CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 15 febbraio 2012 promosso da: Spatola Giuseppe contro Federazione Italiana Giuoco Calcio

CONI – Tribunale Nazionale di Arbitrato – Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it Lodo Arbitrale del 15 febbraio 2012 promosso da: Spatola Giuseppe contro Federazione Italiana Giuoco Calcio L’ARBITRO UNICO AVV. DARIO BUZZELLI nominato ai sensi dell’art. 6, comma 4, del Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport ha emanato il seguente LODO ARBITRALE nel procedimento di arbitrato (prot. n. 2315 del 1.10.2011) promosso da: Spatola Giuseppe, nato l’8 novembre 1940 a Benevento e residente in San Sebastiano al Vesuvio (NA) alla Via Libertà n. 37, C.F. SPTGPP40S08A783H, rappresentato e difeso, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli Avv.ti Eduardo Chiacchio e Michele Cozzone, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo, sito in Napoli al Centro Direzionale – Isola A/7 – tel.081/8806502 – fax 081/8328819 – E-mail avv.eduardochiacchio@virgilio.it - parte istante - contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, con sede in Roma, Via Gregorio Allegri n. 14, Codice Fiscale 05114040586, partita IVA 01357871001, in persona del Presidente, Dott. Giancarlo Abete, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Gavallotti e Stefano La Porta ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Po n. 9, (fax 06885823200 – email ghdp@ghdp.it) - parte intimata - FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO ARBITRALE 1. Con atto del 4.11.2010 (prot. n. 2670/136PF09-10/SP/AM/SEG), il Procuratore Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio (per brevità “F.I.G.C.”) deferiva dinanzi alla Commissione Disciplinare Territoriale presso il Comitato Regionale Campania il Sig. Giuseppe Spatola per rispondere della «violazione dell’art. 1, comma 1, del CGS in relazione all’applicazione della norma di cui all’art. 21, commi 2 e 3, NOIF, avendo ricoperto, dal 19 giugno 2002 al 13 gennaio 2006, la carica sociale di Amministratore Unico della società F.C. Sporting Benevento s.r.l., poiché in ragione della carica di Amministratore Unico con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione del 19 giugno 2002 al 13 gennaio 2006, data della sentenza dichiarativa del fallimento della società F.C. Sporting Benevento s.r.l., ha svolto le funzioni gestionali nell’ambito societario nel biennio antecedente il fallimento, determinando con il proprio comportamento la cattiva gestione della Società…». 2. La Commissione Disciplinare Territoriale, con decisione pubblicata sul C.U. n. 112 del21.4.2011, affermava la responsabilità dello Spatola per i fatti a lui contestati e comminava allo stesso la sanzione di anni 5 di inibizione. Avverso tale decisione lo Spatola proponeva appello alla Commissione Disciplinare Nazionale, la quale, con decisione pubblicata sul C.U. n. 14/CDN del 1.9.2011, in parziale accoglimento del ricorso, riduceva la sanzione inflitta ad anni 3. 3. Con atto depositato in data 1.10.2011, il Sig. Giuseppe Spatola ha formulato istanza per cui è arbitrato, chiedendo di: «A) accertare e dichiarare l’illegittimità e l’infondatezza della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale, assunta nella riunione del 1 settembre 2011 e pubblicata sul C.U. n. 14/CDN di pari data, con la quale veniva solo parzialmente accolto il ricorso proposto dal Sig. Giuseppe Spatola avverso l’inibizione per cinque anni, inflitta allo stesso dalla Commissione Disciplinare Territoriale presso il Comitato Regionale Campania con delibera pubblicata sul C.U. n. 112 del 21 aprile 2011, in esito al deferimento del Procuratore Federale del 4 novembre 2010 (Prot. n. 2670/136pf09-10/SP/AM/Seg.), per violazione dell’art. 1 comma 1 del C.G.S., in relazione all’art. 21 commi 2 e 3 delle N.O.I.F., con conseguente riduzione a tre anni della sanzione medesima; B) per l’effetto, accertare e dichiarare la totale assenza di responsabilità in capo all’odierno istante, con integrale proscioglimento dello stesso dagli addebiti ascrittigli; C) in via estremamente gradata, accertare e dichiarare la palese eccessività e spropositatezza della inibizione irrogatagli (tre anni), con congrua e sensibile diminuzione della punizione de qua; D) con vittoria di spese, diritti, onorari ed accessori di causa ovvero, in subordine, con compensazione delle spese stesse tra le parti costituite.” A sostegno delle richieste avanzate, l’istante premette innanzitutto che secondo l’orientamento unanime e concorde della giurisprudenza sportiva deve escludersi «una automatica ed acritica applicazione del disposto dell’art. 21, commi 2 e 3 delle NOIF, sulla base del solo presupposto oggettivo costituito dall’aver rivestito cariche sociali al momento della declaratoria fallimentare o nel biennio precedente». La stessa Corte di Giustizia Federale del resto, premette ancora l’istante, con parere interpretativo del 28.6.2007 ha chiarito che la c.d. “preclusione” di cui è menzione nel 3 comma dell’art. 21 delle NOIF presuppone l’accertamento di profili di colpa dell’amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, accertamento in ordine al quale non vi è motivo di derogare ai comuni criteri in materia di onere della prova, e che nell’accertamento di detta colpa non deve guardarsi necessariamente alla sua influenza nella determinazione del dissesto della società, potendo concernere anche la scorrettezza di comportamenti nella gestione della società. Ciò premesso, l’istante osserva che nei suoi confronti non è stato individuato e accertato il benché minimo comportamento scorretto e/o censurabile nella gestione della F.C. Sporting Benevento; né, d’altro canto, tale potrebbe essere ritenuta la mancata trasmissione alla C.O.V.I.SO.C. entro il termine del 30.6.2004 dei prospetti R/I P/A e P/D, inadempienza questa per la quale lo stesso istante era stato punito con la simbolica sanzione dell’ammonizione. Costituirebbe, inoltre, una vera e propria inversione dell’onere della prova l’assunto del giudice di appello, secondo cui l’istante non avrebbe offerto la prova di aver adottato ogni possibile iniziativa per evitare il dissesto della società. In via gradata l’istante sollecita il riconoscimento dell’assoluta eccessività e sproporzionatezza dell’inibizione inflittagli ed una sua conseguente congrua e sensibile riduzione. 4. Con memoria depositata in data 24.10.2011 si costituiva la Federazione Italiana Giuoco Calcio, chiedendo il rigetto delle domande avanzate dall’istante e la condanna dello stesso alla refusione delle spese di lite. Osserva la F.I.G.C. che l’indirizzo interpretativo richiamato dall’istante non risulterebbe di alcun giovamento per il proprio assunto atteso che lo stesso istante nei quattro anni precedenti la dichiarazione di fallimento della F.C. Sporting Benevento s.r.l. non solo era titolare della quasi totalità delle quote sociali, ma aveva anche concentrato su di se, quale amministratore unico, tutti i poteri di gestione; aveva di fatto operato quale unico interlocutore delle istituzioni sportive e degli altri soggetti dell’ordinamento federale in tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione; e si era, infine, reso responsabile di una specifica violazione di una normativa federale avendo omesso di depositare i prospetti relativi alla stabilità economica della società. La responsabilità dello Spatola non era stata dunque affermata sulla base del solo dato formale della qualità di amministratore dallo stesso rivestita, ma sul presupposto sostanziale che lo stesso Spatola fosse stato l’unico soggetto a gestire la predetta società durante i quattro esercizi sociali precedenti la dichiarazione di fallimento. Quanto infine all’entità della sanzione, a giudizio della F.I.G.C., la stessa risulterebbe del tutto adeguata alla gravità della violazione ed alla finalità della richiamata norma dell’art. 21 NOIF; né d’altro canto lo stesso istante sarebbe andato oltre l’affermazione di una generica supposta manifesta sproporzione tra violazione e sanzione. 5. Le parti concordemente designavano, quale arbitro unico, l’Avv. Dario Buzzelli e, alla prima udienza del 7 dicembre 2011 veniva esperito il tentativo di conciliazione, all’esito del quale la parte istante formulava una propria proposta conciliativa che la F.I.G.C. si riservava di valutare e successivamente dichiarava di non accettare. Nella stessa udienza, su richiesta della parte istante, veniva disposta l’acquisizione del fascicolo del giudizio di secondo grado svoltosi dinanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale. Venivano poi concessi alle parti i seguenti termini: al 28 dicembre 2011 per il deposito di memorie e documenti e al 13 gennaio 2012 per il deposito di repliche, e veniva fissata per la discussione l’udienza del 27 gennaio 2012. La parte istante depositava in data 30 dicembre 2011 note autorizzate con allegata consulenza tecnica redatta dal Dott. U. Cavalluzzo. La F.I.G.C. in data 13 gennaio 2012 depositava breve memoria di replica con la quale eccepiva la tardività e l’inutilizzabilità della produzione della parte istante e ne rilevava in ogni caso la mancanza «di attitudine probatoria». 6. All’udienza del 27 gennaio 2012 si è svolta la discussione, nel corso della quale le parti hanno illustrato le proprie tesi difensive e, successivamente, replicato a quelle avversarie. La parte istante, presente personalmente, rilasciava una dichiarazione spontanea. MOTIVI DELLA DECISIONE 7. Devono essere, innanzitutto, esaminate le domande principali con le quali l’istante chiede accertarsi l’illegittimità e l’infondatezza della decisione della Commissione Disciplinare Nazionale e dunque la sua totale assenza di responsabilità in ordine agli addebiti contestatigli. Al riguardo, osserva il Giudice Unico che tanto la parte istante che la F.I.G.C. richiamano un parere interpretativo della Corte di Giustizia Federale in data 28.6.2007 secondo il quale «la preclusione di cui al terzo comma dell’art. 21 NOIF presuppone l’accertamento di profili di colpa dell’amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, accertamento con riferimento al quale non vi è motivo per derogare ai comuni criteri in materia di onere della prova: ciò con la precisazione che la colpa in questione non necessariamente deve riguardarsi sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società, ma può ampiamente concernere anche la scorrettezza di comportamenti (pure in particolare sotto il profilo sportivo) nella gestione della società». Da tale parere possono essere enucleati due distinti, ancorché connessi, principi: i) la Federazione non può, sulla base del solo dato costituito dalla decozione della società sportiva, incolpare il dirigente per la violazione dell’art. 1, comma 1°, del Codice di Giustizia, ma deve provare l’esistenza di condotte colpose; ii) dette condotte non devono necessariamente essere tali da aver determinato il fallimento, ma è sufficiente che siano apprezzabili dal punto di vista sportivo, siccome consistenti in illeciti propriamente sportivi ovvero gestionali. Tali principi meritano, a giudizio del Giudice Unico, di essere confermati anche in questa sede in quanto coerenti con quelli, di carattere più generale, rinvenibili nella legge penale e nello stesso ordinamento sportivo. Può ben accadere, infatti, che l’imprenditore sportivo incorra nel fallimento senza sua colpa: in tal caso non appare conforme ad equità e giustizia un’applicazione automatica delle sanzioni afflittive in capo a chi curava l’amministrazione sociale. Quanto precede è riconosciuto anche dal legislatore nazionale che, a seguito delle note riforme della legge fallimentare, ha limitato gli effetti personali pregiudizievoli della procedura nei confronti del fallito incolpevole, introducendo l’istituto della esdebitazione. Oggetto di valutazione ai fini della violazione disciplinare di cui all’art. 1, comma 1, CGS, in relazione all’art. 21, commi 2 e 3, NOIF, è dunque non già il fatto in sé dell’avere il tesserato, nel periodo antecedente la dichiarazione di fallimento, ricoperto ruoli gestori in seno al soggetto insolvente, bensì, invece, i comportamenti colpevoli tenuti nel periodo considerato dallo stesso tesserato e come tali rilevanti sul piano sportivo. Tanto osservato in ordine alla configurazione dell’illecito che viene in rilievo ai fini della presente decisione, il Giudice Unico rileva che le condotte che la Procura Federale della F.I.G.C. individua come quelle integranti «la cattiva gestione della società» e fondanti dunque l’addebito mosso all’istante, consistono: nel mancato pagamento dei debiti nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali scaduti al 31 marzo 2005 (derivanti dai rapporti di lavoro con tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo); nel mancato ripianamento della carenza patrimoniale (per euro 1.216.427,00); e nel mancato superamento della situazione prevista dall’art. 2482 ter c.c., come risultante dal bilancio di competenza al 31 marzo 2005 (si v. l’atto di deferimento del 4.11.2010). Nello stesso atto di deferimento si fa poi anche menzione, ma con dichiarata differente valenza rispetto alle altre condotte, al fatto che lo stesso istante non avrebbe rispettato il termine entro il quale dovevano essere trasmessi i prospetti R/I, P/A e P/D necessari per l’espletamento dei controlli di carattere economico finanziario affidati alla CO.VI.SO.C.; inadempienza in relazione alla quale all’istante sarebbe stata irrogata la sanzione dell’ammonizione. Ora, a parte tale ultimo fatto, peraltro già punito in sede federale con la minima sanzione dell’ammonizione, tutte le altre condotte ascritte all’istante – e che non costituiscono oggetto di contestazione nella loro ontologica esistenza – si appalesano, a giudizio del Giudice Unico, sicuramente suscettibili di integrare un comportamento colpevole rilevante ai fini della violazione disciplinare contestata. Tale è sicuramente il mancato pagamento dei debiti nei confronti del fisco e degli enti previdenziali: si tratta infatti di condotte caratterizzate da particolare disapprovazione nell’ordinamento giuridico, tanto da essere anche penalmente sanzionate (Cfr. art. 2, comma 1 e 1 bis, L. 463/1983). Devono ritenersi dunque infondate le domande dell’istante volte ad ottenere il proscioglimento dagli addebiti. 8. A diversa conclusione deve pervenirsi invece relativamente alla domanda subordinata con la quale l’istante invoca una congrua e sensibile riduzione dell’inibizione inflittagli. Giova premettere la riguardo che secondo l’orientamento elaborato da questo Tribunale, che il Giudice Unico condivide, una volta accertato l’illecito, l’entità e l’opportunità delle sanzioni possono essere sindacate in sede arbitrale solo «per macroscopici vizi logici o insufficienza della motivazione, mancata osservanza di norme di diritto o contrattuali» (Lodo Petrucchi/FIGC del 14.10.2010), ovvero qualora la sanzione sia evidentemente sproporzionata rispetto ai fatti (Lodo Noto/FIGC del 19.4.2011). Più in particolare «L’apprezzamento richiesto al Collegio Arbitrale in merito all’entità e alla graduazione delle sanzioni irrogate, si delinea in modo compiuto (…) con riguardo alla non manifesta sproporzione della sanzione rispetto alla violazione, che deve essere adeguata e proporzionata alla gravità della condotta accertata e dei fatti contestati e all’entità dell’inadempimento realizzatosi» (Lodo Benigni-Ascoli Calcio-Collina/FIGC del 24.3.2011). Al TNAS spetta, dunque, nel rispetto dell’autonomia federale e del connesso potere di irrogare e determinare la sanzione, un controllo sull’adeguatezza della motivazione posta a base del provvedimento sanzionatorio, sul rispetto delle norme legislative e contrattuali, sulla ragionevolezza (intesa come non manifesta sproporzione) della sanzione rispetto ai fatti ascritti. Ciò premesso, osserva il Giudice Unico che, nel caso in esame, si configura una evidente carenza di motivazione dell’impugnato provvedimento relativamente alla misura della sanzione. Il provvedimento così motiva: «E’ indubbio, in quanto documentalmente provato e peraltro non contestato, che nel periodo evidenziato nel deferimento, l’attuale ricorrente aveva ricoperto la carica di amministratore unico della società FC Sporting Benevento srl e che le irregolarità che la COVISOC aveva accertato si erano verificate durante la sua gestione. Pertanto, le circostanze riscontrate dalla COVISOC non potevano non essere riferite allo Spatola, la cui gestione aveva portato la società tanto ad insolvenza, così determinando la dichiarazione di fallimento, quanto alla revoca della affiliazione. Lo Spatola, da parte sua, in questa come in altre sedi non ha offerto la benché minima prova di aver adottato ogni possibile iniziativa per evitare il dissesto della società, sicchè la responsabilità che gli è stata riconosciuta in primo grado deve essere confermata. Tanto appare sufficiente per il rigetto della istanza di proscioglimento di cui al primo capo di ricorso, che merita invece di essere accolto in punto di riduzione della sanzione, che è suscettibile di essere ricondotta entro limiti di minore gravità». Come ognuno vede, in siffatto apparato motivazione nessun riferimento, sia pur minimo, è dato rinvenire in ordine all’entità e alla gravità delle condotte accertate in capo al Sig. Spatola, limitandosi l’esame della sua posizione all’affermazione del potere amministrativo esercitato dal 2002 sulla società sportiva. Non viene neppure indicata la ragione della sensibile (da 5 anni a 3 anni) riduzione del periodo di preclusione. Neppure il riferimento alle risultanze delle indagini della COVISOC, a cui il provvedimento fa a più riprese riferimento, soddisfa le segnalate esigenze di adeguatezza della motivazione anche perché tali risultanze non sono state in alcun modo documentate nel corso del presente giudizio, né risultano contenute nel fascicolo di appello di cui pure è stata disposta l’acquisizione. Quanto precede rende doveroso, a giudizio dell’Arbitro Unico, valutare ex novo l’adeguatezza della sanzione inflitta all’istante, per verificare se essa non sia manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti. Al riguardo, l’Arbitro Unico rileva che le condotte ascritte allo Spatola, per come risultano dagli atti e dalle allegazioni delle parti, se pure, come detto, da ritenersi sussistenti, non appaiono di gravità tale da giustificare la sanzione irrogata. Non risulta accertato infatti se tali condotte siano l’effetto di una mala gestio dello Spatola, ovvero se esse non siano invece da ricondurre unicamente allo stato di difficoltà economica e finanziaria in cui si è venuta a trovare la società. Ciò vale non solo per le condotte afferenti alla mancata ricostruzione del capitale minimo della società, ma anche per quelle relative al mancato pagamento dei debiti verso l’erario e gli enti previdenziali. In particolare, quanto all’omissione del versamento dei contributi previdenziali, se è certamente vero che per l’ordinamento nazionale lo stato di insolvenza del datore di lavoro non ha rilievo scriminante, nell’ambito dell’ordinamento sportivo occorre tuttavia chiedersi se l’imprenditore sia incorso nell’omissione intenzionalmente ovvero perché costretto da una mancanza di risorse a lui non imputabili. Ciò – beninteso – non al fine di scriminare il comportamento dell’istante che, nella sua qualità di amministratore, avrebbe dovuto comunque accantonare le somme dovute, ma almeno per valutare il grado della sua colpa. In definitiva l’irrogazione della sanzione impugnata non è stata preceduta da un’adeguata valutazione delle concrete condotte (pur effettivamente sussistenti) poste in essere dallo Sig. Spatola, sotto il profilo degli elementi soggettivi e oggettivi dell’illecito. Va invece ritenuto che il breve lasso di tempo tra la scadenza dei predetti debiti e la dichiarazione di fallimento, sia indizio sufficiente per far presumere uno stato – quantomeno – di difficoltà aziendale al momento delle omissioni. Il che induce l’Arbitro Unico a ritenere che l’applicazione della sanzione di tre anni di inibizione sia sproporzionata rispetto ai fatti accertati e che più appropriata si appalesi invece quella della inibizione di anni uno e mesi sei. In conclusione la decisione impugnata va parzialmente modificata e al Sig. Spatola va inflitta la sanzione della inibizione per anni uno e mesi sei. 9. Le domande formulate dal ricorrente sono state solo parzialmente accolte. Sussistono dunque giusti motivi per porre le spese di arbitrato (per onorari e spese dell’Arbitro Unico), liquidate in dispositivo, a carico di entrambe le parti, nella misura del 75% quanto al Sig. Spatola ed al 25% quanto alla F.I.G.C., e quindi nella misura complessiva di € 1.000,00 (mille/00), oltre IVA e CPA come per legge. P.Q.M. L’Arbitro Unico definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, in parziale accoglimento delle domande proposte dal Sig. Giuseppe Spatola, ed in riforma della impugnata decisione della Commissione Disciplinare Nazionale, meglio indicata in motivazione: 1. infligge al Sig. Giuseppe Spatola la sanzione della inibizione per anni uno e mesi sei; 2. condanna il Sig. Giuseppe Spatola, nella misura pari al 75% e la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), nella misura pari al 25%, al pagamento, con il vincolo di solidarietà, degli onorari dell’Arbitro Unico, liquidati in € 1.500,00 (millecinquecento/00) , oltre accessori; 3. condanna il Sig. Giuseppe Spatola al pagamento delle spese di lite in favore della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), nella misura complessiva di € 1.000,00 (mille/00), oltre IVA e CPA come per legge; 4. dichiara incamerati dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport i diritti amministrativi versati dalle parti; 5. manda alla segreteria del TNAS di dare comunicazione del presente lodo alle parti. Così deciso in Roma, in data 15 febbraio 2012, e sottoscritto in numero di tre originali. F.to Dario Buzzelli
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