulteriormente, i giudici di primo grado traevano il proprio convincimento da una serie di episodi, riferiti a singole gare, nei quali si sarebbe manifestata l’opera di condizionamento in parola attraverso designazioni gradite alla Juventus ed omesse denunce di fatti disciplinarmente rilevanti posti in essere da Moggi a carico dell’arbitro Paparesta dopo la partita Reggina-Juventus.
2. Con la medesima pronuncia la Commissione ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova della responsabilità di Innocenzo Mazzini, Pierluigi Pairetto, Tullio Lanese e Massimo De Santis con riferimento alla violazione dell’art.6, comma 1, C.G.S., loro contestata al capo 1, che, nella prospettiva accusatoria, si sarebbe concretizzata nella proposta o conseguita alterazione dei risultati di gare disputate dalla Juventus.
In particolare, la Commissione si esprimeva nel senso che non fosse provata né la sussistenza di un quadro associativo, né la riconducibilità delle singole condotte poste in essere dagli incolpati alla prospettiva di arrecare, in modo causalmente efficiente, un vantaggio in classifica alla Juventus.
3. La Commissione riteneva Pairetto e Lanese responsabili della violazione dell’art.1,comma 1, C.G.S. con riferimento a specifiche e residuali condotte integranti violazione dei principi di correttezza e probità, quali impropri incontri con dirigenti della Juventus, la richiesta ed il conseguimento di consistenti sconti per sé o per altri per l’acquisto di autoveicoli del gruppo FIAT.
Ad essi veniva comminata la pena dell’inibizione di 2 anni e 6 mesi (la sanzione si riferiva anche, per quanto concerne Lanese, all’affermazione di responsabilità di cui al successivo punto 5). Mazzini e De Santis venivano, invece, prosciolti dalle medesime incolpazioni appena citate.
4. La decisione impugnata ha affermato la responsabilità diretta della Juventus in relazione alla violazione dell’art.6, comma 1, C.G.S. con l’aggravante di cui al comma 6, di cui sono stati ritenuti responsabili i suoi dirigenti Giraudo e Moggi, qualificando come diretta la responsabilità in quanto Giraudo era rappresentante legale della società e Moggi Amministratore e Direttore Generale.
5. La decisione della CAF ha poi specificamente pronunciato sulla gara Reggina-Juventus, del 6 novembre 2004, in relazione alla quale erano incolpati il Moggi ed il Giraudo per aver tenuto, al termine della gara, una condotta aggressiva ed intimidatoria nei confronti della terna arbitrale; la società Juventus per responsabilità diretta in relazione agli addebiti contestati ai suoi dirigenti, l’arbitro Paparesta e l’osservatore CAN Pietro Ingargiola per la violazione dell’art.1 C.G.S. determinata dalla omessa denuncia dei comportamenti contestati ai dirigenti della Juventus, il Presidente dell’AIA Tullio Lanese, sempre ai sensi dell’art.1, comma 1, per aver avallato e consigliato il comportamento omissivo dell’Ingargiola. Tutti gli incolpati venivano dichiarati responsabili delle condotte loro ascritte, la cui materialità veniva ritenuta provata. Con riferimento alla posizione della Juventus, veniva comminata la sanzione (che tiene conto anche della affermazione di responsabilità di cui al precedente punto 4) della retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato 2005/2006, della penalizzazione di 30 punti in classifica nella stagione sportiva 2006/2007, della revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia 2004/2005, della non assegnazione del titolo di campione d’Italia 2005/2006, dell’ammenda di 80.000,00 euro. All’Ingargiola veniva inflitta la sanzione dell’ammonizione.
6. La Commissione ha, inoltre, ritenuto che non fosse emersa, con sufficiente grado di certezza, la responsabilità di Moggi e dell’arbitro De Santis con riferimento, per quanto concerne il primo, all’illecito di cui all’art.6, comma 1, C.G.S. in relazione alle gare Juventus-Lazio e Bologna-Juventus, nonché Juventus-Udinese contestata ai sensi dell’art.1 C.G.S., e, per quanto concerne il secondo, con riguardo alle gare Bologna- Juventus ed alla precedente Fiorentina-Bologna, che avrebbe costituito la premessa per l’alterazione di quella successiva. Conseguentemente veniva esclusa la responsabilità diretta della società Juventus. In particolare, la Commissione non ha reputato raggiunta la prova concludente dell’avvenuta realizzazione dell’ineliminabile segmento della condotta integrante gli estremi dell’illecito sportivo, costituito dalla circostanza che le richieste di Moggi fossero (quantomeno) effettivamente pervenute all’arbitro De Santis. La Commissione considerava, d’altro canto, le condotte di Moggi accertate con riferimento alle gare in questione ulteriormente sintomatiche della violazione degli obblighi di lealtà, correttezza e probità sportiva.
7. La Commissione ha esaminato, congiuntamente, le plurime incolpazioni rivolte dal Procuratore Federale in relazione alle gare Lazio-Brescia, Chievo Verona-Lazio, Lazio- Parma, Bologna-Lazio, riguardanti Claudio Lotto, nella qualità di Presidente del Consiglio di Gestione della SS Lazio s.p.a., Franco Carraro, nella qualità di Presidente della FIGC, Innocenzo Mazzini, nella qualità di Vicepresidente della medesima Federazione, la SS Lazio S.p.A., a titolo di responsabilità diretta e presunta (si tralasciano in questa sede le posizioni del designatore arbitrale Paolo Bergamo e del dirigente federale Cosimo Maria Ferri rispetto ai quali i primi giudici hanno dichiarato il difetto di giurisidizione conseguente alle rispettive dimissioni intervenute successivamente al loro deferimento). In particolare, l’oggetto del deferimento riguardava i ripetuti interventi del Lotito presso i vertici federali - nei confronti dei quali egli avrebbe goduto di credito in funzione dell’appoggio agli stessi prestato in occasione dell’elezione del presidente federale nel febbraio 2005 – per favorire una migliore posizione in classifica della società Lazio, che sarebbero culminati in un primo intervento diretto in favore della medesima società da parte di Carraro presso Bergamo ed in successivi contatti di Mazzini, a ciò costantemente sollecitato da Lotito, non solo con i designatori arbitrali, ma con gli stessi direttori di gara. Con riferimento a tali complesse e concatenate accuse, i primi giudici hanno tenuto distinta la prima delle gare incriminate (Lazio-Brescia, del 2 febbraio 2005) da tutte le altre, rispetto alle quali ultime non è stato condiviso l’impianto accusatorio della Procura federale per il difetto di sufficienti riscontri oggettivi rispetto alle deposizioni del Ferri e per i dubbi relativi all’efficacia causale dell’intervento sul designatore arbitrale.
Per ciò che concerne la gara Lazio-Brescia, la Commissione ha ritenuto provata la condotta illecita addebitata a Carraro alla stregua della intercettazione della sua conversazione telefonica con il Bergamo alla vigilia della gara stessa, nel corso della quale il primo sollecitava al secondo un intervento in favore della SS Lazio.
La decisone impugnata ha, altresì, affermato come esistesse la prova che l’intervento su Bergamo, da parte di Carraro, fosse stato sollecitato direttamente da Lotito, di cui sarebbe stata accertata, secondo i primi giudici, anche la richiesta di conferma presso Mazzini della effettività dell’illecito intervento del Presidente Federale. Sul punto la CAF ha anche utilizzato il materiale probatorio dedotto dalle indagini svolte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
Quanto alla posizione del Mazzini, la decisione poneva in rilievo la sussistenza della prova certa della sua conoscenza dei fatti posti in essere da Lotito, Carraro e Bergamo costituenti illecito sportivo, con la conseguente inottemperanza da parte dell’incolpato del dovere di cui all’art.6, comma 7, C.G.S. In relazione alla gara in esame veniva affermata la responsabilità del Lotito, cui veniva inflitta l’inibizione per 3 anni e 6 mesi ed una ammenda di 10.000,00 euro, quella diretta della SS Lazio s.p.a., cui veniva comminata la retrocessione all’ultimo posto in classifica del Campionato 2005/2006, la penalizzazione di 7 punti in classifica nella stagione sportiva 2006/2007, nonché un’ammenda di 40.000,00 euro, di Franco Carraro, inibito per 4 anni e 6 mesi, e di Innocenzo Mazzini, inibito per 5 anni.
8. La Commissione non ha ritenuto sussistente la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, del compimento da parte dei soggetti deferiti di atti costituenti illecito sportivo ai sensi dell’art.6, comma 1, relativamente alle gare menzionate nel precedente punto 7. Tuttavia, dai colloqui telefonici acquisiti agli atti la Commissione ha ritenuto essere emersa la patente violazione, da parte dei soli Lotito e Mazzini, del generale dovere di cui all’art.1, comma 1, ciò che ha radicato la responsabilità sia diretta che presunta della società Lazio: trattamento sanzionatorio è confluito, con riferimento a tali condotte, in quello descritto al punto 7 che precede. La Commissione ha poi esaminato una pluralità di condotte riferite, a titolo di responsabilità sia oggettiva che diretta, alla ACF Fiorentina s.p.a., nonché al suo Presidente onorario Diego Della Valle, a Claudio Lotito, a titolo di responsabilità diretta alla SS Lazio s.p.a., ad Andrea Della Valle, quale Presidente del Consiglio di amministrazione della ACF Fiorentina s.p.a., a Sandro Mencucci, nella qualità di consigliere delegato ed amministratore esecutivo della medesima società (si tralasciano per le ragioni prima indicate le posizioni di Bergamo e Ferri). Nella decisione si ricostruiscono le vicende dalle quali (o in relazione alle quali) è stato formulato l’articolato atto di incolpazione, determinandone l’origine temporale nella fine del mese di aprile 2005, allorché i dirigenti della Fiorentina avevano divisato di modificare il proprio precedente atteggiamento di radicale contrapposizione alle posizioni della Juventus e del Milan, rivelatosi infecondo e penalizzante per la direzione di gare che la riguardavano, cercando di stabilire, anche per il tramite dell’Amministratore Delegato Mencucci, ogni possibile contatto con i vertici federali, i designatori arbitrali ed i dirigenti di altre società. Tale modificata linea di condotta si sarebbe manifestata con riguardo alle gare Bologna- Fiorentina del 24 aprile 2005, Chievo-Fiorentina dell’8 maggio 2005, Fiorentina-Atalanta del 15 maggio 2005, Lazio-Fiorentina del 22 maggio 2005, Lecce-Parma del 29 maggio 2005. A conforto della prospettazione accusatoria venivano utilizzate due conversazioni telefoniche intercorse con Mazzini da parte di Andrea Della Valle e Mencucci, nonché ulteriori risultanze investigative dalle quali sarebbe emersa la prova dei contatti tra i menzionati dirigenti della società con Mazzini e Bergamo diretti ad ottenere un vantaggio per la Fiorentina per il tramite della designazione di arbitri favorevoli e come tali capaci di influenzare positivamente il risultato delle gare da loro dirette. Veniva, inoltre, specificamente individuato un episodio di favoritismo arbitrale, connesso alla direzione di una gara da parte dell’arbitro Paolo Bertini. Ciò premesso, la Commissione riteneva che le telefonate prima menzionate non fossero sufficienti a suffragare, con ragionevole certezza, la prova della sussistenza degli addebiti concernenti sia l’arbitro Bertini, che gli altri incolpati per la prima delle gare mensionate. Eguali considerazioni di insufficienza probatoria venivano svolte dalla Commissione con riferimento alla gara Fiorentina-Atalanta, arbitrata da Rodomonti. Ad opposte conclusioni pervenivano i primi giudici con riguardo alla gara Chievo Verona- Fiorentina vinta per 2 a 1 dalla società toscana.
La Commissione utilizzava un articolato regime probatorio, risultante in particolare dalle intercettazioni delle conversazioni del Mazzini, rivolte allo scopo di determinare condizioni favorevoli all’esito delle gare della Fiorentina ed imperneatesi nella precostituzione di designazioni arbitrali che si immaginavano gradite alla società stessa, quale quella del direttore di gara Dondarini. La Commissione poneva, inoltre, in rilievo come vi fossero conferme esterne circa la parzialità dell’arbitraggio del Dondarini ed individuava come elemento di prova, in ordine alla instaurazione di un rapporto di collaborazione tra i fratelli Della Valle ed il designatore Bergamo, una conversazione telefonica del 2 maggio 2005, che richiamava a propria volta precedenti colloqui tra Diego Della Valle ed il Mazzini. Analoga rilevanza probatoria veniva attribuita ad altri colloqui telefonici acquisiti agli atti dell’indagine ed in particolare ad una conversazione svoltasi, successivamente alla gara, tra il Lanese ed un giornalista, indicato solo con le iniziali (A.C.), in cui si commentava negativamente la prestazione professionale del Dondarini.
9. A conclusioni sostanzialmente coincidenti la Commissione perveniva per la gara Lazio- Fiorentina, del 22 maggio 2005, a proposito della quale nell’atto di deferimento si contestava una doppia ipotesi di illecito sportivo, rispettivamente costituita da una proposta di accomodamento della partita avanzata da Diego Della Valle a Lotito, che l’avrebbe rifiutata e, inoltre, in una serie di iniziative dei fratelli Della Valle e del Mencucci nei confronti di Bergamo, con il sostegno di Mazzini, onde ottenere una designazione di direttore di gara capace di assicurare un vantaggio alla Fiorentina. Quanto al primo episodio di illecito la Commissione ne riteneva provata la sussistenza alla stregua delle risultanze dell’intercettazione della telefonata tra Mazzini e Lotto, dalla quale sarebbe emersa la ricorrenza degli estremi che integrano la fattispecie dell’art. 6 C.G.S. inteso come illecito sportivo a consumazione anticipata, tale cioè da non richiedere per il suo perfezionamento la concreta realizzazione dell’evento, cui la condotta è preordinata.
In questa prospettiva, ad avviso della Commissione, ben poteva collocarsi l’accertata proposta diretta al conseguimento di una delle finalità specificate nell’art. 6 in questione, pur non accettata dal destinatario. Di quest’ultimo, tuttavia, la Commissione giudicava dovesse essere affermata la responsabilità, ai sensi del 7° comma della norma in questione, per la mancata denuncia dell’illecito del quale era venuto a conoscenza. Sempre con riferimento al medesimo episodio veniva dichiarata la responsabilità, in via oggettiva, della società, tenuto conto dell’assenza di prova che alla carica di Presidente Onorario detenuta da Diego Della Valle corrispondesse anche la titolarità di poteri di rappresentanza. Relativamente, poi, al secondo degli episodi contestati, la Commissione considerava elementi idonei e sufficienti a radicare la responsabilità degli incolpati le risultanze di ripetuti colloqui telefonici dimostrativi della esistenza di iniziative poste in essere dai fratelli Della Valle e dal Mencucci, per il tramite e con l’aiuto del Mazzini, al fine di ottenere una conduzione di gara favorevole alla Fiorentina, indipendentemente dall’atteggiamento assunto dalla Lazio. Alla luce delle relative osservazioni la Commissione dichiarava la responsabilità degli incolpati secondo il titolo per il quale erano stati chiamati a rispondere.
10. Ad un giudizio di affermazione di responsabilità la C.A.F. è pervenuta, inoltre, con riferimento alle plurime incolpazioni relative alla gara Lecce-Parma, del 29 maggio 2005, concernenti, per quanto in questa sede di appello rileva, i fratelli Della Valle, Mencucci, Mazzini, De Santis e la Società A.C.F. Fiorentina p.A.
Nella prospettazione accusatoria, pienamente recepita dai primi giudici, assumeva rilievo la circostanza che i menzionati dirigenti della Società Fiorentina avessero avviato e coltivato contatti con Moggi, Mazzini e Bergamo al fine di procurare un vantaggio per la società stessa, consistito nella permanenza in serie A al termine del Campionato 2004- 2005 e realizzato per effetto dell’alterazione del risultato della partita Lecce-Parma, determinato in virtù della designazione dell’arbitro De Santis, volta a scongiurare la possibilità di una vittoria del Parma, che avrebbe compromesso o impedito la salvezza della Fiorentina. Al riguardo la Commissione osservava che dalle risultanze di indagine e dai documenti acquisiti potesse, con assoluta certezza, affermarsi la responsabilità di tutti i deferiti.
In particolare, venivano promossi ad elementi probatori numerosi colloqui telefonici intercorsi tra soggetti diversi (Moggi e Della Valle, Bergamo e De Santis, Nassi e Mazzini, Mazzini e De Santis, Mazzini e Mencucci) la cui combinazione in chiave logica avrebbe, ad avviso dei primi giudici, reso evidente l’esistenza di un accordo finalizzato all’alterazione della gara in esame, con scopo favoritistico della Fiorentina, in concreto conseguito mediante l’utile risultato di parità. Nella determinazione complessiva delle pene da irrogare agli incolpati la cui posizione è venuta in rilievo, con esiti di affermazione di responsabilità, nei capi di incolpazione illustrati dal punto 8 al presente di questa relazione, la Commissione infliggeva ad Andrea Della Valle l’inibizione per 3 anni e 6 mesi e l’ammenda di 20.000 euro, a Diego Della Valle l’inibizione per 4 anni e l’ammenda di 30.000 euro, a Sandro Mencucci l’inibizione a 3 anni e 6 mesi e l’ammenda di 5.000 euro, alla A.C.F. Fiorentina S.p.a. la retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato 2005-2006, la penalizzazione di 12 punti in classifica nella stagione sportiva 2006-2007 e l’ammenda di 50.000 euro, a Massimo De Santis l’inibizione per 4 anni e 6 mesi, a Paolo Dondarini l’inibizione per 3 anni e 6 mesi.
11. La Commissione si pronunciava, infine, sul deferimento di Adriano Galliani e Leonardo Meani, rispettivamente Vice-Presidente e secondo accompagnatore ufficiale della prima squadra del Milan, di Gennaro Mazzei, Vice Commissario CAN, e di Fabrizio Babini e Claudio Puglisi, assistenti CAN. Nell’atto di incolpazione si contestava al Meani ed al Mazzei la violazione dei doveri generali di cui all’art. 1 C.G.S., conseguenti alla richiesta rivolta dal primo al secondo, che vi avrebbe aderito, di assegnazione dell’assistente alla gara Milan-Chievo Verona, del 20 aprile 2005; Galliani era chiamato a rispondere, sempre ai sensi dell’art. 1 citato, per la approvazione dell’iniziativa del Meani, al quale ultimo veniva altresì rimproverata, ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2, C.G.S., la circostanza di essersi posto in contatto con entrambi gli assistenti designati per la partita in esame (e Babini) ed aver rivolto loro laraccomandazione di decidere nei casi dubbi in favore del Milan; agli assistenti si attribuiva la colpa dell’omessa denuncia dell’illecito sportivo contestato al Meani ed al Mazzei; la società Milan veniva, infine, chiamata a rispondere per responsabilità diretta ed oggettiva degli illeciti contestati al Galliani ed al Meani. I primi giudici affermavano la responsabilità di tutti gli incolpati con riferimento a ciascuna delle contestazioni loro mosse, alla luce e secondo il tenore delle intercettazioni telefoniche confermative degli elementi strutturali dell’accusa e delle circostanze storiche in essa indicate. In particolare, la Commissione riteneva che la condotta del Meani rilevasse sotto il concorrente profilo degli articoli 1, comma 1 e 6, commi 1 e 2, C.G.S., così come la violazione della clausola generale di correttezza andava, secondo la sentenza impugnata, esattamente ascritta anche al Mazzei. Quanto alla posizione del Galliani i primi giudici osservavano che la sua condotta è significativa sotto il duplice profilo della effettiva richiesta rivolta al Meani di conferma del contatto con i designatori e sotto quello ulteriore della mancata obiezione alla proposta del Meani, che veniva giudicata, dalla Commissione, come allusiva di una richiesta di trattamento di favore per il Milan. Conseguenziale alla condanna dei suoi dirigenti era l’affermazione di responsabilità dell’A.C. Milan SpA, mentre degli assistenti Babini e Puglisi si metteva in rilievo, a fini sanzionatori, l’omessa denuncia delle sollecitazioni ricevute. La Commissione infliggeva, per i fatti appena esposti, ad Adriano Galliani l’inibizione per un anno, al Meani l’inibizione per 3 anni e 6 mesi, all’A.C. Milan S.p.A. la penalizzazione di 44 punti da scontare nella classifica 2005-2006 e di 15 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2006-2007, nonché un’ammenda di 30.000 euro, a Gennaro Mazzei l’inibizione per un anno, a Fabrizio Babini e Claudio Puglisi l’inibizione per un anno ciascuno.
III - LE IMPUGNAZIONI
Le doglianze dedotte contro la decisione impugnata dai soggetti sanzionati, sono sviluppate diffusamente negli appelli, che saranno singolarmente esaminati nella parte di diritto, e sostanzialmente afferiscono agli stessi argomenti.
Qui di seguito, accanto ai nominativi degli appellanti, si anticipano sinteticamente i motivi di censura.
a) Posizione della F.C. Juventus S.p.a.
Viene contestato l’assunto dei giudici di prime cure sul presupposto che:
- le condotte di Moggi e Giraudo non erano idonee a vulnerare la terzietà della funzionearbitrale;
- il sig. Moggi non aveva la rappresentanza sociale e quindi il suo comportamento non è idoneo a coinvolgere la Juventus;
- le sanzioni adottate sono contraddittorie ed illogiche;
- non è corretto, in definitiva, irrogare sanzioni che si assommano provocando conseguenze inique in relazione ad un solo illecito sportivo.
b) Posizione della A.C.F. Fiorentina, di Diego Della Valle, di Andrea Della Valle e di Sandro Mencucci. Si eccepisce:
- l'incompetenza della CAF che potrebbe giudicare solo relativamente a dirigenti federali;
- la violazione del diritto di difesa e del giusto procedimento;
- la indeferibilità di Diego Della Valle in quanto Presidente onorario e non tesserato;
- non comprovate le qualifiche di Andrea Della Valle e Sandro Mencucci;
- irrituale e parziale utilizzazione delle intercettazioni telefoniche;
- non è ravvisabile, negli atti istruttori acquisiti, un'operazione di salvataggio dellaFiorentina.
c) Posizione della S.S. Lazio S.p.a. Si eccepisce che:
- non è stato garantito il diritto di difesa;
- non è stata consentita l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche;
- l'insussistenza di un illecito sportivo sia con riferimento alla partita Lazio-Brescia sia con riferimento alle partite Reggina-Lazio, Chievo-Lazio, Lazio-Parma, Bologna-Lazio.
d) Posizione A.C. Milan S.p.a. Si contesta:
- l'insussistenza dell'illecito in relazione alla condotta di Leandro Meani mero collaboratore che non dispone nemmeno di tessera federale.
Errata applicazione dei principi della responsabilità oggettiva.
e) Posizione Luciano Moggi. Si eccepisce:
- il difetto di giurisdizione in quanto non sarebbe più tesserato;
- l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e comunque la sospensione del procedimento per acquisire tutte le intercettazioni telefoniche che lo riguardano;
- l'insussistenza di ogni addebito;
- non si ricava in concreto alcun illecito dal contenuto delle conversazioni telefoniche.
f) Posizione Antonio Giraudo. Si eccepisce:
- l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche facendo anche riferimento alla giurisprudenza della Corte dei Conti e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo;
- la CAF avrebbe acquisito e valutato atti che provenivano da altro processo;
- non è stata individuata alcuna condotta idonea ad influire sulla terzietà degli arbitri;
- non qualificabili come illecito sportivo episodi riportati che, comunque, sono indifferenti ai fini di una loro collocazione tra le fattispecie del C.G.S.
g) Posizione Claudio Lotito. Si eccepisce:
- la violazione del diritto di difesa e violazione delle norme sul giusto procedimento;
- l'illegittima composizione della CAF;
- l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche;
- la disparità di trattamento nella irrogazione delle sanzioni
h) Posizione Adriano Galliani. Si eccepisce:
- la inidoneità degli episodi dedotti a costituire prova di un illecito; non sussiste comunque alcun fatto che possa configurare un comportamento non irreprensibile.
i) Posizione Leonardo Meani. Si eccepisce:
- l'errata interpretazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche.
- non sussistono comunque i presupposti di un illecito sportivo
l) Posizione Franco Carraro. Si eccepisce:
- la nullità assoluta per mancanza di un giudice terzo;
- l'errata composizione della CAF;
- la violazione del diritto di difesa;
- i fatti individuati dalla CAF non sono idonei a concretizzare un illecito sportivo.
m) Posizione Innocenzo Mazzini. Si eccepisce:
- la violazione del diritto di difesa
- la necessità di acquisire delle prove non essendo i fatti indicati dalla CAF idonei a concretizzare un illecito sportivo.
n) Posizione Pierluigi Pairetto. Si eccepisce:
- l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche;
- i fatti acquisiti possono solo dimostrare un rapporto di amicizia tra gli interessati e non possono costituire prova di un illecito sportivo
o) Posizione Tullio Lanese. Si eccepisce:
- i fatti contestati non concretizzano un illecito sportivo. Comunque gli incontri tra altri soggetti coinvolti nel procedimento non possono essere valutati unitariamente ma devono essere esaminati caso per caso;
- non è stata raggiunta adeguata prova dei fatti contestati;
- le conversazioni telefoniche afferivano a fatti già accaduti e, pertanto, non idonei a costituire prova a suo carico.
p) Posizione Gennaro Mazzei. Si eccepisce:
- i fatti che dovrebbero integrare la violazione dell'art. 1 del C.G.S. non sono provati e comunque non corrispondono al vero.
q) Posizione Massimo De Santis. Si eccepisce:
- in via preliminare di rito, si deduce il divieto, ex art. 31 del CGS, di utilizzare le intercettazioni telefoniche come mezzo di prova.
- l'inesistenza dei fatti addebitati;
- la disparità di trattamento per differente metro di giudizio utilizzato tra fatti identici.
r) Posizione Gianluca Paparesta. Si eccepisce:
- il travisamento dei fatti in quanto l’accadimento non può costituire illecito.
s) Posizione Polo Dondarini. Si eccepisce:
- l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche;
- i fatti addebitati non costituiscono illecito sportivo;
- non è stato rispettato il principio del contraddittorio;
- non corrispondenza tra il capo di incolpazione la sanzione;
- carenza di motivazione sulla sussistenza di un illecito disciplinare.
t) Posizione Fabrizio Babini. Si eccepisce:
- l'insussistenza del fatto contestato;
- le risultanze processuali sono state falsate;
- il vizio di motivazione.
u) Posizione Claudio Puglisi. Si eccepisce:
- la carenza di motivazione;
- il travisamento dei fatti.
E' stato proposto anche appello del Procuratore Federale nei confronti di Pairetto, A.C. Juventus SpA, Mazzini, Lotito, Rocchi e S.S. Lazio SpA, Della Valle Diego e Della Valle Andrea, Mencucci, Rodomonti, Bertini e A.C.F. Fiorentina SpA, De Santis ed al Milan SpA, assumendo che il mancato accoglimento delle richieste del procuratore è immotivato e comunque non coerente con i fatti accertati; si insiste quindi nell'accoglimento delle sanzioni riportate nelle conclusioni rassegnate dinanzi al giudizio di primo grado.
Sono state presentate controdeduzioni alla Procura Federale da Rocchi, Tagliavento, Rodomonti e Bertini.
Sono anche appellanti Lecce, Bologna e Brescia che assumono che le sanzioni non sono in sintonia con la riserva di legge e quindi richiedono l’esclusione delle squadre oggetto di sanzione.
Sono state presentate controdeduzioni da Messina Peloro e Treviso.
IV - SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO DI SECONDO GRADO
Il giudizio di appello veniva svolto davanti la Corte nelle sedute del 22-23-24 luglio 2006, nel corso delle quali venivano pronunciate le due ordinanze istruttorie lette in udienza ed acquisite agli atti che di seguito si trascrivono:
"Preliminarmente osserva che tutte le questioni sollevate, ad eccezione di quelle oltre specificamente illustrate, per le quali appare necessaria l'adozione di un immediato provvedimento istruttorio, vanno trattate e risolte congiuntamente al merito, al cui ambito effettuale appartengono.
Ciò premesso, con riferimento alle residue questioni, così provvede:
1) In merito alla posizione di Diego Della Valle.
Ritenutane la necessità, ai fini della decisione della questione afferente alla qualità che, nell'atto di incolpazione, si deduce essere attribuibile all'incolpato Diego Della Valle, dispone che Andrea Della Valle e Sandro Mencucci provvedano, entro le ore 12,00 del 23 luglio 2006, a depositare, presso la segreteria di questa Corte, la certificazione prevista dal secondo comma dell'art. 2435 c.c. ed in particolare dell'elenco dei soci, a partire dall'anno solare 2004, con l'indicazione del numero delle azioni possedute, nonché dei soggetti diversi dai soci che sono titolari di diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni medesime. Quanto alla richiesta, formulata dalla Procura Federale, di autorizzazione alla produzione di certificazioni e visure che si assumono attinenti al "thema probandum", adesso in esame, la Corte dispone di subordinarne l'ammissione alla prova, da fornirsi dall'ufficio nello stesso spazio temporale prima assegnato alla difesa di Diego Della Valle, della riferibilità di tali atti alla A.C.F. Fiorentina S.p.A. e della identità della persona giuridica, cui gli atti appaiono essere collegati alla stregua delle allegazioni accusatorie, rispetto alla
società appellante, che ha espressamente contestato, nel corso dell'odierna discussione,la circostanza.
2) In merito alla posizione S.S. Lazio S.p.A., Claudio Lotito e Franco Carraro.
La Corte dispone l'acquisizione presso l'Ufficio Indagini della deposizione del 12 luglio
2006 dell'arbitro Daniele Tombolini, la cui sussistenza non appare controversa tra le parti, che assume rilevanza in quanto concernente persona che risulta aver svolto un ruolo tecnico nell'evento sportivo oggetto di deferimento.
La Corte dispone, altresì, l'acquisizione della copia di rivista giuridica, prodotta dal difensore della Società, in quanto utile ad integrare il materiale probatorio sottoposto all'esame di questa Corte.
Rigetta l'istanza di acquisizione documentale proposta dalla difesa di Lotito, in quanto manca, e non è stata, comunque, dedotta la prova della genuinità ed autenticità delle dichiarazioni riportate, né in ogni caso della loro completezza.
Dispone, in quanto si tratta di materiale utile ad integrare l'evidenza probatoria oggetto di esame, l'acquisizione del documento estratto dalla rete on line e prodotto dalla difesa di Carraro, analiticamente descritto nel corso della odierna discussione dibattimentale.
3) In merito alla posizione dell'arbitro Gianluca Paparesta.
La Corte, pur rilevando la parziale continenza, almeno quanto all'aspetto fattuale, tra il presente giudizio e quello di cui all'art. 32 comma 5 dello Statuto Federale, contestualmente proposto dal Paparesta, dispone che esso, in ragione della sua autonomia strutturale e teleologica, venga esaminato nel corso di apposita seduta fissata dal Presidente di questa Corte.
4) In merito alla posizione di Gennaro Mazzei, rilevata la necessità di integrare la lacuna della trascrizione della conversazione telefonica, di cui si stà per dire, espressamente denunciata nel corso della odierna difesa orale, dispone l'acquisizione della trascrizione della telefonata 30989 del 18 aprile 2005, ore 12,00 effettuata dalla difesa, salvo verifica di conformità rispetto alle risultanze dell'ascolto della telefonata in questione nella opportuna sede di merito.
5) In merito alle richieste avanzate dalle difese di Lotito e Rocchi, rigetta l'istanza di acquisizione della deposizione che Cosimo Maria Ferri avrebbe reso davanti all'Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, tenuto conto, da un canto, che esiste agli atti la deposizione giudiziale dello stesso Ferri, della cui rilevanza non esiste contestazione tra le parti, e considerato, d'altro canto, che a questa Corte difetta il potere di ottenere l'esibizione di atti da pubbliche amministrazioni, fatta salva la successiva deliberazione sulla ammissibilità della eventuale produzione in forma autentica del documento in questione da parte della difesa richiedente.
6) In merito alla richiesta delle difese di Andrea Della Valle, Diego Della Valle, Mencucci e della Società Fiorentina di acquisizione di atti che sarebbero stati posti in essere nel corso di una indagine che riguarderebbe la gara Lazio/Fiorentina e la posizione dell'arbitro Rosetti nonché la gara Lecce/Parma, rileva che allo stato nessun concreto elemento è stato offerto in merito alla effettiva assunzione di atti relativi a tali eventi o circostanze o alla conclusione delle indagini, peraltro contestata espressamente dalla Procura Federale e riserva ogni ulteriore provvedimento alla eventuale acquisizione della prova, da fornire dalla parte interessata, della esistenza e legittima ostensibilità degli atti in questione.
7) La Corte, rileva infine, che sono stati presenti, nella fase preliminare del presente dibattimento soggetti nei cui confronti la decisione di primo grado è divenuta definitiva, avendo conseguito natura corrispondente negli effetti alla autorità di cosa giudicata, per difetto di impugnazione, sicché deve ordinarsi l'estromissione dal presente procedimento di Paolo Bergamo, Domenico Messina e Paolo Tagliavento. P.Q.M. Provvede nei termini di cui alla motivazione che procede. Così deciso nella Camera di Consiglio,
Il 23 luglio a seguito di questione sollevata dalla difesa del Sig. Dondarini, la Corte
Federale adottava la seguente ordinanza:
"Ritenuta la necessità di provvedimento, ad integrazione dell'ordinanza istruttoria del 22 luglio 2006 ed anteriormente alla decisione di merito, sull'istanza, diffusamente illustrata e reiterata dalla difesa di Paolo Dondarini nel corso della discussione orale, di prova testimoniale con Tullio Lanese, osserva quanto segue. Va, in primo luogo, rilevato che la persona di cui si chiede di escutere la testimonianza è parte del presente procedimento, sia pure in riferimento a capi di accusa diversi, sicchè tale sua posizione lo rende portatore in astratto di un potenziale interesse a far comunque refluire sulla propria posizione individuale gli esito di una eventuale deposizione. Essa sarebbe, peraltro, resa nell'ambito del medesimo grado di giudizio, con conseguente incrinatura, sempre in astratto e potenzialmente, della relativa attendibilità. La Corte osserva, inoltre, in via assorbente e decisiva, che, nella prospettiva della difesa richiedente, la prova testimoniale appare diretta e neutralizzare la portata, giudicata sfavorevole alla luce della statuizione sul punto formulata dalla decisione impugnata, di una conversazione telefonica, intercettata e trascritta in atti, tra il teste che si vorrebbe addurre ed una persona estranea al procedimento e relativa alla competenza tecnica del Dondarini, considerata sia in assoluto che con riferimento alla specifica gara costituente oggetto dell'incolpazione a carico di quest'ultimo. Tenuto conto di tale essenziale aspetto della questione e necessariamente valutando, ai fini del giudizio di ammissibilità della prova richiesta, il rapporto tra il fine che la difesa sembra proporsi di raggiungere ed il mezzo scelto, la Corte è dell'avviso che la testimonianza non possa che essere destinata a risolversi, piuttosto che nella esposizione dei fatti o circostanze noti al teste indicato, nella inammissibile pronuncia di giudizi ed opinioni sulla capacità tecnica del Dondarini e (alla luce di specificipassi dell'intercettazione) verosimilmente sulla sua persona. La chiara preponderanza dell'elemento valutativo rispetto a quello fattuale nell'articolazione della prova per testi ne rende la richiesta evidentemente inammissibile. Va conclusivamente osservato in via generale che rientra nel dominio della valutazione del materiale probatorio, riservata la giudizio di merito di questa Corte, l'interpretazione, il collegamento e l'analisi di ogni elemento acquisitivo agli atti, senza vincolo di meccanicistica prevalenza dell'elemento letterale rispetto ad ogni altro possibile utilizzabile dalla Corte stessa. P.Q.M. Ad integrazione dell'ordinanza del 22 luglio 2006, rigetta la richiesta di prova testimoniale ripetutamente formulata da Paolo Dondarini e dispone che si proceda ulteriormente alla discussione orale.
Dispone, altresì, che la segreteria provveda alla immediata comunicazione dell'ordinanza alla parte ed al suo difensore nell'ipotesi della loro assenza al momento della lettura.
Acquisiti i documenti di cui alle ordinanze ed esaurita la discussione orale, anche con repliche, dei terzi controinteressati, della Procura Federale e degli appellanti, la Corte si riuniva in Camera di Consiglio, al cui termine, in data 25 luglio 2006, pronunciava, in udienza pubblica, la decisione di cui al separato dispositivo.
V - MOTIVI DELLA DECISIONE
A. Questioni pregiudiziali e preliminari
Va, in ordine logico, preliminarmente esaminata la duplice eccezione, formulata da più appellanti, circa la legittimità sia del provvedimento commissariale di nomina dei nuovi componenti della Commissione di Appello Federale, che di quello, riferibile al presidente di quest’ultimo organo, di costituzione del collegio giudicante di primo grado.
Entrambe le eccezioni, teleologicamente tra loro connesse, non appaiono fondate.
Ed invero, il primo dei provvedimenti è stato legittimamente adottato allo scopo di reintegrare l’organico della CAF, la cui consistenza era sensibilmente diminuita, tanto sul piano numerico, quanto su quello funzionale, per effetto della sopravvenuta carenza autorizzativa all’esercizio dell’incarico in questione da parte dei magistrati originariamente nominati, anche con funzioni semi-direttive. Si è trattato dell’esercizio di un insindacabile potere organizzativo del Commissario Straordinario (in attuazione dei poteri normalmente attribuiti al Consiglio Federale) al quale non può che essere riconosciuta la prerogativa di reintegrare l’organico ridotto in modo da garantire la piena funzionalità dell’organo, senza che a precludere tale compito possa ovviamente intervenire la presenza di altri componenti, tenuto conto che l’art. 31, comma 2, dello Statuto Federale prevede un numero minimo, e non uno massimo, di componenti. Allo stesso modo, il Presidente della CAF legittimamente ha esercitato il proprio potere discrezionale di individuazione dei componenti, titolari e supplente, del singolo Collegio in assenza, allo stato, di qualsiasi norma federale che preveda criteri oggettivi e predeterminati di costituzione dei collegi stessi, come fa invece, in omaggio all’art. 25, primo comma, della Costituzione, l’ordinamento statuale, e dei relativi vincoli (che la Corte auspica siano introdotti anche nell’ordinamento sportivo, in doverosa simmetria con quello statale). Quanto all’eccepita inammissibilità di taluni appelli principali per pretese violazioni di disposizioni federali concernenti la notificazione ai terzi controinteressati (in particolare il Bologna F.C. 1909), è agevole rilevare che l’avvenuta costituzione di quest’ultima società e la piena esplicazione dei relativi diritti di difesa ha fatto sì che l’atto di impugnazione raggiungesse pienamente il proprio scopo senza compromissione alcuna delle garanzie poste a tutela di tale categoria di soggetti (arg. ex art. 156 c.p.c.). In relazione alla sussistenza della giurisdizione dell’ordinamento sportivo nei confronti di Andrea Della Valle e Sandro Mencucci la Corte osserva che l’assunzione delle relative cariche (rispettivamente Presidente ed Amministratore Delegato) dell’A.C.F. Fiorentina S.p.A. è avvenuta il 25 gennaio 2005, divenendo esecutiva ai sensi della specifica norma applicabile (e cioè, dell’art. 37, comma 1, delle NOIF) a decorrere dalla data di avvenuta ricezione della comunicazione alla Lega di competenza. Per quanto concerne, poi, la posizione di Diego Della Valle (Presidente onorario della medesima società) la Corte ritiene che egli possieda la qualità di socio, idonea a venire in rilievo a fini disciplinari, ai sensi degli artt. 1 ss. del Codice di Giustizia Sportiva, per effetto della circostanza che, come è emerso dalle acquisizioni documentali, egli è socio di maggioranza della Diego Della Valle S.a.p.A (di cui è, secondo quanto emerge dalle visure camerali, a propria volta, socio accomandatario ed amministratore), essendo titolare di 7.200.000 azioni su 8 milioni di complessive azioni, e che tale persona giuridica è, a propria volta, socio di maggioranza dell’A.C.F. Fiorentina, di cui è, quindi, in grado di determinare le scelte: circostanza, questa, che realizza una forma di cointeressenza societaria da parte dell’incolpato nei confronti della società calcistica idonea a radicarne l’assoggettamento alla Giustizia Sportiva.Peraltro, non può trascurarsi che il tenore delle difese, anche in questo grado di giudizio svolte dall’incolpato, è logicamente incompatibile con l’assenza di interesse e peso nella società. Egualmente va ritenuta la giurisdizione di questa Corte nei confronti di Luciano Moggi, alla luce dell’inefficacia delle dimissioni da lui presentate anteriormente al deferimento, rispetto allo scopo di sottrarsi al procedimento disciplinare. E ciò, in quanto tale momento cronologico non riesce a determinare l’effetto preclusivo della eventuale riammissione in ambito federale del tesserato dimissionario successivamente alla conclusione del procedimento stesso, ciò che, se avvenisse, non soddisferebbe il concorrente interesse del tesserato e dell’ordinamento all’accertamento della (sussistenza o meno della) responsabilità. Ed, invero, tale effetto preclusivo può solo conseguirsi, come acutamente rilevato dai primi giudici, successivamente all’atto di notificazione del deferimento in quanto tale momento determina l’effetto preclusivo in parola, alla luce della specifica disposizione dell’art. 36, comma 7, NOIF che prevede che “non possono essere nuovamente tesserati coloro che abbiano rinunciato ad un precedente tesseramento in pendenza di un procedimento disciplinare a loro carico” ed in virtù della considerazione che la pendenza del procedimento disciplinare è determinata dalla notificazione dell’atto di deferimento. Va aggiunto che la reiterazione delle dimissioni di Moggi, successivamente a tale evento, è irrilevante, essendosi l’effetto interruttivo dell’appartenenza federale prodotto all’atto delle precedenti dimissioni, senza possibilità di utile duplicazione della loro efficacia. Egualmente infondate si rivelano le censure mosse con riferimento ai termini stabiliti per i procedimenti per illecito sportivo nel C.U. n. 12 del 15 giugno 2006, tenuto conto del carattere generale ed astratto del provvedimento (anteriore all’atto di deferimento), della sua rispondenza alla prassi e della sua incontestabile ispirazione alle esigenze di celerità e certezza per l’ordinamento sportivo del tipo dei procedimenti in parola, senza pregiudizio alcuno dei diritti di difesa, in concreto ed ampiamente esercitati da tutte le parti. Va, ribadita la competenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 31 comma 1 e 32 comma 7, dello Statuto Federale., nel presente procedimento del plesso giurisdizionale CAF in primo grado - Corte Federale in grado di appello, esattamente ravvisata dai primi giudici, tenuto conto della qualità soggettiva di dirigenti federali posseduta da numerosi incolpati, che rende applicabili le norme citate. Tale qualità determina, in conformità al principio della vis actractiva esercitata dall’organo di giustizia sportiva di grado superiore rispetto alle astrattamente ipotizzabili competenze di giudici appartenenti a Leghe di grado inferiore, fissato dagli artt. 37, comma 1, e 28, comma 7, C.G.S., l’effetto di concentrazione dell’intero procedimento nei confronti di tutti gli incolpati nella cognizione del plesso prima indicato. Va ancora posta in rilievo la sicura attitudine dei singoli capi di incolpazione ad identificare i termini e l’oggetto delle accuse contestate con dovizia di riferimenti temporali e contenutistici, come è eloquentemente dimostrato dalle difese svolte sia in primo grado dalle parti, che dagli atti di impugnazione proposti in questo grado. Merita, altresì, piena adesione l’argomentata posizione assunta dai primi giudici in relazione alle questioni diffusamente sollevate dalle difese degli incolpati in primo grado e reiterate nei gravami, della inutilizzabilità, nei procedimenti per illecito sportivo, delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche rientranti negli atti dei procedimenti penali che qui rilevano ed acquisite ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 401/1989. Di assorbente rilievo appare a questa Corte l’osservazione che nella prospettiva motivazionale adottata dalla CAF, le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche ed ambientali non vengano generalmente in rilievo quali prove in sé degli addebiti rivolti ai deferiti, ma come mera circostanza storica – non disconosciuta nella sua esistenza, né nel suo oggetto, né nella sua veridicità, dagli incolpati – suscettibili di lettura critica, interpretazione logica, collegamento con gli altri elementi probatori acquisiti, in una parola di valutazione di merito. Ma se anche, e per semplice completezza argomentativa, si volesse dibattere nel presente grado di giudizio della legittima utilizzazione delle intercettazioni in parola sarebbe agevole il rilievo che il nostro ordinamento costituzionale contempla una significativa limitazione al generale divieto di violare la libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione attraverso la previsione all’art. 15, secondo comma, che la limitazione avvenga, come nel caso di specie, attraverso atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge, la cui concreta ricorrenza – e la tensione al fine di soddisfare l’interesse pubblico primario alla repressione dei reati – ha, per costante giurisprudenza (adeguatamente citata nella decisione impugnata) dei Giudici della legittimità delle leggi, esonerato da dubbi di illegittimità la normativa processual penalistica nonché le disposizioni rivolte alla tutela dei valori dello sport (ciò che ha consentito, con altrettanto carattere di costanza, ai giudici sportivi di utilizzare il mezzo in parola: cfr. di recente, la decisione della CAF di cui al C.U. n. 6/C della stagione 2005/2006). Proprio il carattere strumentale al perseguimento di scopi costituzionalmente congrui consente, ad avviso della Corte ed in perfetta simmetria con la decisione impugnata, di ritenere privo di decisività il riferimento effettuato da alcune difese alla normativa racchiusa nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo del 1950, tenuto conto che il relativo art. 8 espressamente coordina la tutela del valore della riservatezza con quella, altrettanto essenziale in una società democratica, della repressione dei fatti illeciti penalmente rilevanti. Nessun dubbio può, infine, nutrirsi circa la legittima ammissione, sin dal primo grado di giudizio, di società terze portatrici di interessi indiretti, compresi quelli di classifica (ex art. 29, 3 comma C.G.S.), da valutarsi in riferimento alle possibili ricadute favorevoli alla loro collocazione nell’ambito dell’organizzazione sportiva che conseguirebbero a decisioni contrarie alle società incolpate e per esse penalizzanti. Va, preliminarmente, confermata l’ordinanza del 22 luglio 2006 con cui sono stati estromessi dal presente procedimento incolpati nei confronti del cui proscioglimento non era stata proposta impugnazione (Domenico Messina e Paolo Tagliavento) o verso cui era venuta meno irrevocabilmente la giurisdizione (Paolo Bergamo). Va poi dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Bologna F.C. 1909 nei confronti di tutti i tesserati indicati nel dispositivo, incolpati a titolo individuale e non in quanto rappresentanti o soci di società la cui eventuale affermazione di responsabilità possa ridondare a favore dell’appellante. Rispetto ad essi, infatti, quest’ultimo non appare essere titolare, per la ragione appena indicata, di quell’interesse indiretto anche in classifica che avrebbe legittimato l’impugnazione. Ciò preliminarmente osservato, la Corte non può esimersi dal rilevare che l’estensione dell’area dei soggetti deferiti, la loro qualità (Presidente e Vice Presidente Federale) alcuni consiglieri federali tra i quali il Presidente della Lega Nazionale Professionisti serie A e B, il Presidente dell’Associazione Arbitri, gli ex designatori arbitrali, il designatore degli assistenti di gara, alcuni arbitri assistenti, i vertici amministrativi e proprietari di importanti società), il numero e la serietà dei comportamenti contestati, debba portare ad affermare che il presente giudizio ha investito nel loro complesso il sistema calcistico nazionale e la sua struttura, scuotendone le fondamenta e sorprendendo la pubblica fiducia (come sottolineato con feconda intuizione nel corso delle indagini federali). Al tempo stesso, la Corte, nel doveroso adempimento della propria funzione nomofilattica, non può fare a meno di segnalare la necessità di radicali interventi di riforma dell’ordinamento federale in vista del necessario adeguamento a quello statuale e comunitario in una serie di delicate materie, che sono andate emergendo nel presente procedimento (quali, a titolo di esempio, la mancata previsione di illeciti di natura associativa e di prescrizioni cogenti relativamente alla costituzione ed al funzionamento degli organi collegiali di giustizia sportiva) e rispetto alle quali oggi il diritto sportivo non appare sempre pronto, per difetto di puntuali disposizioni, ad intervenire con la dovuta effettività.
B - Premessa
Venendo ora all’esame dei capi di incolpazione, va subito affrontata una questione di metodo, consistente nella individuazione dello scenario nel quale, tanto dal punto di vista soggettivo, quanto da quello oggettivo, va inquadrato il presente procedimento. Lucidamente la CAF rileva che esso non riguarda un “sistema” ma una serie di reticoli autonomamente attuati dalle varie società incolpate, sia pur all’interno di un’atmosfera inquinata che incombeva sul campionato di serie A 2004 – 2005 (pagg. 74 e 75). Quest’impostazione, perfettamente rispondente all’articolata e coerente struttura dell’atto di accusa, appare un necessario corollario della mancata previsione nell’ordinamento federale di una fattispecie di illecito associativo, modellata sull’esempio del diritto comune: l’altrettanto logica conseguenza di questa lacuna ordinamentale è che, anche in questo grado, il metodo di analisi della Corte debba procedere con riguardo alle singole posizioni, quali vengono in rilievo dalle constatazioni mosse a ciascuna società: è consequenziale che tutte le posizioni debbano essere affrontate e giudicate applicando i rigorosi standard probatori propri di ciascuna contestazione, rivelandosi inapplicabili quelli, più agili e collaudati nell’ordinamento di diritto comune, dell’illecito associativo. Tuttavia, quest’esame per posizioni non impedisce che l’operato di specifici incolpati acquisti efficienza in più vicende, apparentemente slegate, ma tra loro, avvinte proprio dalla partecipazione dei medesimi soggetti alle vicende stesse (il punto si chiarirà tenendo conto delle fondamentali implicazioni della posizione di Moggi, anche al riguardo alla gara Lecce – Parma, in occasione della quale fu interlocutore telefonico di Diego Della Valle).
C - Posizione della Juventus Football Club S.p.a., di Luciano Moggi, di Antonio Giraudo, di Gianluca Paparesta, di Tullio Lanese, di Pierluigi Pairetto e di Massimo De Santis.
La struttura dell’atto di accusa si apre con le articolate contestazioni relative alla posizione della società Juventus che constano di molteplici addebiti, così ripartiti: a) incolpazione, ex artt. 1, 1° comma e 6, 1° e 2° comma C.G.S., a Luciano Moggi, Antonio Giraudo, Innocenzo Mazzini, Paolo Bergamo, Pierluigi Pairetto, Tullio Lanese e Massimo De Santis, nonché a titolo di responsabilità diretta e presunta, alla società in questione, per avere intrattenuto tra loro contatti indebiti, anche su linee telefoniche riservate, e realizzato incontri riservati, così ponendo in essere condotte in violazione dei generali doveri comportamentali e, al contempo, rivolte a condizionare a favore della Juventus, il settore arbitrale;
b) Moggi e Giraudo, ex art. 1, comma 1, citato e la società per responsabilità diretta, per aver tenuto, al termine della gara Reggina – Juventus del 6 novembre 2004, una condotta verbalmente e fisicamente aggressiva nei confronti della terna arbitrale, punitivamente chiusa a chiave nello spogliatoio;
c) Gianluca Paparesta (non rileva più la posizione di Pietro Ingargiola, per essere la decisione impugnata divenuta definitiva nei suoi confronti per mancata impugnazione) per avere omesso di segnalare la condotta di Moggi, di cui alla lettera b);
d) Lanese, ai sensi dell’art. 1 cit., per avere avallato e consigliato l’Ingargiola a porre in essere il comportamento omissivo addebitatogli;
e) Moggi, di illecito ai sensi dell’art. 6, comma 1, CGS e la Juventus di responsabilità diretta e presunta, per avere posto in essere atti diretti ad alterare le gare della società torinese contro Lazio, Bologna ed Udinese;
f) Bergamo, di illecito sportivo in relazione alle gare da ultimo menzionate;
g) De Santis per la medesima violazione, per aver aderito al disegno di alterare, a favore della Juventus, la gara di quest’ultima in trasferta a Bologna, precostituendo la necessaria squalifica di giocatori di tale squadra, già diffidati, ammonendoli nel precedente incontro da lui diretto. In relazione al complesso ordito accusatorio la Commissione di primo grado ha osservato che la fattispecie di illecito sportivo di cui all’art. 6 citato, può integrarsi anche attraverso il compimento di atti diretti ad assicurare, a chiunque, un vantaggio in classifica, aggiungendo che tale autonoma ipotesi può prescindere dall’alterazione dello svolgimento o dal risultato di una gara, sotto il profilo che la classifica nel suo complesso può essere influenzata da condizionamenti che, comunque, finiscano, indipendentemente dall’esito di singole gare, per determinare il prevalere di una squadra rispetto alle altre. In concreto, i primi giudici hanno ritenuto che tale effetto di condizionamento del campionato 2004/2005 sia stato, dagli incolpati, raggiunto grazie all’alterazione del regolare funzionamento del settore arbitrale ed alla lesione dei principi di alterità, terzietà, imparzialità ed indipendenza tipici di tale funzione. Ulteriormente, la decisione impugnata ha osservato che, nella struttura dell’atto di accusa, sono individuabili specifiche condotte di per sé violative dei generali canoni posti dall’art. 1 citato, il cui insieme è stato giudicato idoneo a realizzare il condizionamento del regolare funzionamento del settore arbitrale a vantaggio della Juventus, così risolvendosi in un’attività diretta a portare alla società un vantaggio in classifica. Ed i primi giudici hanno espressamente aderito, in linea di principio, a questa impostazione metodologica, diretta a surrogare la già segnalata carenza di punibilità in ambito federale dell’associazione di più persone al fine di commettere un indeterminato numero di illeciti. La Corte è dell’avviso che debba, logicamente, far precedere alla valutazione del materiale probatorio a suffragio della impostazione prima illustrata il giudizio sull’ammissibilità, espressamente contestata nelle impugnazioni degli appellanti, condannati in primo grado, della doppia rilevanza disciplinare di una medesima condotta, considerata una prima volta atomisticamente ed in sé, nella prospettiva che essa esprima il disvalore deontologico di cui all’art. 1 CGS e riguardata cumulativamente ad altre condotte, nell’ottica finalistica che essa abbia realizzato l’attività rivolta all’alterazione di gare, disciplinata, come illecito sportivo, dall’art. 6 dello stesso codice. La Corte ritiene che la decisione impugnata non meriti, sul punto, alcuna censura. Ed invero, occorre prendere le mosse della struttura formale delle due violazioni regolamentari di cui si tratta, e cioè l’art. 1 e l’art. 6 C.G.S.. La prima disposizione sancisce un generico obbligo di “lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto, comunque, riferibile all’attività sportiva”, così lasciando intendere che l’infrazione al criterio generale di condotta in ambito sportivo può assumere configurazioni libere, cioè non predeterminabili in ragione della loro forma e delle loro manifestazioni, ma qualificabili in funzione della lesione del bene giuridico protetto dalla norma. Ciò non toglie, tuttavia, che le condotte antigiuridiche, ai sensi dell’art. 1, possano in concreto acquisire rilevanza casualmente efficiente nella prospettiva della commissione di altre violazioni, costituendone mezzi idonei per la realizzazione, altrimenti non verificabile o verificabile solo a condizioni diverse. Ora, poiché l’art. 6, comma 1, prevede come illecito sportivo “il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad attuare lo svolgimento o il risultato di una gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”, è evidente che, anche nella conformazione della norma in esame e coerentemente con la stessa impostazione del sistema normativo dell’organizzazione federale, la nozione di mezzo quale strumento per il compimento degli atti, in essa descritti, non soggiace ad alcuna predeterminazione di tipicità e ricava la sua riconducibilità, in concreto, all’alveo della disposizione a seguito della sua accertata capacità di consentire il compimento dell’atto punibile. Ecco, allora, che nella ricostruzione dell’illecito sportivo occorre guardare alla natura dell’atto – tema che sarà affrontato in seguito – e, nel contesto di questa indagine, è necessario giudicare della relazione di efficacia causale del mezzo in concreto prescelto rispetto al compimento dell’atto. Logicamente, nessun diaframma è ragionevole interporre ad una doppia valutazione di rilevanza di una medesima condotta, sussumendola nei binari del generale disvalore deontologico e, in ottica diversa, concependola come ineliminabile tassello strumentale nella realizzazione dell’illecito ex art. 6, senza che ciò si traduca – a differenza di quanto sostenuto dalle difese nel corso della discussione orale – in una (inammissibile) somma algebrica di singole condotte qualificate come antidoverose ex art. 1 e senza che l’operazione valutativa, di cui si dice, determini l’assorbimento di tali condotte nel paradigma dell’illecito sportivo con (insussistente) perdita della loro originaria natura e rilevanza (ed in questo senso va rettificata la motivazione di primo grado, senza effetti quoad poenam, in difetto di appello). Deve, infatti, escludersi, alla stregua della struttura delle due norme e dei differenti beni giuridici protetti, che vi sia un rapporto di necessaria inerenza delle condotte genericamente antidoverose alla figura dell’illecito o che esse se ne possano considerare elemento costitutivo: si tratta di un occasionale, di volta in volta da verificare, apporto causale alla realizzazione dell’illecito sportivo fornito da una condotta, comunque, espressiva di una trasgressione all’ordinamento sportivo. Il giudizio che compete, quindi, a questa Corte, una volta risolta, in senso confermativo della decisione impugnata, la questione di principio, è quello circa la sufficienza del materiale probatorio per affermare, da un canto, la sussistenza delle condotte contestate ed a stabilirne, d’altro canto, l’idoneità a convertirsi in mezzi utili al compimento degli atti previsti dall’art. 6, comma 1, C.G.S. Anche a questo proposito la Corte non ha dubbi nel dichiarare che i primi giudici, contrariamente a quanto sostenuto in tutti gli appelli degli interessati, hanno fatto ineccepibile governo del proprio compito relativamente ad entrambi i punti, con la conseguenza che tutta la parte della decisione concernente la posizione della Juventus va confermata in termini di affermazione di responsabilità, con le modifiche peggiorative, conseguenti all’impugnazione della Procura Federale, delle pene irrogate a taluni incolpati e migliorative, in relazione ai rispettivi appelli, per altri incolpati, nei termini di seguito esposti. Opportunamente la sentenza impugnata pone una doppia premessa al proprio giudizio: essa va condivisa e fatta propria da questa Corte, con le precisazioni che seguono quanto alla prima. Questa concerne la necessaria valutazione congiunta delle posizioni dei due dirigenti della società torinese, Moggi e Giraudo: le considerazioni che seguono costituiscono risposta e confutazione agli articolati gravami proposti sia da costoro, che dalla società Juventus. E’, in particolare, condivisibile, perché rispondente ad esigenze di logica e congruenza argomentativa la ragione posta a fondamento di questa scelta, e cioè l’accertata e concertata – come si vedrà oltre – confluenza dell’oggetto e del fine della loro attività illecità nell’interesse della Juventus. Le loro condotte dovranno, pertanto, essere guardate come avvinte da questo comune intento, anche se in singoli casi, possano essere state poste in forma disgiunta perché così suggerivano le circostanze o divisavano gli incolpati allo scopo di consolidare gli effetti positivi per la società delle loro azioni. La Corte ritiene che, all’interno di questa impostazione metodologica, debba innestarsi una coppia di osservazioni che faranno riverberare i propri effetti differenziali rispetto alle posizioni di altri incolpati, società e singoli tesserati, allorché queste saranno esaminate. La prima è che, diversamente dalla situazione registrabile in altri capi di incolpazione, i due dirigenti in questione hanno manifestato piena ed incondizionata libertà di azione senza che risultino, agli atti, momenti di coordinamento con altri organi amministrativi della società (costituendone essi il vertice) ed in particolare con la proprietà. Questo non significa, in alcun modo, che le loro azioni non siano direttamente riferibili alla società (così superandosi la contraria difesa di questa), che ne era altrettanto direttamente beneficiaria e che non lo sarebbe stata se tali azioni non fossero state poste in essere. L’incidentale osservazione va fatta per distinguere l’operato di Moggi e Giraudo da quello di altri dirigenti sportivi (è il caso di Mencucci ed Andrea Della Valle) la cui azione, come si vedrà oltre, non ha esplicato un grado di efficienza causale minimamente paragonabile a quella degli altri incolpati o ad essa assimilabile quanto a qualificazione giuridica. La seconda precisazione, puramente integrativa del sostrato metodologico della decisione impugnata, è resa necessaria da una tesi difensiva corposamente discussa dal club torinese e volta a porre in luce l’esistenza di una netta soluzione di continuità tra l’azione di uno dei due dirigenti (Moggi) e l’interesse della Juventus, ed a ventilare che il primo agisse per scopi mercantili suoi propri. La Corte ritiene che, del tutto esattamente, i primi giudici abbiano affermato la responsabilità di Moggi con esclusivo riferimento a condotte ed episodi positivamente refluiti o capaci di refluire sulla posizione sportiva della Juventus, sicchè, come si vedrà dall’esame dei singoli casi, nessun dubbio può sorgere circa l’inerenza dell’affermazione delle pesanti responsabilità del dirigente al trattamento punitivo riservato alla Juventus. E’ pur vero che dagli atti del giudizio emerge la partecipazione di Moggi ad episodi costituenti oggetto di contestazione ad altre società ed altri tesserati (è il caso della Fiorentina e dei suoi dirigenti) ed in nessun modo collegabili alla posizione della Juventus. Ma è anche vero che, con riferimento ed essi, nessuna censura sportiva è stata mossa a tale società, che, quindi, non ha subito alcun effetto sanzionatorio pregiudizievole. Semmai, tali partecipazioni dimostrano che Moggi, anche se agiva in proprio, era dotato di quel potere condizionante della correttezza di significative componenti del settore arbitrale di cui motivatamente parla la decisione impugnata ed al quale era necessario (metaforicamente) inchinarsi per sopravvivere nel mondo della Serie A e non vedere vanificati investimenti e patrimonio societario e non mortificare la buona fede e la passione degli ignari sostenitori. Venendo, adesso, alla seconda premessa della CAF, consistente nella dichiarazione programmatica di non considerare atomisticamente i fatti accertati e le conversazioni telefoniche intervenute tra i vari incolpati e di valutarli, piuttosto, nel loro complesso e nella loro correlazione, la Corte non può non riconoscere l’ineccepibilità del metodo (ed applicarlo a propria volta), trattandosi di criterio di analisi necessario avuto riguardo alla natura delle contestazioni ex art. 6 nella parte relativa all’alterazione diretta a provocare il sistemico vantaggio in classifica ed alla pronunciata inscindibilità tra la posizione di Moggi e quella di Giraudo. Egualmente e senza riserve condivisibili appaiono – così ancora una volta, rispondendosi in termini confutativi ai gravami che hanno inteso colpire la statuizione in parola - le conclusioni di merito cui è pervenuta la Commissione di primo grado a seguito dell’esame del materiale probatorio ad essa sottoposto. In particolare, merita totale adesione il passaggio nel quale la decisione impugnata ricava dagli elementi di prova raccolti la convinzione della compiuta verificazione dell’esito dell’illecito sportivo, e cioè dell’alterazione della classifica, a vantaggio della Juventus, del campionato 2004/2005, per effetto del condizionamento del settore arbitrale. Va, preliminarmente, osservato, che i giudici di primo grado hanno chiaramente enunciato non solo che l’alterazione ex art. 6 CGS, rilevante ai fini del presente procedimento, aveva ad oggetto la classifica del campionato in questione nel suo complesso, ma che il programma era destinato a realizzarsi attraverso il condizionamento del settore arbitrale. Ad avviso della Corte, deve indiscutibilmente affermarsi così ancora una volta, facendo giustizia degli argomenti sviluppati in senso contrario nei gravami - la piena e concreta attitudine a falsare la classifica posseduta dall’opera di condizionamento del settore arbitrale, per effetto delle scelte e delle decisioni dei relativi vertici, influenzati della decisiva opera di Moggi e Giraudo. Come detto, sono più che adeguati e più che congruamente valutati, dai primi giudici, gli elementi di prova dell’avvenuto condizionamento di cui si dice (come risalta dalle espresse citazioni racchiuse al punto nella decisione impugnata, alle cui pagine da 79 a 90 si fa espresso rinvio). In effetti, agli atti è affluita una quantità cospicua ed inequivoca di elementi dimostrativi:
a) della speciale cura che i due dirigenti dicevano dovesse essere posta nei rapporti col mondo arbitrale;
b) della natura, intensità, ambiguità e non trasparenza dei loro rapporti con i designatori Pairetto e Bergamo, costellati da ripetuti incontri conviviali, privati ed esclusivi, da un incalzante numero di colloqui telefonici, dall’inspiegabile (almeno secondo i canoni della limpidezza comportamentale) affidamento di telefonini insuscettibili di intercettazione, dall’intercessione, a fini commerciali (quali l’acquisto di autoveicoli del gruppo FIAT), a favore di persone legate a Pairetto, da regali offerti ai designatori e capaci di generare un pericoloso sentimento di riconoscenza da parte dei donatari nei confronti dei donanti e, quindi, della società di questi ultimi, dalle pesantissime, insistite interferenze di Moggi nella predisposizione delle griglie per il sorteggio arbitrale atte a sovrapporsi, sovrastandole, alle scelte del designatore Bergamo, sia con riferimento agli arbitri, che agli assistenti e coronate da sostanziale successo (nel senso della fungibilità funzionale dei prescelti rispetto a quelli desiderati e richiesti: è il caso del “pan bagnato” Gemignani e Foschetti in luogo della “zuppa” Ricci e Gemignani, pretesa da Moggi per la gara Juventus – Udinese, del 13 febbraio 2005), dalle minacciose intenzioni manifestate da Moggi a Bergamo nei confronti di arbitri che “sbagliano” (è il caso della subliminale richiesta di punizione nei confronti di Collina e Rosetti), dalle attuate ed umilianti della dignità del soggetto passivo minacce ed aggressioni contro altri arbitri che sbagliano (Paparesta dopo Reggina – Juventus, del 6 novembre 2004). Questi gli episodi, ripetuti nel tempo e nello spazio, incontroversi nella loro storicità, congiuntamente o disgiuntamente posti in essere da Moggi e Giraudo e, comunque, tutti obiettivamente tendenti alla precostituzione di condizioni dalle quali la Juventus potesse trarre vantaggio di classifica nel campionato 2004-2005, episodi a cui la decisione impugnata ha giustamente attribuito capacità causale adeguata per il conseguimento di tale risultato sperato. Anche questo giudizio va integralmente condiviso e specularmene rigettata la articolata censura mossa alla decisione impugnata da parte degli appellanti. Ed invero, una volta chiarito che il condizionamento del settore arbitrale costituisce sistema comportamentale idoneo all’alterazione del campionato, va aggiunto che, ad avviso della Corte, i mezzi in concreto posti in essere (e prima analiticamente descritti) vanno definiti, senz’altro, idonei allo scopo, sia con valutazione ex ante che, per semplice completezza espositiva, con valutazione ex post. Si consideri, al riguardo, che in astratto le condotte di Moggi e Giraudo non potevano non sortire il risultato auspicato in riferimento agli allettanti vantaggi diretti ed indiretti offerti ai designatori (anche individualmente), all’ineffabile confidenza nei rapporti personali, alla pervasività della presenza dei dirigenti juventini nelle scelte riservate all’ufficio di costoro; al tempo stesso, l’idoneità ex post delle condotte stesse, nella prospettiva dell’art. 6 CGS, si deduce, senza perplessità alcuna, dalla supina predisposizione, mostrata dai designatori stessi (anche separatamente) a seguire le indicazioni di Moggi e Giraudo (in materia di designazione di assistenti,concertazione della formazione delle griglie, piena connivenza omissiva rispetto ad episodi minacciosi ed aggressivi di cui Moggi era stato autore). A questa stregua, la decisione impugnata va confermata (rimanendo, come esposto nella parte precedente, priva di conseguenze sul trattamento sanzionatorio per difetto di impugnazione, sul punto, la ritenuta ammissibilità di concorso tra art. 1 ed art. 6 CGS per il caso di medesima condotta autonomamente valutabile nella doppia prospettiva): delle pene da irrogare agli incolpati si dirà al termine della trattazione del complesso delle incolpazioni relative alla Juventus. Corretta e consequenziale è l’affermazione della responsabilità diretta della società rispetto ai fatti di cui è stato ritenuto responsabile il suo rappresentante legale Giraudo. Va, altresì, confermata la decisione impugnata – con conseguente rigetto dell’appello della Procura Federale - nella parte in cui ha ritenuto non essere stata raggiunta la prova della responsabilità di Mazzini, Pairetto, Lanese e De Santis in ordine alla violazione dell’art. 6, comma 1, C.G.S., contestata a Moggi e Giraudo di cui ci si è appena occupati, fermo restando l’altrettanto condivisibile accertamento di rilevanza di talune condotte, ai fini dell’art. 1 e nei termini di cui si dirà oltre. In particolare, la Commissione ha esattamente rilevato che non fosse stata raggiunta la prova né dell’intenzionale direzione delle condotte degli appellanti, né della loro idoneità allo scopo. A questo proposito la Corte rileva che la configurabilità dell’illecito ex art. 6 CGS non può che fondarsi su una prova solida ed al di là di ogni ragionevole dubbio che l’atto umano oggetto di incolpazione riveli (oltre che la sua idoneità al raggiungimento del risultato vietato) la volontà dell’agente di realizzare, con dolo specifico, l’illecito, in quanto il paradigma normativo, nell’utilizzare il termine “diretti” con riferimento agli atti, pone un rapporto di necessaria implicazione tra la natura dell’atto in sé ed il fine illecito che, tramite lo stesso, l’autore si propone. Il difetto della prova che ad ispirare la condotta dell’incolpato fosse il conseguimento del risultato illecito non può che risolversi, come esattamente osservato dalla CAF, ed infondatamente contestato dalla Procura Federale, nel fallimento dell’ipotesi di ricorrenza dell’illecito. Ora, nel caso di specie, non vi sono elementi che consentano di affermare, con certezza,che gli appellati, tramite condotte pur deontologicamente reprensibili ex art. 1 CGS, come si dirà, avessero un interesse chiaro, diretto ed inequivoco a favorire la Juventus, né una convincente prova, in tal senso, è stata fornita o dedotta: resta il fatto in sé di condotte scorrette o sleali, ma ciò non basta a far presumere che vi fosse il fine palese o occulto di determinare l’alterazione del campionato a favore della Juventus, soprattutto in assenza di adeguato movente. La Corte ritiene che il dubbio possa residuare nei confronti di Pairetto a causa dei ripetuti contatti commerciali, mediati da Moggi, per l’acquisto di veicoli Fiat scontati anche a favore di terzi: il comportamento è certamente riprovevole e scorretto – ciò che rileva ai fini della determinazione della sanzione, in sede di esame dell’appello della Procura Federale, che, in virtù del proprio effetto devolutivo, investe per intero la posizione dell’appellato - ma non integra la certezza di un atteggiamento favoritistico, soprattutto se si considera il minor ruolo nella vicenda di tale designatore rispetto all’altro, almeno quale emerge dagli atti. Analogamente, va confermata l’affermazione di responsabilità di Lanese ex art. 1 CGS, sotto il duplice profilo, congruamente valorizzato dai primi giudici, dei ripetuti, confidenziali ed impropri incontri con i dirigenti juventini e dei rapporti commerciali intrattenuti con essi. Nessun rilievo escludente o attenuante della responsabilità di Lanese può essere riconosciuto, contrariamente a quanto sostenuto dalla sua difesa, alla necessità degli incontri a causa del ruolo, in senso lato politico, di Presidente dell’AIA. In contrario valgano tre considerazioni:
a) mentre vi è la prova di un eccesso di confidenza conviviale e commerciale, del tutto inappropriata e biasimevole, tra l’incolpato e Moggi e Giraudo, non vi è alcuna prova della connessione di tali incontri con il perseguimento di fini istituzionali dell’Associazione, piuttosto che personali;
b) proprio la delicatezza del ruolo istituzionale avrebbe imposto all’incolpato un supplemento di prudenza, avvedutezza ed integrità;
c) Lanese ha, comunque, impropriamente beneficiato, grazie al fattivo intervento dei dirigenti juventini, di sconti commerciali che mai avrebbe dovuto chiedere – quale che ne fosse l’importo – a persone che avrebbero potuto strumentalizzare la situazione di riconoscenza psicologica di cui egli sarebbe stato inevitabilmente portatore. Conseguenzialmente all’esclusione della responsabilità ex art. 6 degli estranei alla Juventus, va negata la relativa responsabilità presunta. Va confermata la decisione impugnata anche nella parte relativa alla gara Reggina – Juventus che qui viene in rilievo per ciò che concerne la condotta aggressiva e minacciosa rilevante ex art. 1 CGS, di Moggi e Giraudo, al termine della gara, nei confronti della terna arbitrale. Viene, poi, contestata alla società torinese la responsabilità diretta,all’arbitro Paparesta la mancata segnalazione della condotta ed al Presidente Lanese il fatto di avere incoraggiato il comportamento omissivo dell’osservatore Ingargiola. Ad avviso della Corte è inattaccabile la ricostruzione in fatto dell’episodio effettuata dai giudici di primo grado, con conseguente rigetto dei gravami miranti ad una riforma della decisione sul punto. La Commissione ha posto in rilievo che dalle risultanze processuali (ed in particolare dalle indagini effettuate dal Nucleo Operativo dei C.C. di Roma, e trasfuse nel rapporto del relativo Comando Provinciale, oltre che dall’intrecciarsi delle intercettazioni telefoniche dei colloqui tra Lanese ed Ingargiola, avvenuti in due riprese dopo il termine della partita, da un lato, e di quelle tra Moggi e terzi ripetute nel tempo, dall’altro) emerge l’atteggiamento minaccioso ed irriguardoso assunto, con modalità diverse, ma egualmente deprecabili (l’uno minaccioso, l’altro irriguardoso), nei confronti di arbitro ed assistenti, alla presenza anche del quarto ufficiale e dell’osservatore Ingargiola, da parte di Moggi e Giraudo. La ricostruzione è precisa ed incontestabile, ed indiscutibile è la rilevanza in termini di disvalore deontologico delle condotte, a vario titolo, ascritte agli incolpati. In particolare, si consideri la narrazione dell’episodio (cfr. telefonata, prog. 907), effettuati con toni a metà strada tra il grottesco e l’incredulo dall’osservatore Ingargiola a Lanese, il quale, ascoltando il racconto del collaboratore secondo cui non aveva mai visto un episodio simile nella propria vita, non trovava di meglio che impartirgli la raccomandazione, come spessissimo è avvenuto nelle varie conversazioni telefoniche agli atti, di badare ai fatti propri (evidentemente non coincidenti con quelli dell’istituzione che rappresentava). Sulla medesima linea era il racconto telefonico di Moggi ad un giornalista (prog. 140), nella quale il dirigente si vantava di averli “fatti neri tutti quanti” e di averli “chiusi a chiave” con l’intento, poi scongiurato da qualcuno imprecisato di “portà via le chiavi”: cfr. le risultanze a pag. 25 e 26 dell’informativa di reato del Comando Provinciale di Roma dei C.C. redatta il 19 aprile 2005. I dirigenti hanno, infatti, violato gli spazi riservati alla direzione tecnica della gara e posto in essere un comportamento lesivo del loro onore e della loro dignità; l’arbitro Paparesta ha, in modo certo, tollerato l’incresciosa situazione ed omesso di denunciarla, anche a tutela del prestigio della funzione, oltre che individuale; il presidente Lanese ha tradito il proprio compito istituzionale di tutela della categoria ed il proprio dovere di ligia osservanza delle norme federali e di settore. Il tema delle sanzioni sarà affrontato in esito alla trattazione della prima parte della decisione impugnata. Per concludere l’esame della decisione appellata laddove è dedicata alla posizione della Juventus, vanno affrontate le impugnazioni di incolpati e Procura Federale relativamente alle gare Juventus – Lazio e Bologna – Juventus (e, quale possibile antecedente logico, Fiorentina – Bologna) e concernenti gli incolpati Moggi, De Santis e F.C. Juventus S.p.A. La Corte ritiene che le statuizioni, sul punto, della decisione impugnata (ad eccezione di quelle relative alla determinazione delle sanzioni, di cui si dirà in seguito) debbano essere confermate. Ed invero, è da condividere la generale conclusione della CAF secondo cui l’interferenza nella designazione arbitrale, riferibile ad un tesserato, non può dar luogo ad illecito sportivo ove non vi sia la prova rigorosa che a tale attività abbia fatto seguito l’ulteriore segmento che l’interesse per la designazione di uno specifico arbitro, manifestato da un dirigente di società sportiva, pervenga all’arbitro stesso e che da parte di esso traspaia, comunque, adesione alla richiesta. L’assenza del “segmento” tecnico della fattispecie a formazione progressiva (tale perché necessitante la concorrente partecipazione di più soggetti, ciascuno con competenze e responsabilità di ruolo adeguati al raggiungimento del risultato alterativo della gara, competizione o classifica) ne impedisce il relativo perfezionamento, mentre non osta affatto alla possibile sussumibilità delle condotte appartenenti al segmento iniziale (condotte interferenti) e , quindi, definibili come meri atti preparatori, nel paradigma di quelle poste in violazione dell’art. 1 CGS.
Più in particolare, la decisione impugnata ha isolato, dal contesto delle incolpazioni in esame, la posizione di Moggi decretandone correttamente la rilevanza nei termini appena menzionati, del tutto antagonisti rispetto alla contraria tesi difensiva. Il profuso materiale probatorio dimostra che vi fu un incontro, di pochi giorni precedente la gara Juventus – Lazio, tra Moggi, Giraudo, Pairetto e Bergamo e, altresì, che l’indomani di tale incontro e prima della comunicazione ufficiale del nome degli arbitri sorteggiati il primo ne fosse già a conoscenza. Vi è, altresì, la prova, in atti, dell’indebita interferenza di Moggi su Bergamo in vista della formazione della griglia di arbitri destinati a dirigere gare da disputare nella giornata in cui si giocava Juventus – Udinese. Non può, però, ritenersi raggiunta – contrariamente all’assunto della Procura Federale – la prova che all’arbitro De Santis fosse pervenuta la richiesta di Moggi – pur adombrata nel corso di una apposita conversazione telefonica, di cui a pag. 102 della decisione – di intervenire punitivamente sui giocatori diffidati del Bologna per renderne certa la squalifica nella successiva gara che tale squadra avrebbe disputato contro la Juventus, né che suoi, eventuali, errori tecnici disvelassero una illecita volontà favoritistica per tale squadra. Conclusivamente, va confermata la riconducibilità delle condotte di Moggi alla trama dell’art. 1 ed esclusa qualunque responsabilità di De Santis a proposito dell’incolpazione in esame. Concluso l’esame delle varie ed articolate posizioni, ricomprese nei capi di incolpazione da 1 a 10, la Corte osserva quanto segue in relazione alle sanzioni da irrogare ai soggetti dichiarati colpevoli e, in via preliminare, ai criteri di presidio per la relativa determinazione. La decisione di primo grado ha combinato i criteri di applicazione della pena risultanti dal primo comma dell’art. 13 C.G.S., e dipendenti dalla natura e gravità dei fatti commessi con quelli, sempre in punto di gravità, desumibili dall’art. 133 del codice penale e legati alle modalità delle azioni poste in essere, alla loro incidenza concreta rispetto al campionato 2004/2005 ed all’immagine dello sport italiano, all’intensità della colpevolezza in relazione alle singole posizioni funzionali, all’accertata pluralità di illeciti, alle condizioni economiche del responsabile (nel caso di ammende), alla lesione arrecata alla funzione ed all’immagine della categoria ( rispettivamente di dirigenti federali ed arbitri). La Corte ritiene che, in linea di principio e con riferimento alla generalità dei casi su cui è chiamata a pronunciarsi, debbano essere tenuti in considerazione i citati criteri ispiratori di natura generale ed astratta, salva la necessità di concreta commisurazione e temperamento con ulteriori criteri integrativi da applicarsi nei singoli casi in modo da realizzare un bilanciamento tra la doverosa afflittività della pena e particolari condizioni soggettive ed oggettive tale da portare ad una determinazione equa e ragionevole della sanzione. Con riferimento alle posizioni, sin qui, esaminate la Corte osserva quanto segue. Va confermata la pena di cinque anni di inibizione e proposta al Presidente federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. e all’ammenda di 50.000 euro motivatamente inflitta a Moggi alla luce sia dell’affermata responsabilità per gravi episodi di illecito sportivo, sia dalla protrazione nel tempo, sostanzialmente corrispondente allo svolgimento del campionato 2004/2005, della sua condotta strutturalmente rivolta al conseguimento dello scopo di alterazione della competizione per effetto del condizionamento della classe arbitrale, sia, infine e con particolare rilievo, alla luce della completa realizzazione in termini effettuali dell’illecito disegno, che ha incrinato la pubblica fiducia nella lealtà delle competizioni sportive. Considerazioni analoghe valgono per Giraudo, la cui pena va confermata, anche se essa contempla una più lieve sanzione economica (20.000 euro di ammenda) a causa della minor frequenza dei colloqui telefonici con i designatori, senza che ciò possa essere, in alcun modo, considerato indice di dissociazione o inconsapevolezza dall’operato di Moggi e della sua attività strutturalmente orientata verso scopi illeciti. Per quanto concerne la pena da irrogare alla società Juventus occorre tenere conto cumulativamente di una serie di fattori. In primo luogo, deve porsi nel dovuto rilievo il, già ricordato, carattere stabile e duraturo, nel corso della stagione sportiva 2004/2005, della condotta illecita ed antidoverosa dei propri dirigenti, del conseguimento dell’obiettivo di condizionamento a proprio favore del settore arbitrale, dell’ulteriore vantaggio dell’alterazione della classifica e dell’ottenimento della vittoria del campionato, della rimarchevole ed irreparabile alterazione della parità di condizioni di contendibilità del titolo sportivo rispetto a molte altre squadre, del beneficio tratto dalle condotte dei propri dirigenti che, seppure non diano formalmente vita ad un “sistema”, solo per difetto della previsione dell’illecito sportivo associativo, sicuramente possiedono il carattere altamente inquinante della sistematicità e della stabilità organizzativa: l’aggregazione di tutti questi disdicevoli elementi è, peraltro, addebitabile, tra tutti gli incolpati del presente procedimento, solo alla Juventus, ciò che ne rende incomparabile, in negativo, la posizione rispetto ad ogni altro. Va poi tenuto conto della ricorrenza dell’aggravante dell’effettivo conseguimento del vantaggio in classifica, come prescritto dall’art. 6, comma 6, C.G.S.. A fronte di tali pesantissimi elementi negativi appare equo porre, con il dovuto effetto mitigativo della pena, rispetto a quella inflitta in primo grado, l’importante e prestigiosa storia sportiva, di cui ha sempre percepito i frutti anche la prima squadra nazionale, della società (elemento di cui l’ordinamento sportivo tende, sempre più spesso, a tener conto, come dimostra il favore verso la riammissione in campionati immediatamente meno elevati, di quello di competenza, di società dichiarate, fallite, ma portatrici di un glorioso passato atletico) nonché la rimozione, o la mancata opposizione alle dimissioni, dei dirigenti responsabili della condanna.
Va ritenuta congrua la seguente pena che, necessariamente, interviene lungo una triplice traiettoria temporale:
1) la sanzione della revoca dell’assegnazione dello scudetto 2004/2005 è l’effetto diretto dell’accertata alterazione del campionato ad opera della società e dei suoi dirigenti e va inflitta come pena autonoma, ai sensi della lettera i) dell’art. 13 CGS, così confermandosi la decisione di primo grado;
2) la sanzione della non assegnazione del titolo di campione di Italia 2005/2006 e della retrocessione all’ultimo posto in classifica nello stesso, ai sensi del combinato disposto della disposizione da ultimo citata e della lettera g) della norma in questione, dipendono dalla circostanza che va considerato “campionato di competenza”, a scopi concretamente sanzionatori, quello nel quale l’illecito è accertato (argomentando dalla logica osservazione sviluppata, sul punto, dalla Commissione disciplinare nella propria decisione del 27 luglio 2005, in comunicato ufficiale n. 10 della Lega Nazionale Professionisti, relativa al cd. “caso Genoa”) o giudicato, allorquando non sia più possibile intervenire su quello in cui l’illecito fu consumato (che costituisce la cornice tipica del campionato di “competenza”): sanzione generata dalla speciale gravità dei fatti commessi e, dunque, da confermare, assieme a quella pecuniaria di 80.000 di ammenda, certamente commisurata alle capacità economiche della società.
3) la sanzione della penalizzazione nella prossima stagione sportiva, volta ad attribuire adeguata efficacia anche deterrente al trattamento complessivo, nella misura ragionevolmente affittiva, di 17 punti (molto prossima alla dichiarazione di congruità della pena resa esplicita in primo grado dal difensore della società, su espressa sollecitazione del Presidente del Collegio) e della squalifica per 3 gare di campionato del campo di giuoco, così riformandosi equitativamente l’originaria pronuncia. Va confermata la sanzione di due anni e sei mesi di inibizione irrogata a Lanese, tenuto conto dell’opacità delle condotte ascrittigli, in particolare modo incompatibili con il prestigio della carica di Presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, e del conseguente disdoro provocato per il prestigio della categoria. Per ciò che concerne la posizione di Pairetto è da ribadire l’effetto devolutivo generale in ordine all’esame della sua posizione conseguito all’impugnazione della Procura Federale. Valutando i suoi comportamenti emergono gravi ed univoci sintomi di disvalore e prove di ripetute offese alla deontologia e alla credibilità della sua delicatissima funzione di designatore arbitrale, seriamente compromessa dalle frequentazioni e dai rapporti descritti nella parte che precede. La Corte ritiene debba essere, pertanto, opportunamente aggravata la pena inflitta in primo grado, elevandola da due anni e sei mesi a tre anni e sei mesi di inibizione. Venendo alla posizione di Paparesta, la Corte rileva, in primo luogo ed in aderenza a principi generali dell’ordinamento giuridico, come la pendenza del presente procedimento disciplinare precluda la possibilità di assoggettamento ad ulteriore sanzione in ogni ambito e settore dell’ordinamento federale della medesima condotta fenomenicamente intesa, fatta salva la possibilità da parte dei competenti organi tecnici di dedurre dagli accertamenti racchiusi, in via definitiva, nel presente giudizio elementi di valutazione di ordine tecnico – professionale, ai fini propri del settore arbitrale. Ciò premesso, la Corte è certa che sia tutt’altro che eccessiva, e che vada quindi confermata, la sanzione dell’inibizione per tre mesi inflitta dai giudici di primo grado, tenuto conto della gravità della violazione, sintomatica di un atteggiamento remissivo e debole di un prestigioso arbitro internazionale di fronte a fatti mortificanti per la sua persona e per la dignità della funzione. Incidentalmente va osservato, così rispondendo ad una apposita deduzione difensiva, che la pena si considera espiata dal momento iniziale in cui essa produce l’effetto affittivo, computando in essa anche la eventuale sospensione cautelare comminata dall’AIA.
D - Posizione della S.S. Lazio S.p.a., di Claudio Lotito e di Franco Carraro
Il capitolo della decisione impugnata relativo alla posizione della società Lazio si snoda in una serie di contestazioni delle quali, rispetto alle originarie, residuano, in questa sede, soltanto quelle riguardanti la gara Lazio – Brescia, del 2 febbraio 2005, e la gara Chievo Verona – Lazio, del 20 febbraio successivo.
Iniziando da quest’ultima, va osservato che erano chiamati a rispondere:
1) Claudio Lotito, quale Presidente del consiglio di gestione della SS Lazio S.p.A., per avere avviato contatti con il Vice Presidente Federale Innocenzo Mazzini, affinché questi esercitasse pressioni su Bergamo e Pairetto tendenti all’alterazione della gara in favore della Lazio tramite la designazione di un arbitro che garantisse la realizzazione del risultato;
2) Mazzini, Bergamo, Pairetto e l’arbitro della gara, Gianluca Rocchi, per aver posto in essere atti diretti, ex art. 6 C.G.S., ad alterare il risultato della gara;
3) La S.S. Lazio S.p.A. a titolo di responsabilità diretta e presunta.
La decisione di primo grado ha osservato che in relazione a tale gara non poteva ritenersi sussistente la prova ( oltre ogni ragionevole dubbio) del compimento, da parte dei deferiti, di atti costituenti illecito sportivo, ex art. 6 cit. In particolare, i primi giudici sono stati dell’avviso che, per quanto fosse acquisita la prova inoppugnabile di contatti telefonici, in momenti anteriori e posteriori alla gara, tra Mazzini, Lotito ed un dirigente federale (Cosimo Maria Ferri), la cui rinuncia al tesseramento ha fatto venir meno la giurisdizione federale nei suoi confronti, non vi fosse la prova adeguata del compimento di atti diretti ex art. 6 e che, in ogni caso, mancasse quella della chiusura del segmento arbitrale, attraverso la necessaria comunicazione all’arbitro Rocchi, della quale, ad avviso dei primi giudici, sarebbe appunto mancata qualsiasi traccia. La CAF riteneva, tuttavia, che dal colloquio telefonico dell’8 febbraio 2005 tra Bergamo e Mazzini emergesse la prova dell’avvenuta iniziativa di Lotito presso Carraro per sensibilizzarlo alla posizione della Lazio nonché del successivo intervento di Carraro presso Bergamo (colloquio sul quale si tornerà più analiticamente esaminando la precedente gara Lazio-Brescia), ciò che avrebbe determinato l’infrazione dei doveri di cui all’art. 1 CGS da parte di Lotito e Mazzini e la responsabilità diretta e presunta della Lazio. La decisione, impugnata sia dall’accusa, che dagli incolpati, si sottrae ad ogni censura e va, quindi, confermata. Ed infatti, va, ancora una volta, prestata adesione allo schema logico, con lungimiranza adottato dai primi giudici, che li ha portati a distinguere, nella sequenza di condotte che secondo l’atto di accusa sarebbero state tra loro concatenate ai fini della commissione dell’illecito sportivo, tra comportamenti sleali e scorretti, ma inefficienti sul piano della concreta, univoca ed idonea direzione al fine dell’alterazione proibita, e condotte che, tra loro teleologicamente connesse in ogni quota, possano considerarsi atte e rivolte allo scopo punito dall’art. 6 CGS. E con particolare rigore probatorio – che consente di superare tutte le censure mosse alla decisione - i primi giudici hanno guardato alla prima delle due categorie di condotte descritte che non risultassero seguite dalla piena realizzazione del segmento tecnico costituito dall’informazione del piano illecito rivolta all’arbitro e della sua fattiva adesione ad esso attraverso una (deviata) prestazione tecnica. La Corte non può che ribadire, al riguardo, che la mancata informazione svilisce la portata del primo segmento di condotte, relegandole alla categoria, anche penalmente irrilevante, dei meri atti preparatori, non meritevoli di specifica rilevanza.Anche nel caso che adesso ci occupa la CAF ha fatto puntuale e persuasiva applicazione di questo criterio direttivo, rilevando come non vi fosse, comunque, prova alcuna della ricorrenza del segmento tecnico, pervenendo all’ineccepibile conclusione che tale carenza impoveriva, rendendola in configurabile, l’ipotesi accusatoria ex art. 6 CGS. In modo parimenti convincente e congruamente motivato (ciò che rende caduca l’impugnazione) la CAF ha ravvisato nel colloquio prima citato tra Bergamo e Mazzini (su cui, come detto, si tornerà tra breve) la prova logica e diretta del compimento da parte del secondo interlocutore e di Lotito di comportamenti contrari alla clausola generale dell’art. 1 GS, in quanto intenzionalmente propedeutici e strumentali ad un’illecita alterazione sportiva, in concreto mancante per carenza della (prova della) sussistenza del segmento arbitrale.
Sotto ciascuno di questi profili, la decisione impugnata va confermata in parte qua, con rinvio al paragrafo dedicato al trattamento sanzionatorio delle considerazioni circa gli effetti discendenti dalle condotte prima illustrate.
I primi giudici si sono, inoltre, pronunciati – come detto - sulla gara Lazio-Brescia in relazione alla quale erano stati deferiti:
a) Lotito per avere avviato contatti con Carraro affinché questi premesse su Bergamo al fine della designazione di un direttore di gara favorevole alla sua squadra nella prospettiva dell’alterazione del risultato;
b) Carraro per aver esercitato pressioni su Bergamo al fine suddetto;
c) Mazzini, ai sensi dell’art. 6, comma 7, CGS, per aver omesso di informare i competenti organi federali dell’illecito del quale era venuto a conoscenza;
d) la S.S. Lazio SpA per responsabilità diretta e presunta.
La decisione impugnata perveniva alla conclusione della sussistenza della responsabilità per illecito sportivo di Lotito e Carraro, di quella omissiva di Mazzini, nonché della responsabilità sia diretta, che presunta ascritta alla società Lazio.
In particolare, la CAF sottolineava come, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, il presidente Lotito fosse intervenuto presso il Presidente della FIGC Carraro ed il Vice- Presidente Mazzini per ottenere un trattamento di favore nei confronti della propria società, la cui prima manifestazione si sarebbe avuta alla vigilia della gara in esame mediante un intervento diretto di Carraro presso Bergamo, cui avrebbero fatto seguito ulteriori contatti di Mazzini con Lotito e con i designatori (va qui limitato l’esame della complessiva ricostruzione della vicenda Lazio alla partita con il Brescia). La decisione impugnata prosegue conferendo carattere di centralità al colloquio telefonico tra Carraro e Bergamo, avvenuto nel giorno immediatamente antecedente alla gara, che sarebbe stato rivolto ad ottenere un trattamento arbitrale di favore per la Lazio (sia pure senza indebite penalizzazioni per l’altra squadra, nel senso che come era ovvio se fosse stata più meritevole essa avrebbe dovuto vincere), come sarebbe emerso da una conversazione tra gli stessi interlocutori, effettuata l’indomani della gara, in cui il primo lamentava un errore tecnico dell’arbitro Tombolini che non avrebbe concesso un rigore alla Lazio e rinnovava la richiesta di attenzione verso la società cui “bisogna dare una mano”. Veniva dai primi giudici ulteriormente sottolineato che, nel corso della seconda telefonata, Bergamo, consapevole dell’errore compiuto dall’arbitro Tombolini, prometteva a Carraro che, anche se “la cosa era preparata bene e non è riuscita bene… questa è la verità e quindi lui paga di persona” e, comunque, che in seguito si sarebbe recuperato. La Commissione traeva poi ulteriori elementi di conferma circa l’effettivo interessamento di Carraro alle sorti della Lazio dal colloquio tra Bergamo e Mazzini, mentre valorizzava, in altra prospettiva, la conversazione telefonica, dall’acceso tono recriminatorio, del primo con Tombolini, al termine della gara Lazio-Brescia, per il rigore non concesso alla squadra romana e per non aver preso “le occasioni” che aveva. La Commissione poneva, infine, in rilievo che, nella specifica vicenda adesso in esame, Mazzini avrebbe svolto un ruolo solo successivo allo svolgimento della gara e di mero mandatario di Lotito, con la sua conseguente responsabilità per l’omissione di denuncia dell’illecito posto in essere da Lotito e Carraro, addebitato anche alla Lazio. Ciò premesso, la Corte rileva che, mentre è immune da censure la ricostruzione della cornice fattuale concernente l’incolpazione in parola ed è completo l’esame del materiale probatorio, i fatti stessi sono suscettibili di diversa interpretazione e qualificazione, con differenti esiti di giudizio rispetto a quelli scaturiti dalla prima decisione ed espressamente contestati negli appelli degli incolpati. Va subito detto che concorre alla riforma della statuizione in esame anche il materiale probatorio prodotto nel corso del dibattimento svoltosi davanti la Corte, che ha acquisito copia delle dichiarazioni rese il 12 luglio 2006 dall’arbitro Tombolini all’Ufficio indagini della FIGC, in merito alla gara Lazio-Brescia. Egli ha, in particolare, dichiarato di aver interpretato la richiesta di Bergamo di prestare la massima concentrazione per la direzione della partita come una semplice “raccomandazione di carattere squisitamente tecnico”, tenuto conto che si trattava di una gara difficile. Lo stesso Tombolini ha pure escluso che Bergamo gli avesse mai detto che in relazione alla gara vi fosse un interesse anche di Carraro. Va, infine, posto nel debito rilievo che sempre Tombolini, a proposito del suggerimento ricevuto da Bergamo, di mettersi “sulla lunghezza d’onda giusta”, abbia dichiarato di aver percepito la frase come sottolineatura della necessità della massima concentrazione nella direzione della gara. Analogamente, come mero commento tecnico, Bergamo contestò a Tombolini la mancata concessione di un rigore a favore della Lazio, del quale l’arbitro ha candidatamene ammesso di non essersi accorto. Riguardo a tali dichiarazioni non vi è prova della loro inattendibilità o di possibili contrasti con altri elementi acquisiti agli atti.Ciò premesso, in via preliminare non può che ribadirsi l’assoluta affidabilità dell’orientamento che ha informato la CAF nella individuazione degli elementi necessari per la configurazione dell’illecito sportivo, ed in particolare di quello consistente nella consapevole e proficua partecipazione al disegno illecito della componente arbitrale, senza la quale il precedente segmento progettuale, come visto a proposito di singole gare della Juventus, e come si vedrà anche a proposito di gare della Fiorentina, resta privo di rilevanza causale ai fini del raggiungimento del risultato dell’alterazione della singola gara. Ora, nel caso di specie, vi è un primo elemento di innegabile significatività che balza agli occhi, e cioè che, a differenza di tutti gli altri deferimenti (ad eccezione di Lazio-Fiorentina di cui si dirà oltre) per illecita alterazione del risultato di una gara attraverso la direzione arbitrale, l’arbitro non viene chiamato a rispondere dell’illecito, la sua prestazione non viene prospettata come efficiente allo scopo vietato e non viene nemmeno menzionata né la sua consapevolezza dell’accordo frodatorio, né, tanto meno, la sua adesione ad esso. E le dichiarazioni di recente rese da Tombolini all’Ufficio indagini non contribuiscono, come appena visto, in alcun modo a far mutare la situazione, consolidando, piuttosto, la convinzione della sua totale estraneità a qualunque disegno illecito e quella che egli abbia commesso un involontario errore tecnico nel corso della gara e non un tradimento di qualsivoglia – nè dedotto, né provato dall’accusa – impegno a falsare l’andamento della stessa a vantaggio della Lazio. A questa stregua, non è logicamente concepibile un articolato disegno illecito in cui manchi del tutto la partecipazione arbitrale ad esso, e non sia nemmeno immaginata nella stessa formulazione dell’atto di accusa (in cui non viene nemmeno citato il nome dell’arbitro): la coerente conseguenza di tale constatazione è quella dell’impossibilità di ritenere provata la commissione di un illecito ex art. 6 CGS, monco, sin dall’origine, del suo essenziale segmento conclusivo. Ed invero, mentre è assolutamente innegabile l’esistenza di un accordo bilaterale tra Carraro e Bergamo volto a garantire una speciale attenzione al trattamento che avrebbe dovuto ricevere la Lazio (che nel recente passato aveva ufficialmente lamentato, sin dal 25 gennaio precedente, al Presidente Federale gravi ingiustizie arbitrali e sollecitato un intervento di riequilibrio e di prevenzione di ulteriori torti), in modo che non si perpetuassero lagnanze e si placassero le notevoli tensioni ambientali, appare verosimile che tale intesa telefonica non possedesse l’attitudine ad alterare il risultato della gara Lazio-Brescia. E ciò, dal punto di vista oggettivo, per la ragione, prima illustrata, secondo cui il difetto del segmento arbitrale esclude efficacia causale a qualunque accordo in ipotesi fraudolenta, e, dal punto di vista soggettivo, perché – come rilevato in precedenza - non vi è alcuna prova che Carraro agisse per scopi diversi da quelli istituzionali di garantire il regolare andamento del campionato, che avrebbe potuto essere turbato dalla prosecuzione di errori arbitrali ai danni della Lazio. Questo non esclude che la valutazione dei comportamenti sia di Lotito, in quanto tesi al tentativo di modifica di un trend arbitrale sfavorevole alla Lazio attraverso la combinazione di pubbliche denunce e di privati interventi indiretti presso i designatori arbitrali, che di Carraro, in quanto posti in essere attraverso un canale informale e non trasparente presso uno solo dei designatori, piuttosto che per il doveroso tramite dei competenti organi federali preposti ad una ufficiale valutazione tecnica dell’operato arbitrale e suscettibile di ingenerare la convinzione (che di fatto sembra essere maturata) in Bergamo che alla telefonata del Presidente Federale occorresse dare un qualche seguito effettuale in termini di irrobustimento della posizione della Lazio nella considerazione arbitrale, ricadono pienamente nel dominio dell’art. 1 CGS. Ne consegue la responsabilità diretta allo stesso titolo della Lazio e quella ex art. 1 CGS di Mazzini, il cui comportamento omissivo va, per effetto della diversa qualificazione dei fatti oggetto dell’originaria incolpazione, valutato non più come omessa denuncia di un illecito ormai giudicato insussistente, ma come sintomo inequivocabile e serio di slealtà, scorrettezza ed assenza di senso di probità. Quanto alle sanzioni, viene, in primo luogo, in rilievo la posizione di Lotito, del quale va considerata con carattere di preponderanza la condizione apicale e rappresentativa della società, che gli avrebbe imposto un comportamento esemplare anche per le negative ricadute di immagine, sia agli occhi dei dipendenti che dei sostenitori, che disinvolti comportamenti, pressanti e pretensivi, avrebbero – ed hanno in effetti–potuto prevedibilmente produrre. Ad attenuare parzialmente la negativa valutazione della condotta in esame può solo contribuire la almeno putativa convinzione di agire per l’eliminazione di ingiustizie e danni per la propria società. Appare equa la pena di 2 anni e 6 mesi di inibizione e di 30.000 euro di ammenda. Circa la posizione della Lazio, responsabile diretta dell’operato del proprio Presidente, la sanzione deve tener conto adeguatamente delle considerazioni prima svolte ed essere determinata, alla luce di un non effimero carattere afflittivo sia sul piano puramente sportivo, che su quello economico, nella penalizzazione di 30 punti nel campionato 2005-2006, in 11 punti di penalizzazione nel campionato 2006-2007, nella squalifica del campo di gara per 2 giornate di campionato ed in 100.000 euro di ammenda.
Alla luce di quanto sopra, valutata in ottica diversa, suffragata anche dai nuovi elementi di prova, la rilevanza del comportamento tenuto dal Carraro, è necessario riformare la decisione impugnata resa in prime cure e giusta sanzione appare essere quella dell'ammenda (di euro 80.000), gravata da diffida quale monito ad attenersi, per il futuro, ad una più oculata osservanza dei doveri deontologici. La posizione di Mazzini verrà trattata allorché sarà completo l’esame delle incolpazioni che lo riguardano. E - Posizione della A.C.F. Fiorentina S.p.a., di Andrea Della Valle, di Diego Della Valle, di Sandro Mencucci, di Innocenzo Mazzini, e di Massimo De Santis La decisione impugnata si è dedicata approfonditamente ai deferimenti conseguiti alle gare Bologna-Fiorentina, Chievo Verona-Fiorentina, Fiorentina-Atalanta, Lazio-Fiorentina e Lecce-Parma della stagione sportiva 2004-2005, disputatesi tra il 24 aprile ed il 29 maggio 2005, ed accomunate dalla circostanza che Andrea Della Valle, Diego Della Valle, Sandro Mencucci, Innocenzo Mazzini si sarebbero adoperati presso Paolo Bergamo per ottenere arbitraggi favorevoli alla Fiorentina e, quindi, l’alterazione dei risultati delle gare. Degli illeciti contestati venivano chiamati a rispondere, oltre la società a titolo sia oggettivo che diretto, Paolo Bertini, Paolo Dondarini, Pasquale Rodomonti e Massimo De Santis, rispettivamente arbitri delle gare della squadra col Bologna, col Chievo Verona, con l’Atalanta e di Lecce-Parma. I primi giudici hanno ripercorso cronologicamente le tappe delle varie incolpazioni, individuando, alla luce delle considerazioni svolte nell’atto di deferimento, la genesi dei comportamenti addebitati alla società toscana ed ai suoi dirigenti e soci. In sintesi, il presupposto delle condotte oggetto di deferimento appare costituito dalla volontà della proprietà Della Valle di reagire all’ostilità che essi credevano di avvertire nell’ambiente calcistico nei confronti della propria squadra, verso cui lamentavano iniqui trattamenti arbitrali, stabilendo contatti, anche attraverso il consigliere esecutivo Mencucci, con dirigenti federali, designatori arbitrali e dirigenti di altre società. Anche nel caso della Fiorentina – come in quelli esaminati della Lazio e del Milan, di cui si dirà oltre, ed a differenza della Juventus, in cui, di fronte ad un’unica contestazione circa la direzione di una gara, Moggi decise di farsi giustizia direttamente da sé, senza attendere o impetrare interventi altrui, a dimostrazione di una posizione di prepotere, che, negli altri casi sarebbe stata, secondo le affermazioni degli interessati, del tutto mancante - l’origine dei contatti di cui si discute, è recriminatoria e muove dal deplorato arbitraggio della partita Fiorentina-Messina del 17 aprile 2005, conclusasi in pareggio grazie ad una rete segnata al sesto minuto di recupero dalla squadra siciliana ed a seguito dell’espulsione di un calciatore fiorentino, che aveva protestato contro l’eccessiva misura del recupero giudicato sproporzionato a quanto si era verificato nel corso della gara. Quattro giorni dopo detta gara, Andrea Della Valle e Mencucci chiamarono Mazzini per esprimere le proprie doglianze e prospettarono la necessità di un “aiuto” per evitare la paventata retrocessione. L’esito della telefonata fu che il Vice-Presidente Federale escluse che della questione si potesse parlare per telefono, suggerendo un incontro con Bergamo. Così identificata la genesi dei comportamenti dedotti nell’atto di incolpazione, la Commissione ha concentrato il proprio giudizio su ciascuna delle gare incriminate, pervenendo a conclusioni separate. La Corte, reiterata la premessa storica prima illustrata, che è frutto della lettura della trascrizione della conversazione telefonica del 22 aprile 2005, riproporrà il modello di analisi seguito dai primi giudici e, quindi, di esame separato di ciascuna delle gare, così pronunciando sulle impugnazioni, di volta in volta, proposte dagli interessati o dalla Procura federale. La CAF ha ritenuto che non fossero stati raccolti sufficienti elementi di prova della commissione degli illeciti contestati riguardo alle gare Bologna-Fiorentina e Fiorentina- Atalanta. La Corte ritiene che entrambe le statuizioni siano perfettamente condivisibili e meritevoli di conferma, con conseguente rigetto dell’impugnazione della Procura federale. Ed invero, esse sono assolutamente conformi al metro di giudizio applicato, in via di principio, dai primi giudici – e da questa Corte ritenuto immune da vizi logici ed errori giuridici – secondo cui gli atti alternativamente diretti alla realizzazione della triplice categoria di illeciti, prevista dall’art. 6, debbono rivelare una concreta idoneità causale ed attraversare tutta la serie di apporti necessari per il raggiungimento dello scopo, toccando, quindi, sia i dirigenti delle società interessate, che i designatori arbitrali, che gli arbitri destinati alla direzione tecnica della gara, della cui consapevolezza e fattiva partecipazione al piano occorre emerga, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova. Ora, con riferimento alla prima delle due gare in questione, è evidente che nessun elemento provi né che la prima telefonata tra Mencucci e Mazzini, avvenuta successivamente alla designazione dell’arbitro Bertini, fosse rivolta allo scopo fraudolento contestato (essendosi limitato il secondo a parlare dell’arbitro come “grande amico”, anche se non sempre favorevole, in passato, alla Fiorentina, ed avendo espresso il mero auspicio, non accompagnato né da promesse, né da preannuncio di interventi volti al condizionamento, che l’atteggiamento potesse mutare) né che la seconda, successiva alla gara, rivelasse qualcosa di diverso dalla constatazione che si era trattato di partita del tutto priva di eventi emozionanti negli ultimi minuti (così ben si può spiegare, secondo logica e buon senso, la frase una “vergogna nazionale”). Del resto, è stato esattamente osservato dai primi giudici che la gara stessa non ha offerto alcun aspetto di controversia, quanto alla direzione arbitrale. Analoghe considerazioni debbono valere per la successiva gara Fiorentina-Atalanta, del 15 maggio 2005, conclusasi, come la precedente, con il punteggio di 0-0, ed arbitrata da Pasquale Rodomonti. Ancora una volta, il colloquio telefonico tra Mencucci e Mazzini (significativo, ai fini della valutazione comparata con la successiva gara Lecce-Parma, che l’intervento del primo si sia sempre limitato ad osservazioni o commenti generali e non si sia mai spinto a pressioni o concreti tentativi di condizionamento, che erano, invece, lasciati a Diego Della Valle, vero titolare dell’interesse in giuoco e dotato di poteri ed autorevolezza effettivi nei confronti dei suoi interlocutori, a dispetto della ridotta posizione formale in ambito societario) anteriori alla gara, non depone, in alcun modo, nel senso del compimento di atti diretti alla sua alterazione, essendosi il dirigente fiorentino limitato ad esprimere un giudizio di scetticismo sulle sorti della partita (“però ci vogliono male” e “più cattivi di così”). Né l’andamento della gara, dal punto di vista tecnico-arbitrale, ha suscitato apprezzabili proteste o plausibili critiche. In conclusione, è da escludere la fondatezza dell’accusa in questione. La Corte ritiene che debba escludersi ogni responsabilità a carico dei deferiti, a vario titolo, in relazione alla gara Lazio-Fiorentina, del 22 maggio 2005, rispetto alla quale l’atto di deferimento prospetta un primo illecito consistente nella proposta di accomodamento, con un pareggio concordato, della gara rivolta telefonicamente, un mese prima della stessa, da Diego Della Valle a Lotito, e da questo rifiutato (e non denunciato), ed un secondo illecito, ascritto ai fratelli Della Valle ed a Mencucci, avente ad oggetto i loro interventi, attuati col sostegno di Mazzini, presso Bergamo per ottenere un arbitraggio favorevole alla Fiorentina, in modo da realizzare l’alterazione del risultato della gara a favore della società. La Corte ritiene, infatti, che, contrariamente alle conclusioni cui è pervenuta, sulla gara in questione, la decisione impugnata, non sia stata raggiunta la prova sicura e chiara della commissione degli illeciti contestati, come fondatamente dedotto nell’impugnazione degli incolpati. Va, in primo luogo ed incidentalmente, posto nel debito rilievo che l’arbitro di questa gara, Roberto Rosetti, non figura tra i deferiti, sebbene la ragione sia stata dal Procuratore Federale semplicemente ravvisata nel mancato compimento dell’istruttoria preliminare: la Corte non può, tuttavia, mancare di sottolineare che, quale che possa essere stata la ragione contingente del mancato deferimento di Rosetti, la circostanza indebolisce in modo molto serio il telaio accusatorio, perché fa mancare ad esso, anche in termini di ipotetica prospettazione della connivenza arbitrale (di fatto nemmeno adombrata), quel fondamentale segmento tecnico che costituisce un caposaldo del metodo di giudizio sempre utilizzato nel presente procedimento come stella polare delle valutazioni di questa Corte.
Sempre in via preliminare, va aggiunto che dal presente procedimento è stato estromesso, in primo grado, per sopravvenuta carenza di giurisdizione conseguente alle dimissioni rassegnate dopo il deferimento, Cosimo Maria Ferri, inizialmente rinviato al giudizio disciplinare per non aver denunciato la proposta di aggiustamento della gara della quale sarebbe stato informato, in virtù dei particolari rapporti di conoscenza con Lotito: è venuto, così, a mancare al processo un prezioso contributo probatorio.
Ciò premesso, si osserva che il fondamentale elemento di prova quanto al primo illecito (che coinvolge oltre i dirigenti fiorentini, Lotito e la Lazio) è costituito da una telefonata, avvenuta in data imprecisata, ma certamente anteriore al 22 aprile 2005, tra Diego Della Valle e Lotito, che avrebbe avuto ad oggetto la combinazione illecita del risultato della gara destinata ad essere disputata il 22 maggio successivo, come sarebbe possibile desumere da due colloqui telefonici tra Lotito e Mazzini del 22 aprile 2005 (alla presenza di Ferri, che, anzi, iniziò la conversazione per conto del primo) e tra quest’ultimo ed il segretario Renzi dell’indomani.
Ora, da questi colloqui indiretti non possono dedursi elementi univoci e certi che la telefonata tra Diego Della Valle e Lotito fosse rivolta ad acquisire il consenso del secondo ad una non meglio definita, negli aspetti essenziali, “combine”.
Si consideri, infatti, che:
1) dal punto di vista logico, è arduo supporre che una proposta fraudolenta venga avanzata con così largo anticipo (almeno un mese) rispetto all’evento, in un momento in cui non era minimamente prevedibile quale sarebbe stata la posizione in classifica delle squadre e se, quindi, sarebbe stato ancora attuale l’interesse reciproco all’accordo illecito;
2) nessun brano delle due telefonate (Lotito-Mazzini e Mazzini-Renzi) contiene il minimo riferimento all’oggetto ed alle modalità del presunto accordo: si ignora, infatti, se la frode consisteva nell’aver trattato un pareggio o un altro risultato;
3) manca, altresì, qualunque riferimento, anche indiretto o congetturale, al movente o
all’utilità dell’iniziativa o alla sua remunerazione;
4) la qualificazione, data da Lotito, di proposta “oscena” o da “bandito” è insufficiente a connotare in senso fraudolento, e con riferimento alla gara in questione, la asserita richiesta di Diego Della Valle, alla luce delle carenze logiche e probatorie prima indicate;
5) è rimasta del tutto incontestata, e, quindi, insuperata la spiegazione fornita da Lotito tanto all’Ufficio Indagini, quanto nel corso del dibattimento di primo grado, secondo cui la proposta avrebbe avuto ad oggetto i criteri di ripartizione dei diritti televisivi, questione in quel momento aperta e controversa tra i dirigenti calcistici italiani;
6) non si spiegherebbe, in ogni caso, la reticenza di Lotito a denunciare l’eventuale proposta illecita, tenuto conto che egli l’avrebbe rifiutata ed anche della sua manifesta ostilità nei confronti di Diego Della Valle che traspare nel corso del colloquio con Mazzini.
La Corte è, quindi, dell’avviso che non possa ritenersi provato il primo episodio di illecito, con conseguente proscioglimento di tutti gli incolpati e di riforma, sul punto, della decisione impugnata. A non dissimili conclusioni deve pervenirsi anche con riferimento al secondo illecito prospettato, che allude ad un articolato piano in vista del raggiungimento dell’obiettivo dell’alterazione del risultato della partita affidato all’interazione tra i fratelli Della Valle, Mencucci, Mazzini e Bergamo. Ed infatti, fermo restando quanto prima detto circa l’assenza del segmento arbitrale nel contesto probatorio, le numerose conversazioni telefoniche poste a fondamento della pronuncia di affermazione di responsabilità (che riguardano, oltre che gli incolpati, anche Moggi, a conferma della centralità del ruolo di quest’ultimo nel sistema calcistico italiano ed anche per vicende estranee alla Juventus, ma relative a società, come la Fiorentina, con la quale quella torinese doveva risolvere delicati rapporti di comproprietà delle prestazioni atletiche di calciatori: cfr., sul punto, la telefonata Mazzini-Giraudo del 26 aprile 2005) non sono adeguate alla dimostrazione concludente che fossero stati posti in essere atti concreti e specifici volti all’alterazione del risultato della gara. Si tratta, infatti, di conversazioni genericamente imperniate sulle preoccupazioni di classifica della Fiorentina e sulla necessità che la squadra si salvasse dalla retrocessione. Ma nulla in esse è detto circa le concrete misure che sarebbero state illecitamente ideate o poste in essere per assicurare la riuscita del piano o circa i soggetti che ne avrebbero dovuto essere protagonisti, ovvero attori, o circa i mezzi fraudolenti pensati per conseguire lo scopo. Né a colmare l’insufficienza probatoria può, ad avviso della Corte, soccorrere la telefonata tra Bergamo e Mazzini, successiva alla gara, in cui il primo, commentando un episodio di giuoco gravemente penalizzante per la Fiorentina, esclamò che “tutto era sistema … sistemato .. non sistemato … pilotato … pilotato!”, trattandosi di parole non chiaramente riferibili ad un soggetto ben identificato (sistemazione e pilotaggio della designazione, o del sorteggio, o della direzione di gara?) né imputabili ad un soggetto con certezza individuato (l’arbitro ? i dirigenti delle società ?). A questa stregua, non soltanto non v’è prova sufficiente della commissione dell’illecito, ma deve anche escludersi che le condotte degli imputati possano assumere – come, invece, avvenuto nella gara Lazio-Brescia in cui erano espliciti i riferimenti alla designazione arbitrale – rilievo ai sensi dell’art. 1, se non con riferimento alla posizione di Mazzini (tenuto conto del suo ruolo di Vice-Presidente Federale che gli avrebbe dovuto impedire contatti impropri con tesserati e società) sul cui trattamento sanzionatorio si pronuncerà al termine dell’esame di tutte le incolpazioni rivoltegli. La CAF ha ritenuto provate tutte le accuse d’illecito formulate con riguardo alla gara Chievo Verona-Fiorentina dell’8 maggio 2005 e concernenti, come già ricordato, Diego Della Valle, Andrea Della Valle, Sandro Mencucci, Innocenzo Mazzini e l’ACF Fiorentina SpA per condotte tendenti all’alterazione della gara e l’arbitro Paolo Dondarini per avere ricevuto ed accolto da Bergamo indicazioni e direttive specifiche circa il comportamento da tenere nel corso della stessa allo scopo di garantire un arbitraggio favorevole alla società toscana. I primi giudici hanno conferito peso determinante a colloqui telefonici intercorsi tra i vari incolpati (ad eccezione di Dondarini), che avrebbero avuto valore preparatorio del risultato illecito auspicato, e ad un colloquio telefonico, di poco posteriore alla gara avvenuto tra il Presidente Lanese ed un giornalista, di commento negativo della prestazione dell’arbitro, al quale, secondo lo stesso giornalista, sarebbero stati “mandati segnali”. Ora, la Corte ritiene, in accoglimento dell’appello degli incolpati, che manchi la prova sufficiente della commissione dell’illecito di cui si discute, fatte salve le precisazioni che seguono relativamente alla prospettabilità di condotte sanzionabili ex art. 1 C.G.S. In particolare, il giudizio di inadeguatezza probatoria deriva, in modo preponderante, dall’impossibilità di ritenere accertata la sussistenza del segmento tecnico. Ed infatti, nulla prova, né consente il sospetto, che l’arbitro Dondarini fosse stato messo al corrente dell’altrui disegno illecito, che vi avesse prestato, in qualsiasi forma, adesione, che egli abbia improntato a favoritismo verso la Fiorentina la propria direzione di gara, che il presunto (solo alla stregua di una malevola conversazione telefonica tra terzi) errore tecnico fosse viziato da dolo, né che fosse stato raggiunto da qualsivoglia “segnale”. Mancando, per le ragioni appena esposte, il segmento arbitrale – ciò che, ovviamente, comporta il proscioglimento di Dondarini dall’incolpazione per la quale è stato deferito, con conseguente riforma sul punto della decisione impugnata – viene, come effetto naturale, irrimediabilmente incrinata la prospettata struttura dell’illecito addebitato alle altre persone deferite, ai cui atti deve disconoscersi la necessaria efficacia causale al raggiungimento dello scopo. Ed invero, le varie conversazioni telefoniche svoltesi nei giorni immediatamente precedenti la partita avevano, ancora una volta, carattere generico ed alludevano sempre alla necessità che la Fiorentina si sottraesse all’incombente pericolo di retrocessione. Ma in nessuna di esse si parlava di interventi volti ad influenzare la designazione arbitrale; né vi sono, negli atti del processo, colloqui concernenti la designazione concretamente avvenuta o prove di interventi presso l’arbitro. Altrettanto generica si rivela la telefonata, post gara, tra Mencucci e Mazzini in cui verosimilmente si definisce “fallo di confusione” quello che non sarebbe stato fischiato dall’arbitro in area di rigore della Fiorentina: nulla prova che tale riferimento implicasse la mala fede o la connivenza di Dondarini, potendosi ragionevolmente presumere che l’affermazione fosse il prodotto dell’euforia per la vittoria della squadra di Mencucci. La Corte ritiene, tuttavia, uniformandosi al ragionamento già posto a supporto di decisioni relative a fattispecie analoghe, presenti in questo procedimento, che le condotte di tutti gli incolpati (ad eccezione, ovviamente, di Dondarini, la cui posizione appare assolutamente tersa e lontana da ombre di qualsiasi natura), rivelatrici di impropri, inopportuni ed eccessivamente confidenziali rapporti telefonici tra soci e dirigenti di una società ed il Vice Presidente Federale (che avrebbe dovuto essere garante della terzietà ed imparzialità della federazione, piuttosto che attivo sostenitore di una delle società affiliate e propulsore di ulteriori contatti tra Diego Della Valle ed uno dei designatori arbitrali) non possano non riverberare, nell’ottica dell’articolo 1, per la loro carica di slealtà e scorrettezza. In questo senso ne va, pertanto, riqualificata la condotta ed affermata la responsabilità, con rinvio della determinazione del trattamento sanzionatorio al termine dell’esame di tutte le incolpazioni relative alla Fiorentina. La CAF ha infine, giudicato dell’illecito contestato, con riferimento alla gara Lecce – Parma del 29 maggio 2005, a Diego Della Valle, Andrea Della Valle, Sandro Mencucci, l’A.C.F. Fiorentina S.p.A. a titolo di responsabilità diretta, oggettiva e presunta, Innocenzo Mazzini e Massimo De Santis (arbitro della gara) per avere i dirigenti della società (Diego Della Valle in prima persona o tramite il fratello o tramite Mencucci) avviato e coltivato contatti (oltre che tra Moggi e Bergamo, il primo non incolpato per la gara in questione, il secondo estromesso dal giudizio per difetto di giurisdizione) con Mazzei e Bergamo allo scopo di ottenere il vantaggio della permanenza della squadra in serie A anche grazie all’alterazione del risultato della gara in questione, in virtù della designazione di un arbitro (De Santis) che scongiurasse la vittoria del Parma (pregiudizievole alla Fiorentina). Al Mazzini veniva addebitato di essersi reso parte attiva e protagonista del consolidamento dei rapporti dei dirigenti fiorentini con Bergamo in vista del conseguimento dello scopo in precedenza enunciato ed al De Santis di essersi conformato alle indicazioni e direttive di Bergamo circa il comportamento da tenere nella direzione della gara in modo da impedire la vittoria del Parma e favorire la permanenza della Fiorentina in serie A in virtù della classifica avulsa. L’argomentata pronuncia di affermazione di responsabilità va confermata quanto alla posizione di Diego Della Valle, Innocenzo Mazzini e Massimo De Santis, mentre Mencucci ed Andrea Della Valle vanno dichiarati responsabili solo ai sensi dell’art. 1, con conseguente affermazione di responsabilità semplicemente oggettiva e presunta della società Fiorentina. Prima di procedere alla valutazione del materiale probatorio, analiticamente passato in rassegna dai primi giudici, è necessario mettere a fuoco il contesto nel quale ebbe luogo l’episodio conclusivo della serie di accuse mosse alla società ed ai suoi dirigenti: si tratta di verifica indispensabile al fine di individuare ruoli, interessi e responsabilità differenti tra i vari incolpati e di qualificare le rispettive condotte secondo gli appropriati parametri. A questo proposito, va ripreso il tema della genesi degli interventi orientati al raggiungimento per la Fiorentina di una tranquilla posizione in classifica di cui si è discorso all’inizio di questo capitolo della decisione. Una volta avviato il canale di diretta comunicazione con Mazzini da parte di Andrea Della Valle e Mencucci, che gli si erano rivolti per denunciare torti arbitrali subiti e prevenirne di nuovi, il Vice Presidente Federale, interessato a consolidare la propria posizione di potere personale e, soprattutto, ad ostentarla, agli occhi degli interlocutori, nei cui confronti intendeva acquisire concrete ragioni di credito, prendeva direttamente in mano la situazione, scandendo tempi e modalità di intervento ed aggregando alla sua opera, come pedina essenziale, il designatore Bergamo. Da quel momento Mazzini e Bergamo, resisi conto della grave situazione sportiva nella quale versava la Fiorentina e dell’allarme che essa suscitava nella proprietà Della Valle, concertavano ogni mossa, esigendo, però, che le loro interlocuzioni avvenissero al massimo livello e cioè con Diego Della Valle, di fatto esautorando dal circuito decisionale anche il fratello Andrea e riducendo sensibilmente il ruolo di Mencucci ad un rango inautonomo e non impegnativo, se non addirittura – come si dirà tra breve– esautorandolo. Della strategia stipulata tra Mazzini e Bergamo si ha agevole contezza attraverso il loro colloquio telefonico delle 20,28 del 2 maggio 2005 (prog. 7417), nel corso del quale Mazzini riferisce al designatore del precedente colloquio con Diego Della Valle, al quale aveva detto che della “delicata questione” che gli stava a cuore si poteva parlare solo tra “persone vere”, includendo tra le stesse oltre che loro due anche – come si arguisce senza dubbio dallo scambio di battute tra Mazzini e Bergamo – il designatore arbitrale. Il Vice Presidente Federale ed il designatore arbitrale concordavano, quindi, di “blindare” i loro incontri con Diego Della Valle attraverso una “conventio ad excludendos omnes alios”. A conferma della necessità di chiudere il trilatero e dell’adesione anche di Diego Della Valle alla strategia, arrivava pochi minuti dopo (ore 21,13 del 2 maggio 2005, prog. 2446) la telefonata di questo a Bergamo, nel corso del cui svolgimento il Presidente onorario della Fiorentina faceva cenno ad “Innocenzo” come possibile tramite di un incontro tra loro (“prendere un caffè”), e riceveva l’assenso di Bergamo a condizione di non estendere ad altri l’invito (cfr. pag. 299 dell’informativa di reato del 2 novembre 2005 del Comando Provinciale dei C.C. di Roma), se non al massimo al fratello Andrea, perchè “qualcun’altro forse millantavano conoscenze eccessive” (ib. pag. 300). Diego Della Valle continuava a tenere personalmente e direttamente i colloqui di più alto livello (e, quindi, presumibilmente decisivi), quale quello con Moggi alle ore 15,53 del 18 maggio 2005 (prog. 2902), nel quale si affrontava, ancora una volta, l’angoscioso tema della salvezza della Fiorentina (e si ricordi che col Presidente della Lazio è pacifico che parlò, comunque, Diego Della Valle in quanto lo riteneva di pari grado nella sostanza). Inframmezzate a queste conversazioni ve ne sono di minori, quali quella effettuata da Mencucci, senza alcun grado di autonomia e senza riferimento agli accordi programmatici a tre Diego Della Valle, Mazzini e Bergamo (della cui compiuta conoscenza da parte sua non v’è prova sufficiente, mancando espressi riferimenti ad essi ed alla loro natura riservata ed esclusiva da parte dello stesso Mencucci) e, soprattutto, senza il diretto, fondamentale interesse patrimoniale alla tutela del bene sociale da lui detenuto, di cui era portatore Diego Della Valle. Che Mencucci non fosse informato dei rapporti diretti tra Diego Della Valle e Bergamo, è dimostrato dal fatto che il consigliere delegato parlando al telefono con Mazzini il 6 maggio 2005 accennasse che il Presidente onorario avrebbe dovuto chiamare il designatore, ignorando che il colloquio tra i due era già avvenuto ben 4 giorni prima. Peraltro, i colloqui che riguardano Mencucci e, in misura forse anche più significativa, Andrea Della Valle, non hanno mai esibito un apprezzabile livello di induzione all’illecito o di proposta (o suo rassodamento) di illecito rivolto per alcuna gara a Mazzini e si limitassero a generiche espressioni di auspicio (o, dopo Parma – Lecce, di giubilo) per le sorti della squadra. Prova, questa, che il Mencucci non poteva accedere al più alto soglio decisionale e che i rapporti col designatore Bergamo erano riservati solo a Diego Della Valle. Il programma illecito concepito nelle sue linee generali agli inizi di maggio 2005 – e destinato all’implementazione, appena se ne fosse presentata l’occasione, tra Diego Della Valle, Bergamo e Mazzini e genericamente orientato, senza predeterminazione di specifici mezzi o di particolari condotte, costituenti gli “atti diretti” di cui all’art. 6 C.G.S., alla salvaguardia della posizione in classifica della Fiorentina - finalmente si perfeziona e si traduce nella predisposizione degli acconci comportamenti atti a conseguire lo scopo attraverso l’alterazione di gare per effetto dell’influenza esercitata sia nella fase di designazione arbitrale che sull’arbitro sorteggiato in occasione della gara conclusiva della stagione 2004 / 2005, Lecce – Parma, dal cui esito, in concorso con i risultati di altre tre gare, sarebbe potuta dipendere la permanenza in serie A della Fiorentina (ed in particolare dalla mancata vittoria della squadra emiliana). Fu, appunto, in quella occasione che il piano di Diego Della Valle, Bergamo e Mazzini, che dà vita all’antecedente logico della vicenda che ci occupa, si articola per la prima volta in forma completa ed efficace (e ciò si ricava per differenza rispetto a quanto è stato, invece, negativamente accertato a proposito delle altre gare della Fiorentina analizzate nel presente procedimento) e tende, riuscendovi, a chiudere il segmento arbitrale, attraverso esplicite ed inequivoche interlocuzioni tra Bergamo e l’arbitro De Santis ad un paio di ore dall’inizio della gara, la cui portata alteratrice è altrettanto certamente confermata dal colloquio successivo alla gara tra lo stesso arbitro e Mazzini.
Quanto al coinvolgimento di De Santis nell’illecito ordito con mezzi, sia ex ante, che ex post, rivelatisi congrui ed idonei dai tre incolpati ripetutamente menzionati, esso è provato in primo luogo dalla conversazione delle 12,58 del giorno della gara con Bergamo (prog. 50317) nel corso della quale l’arbitro ripetutamente dice di avere spiegato “un po’ le cose, velatamente” all’assistente Griselli, preannunciando che sarebbe stato lui a dare “l’impostazione” alla partita, mettendosi “in mezzo”. Si tratta di un linguaggio del tutto insolito rispetto ad un normale colloquio di natura tecnica con un designatore, in cui è insistito il richiamo di De Santis alla necessità di imprimere una vigorosa impronta personale alla partita, governandola con la “testa” e sintomatico il riferimento alla “velata” spiegazione fornita ad uno degli assistenti, con il quale era in confidenza (“sai posso parlà in un modo”). Non è dato sapere, e l’incolpato, su cui sarebbe gravato l’onere non ha dedotto né fornito la prova, se si trattasse di un genere di colloquio abituale con il designatore arbitrale e rientrasse nella prassi invalza presso ogni direttore di gara. Anche alla luce di questa singolarità, appare conforme a ragionevolezza leggere la conversazione in chiave di rassicurazione fornita da De Santis a Bergamo circa i criteri ed i fini cui avrebbe ispirato l’arbitraggio. Ancora più sintomatica della totale immanenza di De Santis al disegno illecito è la telefonata che egli ebbe, al termine della gara, con Mazzini. Colpisce, innanzitutto, la fretta che indusse De Santis a precipitarsi, circa un’ora dopo la fine della partita, a chiamare Mazzini, con il quale non era stato inizialmente in grado di mettersi in contatto, riuscendo solo a raggiungere il suo segretario Mario Renzi (telefonata delle 17,59 del 29 maggio 2005, prog. 10742), col quale rivelava tanta confidenza da commentare la gara con un eloquente “eh?... una opera d’arte”. Ma l’ansia dell’arbitro di parlare con Mazzini non si placava ed egli, ottenuto da Renzi un numero che questi definiva “particolare”, si metteva in contatto con il Vice Presidente Federale (telefonata delle 18,01 dello stesso giorno, prog. 19963) nel corso della quale tra ironie del dirigente (che si presentava come Morfeo calciatore del Parma espulso tra le proteste dall’arbitro, come emerge chiaramente dal filmato, che essendo stato prodotto dalla difesa del De Santis, è stato visionato dalla Corte), battute grevi ed autocompiacimento dell’arbitro” (“… io m’ero messo davanti col lavoro capito???....”, “qui è andata bene…. ho fatto tre a tre”) e palesi ammiccamenti con l’interlocutore in ordine ad un colloquio avuto al termine della gara con il direttore sportivo del Parma Cinquini, col quale l’arbitro faceva inattendibilmente mostra di avere tenuto un atteggiamento imparziale (sintomatico l’intercalare di risate dell’arbitro con Mazzini, allorché gli riferiva di aver detto al dirigente parmense di aver ignorato durante la gara che, con il risultato di parità, si sarebbe salvata la Fiorentina, ricevendo da questo di rimando la pronta e sbigottita replica “ma come lo sapevano tutti in mezzo al campo ….”) e soddisfatta conclusione di Mazzini (“…perfetto, perfetto”) si trae l’insuperabile conferma della chiusura del cerchio fraudolento anche ex post. Tornando alla qualificazione delle condotte degli altri incolpati, va osservato, a conferma della centralità, insostituibilità, efficienza causale piena ed autonoma delle tre “persone vere” (Mazzini, Bergamo e Diego Della Valle), tra loro legate da un patto di segretezza ed esclusività, che a sminuire tale ruolo o ad aggiungere alla loro altre responsabilità non può giovare l’incontro avvenuto tra gli stessi ed Andrea Della Valle e Mencucci (di cui ha parlato nell’odierno dibattimento lo stesso Diego Della Valle con dichiarazioni che non hanno, sostanzialmente, incontrato smentita).
Ed invero, non v’è alcuna prova dell’oggetto dell’incontro, né che esso fosse rivolto ad allargare la cerchia dei protagonisti della realizzazione del progetto di salvezza sportiva della Fiorentina, né che, data la incontroversa pubblicità del luogo, si prestasse di per sé a fungere da piattaforma per accordi illeciti. Tale incontro va trattato alla stregua dei contatti impropri e lesivi dei principi di correttezza ed imparzialità, vietati dall’art. 1, già esaminati e soggetti a sanzione nei casi afferenti alla Juventus. Ora, tale incontro costituisce sintomo certo di una condotta inappropriata e scorretta e come tale va trattata, a cagione del vulnus arrecato alla effettiva ricorrenza ed alla necessaria apparenza dell’imparzialità dei titolari di funzioni di giudizio o di incidenza per ragioni di ufficio su altrui posizioni soggettive. Tuttavia, la relativa sanzione non può essere applicata a Diego Della Valle e Mazzini per difetto della necessaria contestazione suppletiva rispetto a quella dell’art. 6 C.G.S.. Per converso, e per le ragioni a lungo esposte, l’intera partecipazione alla vicenda di Andrea Della Valle e Mencucci non può appunto che essere qualificata come espressione ripetuta e notevole della violazione dell’art. 1 C.G.S., dovendosi escludere che essi, per la ristrettezza soggettiva del patto illecito e per la sostanziale irrilevanza dei loro interventi (di assoluto interesse è che Mazzini e Mencucci si sentano solo dopo la partita Lecce – Parma) rispetto al fine illecito concordato tra i “maiores” (che avevano concordato di escluderli dall’accordo, nel dichiarato timore che qualcuno di loro potesse “millantare”) possano essere giudicati responsabili ai sensi dell’art. 6 C.G.S.. Ciò porta alla conseguente affermazione della sola responsabilità oggettiva e presunta ex art. 6 C.G.S. della A.C.F. Fiorentina, oltre che diretta ed oggettiva ex art. 1 in relazione alle posizioni di Andrea Della Valle e Mencucci, con esclusione – per effetto della riqualificazione “in melius” della condotta di Mencucci, titolare del potere di rappresentanza della società, e di Andrea Della Valle – di quella diretta originariamente accertata in primo grado.
Va, invece, confermata la colpevolezza, in relazione all’episodio in esame, di Diego Della Valle e Mazzini nei termini risultanti dal deferimento, nonché quella, appena illustrata, della società Fiorentina quale effetto necessario.
Venendo alla determinazione delle sanzioni, appare equo, per effetto dell’unicità dell’episodio di illecito:
a) determinare la pena di Diego Della Valle, amministratore ed accomandatario della società titolare della quota largamente maggioritaria della A.C.F. Fiorentina S.p.A., in tre anni e nove mesi di inibizione e 55.000 euro di ammenda;
b) determinare in tre anni di inibizione e nell’ammenda di 35.000 euro quella a carico di Andrea Della Valle, al quale residuano due affermazioni di responsabilità ex art. 1 C.G.S. e su cui grava la violazione dei doveri inerenti alla carica di Presidente;
c) determinare in due anni e sei mesi di inibizione la sanzione a carico di Mencucci, per effetto del minor ruolo svolto nei due episodi di responsabilità ex art. 1 C.G.S. e della sua qualifica di dipendente (seppur elevata) della società.
Quanto alla società A.C. F. Fiorentina p.A., nell’erogazione della sanzione deve tenersi conto:
1) della genesi della vicenda, che a differenza di altre relative ad incolpati differenti, non poggia su una illecita volontà egemonica della società e dei suoi dirigenti, ma sull’acclarata estraneità ad un modello corroborato di illeciti rapporti con le istituzioni federali intrattenuti da soggetti circoscritti e noti e dalle loro società, dai quali erano sorti effetti sportivi pregiudizievoli per società e soggetti fino ad allora estranei al sistema (nel corso dei vari colloqui telefonici Mazzini spinge con molta enfasi Diego Della Valle ad un abboccamento con Bergamo senza il quale il progetto salvifico per la Fiorentina sarebbe stato verosimilmente votato all’insuccesso);
2) che, a seguito della ricezione del messaggio di Mazzini, Diego Della Valle, a differenza di altri deferiti che trattavano con fare perentorio ed autoritario rappresentanti dalle istituzioni e ne venivano incredibilmente blanditi piuttosto che contrastati o denunciati, in vista di una ampia gamma di vantaggi conseguiti o conseguibili, non potè sottrarsi all’instaurazione, invero ben più deferente e cerimoniosa, di un rapporto diretto con Bergamo, il quale, a propria volta, fu chiamato e non chiamò, forte della necessità che pressava Diego Della Valle a venire a patti con lui;
3) che non vi è prova che esistesse alcuna consuetudine di rapporti tra Diego Della Valle ed i designatori arbitrali, tale, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, da influenzare in forma costante e stabile le designazioni e le direzioni di gara relative ad una determinata squadra;
4) che l’illecita combinazione a tre (Diego Della Valle, Bergamo e Mazzini) fu pattuita solo nell’ultimo mese della stagione 2004/2005, a differenza di altre situazioni protratte – come esattamente osservato dalla CAF – per l’intera durata del campionato, conclusosi addirittura con la vittoria della società i cui dirigenti avevano organizzato sistematiche e strutturali condotte di illecita influenza;
5) che, con riferimento all’illecito commesso nella gara Lecce – Parma, il risultato complessivamente vantaggioso per la Fiorentina era legato ad altre variabili (le partite riguardanti la stessa Fiorentina, nonché le altre società interessate alla permanenza in serie A) che non risultano essere state manipolate, da illeciti interventi riferibili a Diego Della Valle o a suoi incaricati, ciò che ridimensiona sensibilmente l’attitudine del risultato, così alterato, alla causazione del più ampio disegno di permanenza della società in serie A;
6) che, a conferma del ruolo condizionante ed egemone di dirigenti di altre società, Diego Della Valle dovette rivolgersi, per realizzare il proprio progetto, anche a Moggi, nell’implicita sfiducia che i competenti organi federali sarebbero stati in grado di adempiere i propri doveri e di assicurare terzietà ed indipendenza nello svolgimento delle competizioni sportive (così contribuendo a costituire una sorta di contro potere con la collusione di importanti rappresentanti delle istituzioni e nell’inerzia degli organi federali competenti);
7) decisivamente, che la società è stata dichiarata colpevole di illecito solo a titolo di responsabilità oggettiva (per il fatto di Diego Della Valle) e presunta ( per quello di Mazzini) e non diretta.
Il complesso di queste considerazioni porta a ritenere che, in un’ideale (e non commendevole) graduatoria di responsabilità tra le società deferite, la Fiorentina non possa che collocarsi al secondo posto alle spalle della Juventus, ma a debita distanza da essa, per le ragioni differenziali sopra enunciate.
La Corte ritiene, quindi, che sia ragionevolmente afflittiva rispetto alla colpevolezza accertata la sanzione:
a) di 30 punti di penalizzazione da scontare nella classifica 2005/2006;
b) di 19 punti di penalizzazione in classifica nella stagione sportiva 2006/2007;
c) della squalifica del campo di gara per tre giornate di campionato;
d) dell’ammenda di 100.000 euro.
Relativamente alla sanzione da irrogare al De Santis, per la grave condotta di cui è stato giudicato colpevole, la Corte stima che essa debba essere ridotta a quattro anni di inibizione, tenuto conto del fatto che il programma illecito fu ideato dal Vice Presidente Federale e dal desginatore arbitrale, soggetti nei cui confronti vale la presunzione che egli versasse in una condizione di sottomissione psicologica. Per quanto concerne, infine, la sanzione da irrogare ad Innocenzo Mazzini, essa è da determinare, con riguardo alla straordinaria ed efficiente gravità delle sue condotte ed al disprezzo mostrato verso la prestigiosa carica di Vice Presidente Federale e tenuto conto dell’effetto devolutivo globale dell’impugnazione proposta dal Procuratore Federale, in riferimento ad accuse che riguardavano anche l’incolpato, nella sanzione massima della inibizione per cinque anni, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango e categoria della F.I.G.C.
F - Posizione della Società A.C. Milan S.p.a., di Adriano Galliani e di Leonardo Meani I profili di incolpazione che riguardano questo capo della sentenza sono stati esaminati dalla decisione impugnata nelle pagine 145-148 ai paragrafi 1 e 2: tenendo conto peraltro che il paragrafo 1 è dedicato a riportare i capi di incolpazione, può affermarsi che la posizione dei tre soggetti coinvolti (Milan, Galliani e Meani) è esaminata e risolta solo con il paragrafo 2, alle pagine 146-148. In questo contenuto spazio della decisione vengono cumulativamente esaminate le posizioni dei tre soggetti di cui trattasi, in realtà sovrapponendo la posizione dell'uno con quelle degli altri; in definitiva il ragionamento posto in essere dalla Commissione, con la decisione di primo grado, può così riassumersi.
a) Il Meani, tesserato per il Milan con la qualifica di addetto agli arbitri, in base a questa sua posizione aveva preso contatto (attraverso due telefonate) con il Mazzei nella sua qualità di (mero) proponente di designatori dei nominativi degli assistenti per le singole di campionato.
b) Questa iniziativa avrebbe comportato delle assicurazioni, da parte del Mazzei, di un pronto adeguamento per la successiva gara Milan-Chievo Verona.
c) Tali episodi inducono a riconoscere una responsabilità del Meani e del Mazzei.
d) A questo punto, (nello spazio di poche righe) si coinvolge anche Galliani, a causa di un brevissimo colloquio telefonico, di poco più di un minuto (anche se non è il tempo che costituisce elemento di valutazione, ma il contenuto della telefonata), nel corso del quale Meani chiama Galliani e riferisce il proprio operato, si badi bene, senza ricevere direttive ed anche, in realtà, senza ricevere contestazioni. Alla luce di quanto sopra la Commissione ha ritenuto di dover irrogare le seguenti sanzioni: Galliani, inibizione per anni uno, Meani inibizione per anni tre e mesi sei, A.C. Milan penalizzazione di punti quarantaquattro da scontare nella classifica 2005/2006 e di punti quindici in classifica da scontare nella stagione sportiva 2006/2007; ammenda di € 30.000,00. Come specificato in precedenza sono stati proposti appelli da tutti gli interessati con argomentazioni in parte similari tra loro. Ritiene la Corte Federale che le sanzioni ora indicate siano sproporzionate ai fatti accertati, e comunque non in sintonia con la normativa dettata dalle norme di comportamento contenute nel Codice di giustizia sportiva. Al riguardo si osserva quanto segue. E’ necessario seguire, anche nell’analisi di detta fattispecie, l’ordine logico dettato dai capi di incolpazione; in questa prospettiva la prima posizione da valutare è quella del Meani. Ritiene la Corte Federale che l'intervento di costui sia senz'altro da riprovare; egli è dipendente, sia pure in posizione non di vertice, di una società di calcio e, benché la sua qualifica pacificamente fosse quella di dirigente addetto agli arbitri, ha abbondantemente travalicato le sue funzioni interessandosi di questioni non consentite. Non rileva, in questa sede, disquisire sugli elementi costitutivi dell'illecito sportivo; è sufficiente, per giustificare una adeguata sanzione, che si sia accertato - come è inconfutabilmente avvenuto - che il Meani ha posto in essere comportamenti, non di sua competenza, finalizzati a favorire la società di appartenenza. Ritiene la Corte, in ogni caso, tenendo conto della consistenza degli interventi del Meani, così come vengono riportati nei capi di incolpazione, e comunque di come detti fatti sono stati acquisiti al procedimento, che possa ritenersi congrua una sanzione più contenuta rispetto quella irrogata in primo grado dalla Commissione. Pertanto, modificando la decisione resa in prime cure, determina la sanzione nei confronti di Leonardo Meani in anni 2 e mesi 6 di inibizione. Passando, quindi, alla valutazione della posizione di Adriano Galliani, la Corte Federale non può, in primo luogo, omettere di rilevare (e le considerazioni che seguiranno saranno idonee anche alla valutazione del Milan) che la posizione di tale soggetto sia considerata e valutata dalla Commissione in poche righe, nelle quali si compie una non univoca ricostruzione dei fatti imputati a detto soggetto. Infatti, nel capo di incolpazione si specifica soltanto che "il Galliani, infine, perché nella sua qualità di vice presidente e amministratore delegato della Società Milan ragguagliato da Meani circa la sopradescritta iniziativa l'approvava". A fronte di tale incolpazione la decisione afferma l'applicabilità della sanzione "anzitutto perché Galliani chiede subito conferma del contatto ..." e "poi perché non muove alcuna obiezione alla risposta del Meani chiaramente allusiva alla richiesta di un trattamento di favore per il Milan ...". La Corte ritiene di poter pertanto affermare che la posizione del Galliani, con i conseguenti riflessi che la sua posizione comporta per la Società Milan, non sia stata valutata adeguatamente e con il supporto di una idonea motivazione. Inoltre, è rilevabile una non congrua valutazione dei fatti atteso che la intercettazione telefonica appare considerata solo nel suo resoconto scritto. Si assume, infatti, nella decisione gravata che la qualifica di "ex designatore" sarebbe frutto di un errore di trascrizione, mentre invece è proprio tale locuzione che viene usata (in modo ironico) nel corso del colloquio telefonico. E dal contenuto del colloquio telefonico tra Meani e Galliani, ad avviso di questa Corte, è rilevabile che il Galliani apprende notizie non in ordine a vicende relative ad indebiti futuri vantaggi nei confronti del Milan, ma, piuttosto, quali spiegazioni relative a palesi errori verificatisi ad opera della direzione tecnica di una gara disputata dalla società Milan con il Siena. E' ovvio l'auspicio che certe incongruenze più non accadano, ma la valutazione della Corte Federale è nel senso che, da parte del Galliani, non si siano date disposizioni o direttive volte a perseguire ingiusti o non consentiti trattamenti. In definitiva, tutto ciò induce a ritenere che sia più giusto e logico ridurre, sia pure in misura minima, la sanzione irrogata dalla Commissione al Galliani, che comunque non ha dato alcun seguito alla telefonata con il Meani. Alla luce di quanto sopra, modificando la decisione resa in prime cure, determina la sanzione nei confronti di Adriano Galliani in nove mesi di inibizione. Tutto quanto, sin qui, dedotto è idoneo a delucidare anche alla posizione del Milan, chiamato a rispondere per responsabilità diretta ed oggettiva per fatti addebitati ai sensi dirigenti (vedi capitoli di incolpazione 67 e 69). Indubbiamente le condotte di Meani e Galliani si riverberano sulla Società; ma non può omettersi di considerare che relativamente alla posizione di Galliani, come si è detto in precedenza, è ravvisabile un comportamento certamente criticabile, ma di consistenza non particolarmente penetrante; mentre il Meani aveva una posizione all'interno della società assolutamente marginale. Anzi, con riferimento alla collocazione del Meani nella società, non appare superflua una considerazione comparativa in relazione ai comportamenti di altri soggetti che, in questo procedimento, hanno potuto produrre conseguenze ben più rilevanti nei confronti della società di appartenenza, proprio tenendo conto della loro posizione di vertice. La Corte ritiene, quindi, in riforma della decisione resa in primo grado, che sia ragionevolmente afflittiva, rispetto alla colpevolezza accertata la sanzione:
a) di 30 punti di penalizzazione da scontare nella classifica 2005/2006;
b) di 8 punti di penalizzazione in classifica nella stagione sportiva 2006/2007;
c) della squalifica del campo di gara per una giornata di campionato;
d) dell’ammenda di 100.000 euro.
G - Posizione di Gennaro Mazzei, Fabrizio Babini e Claudio Puglisi
La posizione di Mazzei, Babini e Puglisi, è esaminata dalla Commissione sotto il Capitolo V in cui si tratta della vicenda relativa al Milan, dalla pag. 146 alla pag. 148.
I capi di incolpazione che afferiscono il comportamento di costoro sono contrassegnati con i numeri 66-70, richiamati nell’epigrafe della presente decisione.
La motivazione afferente la critica al comportamento di costoro - come si è detto - si ricava dalle pagine dedicate alla posizione del Milan ove, con riferimento alla partita Milan-Chievo Verona, del 20 aprile 2005, vengono prese in considerazione le iniziative assunte dal Meani.
Orbene, è pacifico che il Meani abbia preso contatti con Mazzei: costui, che aveva l'onere di proporre ai designatori i nominativi degli assistenti, era stato sollecitato alla indicazione di soggetti validi in prospettiva per evitare gli errori che erano stati ravvisati nei precedenti incontri disputati dal Milan (in particolare il Siena-Milan).
Il ragionamento dei giudici di prime cure, in merito alle censure relative al comportamento degli indicati soggetti, in linea di massima, è da condividersi: risulta pacifico il contatto di Meani con Mazzei, e soprattutto che costui non abbia assunto altre diverse iniziative e non abbia contestato la possibilità di procedere alla designazione di alcuni assistenti. Come è pacifico che gli assistenti Babini e Puglisi, siano stati contattati dallo stesso Meani, anche se non emerge, da alcuna fonte, che costoro abbiano attuato un comportamento non corretto nell'esercizio delle loro funzioni tecniche.
Conclusivamente, anche in sintonia con quanto più sopra ricordato, ritiene questa Corte che le sanzioni vadano sempre correlate alla valenza del comportamento posto in essere dal soggetto incolpato, tenuto conto delle sue funzioni istituzionali; ciò induce a contenere le sanzioni irrogate dalla Commissione in primo grado nella seguente misura: comminando la sanzione a carico di Gennaro Mazzei nella inibizione per sei mesi; determinando, invece, la sanzione a carico di Fabrizio Babini e Claudio Puglisi in tre mesi di inibizione ciascuno.
PQM
la Corte Federale ha pronunciato il seguente
DISPOSITIVO
In parziale riforma della decisione della Commissione di Appello Federale del 14 luglio 2006, così provvede:
Conferma la propria ordinanza del 22 luglio 2006 con riferimento alle posizioni di Domenico Messina, Paolo Bergamo e Paolo Tagliavento;
dichiara inammissibile l’appello proposto dal Bologna F.C. 1909 nei confronti di Innocenzo Mazzini, Fabrizio Babini, Paolo Bertini, Massimo De Santis, Paolo Dondarini, Tullio Lanese, Gennaro Mazzei, Domenico Messina, Pierluigi Pairetto, Gianluca Paparesta, Claudio Puglisi, Gianluca Rocchi, Pasquale Rodomonti e Paolo Tagliavento;
proscioglie Paolo Dondarini dall’incolpazione contestatagli;
determina la sanzione a carico della Juventus Football Club S.p.A. con riferimento alla stagione sportiva 2006-07, nella penalizzazione di 17 punti in classifica e nella squalifica in 3 giornate di campionato del campo di gara, nell’ammenda di 120 mila euro, ferme restando le altre sanzioni già irrogate nella decisione impugnata per le stagioni sportive 2004-05 e 2005-06;
determina la sanzione a carico di Adriano Galliani in 9 mesi di inibizione;
determina la sanzione a carico di Leonardo Meani in 2 anni e 6 mesi di inibizione; determina la sanzione a carico della A.C.Milan S.p.A. nella penalizzazione di 30 punti da scontare nella classifica 2005-06 e di 8 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2006-07 e nella squalifica per una giornata di campionato del campo di gara, nonché nell’ammenda di 100mila euro;
proscioglie Diego Della Valle la A.C.F. Fiorentina S.p.A., Claudio Lotito, la S.S. Lazio S.p.A., Andrea Della Valle e Sandro Mencucci dalle incolpazioni loro contestate con riferimento alla gara Lazio-Fiorentina del 22.5.2005;
dichiara la responsabilità di Diego Della Valle, Andrea Della Valle, Sandro Mencucci, Innocenzo Mazzini e A.C.F. Fiorentina S.p.A. con riferimento alla gara Chievo Verona- Fiorentina dell’otto maggio 2005, per violazione dell’art. 1 del C.G.S. così modificata l’originaria incolpazione determina la sanzione a carico di Andrea Della Valle nell’inibizione per 3 anni e nell’ammenda di 35 mila euro; determina la sanzione a carico di Diego Della Valle in 3 anni e 9 mesi di inibizione e 55 mila euro di ammenda;
determina la sanzione a carico di Sandro Mencucci in 2 anni e 6 mesi di inibizione; determina la sanzione a carico della A.C.F. Fiorentina S.p.A. nella penalizzazione di 30 punti da scontare nella classifica 2005-06, nella penalizzazione di 19 punti in classifica nella stagione sportiva 2006-07 e nella squalifica del campo di gara per 3 giornate di campionato, nonché nell’ammenda di 100 mila euro;
dichiara la responsabilità di Claudio Lotito, Franco Carraro, Innocenzo Mazzini, S.S. Lazio S.p.A. in relazione alla gara Lazio-Brescia del 2.2.2006 per violazione dell’art. 1, c.1, del C.G.S., così modificata l’originaria incolpazione;
determina la sanzione a carico di Claudio Lotito in 2 anni e 6 mesi di inibizione e
nell’ammenda di 30 mila euro;
determina la sanzione a carico della S.S. Lazio S.p.A., nella penalizzazione di 30 punti da scontare nella classifica 2005-06 e di 11 punti in classifica da scontare nella stagione sportiva 2006-07 e nella squalifica del campo di gara per 2 giornate di campionato, nonché nell’ammenda di 100 mila euro;
determina la sanzione a carico di Franco Carraio nell’ammenda di 80 mila euro con diffida;
determina la sanzione a carico di Innocenzo Mazzini nella inibizione per 5 anni con proposta al Presidente federale d preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FGCI;
determina la sanzione a carico di Pierluigi Pairetto nella inibizione per 3 anni e 6 mesi; determina la sanzione a carico di Massimo De Santis nella inibizione per 4 anni; determina la sanzione a carico di Gennaro Mazzei nella inibizione per 6 mesi;
determina in 3 mesi di inibizione ciascuno la sanzione a carico di Fabrizio Babini e Claudio Pugliesi.
Visto l’art. 29, comma 13, del C.G.S. dispone la restituzione della tassa versata da Paolo Dondarini, Juventus Football Club S.p.A., Adriano Galliani, Leonardo Meani, A.C. Milan S.p.A., Andrea Della Valle, Diego Della Valle, Sandro Mencucci, A.C.F. Fiorentina S.p.A., Claudio Lotito, Franco Carraro, S.S. Lazio S.p.A., Massimo De Santis, Gennaro Mazzei, Fabrizio Babini e Claudio Pugliesi.
Conferma per il resto la decisione impugnata.
Fissa al 10 agosto 2006 il termine per il deposito della motivazione.