F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2013/2014 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 265/CGF del 09 Maggio 2013 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 031/CGF del 20 Agosto 2013 e su www.figc.it 2. RICORSO PER REVISIONE EX ART. 39, COMMA 2, C.G.S. SIG. POSTIGLIONE GIUSEPPE AVVERSO L’ESCLUSIONE DEL POTENZA SPORT CLUB S.R.L. DAL CAMPIONATO DI COMPETENZA CON ASSEGNAZIONE DA PARTE DEL CONSIGLIO FEDERALE AD UNO DEI CAMPIONATI DI CATEGORIA INFERIORE (decisione della Corte di Giustizia Federale Com. Uff. n. 200/CGF del 19.3.2010)

F.I.G.C. – CORTE DI GIUSTIZIA FEDERALE – Sezioni Unite – 2013/2014 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 265/CGF del 09 Maggio 2013 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 031/CGF del 20 Agosto 2013 e su www.figc.it 2. RICORSO PER REVISIONE EX ART. 39, COMMA 2, C.G.S. SIG. POSTIGLIONE GIUSEPPE AVVERSO L’ESCLUSIONE DEL POTENZA SPORT CLUB S.R.L. DAL CAMPIONATO DI COMPETENZA CON ASSEGNAZIONE DA PARTE DEL CONSIGLIO FEDERALE AD UNO DEI CAMPIONATI DI CATEGORIA INFERIORE (decisione della Corte di Giustizia Federale Com. Uff. n. 200/CGF del 19.3.2010) Il sig. Giuseppe Postiglione, in proprio e nella qualità di proprietario della società Calpel S.r.l., detentrice dell’intero capitale sociale della società Potenza Sport Club S.r.l. ha proposto, come rappresentato e difeso, richiesta di procedimento di revisione del processo ex art. 39, comma 2, C.G.S., all’esito del quale, «con decisione del 19.3.2010, motivazioni del 24.3.2010, la Corte di Giustizia Federale ha condannato la società Potenza Sport Club all’esclusione del Campionato di Prima Divisione, in accoglimento della richiesta della Procura Federale della revoca della sentenza dell’agosto 2008, alla luce di nuovi elementi frutto di un’ipotesi indiziaria emersa a seguito delle notizie di stampa acquisite circa l’attività del sostituto procuratore presso la Procura di Potenza, dott. Francesco Basentini, per illecito sportivo». Prosegue l’istante evidenziando «come la società Potenza Sport Club S.r.l. veniva coinvolta in una serie di procedimenti, consequenziali e ontologicamente connessa, che scaturivano quale diretta conseguenza dell’erronea condanna ab origine comminata nell’ingiusta decadenza – ex art. 16 N.O.I.F. – dall’affiliazione in data 4.4.12», concludendo perché sia disposta «la revisione dei processi di cui in premessa, Potenza – Salernitana e Potenza – Gallipoli, e per l’effetto, riassegnata la matricola federale ingiustamente dichiarata decaduta dalla FIGC, riammettere la società Potenza Sport Club S.r.l. nel campionato originario di appartenenza ovvero Prima Divisione (ex C1) della Lega pro». Necessario e, comunque, opportuno un preliminare riepilogo dei fatti e dei pregressi procedimenti, per quanto di rilievo nel presente giudizio. Con atto in data 24 luglio 2008 la Procura Federale deferiva innanzi alla Commissione Disciplinare Nazionale: 1) Postiglione Giuseppe, presidente della società Potenza Sport Club: a) per violazione dell'art. 7, commi 1 e 6, C.G.S. per avere posto in essere condotte dirette ad alterare il regolare svolgimento ed il risultato della gara Potenza/Salernitana del 20 aprile 2008, assicurando alla Salernitana un vantaggio in classifica; con l'aggravante dell'effettiva alterazione e del conseguimento del vantaggio; b) per violazione dell'art. 1, comma 1, C.G.S. per aver tenuto nella vicenda un comportamento contrario ai principi di lealtà correttezza e probità, in riferimento all'atteggiamento tenuto in fase di audizione innanzi agli organi inquirenti della Procura e, segnatamente, mancata collaborazione e contraddittorietà delle affermazioni. 2) Giuzio Pasquale, all'epoca dei fatti dirigente con potere di firma del Potenza Sport Club: a) per violazione dell'art. 7, commi 1 e 6, C.G.S. per avere posto in essere condotte dirette ad alterare il regolare svolgimento ed il risultato della gara Potenza/Salernitana del 20 aprile 2008, assicurando alla Salernitana un vantaggio in classifica; con l'aggravante dell'effettiva alterazione e del conseguimento del vantaggio; b) per violazione dell'art. 1, comma 1, C.G.S. per aver tenuto nella vicenda un comportamento contrario ai principi di lealtà, correttezza e probità, in riferimento all'atteggiamento tenuto in fase di audizione innanzi agli organi inquirenti della Procura (mancata collaborazione e contraddittorietà delle affermazioni). 3) Arleo Pasquale, all'epoca dei fatti allenatore del Potenza Sport Club: per violazione degli artt. 7, comma 7, e 1, comma 1, C.G.S., per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale circa il comportamento dagli altri posto in essere ed inteso ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Potenza-Salernitana del 20 aprile 2008, nonché per violazione del principio di lealtà, correttezza e probità in riferimento all'atteggiamento tenuto in fase di audizione innanzi agli organi inquirenti della Procura (contraddittorietà delle affermazioni). 4) De Cesare Ciro, calciatore del Potenza Sport Club: per violazione degli artt. 7, comma 7, e 1, comma 1, C.G.S., per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale circa il comportamento dagli altri posto in essere ed inteso ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Potenza/Salernitana del 20 aprile 2008, nonché per violazione del principio di lealtà, correttezza e probità in riferimento all'atteggiamento tenuto in fase di audizione innanzi agli organi inquirenti della Procura (contraddittorietà delle affermazioni). 5) Cammarota Andrea, calciatore del Potenza Sport Club: per violazione degli artt. 7, comma 7, e 1, comma 1, C.G.S., per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale circa il comportamento dagli altri posto in essere ed inteso ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Potenza-Salernitana del 20 aprile 2008, nonché per violazione del principio di lealtà, correttezza e probità in riferimento all'atteggiamento tenuto in fase di audizione innanzi agli organi inquirenti della Procura (contraddittorietà delle affermazioni). 6) Cuomo Luigi, calciatore del Potenza Sport Club: per violazione degli artt. 7, comma 7, e 1, comma 1, C.G.S., per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale circa il comportamento dagli altri posto in essere ed inteso ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Potenza/Salernitana del 20.04.2008, nonché per violazione del principio di lealtà, correttezza e probità in riferimento all'atteggiamento tenuto in fase di audizione innanzi agli organi inquirenti della Procura (contraddittorietà delle affermazioni). 7) La Società Potenza Sport Club: per violazione dell'art. 4, commi 1 e 2, C.G.S. a titolo di responsabilità diretta e oggettiva, conseguente a quanto ascritto, nei punti che precedono, ai propri tesserati e legali rappresentanti, all'epoca dei fatti. 8) La Società Salernitana: per violazione dell'art. 4, comma 5, C.G.S. a titolo di responsabilità presunta, per la condotta tenuta dai tesserati del Potenza. La Procura Federale riteneva, infatti, che dall'attività istruttoria erano emersi sufficienti elementi atti a consentire di identificare nel sig. Postiglione, presidente del Potenza, il protagonista principale, unitamente al sig. Giuzio, di tutta un'attività finalizzata ad alterare il regolare svolgimento della gara del Campionato di Serie C1, Girone B, del 20 aprile 2008 Potenza/Salernitana, nel senso di favorire la Salernitana. Secondo la prospettazione accusatoria l’odierno istante avrebbe immotivatamente estromesso dalla formazione i tre migliori calciatori della squadra, motivando siffatta decisione in relazione alla loro condizione di ex della Salernitana, gettando, così, l'intera squadra nel nervosismo per quanto successo, con successive dimissioni dell'allenatore Arleo e conseguente indubbio vantaggio per la Salernitana. Tale attività illecita, che sarebbe peraltro dimostrata dalla dichiarazione del calciatore De Cesare ed anche e soprattutto la circostanza relativa alle ingenti dazioni di denaro in contante nei giorni immediatamente successivi alla disputa della gara, in favore dei tre calciatori, esclusi dalla formazione della squadra, si sarebbe conclusa proprio con il conseguimento, da parte della Salernitana, della vittoria sul campo del Potenza, con evidente vantaggio ai fini della promozione nella Serie B con 2 giornate di anticipo rispetto al termine del campionato. Sempre secondo la Procura il Giuzio, che sarebbe di fatto il tuttofare del presidente Postiglione e la sua longa manus, sarebbe compartecipe dell'illecito sportivo posto in essere ed avrebbe agito in nome del Potenza Calcio, sia per iniziativa diretta, sia per aver supportato le iniziative del predetto suo presidente. Il Giuzio, in particolare, avrebbe convocato il De Cesare, il venerdì precedente la gara in questione, chiedendogli di simulare un infortunio nel corso dell’allenamento pomeridiano, proprio per poter giustificare la mancata partecipazione alla gara. Quanto ai tre calciatori del Potenza e all'allenatore, secondo la Procura Federale hanno disatteso il doveroso obbligo di denuncia, previsto dall'art. 7, comma 7, C.G.S.. Peraltro, i deferiti avrebbero anche tenuto, in sede di audizione innanzi alla Procura Federale, un comportamento in netto contrasto con la previsione normativa di cui all'art. 1 C.G.S.. Dalle condotte ascrivibili a tutti i tesserati deferiti, scaturiva, a dire della Procura Federale, la responsabilità diretta ed oggettiva della Società Potenza Calcio, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, C.G.S., mentre la responsabilità presunta della Salernitana deriverebbe dal fatto che la predetta Società avrebbe tratto vantaggio dall’illecito commesso da soggetti ad essa estranei. In particolare, con la vittoria sul Potenza, la Salernitana avrebbe acquisito un significativo vantaggio rispetto all'Ancona, ai fini della conquista della promozione. Evidenziava, a tal riguardo, la Procura, come prima della gara del 20 aprile 2008 la Salernitana era in calo di rendimento, avendo collezionato tre pareggi e due vittorie (una delle quali contro la già retrocessa Martina); e prima della gara poteva contare solo su tre punti di vantaggio sull'Ancona, che avrebbe incontrato una squadra di bassa classifica in casa, mentre la Salernitana avrebbe comunque affrontato un impegno più difficile, appunto in trasferta contro il Potenza. Così instaurato il procedimento, i deferiti si sono difesi depositando apposite memorie. La Salernitana riteneva, nel merito, insussistente qualsiasi ipotesi di responsabilità presunta, in quanto vi sarebbe stato un serio e fondato dubbio sulla sua partecipazione all’illecito o sulla sua conoscenza dello stesso; in ogni caso la responsabilità presunta sarebbe superata laddove, come nella specie, la prova della partecipazione fosse insufficiente o contraddittoria e ciò indipendentemente dalla circostanza che la società abbia o meno tratto vantaggio dall’illecito. Deduceva, inoltre, la Salernitana, il difetto del nesso diretto tra l’ipotetico illecito ed il comportamento della Salernitana. La difesa del Postiglione asseriva che il deferimento sarebbe destituito di ogni fondamento poiché le circostanze di fatto sarebbero frutto di carenza di indagini e fraintendimenti da parte della Procura Federale; si tratterebbe, in sostanza, di un teorema del tutto inverosimile, privo dei requisiti di chiarezza, precisione, completezza ed univocità, necessari per integrare la prova certa che consenta, oltre ogni ragionevole dubbio, di ritenere integrato l’illecito contestato. Deduceva, poi, l’insussistenza di contatti tra le due società, che, tra l’altro, avrebbero avuto, anche negli ultimi tempi, pessimi rapporti. Mancherebbe, inoltre, la prova del dolo, elemento costitutivo essenziale dell’ipotesi di illecito sportivo. In ogni caso, poi, la decisione di non schierare i tre calciatori sarebbe stata presa dal presidente Postiglione a causa di condizionamenti esterni, dovuti alla pressione fatta dalla tifoseria locale avendo avuto sentore di una cena tra il calciatore De Napoli della Salernitana ed il De Cesare, con timore che quest’ultimo potesse essere stato condizionato ed indotto ad evitare di profondere nella gara l’impegno dovuto. Ci sarebbero state, insomma, giustificazioni non solo ambientali, ma anche tecniche e psicologiche per mettere fuori dalla formazione i tre calciatori, mentre i pagamenti effettuati a favore degli stessi nei giorni successivi alla disputa della gara sarebbero dovuti a precise e legittime causali, quali il rimborso spese ed i diritti di immagine. In proposito, fa riferimento ai documenti giustificativi di spese sostenute dai calciatori ed alle scritture contabili della società Potenza autenticate da notaio, documenti tutti allegati alla memoria difensiva. La difesa dei sigg.ri Cammarota e Cuomo sosteneva che i predetti calciatori non avrebbero mai avuto sentore alcuno dell’illecito di cui trattasi e che non avrebbero taciuto alcunché alla Procura Federale, chiarendo, peraltro, sin da subito, che i rimborsi a loro erogati sarebbero stati versati in adempimento di impegni assunti verbalmente nei loro confronti dal presidente Postiglione. Né vi sarebbe stata reticenza alcuna da parte dei deferiti, che avrebbero prontamente risposto a tutte le domande loro formulate dalla Procura, senza nulla nascondere. Quanto ai pagamenti nel caso del Cammarota si tratterebbe di € 20.000,00 consegnatigli dal Postiglione in busta chiusa per conto della società Media Partner, che gestiva lo sfruttamento dei diritti di immagine del calciatore, mentre nel caso del Cuomo si tratterebbe di rimborsi di spese vive, per lo più fisioterapiche, anticipate dal calciatore stesso. Anche la difesa dell’Arleo ha contestato che questi avesse avuto sentore alcuno dell’illecito. L’allenatore si sarebbe limitato a contestare e rilevare che l’esclusione dei tre calciatori ad opera del presidente costituiva una circostanza del tutto anomala nel mondo del calcio, atteso che veniva leso il principio della scelta tecnica di competenza esclusiva della conduzione tecnica della squadra. In sostanza, secondo l’allenatore, la pesante ingerenza del presidente della società nella composizione della squadra avrebbe integrato la mera violazione delle regole previste in materia dagli accordi collettivi ed avrebbe pertanto esaurito i propri effetti su un piano esclusivamente contrattuale. La difesa del sig. Giuzio ha contestato che il suo assistito abbia mai chiesto al De Cesare di simulare un infortunio, onde indurlo a non disputare la gara contro la Salernitana, ma anzi precisa che tutto il colloquio sollecitato dal Giuzio era finalizzato a comprendere quali fossero le condizioni psicologiche del De Cesare. Infatti, il Giuzio avrebbe avuto preoccupazioni circa possibili condizionamenti psicologici di alcuni giocatori, che ne potessero compromettere il rendimento in sede di gara. La difesa del De Cesare ha affermato che quest’ultimo era fermamente convinto che il Postiglione ed il Giuzio non fossero assolutamente animati dall’intento di alterare lo svolgimento della gara al fine di propiziare la sconfitta del Potenza ed in ordine ai pagamenti ricevuti asserisce che essi si riferivano a crediti pregressi (rimborsi spesa) ancora insoluti. La difesa del Potenza Sport Club S.r.l. ha affermato che i comportamenti dei suoi dirigenti erano improntati non già alla realizzazione dell’illecito sportivo, ma, anzi, al contrario erano costoro che temevano che le insistenti voci, circolate nei giorni precedenti la gara circa possibili condizionamenti ambientali in danno dei calciatori salernitani del Potenza, avessero potuto minare la serenità e l’equilibrio psicologico degli stessi, tanto da sconsigliarne l’impiego nella gara in oggetto. All’esito del dibattimento la Procura Federale ha chiesto l’applicazione delle seguenti sanzioni: per la società Potenza retrocessione all’ultimo posto nel campionato all’epoca appena concluso, oltre tre punti di penalizzazione in classifica da scontare nella Stagione Sportiva 2008/2009; per la Salernitana 3 punti di penalizzazione in classifica da scontare nel campionato 2008/2009; per il Postiglione 4 anni di inibizione; per il Giuzio 3 anni e 6 mesi di inibizione; per Arleo 4 mesi di squalifica; per i tre calciatori 6 mesi di squalifica. Le difese dei deferiti hanno, invece, invocato l’assoluzione piena dei loro assistiti; peraltro le difese del Postiglione e del Giuzio hanno chiesto, in via di subordine, la derubricazione della violazione di cui all’art. 7 in violazione di cui all’art. 1 comma 1 C.G.S.. La difesa del Potenza Sport Club, a sua volta, ha chiesto la derubricazione della violazione di cui all’art. 4, comma 1 e 2, C.G.S. in violazione di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S.. La Commissione Disciplinare Nazionale con decisione del 7 agosto 2009 (Com. Uff. n. 14/CDN) ha ritenuto che, seppure nella specie si è in presenza di atti teoricamente idonei a realizzare l’illecito sportivo, manca comunque la prova del dolo, ossia della volontà, da parte del Postiglione e del Giuzio, di commettere atti diretti a causare l’illecito contestato. Secondo la C.D.N., «ad escludere il dolo, del resto, militano alcune logiche conclusioni: la circostanza che il Potenza, perdendo la partita, avrebbe oggettivamente rischiato di veder ulteriormente aggravata la sua precaria condizione di classifica, con rischio di dover disputare i play out; la circostanza che il Postiglione, compiendo atti diretti a realizzare l’illecito avrebbe danneggiato sé stesso e la propria Società in primo luogo sotto il profilo sportivo, stante la delicata posizione in classifica del Potenza, che si sarebbe pericolosamente aggravata in seguito alla sconfitta in casa con la Salernitana con il quasi certo coinvolgimento nei play out, ma anche sotto il profilo economico, essendo egli il proprietario della società». Osservava, inoltre, la Commissione come non fosse emerso nel procedimento alcun elemento di prova in ordine ad un diverso movente ovvero ad ipotetici vantaggi di altra natura che potessero indurre il Postiglione ad attivarsi al fine di alterare l’andamento della gara ed il risultato della stessa favorendo la vittoria della Salernitana. In definitiva, la C.D.N. riteneva che, pur risultando provata la realizzazione da parte degli incolpati della condotta materiale contestata nel deferimento, consistente nell’indebolimento del potenziale atletico e tecnico della squadra, non era possibile pervenire all’affermazione della responsabilità dei deferiti e, segnatamente, del presidente Postiglione in ordine alla violazione dell’articolo 7, comma 1, C.G.S. per carenza di prova sul dolo specifico. Analoghe considerazioni svolgeva la C.D.N. in relazione alla posizione del Giuzio, in mancanza di qualsivoglia elemento di prova in proposito e della sua intenzione di operare al fine di alterare il risultato della gara Potenza – Salernitana, agendo contro gli interessi della società e del suo Presidente. Per completezza, la C.D.N. evidenziava come «i tre argomenti fondamentali addotti dalla Procura a sostegno della sua tesi, ossia la richiesta del Giuzio al De Cesare di simulare l’infortunio, la successiva esclusione dei tre calciatori ed il pagamento di somme non certo risibili da parte del Postiglione ai tre esclusi, (avvenuto peraltro pochi giorni dopo la gara “incriminata”), non hanno carattere di univocità e si prestano ad essere interpretati anche in senso diverso da quello della realizzazione dell’illecito». Secondo la C.D.N. «è infatti logicamente sostenibile che la richiesta di simulare un infortunio, rivolta dal Giuzio al De Cesare, sulla cui antigiuridicità si tornerà in seguito, sia stata motivata non tanto dalla intenzione di alterare il risultato della gara, quanto dalla volontà di escludere un calciatore che, secondo quanto recepito da parte di frange della tifoseria (che nella settimana precedente la gara avevano contestato l’operato del Postiglione), pareva essere condizionato da fattori ambientali che ne sconsigliavano la partecipazione alla gara. Anche l’esclusione del Cuomo e del Cammarota, anch’essi originari di Salerno e legati al De Cesare da stretti rapporti di amicizia , tanto da costituire una sorta di “blocco”, potrebbe essere stata ragionevolmente causata dal timore di condizionamento degli stessi, influente sulla loro tranquillità psicologica e sul loro rendimento agonistico, in relazione alla pressione esercitata dai tifosi, che avevano sollecitato il Presidente Postiglione a vigilare sui propri calciatori». «Del resto», proseguiva la C.D.N., «risulta provato che nei giorni precedenti la gara il Presidente era stato fatto oggetto di minacce e pressioni psicologiche ed inviti a vigilare sul comportamento di alcuni calciatori, con conseguente “surriscaldamento” del clima attorno alla squadra. Risulta altresì che il Postiglione aveva confidato la propria esasperazione di fronte alle minacce provenienti dai tifosi all’allenatore Arleo la sera del sabato. Nel corso di quel colloquio il Postiglione aveva addirittura manifestato all’Arleo il proposito di schierare la squadra Beretti, il che spiega la convocazione di alcuni giovani la cui presenza nell’albergo della squadra avrebbe provocato, la domenica mattina, vivaci reazioni da parte dei calciatori e dell’allenatore». Quanto al versamento di somme di denaro ai calciatori, pur manifestando qualche perplessità in ordine alle causali dei pagamenti, collegate in parte a pattuizioni meramente verbali e non ufficializzate presso la competente Lega, la C.D.N. riteneva la documentazione depositata «idonea a comprovare, quantomeno sotto il profilo del fumus, l’effettiva esistenza di anticipazioni di spese sostenute dai calciatori e sono state prodotte le scritture contabili del Potenza e della Media Partner, dalle quali risulta l’erogazione di somme di denaro formalmente imputabile alle causali addotte dalle difese dei deferiti». Insomma, secondo la C.D.N. «ambedue le tesi, sia quella della Procura, che quella delle difese, hanno una loro logica, anche probatorio-indiziaria e proprio tale ambivalenza interpretativa degli elementi probatori, assolutamente non univoca, esclude che la sussistenza dell’illecito sportivo possa essere ritenuta provata oltre ogni ragionevole dubbio. Ed infatti, procedendo nella duplice operazione necessaria per il corretto apprezzamento della valenza probatoria degli elementi di carattere indiziario già esaminati, deve escludersi che tali elementi siano dotati di certezza e che l'ambiguità promanante da ciascuno di essi possa, in una visione unitaria, essere fugata. Anzi, risultano sia singolarmente, sia nel loro insieme, suscettibili di interpretazioni alternative, altrettanto verosimili; risultano anche equivoci e non convincenti, non potendosi attribuire a tale materiale alcuna valenza probatoria se non in termini possibilistici». Concludeva, quindi, la C.D.N.: «in assenza della prova sul dolo, oltre che di un quadro indiziario grave, preciso e concordante, fondato quindi su elementi certi, consistenti, non generici e convergenti, le tesi della Procura in ordine al compimento dell’illecito sportivo non possono ritenersi provate. Ne deriva che il Sig. Postiglione ed il Sig. Giuzio vanno prosciolti dalle accuse a loro ascritte di aver violato l'art. 7, commi 1 e 6, C.G.S. per avere posto in essere condotte dirette ad alterare il regolare svolgimento ed il risultato della gara Potenza/Salernitana del 20.4.2008. Conseguentemente anche la società Potenza deve essere prosciolta dall’accusa di aver violato l’art. 4, commi 1 e 2, C.G.S. a titolo di responsabilità diretta e oggettiva in relazione all’ipotesi di illecito sportivo. Mancando l’illecito sportivo, deve del pari essere prosciolta la Salernitana, deferita a titolo di responsabilità presunta. Dalla ritenuta insussistenza dell’illecito sportivo scaturisce anche il proscioglimento del Sig. Arleo e dei tre calciatori dall’accusa di aver violato l’art. 7, comma 7, C.G.S., per aver violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale circa il comportamento dagli altri posto in essere ed inteso ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Potenza/Salernitana». Riteneva, infine, la C.D.N. «che il comportamento dei Sigg.ri Postiglione e Giuzio sia comunque censurabile, con conseguente derubricazione delle incolpazioni loro ascritte da violazione dell’art. 7 commi 1 e 6, del CGS a violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S. per violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità. In effetti, quanto al Postiglione, si osserva che la circostanza, oggettivamente provata, di aver espunto dalla formazione i tre calciatori di origine salernitana e ciò in chiaro contrasto non solo con le aspettative di tutta la squadra (cfr. telefonata dei giocatori al rappresentante AIC), ma anche contro le decisioni tecniche dell’allenatore, che addirittura si dimetteva, appare idonea a configurare la violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S., non avendo comunque il Postiglione, indipendentemente dai fattori ambientali, schierato la formazione migliore possibile, come invece prescritto dall’art. 48 comma 3 N.O.I.F. Al Postiglione va quindi ascritta la violazione dei doveri di lealtà e probità sportiva e non la mera lesione di principi dettati dagli accordi collettivi regolanti i rapporti tra Società ed allenatori». Secondo la C.D.N., infatti, «che il mancato schieramento dei tre calciatori abbia tecnicamente indebolito la squadra risulta provato sia dal comportamento dell’Arleo stesso che si dimette proprio a causa dell’esclusione dei tre giocatori, sia dalle di lui dichiarazioni secondo cui il Presidente si era sostituito alle scelte tecniche di esclusiva competenza dell’allenatore e secondo cui non erano stati fatti giocare tre titolari “inamovibili”. Quanto al Giuzio la sua richiesta al De Cesare di simulare un infortunio, seppur giustificata, secondo l’assunto difensivo, dal timore che il calciatore fosse stato condizionato da fattori esterni e che quindi non si impegnasse al massimo nella gara, risulta anche essa confliggere oggettivamente con il disposto di cui all’art. 1 comma 1 C.G.S.., soprattutto perché proveniente da un dirigente di Società, tenuto in ragione di tale qualifica ad una stretta osservanza dei principi di lealtà e probità sportiva, specie nei confronti dei propri tesserati. Si osservi infine che il reale contenuto della richiesta, sebbene smentito da Giuzio, risulta provato, a parere di questa Commissione, dal fatto che la proposta di simulazione non solo è stata riferita direttamente dal De Cesare, ma che lo stesso Arleo afferma che il De Cesare, poco dopo la richiesta del Giuzio, gliene aveva riferito gli esatti termini. Alla luce di quanto sopra i comportamenti dei Sigg.ri Postiglione e Giuzio risultano comunque censurabili sotto il profilo della violazione dell’art. 1 comma 1 C.G.S.. Da ciò scaturisce anche la responsabilità diretta della Srl Potenza Sport Club, atteso che l’esclusione dei calciatori è stata posta in essere dal suo Presidente e che la richiesta di infortunio risulta effettuata da un suo dirigente, tra l’altro dotato di poteri di firma sociale». Quanto, infine, alla imputazione relativa alla presunta violazione dell’art. 1, comma 1, C.G.S. a carico dei sigg.ri Postiglione, Giuzio, Arleo, De Cesare, Cuomo e Cammarota, che, secondo la Procura Federale, avrebbero tenuto, nel corso delle loro audizioni, comportamenti reticenti e non collaborativi, la C.D.N. riteneva che i comportamenti realizzati dai deferiti non paiono contrastanti con i principi di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S., posto che anche i tesserati, pur essendo tenuti a collaborare con gli organi federali, non possono essere obbligati a rinunciare al principio secondo cui “nemo tenetur se detegere”. La Commissione Disciplinare Nazionale, dunque, deliberava le seguenti sanzioni: - al Sig. Postiglione Giuseppe l’inibizione sino al 5.2.2009; - al Sig. Giuzio Pasquale l’inibizione sino al 5.5.2009; - al Potenza Sport Club 3 (tre) punti di penalizzazione, da scontare nel prossimo campionato, oltre all’ammenda di € 50.000,00 (cinquantamila/00). Proscioglie la Società Salernitana, il Sig. Arleo Pasquale, il Sig. De Cesare Ciro, il Sig. Cammarota Andrea ed il Sig. Cuomo Luigi dalle incolpazioni loro ascritte. Proscioglie, infine, i Sigg.ri Postiglione e Giuzio dalle ulteriori condotte per violazione dell'articolo 1, comma 1, C.G.S. per mancata collaborazione, contraddittorietà e falsità delle affermazioni rese in sede audizione». Con reclamo in data 9 febbraio 2010 il Procuratore Federale chiedeva alla Corte di Giustizia Federale la revocazione della decisione con la quale il 7 agosto 2008 la Commissione Disciplinare Nazionale, diversamente qualificando le incolpazioni originariamente rivolte a Giuseppe Postiglione e Pasquale Giuzio, rispettivamente presidente e dirigente con potere di firma della società Potenza Sport Club S.r.l., aveva, appunto, dichiarato gli stessi colpevoli non già della violazione dell’art. 7, commi 1 e 6 C.G.S. (per aver posto in essere condotte dirette ad alterare il regolare svolgimento ed il risultato della gara Potenza- Salernitana 20 aprile 2008, assicurando alla Salernitana un vantaggio in classifica, con l’aggravante dell’effettiva alterazione del risultato), ma di quella di cui all’art. 1, comma 1, C.G.S. per violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità, per non essere stata, comunque, per decisione del Postiglione, schierata la formazione migliore possibile. Di conseguenza, la Procura Federale chiedeva anche la revocazione della decisione in parola nella parte in cui la società Potenza era stata dichiarata colpevole, a titolo di responsabilità diretta, non già per le accuse originarie ma per la medesima violazione dell’art.1, comma 1, C.G.S. e nella parte in cui la Salernitana era stata assolta dall’incolpazione di aver partecipato, a titolo di responsabilità presunta ai sensi dell’art. 4 , comma 5, C.G.S., ai fatti illeciti contestati ai dirigenti del Potenza e alla società stessa. A fondamento della propria richiesta formulata ai sensi dell’art. 39 C.G.S. il Procuratore Federale osservava che la decisione della cui revocazione si trattava era stata adottata nel presupposto che nella fattispecie, pur ricorrendo atti teoricamente idonei a realizzare l’illecito sportivo, mancasse la prova della volontà, da parte del Postiglione e del Giuzio di commettere atti diretti a causare l’illecito contestato. Come detto, infatti, i primi giudici si erano pronunciati nel senso che, pur risultando provata la realizzazione da parte degli incolpati della condotta materiale contestata nel deferimento, consistente nell’indebolimento tecnico della squadra del Potenza che disputò la gara con la Salernitana, vi fosse carenza di prova sul dolo specifico che avrebbe dovuto sorreggere le condotte sia del Postiglione sia del Giuzio. L’istanza di revocazione avanzata dalla Procura Federale era fondata sull’omesso esame di fatti decisivi che non si erano potuti conoscere nel precedente procedimento, conclusosi con il conseguimento del carattere della irrevocabilità (per mancata impugnazione della decisione illustrata) e sulla sopravvenienza di fatti nuovi la cui conoscenza avrebbe reso possibile una diversa pronuncia. Evidenziava, infatti, la ricorrente Procura, che nel corso di un’indagine penale pendente presso gli uffici giudiziari di Potenza, erano emersi elementi di prova a carico del Postiglione di natura tale da consentire di sciogliere il dubbio interpretativo circa la natura della condotta contestata in sede disciplinare-sportiva, dubbio che aveva condotto, appunto, la C.D.N. ad optare per il proscioglimento. In particolare, veniva sottolineato come l’indagine penale avesse permesso di appurare che il Postiglione aveva precostituito la formazione di messaggi minacciosi ed intimidatori alla sua persona attraverso il mezzo del breve messaggio telefonico: le risultanze dell’indagine davano conto della circostanza che la provenienza di tali messaggi era stata individuata in una utenza telefonica intestata alla Nipa s.r.l., facente capo all’incolpato e alla sua famiglia. Ad avviso della Procura Federale, la circostanza in parola andava letta come sintomatica della volontà della «precostituzione di un alibi non veritiero», da valutarsi a carico dell’autore della condotta. L’ulteriore elemento legittimante la richiesta rescindente era costituito dalle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria da Antonio Lopiano, dirigente del Potenza Calcio addetto al settore giovanile, secondo cui il Postiglione si era “venduta” la partita Potenza-Salernitana, sicché «la partita doveva essere persa». Il Lopiano aveva aggiunto di aver incontrato il Postiglione la sera prima dell’incontro e di aver ascoltato da lui che «la partita bisognava perderla per forza, sennò poi alla fine questi di Salerno se non perdiamo la partita mi ammazzano pure a me». A supporto della propria istanza la Procura indicava, poi, le dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria da Antonio De Angelis, addetto al servizio d’ordine del Potenza Calcio, il quale ribadiva la sussistenza di prove circa il fatto che il Postiglione avesse raggiunto un accordo diretto ad alterare il risultato della gara. In particolare, il De Angelis citava un episodio verificatosi la sera antecedente alla gara, al quale egli era presente, consistente nella richiesta rivolta dal Postiglione al Lopiano di porsi in contatto con i calciatori della squadra giovanile del Potenza perché si tenessero pronti a disputare la partita in luogo dei titolari che per scelta dello stesso presidente sarebbero mancati. Aggiungeva il De Angelis che il Postiglione, una volta appresa l’impossibilità di comunicare con i giocatori della squadra giovanile, avrebbe preteso che l’invito di giocare la partita venisse rivolto agli allievi. Nel ricorso per revocazione veniva, inoltre, illustrato un articolato svolgimento di fatti, analiticamente narrati all’autorità giudiziaria dal Lopiano e dal De Angelis, verificatisi a distanza di poche ore dal termine della partita. Le dichiarazione accusatorie utilizzate nel corpo del ricorso revocatorio avevano ad oggetto l’incontro avvenuto tra il Postiglione e Luca Evangelisti, tesserato per la FIGC, in un’area di servizio autostradale nei pressi di Foggia. A tale incontro il Postiglione avrebbe partecipato recandosi in auto con il De Angelis ed il Lopiano nel luogo convenuto, nel corso di una conversazione telefonica oggetto di intercettazione telefonica e relativa trascrizione nonché percepita dai due testimoni, con lo stesso Evangelisti. Al termine dell’incontro (avvenuto senza che vi partecipassero il Lopiano e il De Angelis) il Postiglione sarebbe tornato nell’auto in cui i due suoi accompagnatori lo attendevano, esibendo una cospicua somma di denaro (che i testimoni stimavano in 150-160 mila euro), estraendola da una busta di patatine. Anche il Giuzio sarebbe stato presente all’episodio. La persona con la quale il Postiglione si sarebbe incontrato veniva concordemente descritta dal Lopiano e dal De Angelis come portatrice di una inconfondibile caratteristica, costituita da un capo completamente privo di capelli (e dai due testimoni chiamato “capa di bomba”). Entrambi dichiaravano di aver atteso il ritorno nell’auto del Postiglione, che sarebbe salito a bordo del veicolo della persona con la descritta peculiarità dermatologica. Con riferimento all’episodio in parola l’istanza di revocazione riportava la trascrizione di una conversazione telefonica intercorsa tra le utenze del Postiglione e dell’Evangelisti che dava conferma dell’incontro nel casello autostradale di Foggia (in prossimità di un luogo di collocazione di un “ punto blu”, vicino all’indicazione per Bari). Dall’intercettazione si ricavava anche la pronuncia con tono ilare da parte del Postiglione della frase «noi facciamo i danni, facciamo i danni». Dall’interrogatorio reso dal Lopiano all’autorità giudiziaria, inoltre, si desumeva, a dire della Procura Federale, che il Postiglione aveva effettuato una scommessa sulla partita PotenzaSalernitana. La Procura Federale poneva, infine, in risalto che nei giorni di pochissimo successivi alla partita il Postiglione aveva consegnato cospicue somme di denaro a ciascuno dei tre calciatori titolari (De Cesare, Cammarota e Cuomo) che, per sua scelta, non erano stati schierati nella partita Potenza-Salernitana. La Procura Federale riteneva estensibili al Giuzio gli elementi legittimanti la revocazione della decisione nella parte relativa al Postiglione. Si sosteneva, pertanto, nel ricorso, che i “noviter reperta” appaiono idonei a modificare la decisione impugnata anche nei confronti della società del Potenza, direttamente rappresentata dai due incolpati, nonché, a titolo di responsabilità presunta della Salernitana, società avvantaggiata dal contestato illecito, rispetto alla quale dovevano ritenersi assolutamente insussistenti le cause di esclusione di cui all’art. 4, comma 5, C.G.S.. La Procura Federale chiedeva, quindi, che fosse dichiarata preliminarmente ammissibile la domanda rescindente e che venisse, in forma rescissoria, dichiarata la responsabilità di tutte le persone fisiche e giuridiche sopra menzionate con riferimento alle condotte loro addebitate ed inflizione al Postiglione dell’inibizione per 5 anni con proposta di preclusione, al Giuzio dell’inibizione per 3 anni e 6 mesi, al Potenza della sanzione dell’esclusione dal campionato di appartenenza e alla Salernitana della penalizzazione di 6 punti in classifica. Nell’instaurato giudizio si costituivano con apposita memoria difensiva il Potenza Sport Club S.r.l. e la Salernitana 1919 S.p.A.. La prima società eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per la sua tardiva proposizione, essendo state le notizie afferenti al procedimento penale acquisite dalla Procura Federale ben oltre il termine previsto dall’art. 39, comma 1, C.G.S.. Inammissibilità che, comunque, veniva eccepita anche in ordine al difetto delle condizioni legittimanti la richiesta revocatoria, mentre, nel merito, veniva analiticamente confutata l’attitudine di ciascuno degli elementi nuovi a determinare la modificazione in senso peggiorativo della decisione revocanda, tenuto conto della vaghezza, inattendibilità, carenza probatoria delle dichiarazioni accusatorie del Lopiano e del De Angelis, della irrilevanza delle intercettazioni telefoniche riguardanti Postiglione ed Evangelisti, della insostenibilità della tesi della insensibilità della classifica del Potenza ad una possibile sconfitta della Salernitana, della sussistenza di convincenti e lecite ragioni per la mancata partecipazione alla gara di alcuni calciatori del Potenza, della inattendibilità tecnica della tesi dell’auto-invio dell’sms da parte del Postiglione, e, in ogni caso, della sproporzionata entità delle richieste di pena da parte della Procura. La Salernitana Calcio 1919 eccepiva la tardività dell’azione per ragioni coincidenti con quelle fatte valere dall’altra società, il difetto di riconducibilità della fattispecie concreta a quella legale astratta dell’art. 39 CGS sotto il profilo della non riferibilità della qualità di prova agli elementi nuovi prodotti dalla Procura, della carenza del carattere della univocità degli elementi deducibili dagli atti dell’indagine penale. Alla prima seduta innanzi alla C.G.F., sez. un., veniva disposta, con ordinanza, l’acquisizione, a cura della Procura ricorrente, degli ulteriori atti dell’indagine penale e, tra di essi, degli interrogatori di garanzia di tesserati della F.I.G.C. (segnatamente, dell’Evangelisti). L’ordinanza veniva eseguita attraverso il deposito in data 18.2.2010 a cura dell’istante Procura delle risultanze documentali provenienti dagli uffici giudiziari di Potenza relative agli interrogatori di garanzia (che, peraltro, in concreto non avevano avuto luogo per essersi avvalse, le persone sottoposte ad indagini, della facoltà di non rispondere), della ordinanza pronunciata dalla sezione del riesame del Tribunale di Potenza, che confermava il provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari nella parte concernente Luca Evangelisti (sottoposto alla misura custodiale degli arresti domiciliari), del verbale di interrogatorio al Pubblico Ministero di Luca Evangelisti, della richiesta di riesame proposta dalla Procura della Repubblica di Potenza del provvedimento del G.I.P. nella parte in cui non ne erano state integralmente accolte le richieste. Adempiuto l’incombente istruttorio, la Segreteria dava rituale comunicazione alle parti, costituite e non, della nuova seduta fissata per il 19 marzo 2010. Nel corso della predetta seduta si costituiva con comparsa Giuseppe Postiglione che eccepiva la mancata notificazione del ricorso, con conseguente violazione del diritto di difesa, la tardività dello stesso, la sua improponibilità per difetto delle necessarie condizioni legittimanti, l’insussistenza delle condizioni di merito capaci di determinare la revocazione della decisione, tenuto conto della inidoneità dei fatti nuovi a fondare un convincimento diverso rispetto a quello espresso dalla C.D.N. il 7.8.2008. In esito alla discussione, ciascuna delle parti ribadiva le proprie difese e richieste. Il ricorso veniva deciso mediante la pubblicazione del dispositivo nel Com. Uff. n. 200/CGF del 19 marzo 2010, mentre le motivazioni venivano pubblicate nel successivo Com. Uff. n. 203/CGF del 24 marzo 2010. Il Collegio riteneva, anzitutto, infondata l’eccezione di nullità di notificazione del reclamo al Postiglione e al Giuzio, essendovi prova della avvenuta comunicazione del reclamo alle persone fisiche prima indicate nel luogo di loro temporanea dimora, ai sensi dell’art. 38, comma 8, lettere a) e seguenti C.G.S., espressamente richiamato dall’art. 41, comma 3, dello stesso codice, relativamente ai procedimenti per illecito sportivo. Riteneva, poi, la Corte «egualmente infondata l’eccezione di tardività del ricorso tenuto conto della circostanza che esso è stato proposto nei 30 giorni decorrenti dalla data nella quale alla Procura Federale pervennero gli atti inviati dagli uffici giudiziari procedenti relativamente dall’indagine penale da cui ha tratto origine il presente procedimento». Sotto siffatto profilo, così osservava la C.G.F.: «Non può revocarsi in dubbio che l’interpretazione da dare alla norma di cui all’art. 39 C.G.S., che prescrive che l’impugnazione per revocazione debba avvenire entro 30 giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti, sia tale che la conoscenza dell’uno o degli altri da parte del ricorrente debba essere piena, in modo che possa essere soddisfatta la ulteriore condizione di ammissibilità del ricorso, consistente nell’analitica illustrazione e descrizione di essi, nonché nella dimostrazione della idoneità modificativa della precedente decisione. A questa stregua si sottrae ad ogni dubbio la radicale insufficienza delle semplici e non qualificate notizie di stampa afferenti all’indagine penale a costituire sintomo se non prova della piena conoscenza in parola: esse rappresentarono, piuttosto, il propellente per la diligente azione conoscitiva posta in essere dalla Procura Federale presso gli uffici giudiziari procedenti. Una volta assolto tale onere, e percepitine gli esiti utili attraverso la ricezione degli atti, poteva iniziare a decorrere il termine: questo è quanto è in effetti avvenuto nel caso di specie. Logica prova ne è che il fondamento stesso del ricorso revocatorio è univocamente rinvenibile in relazione agli atti del procedimento penale e nei ripetuti riferimenti al loro oggetto, che ovviamente sarebbero stati preclusi dalla loro mancata acquisizione». Quanto all’eccezione di inammissibilità / improponibilità del ricorso con riferimento alla pretesa irriducibilità degli elementi utilizzati dalla Procura Federale a fondamento del proprio reclamo alla nozione di fatti decisivi sopravvenuti o fatti nuovi comportanti una diversa pronuncia di cui all’art. 39, comma 1,lettera d), C.G.S., osservava la Corte come tutte le tesi difensive, «pur doviziosamente articolate», sembravano «muovere dal presupposto della sostanziale assimilabilità, se non sovrapponibilità, tra struttura, oggetto e limiti del procedimento revocatorio federale a quello disciplinato con riferimento al processo civile». Orbene, detta tesi veniva ritenuta non meritevole di accoglimento: «da un lato in omaggio al principio di autonomia dell’ordinamento sportivo, ordinamento collaterale a quello di diritto comune, ma non per questo soggetto a sindacato di merito sulle proprie scelte una volta che esse non si rivelino compromissorie, come è da escludersi avvenga con riferimento alla norma in esame, di principi fondamentali dell’ordinamento generale o compressive di situazione soggettive inviolabili: non può, pertanto, che prestarsi unicamente attenzione per la disciplina del caso concreto alla norma federale. Ma anche dal punto di vista letterale l’idea della assimilabilità-sovrapponibilità con il diritto processuale comune manifesta la propria inaccoglibilità, in quanto la norma federale non richiede alla lettera d) citata che a giustificare la revocazione di una decisione inappellabile contribuiscano nuove prove (come prescrive il n. 2 dell’art. 395 C.P.C.) né che siano stati reperiti documenti decisivi (ai sensi del n. 3 della norma da ultima citata). La norma federale in esame descrive, piuttosto, una fattispecie nuova ed originale rispetto a quelle disciplinate dal diritto comune, eloquentemente adottando un ordine terminologico ed una categoria concettuale svincolati dal rigore del Codice di Procedura Civile, che, nel riferirsi a figure o istituti quali “prove” e “documenti” ha esplicitamente adottato una declinazione in senso tecnico di tali termini, evidentemente ancorandoli alla definizione ed alla disciplina di essi circolanti nel medesimo ordinamento processuale, sicché al fine revocatorio di cui all’art. 395 C.P.C. può solo concorrere quell’elemento qualificabile come prova o documento nell’ambito del processo civile, con il connesso corredo di conseguenze. Al contrario, la scelta adottata dall’ordinamento federale è stata quella di dar prevalenza al principio di effettività ed efficacia del materiale probatorio al preminente scopo di giustizia consistente nella rimozione dall’ordinamento stesso di decisioni sostanzialmente ingiuste, indipendentemente dalla natura dell’elemento di novità o dalla sua qualificazione in termini rigorosamente formali. In altri termini, l’opzione autonomamente esercitata dal C.G.S. è stata quella di considerare necessarie e sufficienti ad avviare ammissibilmente il procedimento revocatorio sopravvenienze fattuali, suscettibili di indurre il giudice della revocazione a riconsiderare alla loro luce il precedente assetto decisorio. La norma non impone affatto che le sopravvenienze in parola debbano aver precedentemente superato un vaglio di veridicità conclusosi con una pronuncia definitiva in qualunque ambito giurisdizionale (ordinario o sportivo)». Ciò premesso, riteneva la Corte che gli elementi probatori evidenziati dalla Procura fossero unicamente riferibili, per la loro specificità e inerenza, alla persona di Postiglione e, di conseguenza, dichiarava inammissibile la richiesta revocatoria formulata nei confronti di Giuzio, alla luce del principio secondo cui anche la responsabilità disciplinare delle persone fisiche soggiace al fondamentale principio della personalità. Quanto alla posizione di Postiglione, osservava la C.G.F. che gli elementi sopravvenuti «ravvisati nelle risultanze delle indagini penali, che danno conto delle nuove dichiarazioni accusatorie di Lopiano e De Angelis, nelle intercettazioni telefoniche dei colloqui tra Postiglione ed Evangelisti, nell’accertata effettuazione di pagamenti da parte del Postiglione ai calciatori non schierati nel corso dell’incontro Potenza/Salernitana, nelle intercettazioni di conversazioni tra l’allenatore del Potenza ed altro interlocutore, nell’esito delle indagini penali riguardante la partecipazione del Postiglione ad un giro di scommesse su gare calcistiche, nel fallimento dell’alibi della ricezione da parte del Postiglione di minacce attraverso il mezzo del messaggio telefonico e, comunque, nell’inconsistenza dei messaggi riferiti, anche se effettivamente fossero stati di eteronoma provenienza», si palesano «induttivi di una possibile revisione critica della precedente pronuncia». «Ed invero», proseguiva la Corte, «ciascuno di questi elementi individualmente considerato nonché valutato in forma aggregata agli altri consente in astratto di rifondare il giudizio precedentemente espresso dalla Commissione Disciplinare Nazionale sotto lo specifico profilo che, grazie al nuovo ingresso di questi elementi probatori, può vincersi l’ambiguità interpretativa che ad avviso dei primi giudici si risolveva nel mancato raggiungimento della prova piena della ricorrenza in capo al Postiglione del necessario elemento soggettivo (dolo specifico) integratore della fattispecie dell’illecito sportivo […] La concatenazione dei fatti materiali, antecedentemente e susseguentemente acquisiti al processo sportivo, orienta la interpretazione del fine delle azioni poste in essere dal Postiglione, facendone risaltare l’univoca riferibilità al risultato illecito e non offrendo alcuno spazio ad interpretazioni alternative o incompatibili. Da questo punto di vista la Corte non ha alcuna esitazione nel giudicare congrui ed adeguati ai fini dell’ammissibile proposizione del ricorso i nuovi elementi prospettati dalla Procura ricorrente: ciò deve condurre ad una pronuncia di ammissibilità dello stesso». Così superata la fase rescindente, riteneva la C.G.F. che «l’esame degli atti, dei fatti e delle circostanze conducenti alla pronuncia circa la sussistenza delle condizioni rescissorie della pronuncia originaria» si rivelava agevole e di percezione immediata e intuitiva, «nel senso del concorso delle condizioni per procedere alla eliminazione della decisione divenuta irrevocabile e del consequenziale accoglimento del ricorso della Procura Federale». Riteneva, la Corte, accertato, in particolare, «che Postiglione impose la propria autorità rispetto a quella legittima e istituzionale del tecnico ai fini della individuazione dei calciatori da schierare, secondo un modulo completamente privo di ragionevolezza ed utilità per la squadra, vistasi privare di calciatori titolari, le cui prestazioni si erano in passato rivelate positivamente decisive, sostituiti con altri meno esperti, più giovani, del tutto impreparati ad affrontare una gara certamente impegnativa. Le concordi deposizioni di Lopiano e De Angelis mettono in luce la pervicace ostinazione del Postiglione nel trovare, comunque, alternative alla migliore formazione possibile, tanto da prospettare il paradossale impiego di calciatori non solo della Beretti ma della formazione allievi nel caso di irreperibilità dei primi. Queste affermazioni sono credibili in sé sia perché hanno trovato riscontro nell’effettiva deprivazione dell’apporto di alcuni calciatori titolari nella formazione utilizzata contro la Salernitana sia perché manca qualunque tranquillizzante e precisa indicazione di motivi di interessata ostilità del Lopiano e del De Angelis nei confronti del Postiglione, anche considerando la consueta e fitta frequentazione tra i tre sia alla vigilia della gara che nelle ore immediatamente successive. Una simile familiarità è certamente inconciliabile con un’inimicizia che avrebbe dovuto covare nel tempo fino a portare a così gravi affermazioni». Evidenziava, ancora, la C.G.F. come il fatto che «il mancato schieramento dei calciatori fosse dal Postiglione vissuto come fatto meritevole di una qualche forma di ricompensa o gratificazione (almeno nei limiti in cui ad esso fosse corrisposto il soddisfacimento anche di un interesse diretto e personale dello stesso Postiglione) è dimostrato dalla ulteriore, nuova emergenza processuale che ha consentito di appurare la corresponsione di consistenti somme di denaro pochi giorni dopo la partita ai calciatori non schierati, senza che sia stata in alcun modo fornita una “causa solvendi” atta a stornare il dubbio della sua illiceità per riconduzione ad un motivo illecito, comune a tutte le parti. Di questa dazione pecuniaria gli atti di indagine penale in questa sede acquisiti hanno dato piena, inequivocabile conferma non solo grazie alle puntuali e convergenti dichiarazioni degli stessi interessati e di Lopiano e De Angelis, ma anche in virtù delle allusive confidenze fatte telefonicamente dall’allenatore ad un altro interlocutore». La Corte riteneva, poi, provato l’incontro tra Postiglione ed Evangelisti «al termine del quale fu consegnata dal secondo al primo una rilevantissima somma di denaro di cui non è stata dagli interessati fornita giustificazione alcuna, che del tutto verosimilmente finì con il costituire la provvista per una sua frazionata utilizzazione a favore dei calciatori precedentemente identificati (cui fu, in effetti, consegnata solo pochi giorni dopo la ricezione della somma stessa). E che l’incontro si sia effettivamente verificato non è solo provato dalle dichiarazioni di due delle persone che ne videro, sia pure a breve distanza, l’effettuazione e ne percepirono uditivamente le fasi organizzative: tale prova è integrata dall’intercettazione telefonica che testimonia dei preparativi dell’incontro tra Evangelisti e Postiglione, esattamente nel medesimo luogo indicato nelle (allora ignare delle intercettazioni stesse) dichiarazioni di Lopiano e De Angelis. [...] Del resto, il passaggio di denaro dalle mani di Evangelisti a quelle di Postiglione, per le sue caratteristiche logiche e cronologiche, che obiettivamente lo collegano alla gara, fornisce un sicuro indice del pieno inserimento della gara Potenza-Salernitana in un circuito di arricchimenti illeciti, che sicuramente avrebbe potuto trarre alimento e giovamento dall’alterazione del risultato della gara stessa». In altri termini, secondo il Collegio «ricorreva ogni utile circostanza perché la gara venisse distolta dal suo alveo regolare e fatta oggetto di negoziati antidoverosi: una volta conseguito il risultato alterativo i benefici sarebbero stati, come in effetti avvenne, tratti: nella prospettiva di trarre tali benefici agevolmente si spiega la precostituzione della base tecnica per impedire il regolare svolgimento della gara, ossia la adozione di una formazione ingiustificatamente ed irragionevolmente debole. Ed anche tale distonia comportamentale trovò, come prima detto, adeguata ed invogliante remunerazione». Secondo il Collegio, insomma, «la riduzione ad unità interpretativa dei nuovi elementi addotti dalla Procura a sostegno del suo ricorso obbliga la Corte ad assumere un unico modulo di giudizio dei fatti sottoposti al suo esame: essi furono tutti attraversati dalla portata inquinante delle condotte di Postiglione e dei fini illeciti da lui perseguiti. A questo punto, non può più nutrirsi alcun dubbio che il metro di qualificazione della sua condotta sia quello dello stigma per la volontà di perseguire un fine illecito. Ed è questo, pertanto, l’esito cui questo giudizio approda, per effetto delle significative, imponenti integrazioni del quadro probatorio determinative della modificazione della precedente pronuncia. Deve, pertanto, ritenersi pienamente integrata la prova della commissione dell’illecito contestatogli da parte del Postiglione e la conseguente riferibilità di esso a titolo di responsabilità diretta alla società da lui rappresentata». In ordine alla posizione della Salernitana, chiamata a rispondere a titolo di responsabilità presunta, osservava il Collegio come, «non solo la condotta illecita del Postiglione era potenzialmente rivolta all’attribuzione alla Salernitana di un vantaggio ingiusto, ma lo stesso fu – così giustificandosi la contestazione della relativa aggravante – concretamente ottenuto attraverso un’indebita vittoria sul campo. Tale vantaggioso risultato acquistava all’epoca dei fatti un sapore ancor più benefico, tenuto conto dell’alta posizione di classifica ricoperta dalla Salernitana: ciò spazza ogni possibile incertezza circa la piena soddisfazione del criterio del “cui prodest”, come di quello applicabile nel caso di responsabilità presunta». Per queste ragioni, la C.G.F. dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione proposto dalla Procura Federale nei confronti di Pasquale Giuzio; dichiarava ammissibile il ricorso per revocazione nei confronti del Potenza Sport Club S.r.l., della Salernitana Calcio 1919 S.p.A. e di Giuseppe Postiglione e lo accoglieva, per l’effetto disponendo, per quanto in questa sede rileva: l’esclusione del Potenza Sport Club S.r.l dal campionato di competenza con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria inferiore; la sanzione, a carico di Giuseppe Postiglione, dell’inibizione per anni 5 a svolgere ogni attività in seno alla F.I.G.C., a ricoprire cariche federali ed a rappresentare la società Potenza Sport Club S.r.l. nell’ambito federale, con preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.. In relazione alla predetta decisione della C.G.F. il sig. Giuseppe Postiglione, in proprio e nella qualità già sopra in apertura ricordata, propone «richiesta di procedimento di revisione del processo ex art. 39 comma II CGS». Secondo l’istante, infatti, «le cosiddette prove “regina” a sostegno delle due condanne per illecito sportivo sono cadute con le seguenti sentenze: a) 22.2.2012, Tribunale di Potenza, Giudice dott. Giovanni Conte – assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto – gestione del servizio di sicurezza relativo allo stadio “A. Viviani” di Potenza; b) 5.12.2012, Tribunale di Potenza, Giudice dott.ssa Rosa Larocca – sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto e perché il fatto non sussiste – relativamente alle erronee ipotesi afferenti i capi di imputazione circa condotte violente, aggravate ex art. 7 L. 203/91 (c.d. metodo mafioso), per condizionare gli incontri oggetto di illecito sportivo (Potenza – Salernitana e Potenza – Gallipoli) ed è stata definitivamente dichiarata insussistente l’ipotetica associazione per delinquere di stampo mafioso – ex art. 416 bis, che avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, avrebbe commesso una serie di delitti, tra i quali gli illeciti sportivi summenzionati. Il non luogo a procedere per l’associazione mafiosa è fondamentale per dirimere il campo da ogni dubbio circa gli illeciti e le frodi sportive. Secondo l’accusa originaria l’associazione mafiosa era costituita per il compimento di “frodi in competizioni sportive” e che ciò era possibile anche grazie alla “gestione violenta ed affaristica della società del Potenza Calcio e di tutte le attività parallele, ivi comprese le violenze e le pressioni sui collaboratori della società e sulla tifoseria locale, costretti a subire con minaccia e forza tutte le scelte imposte dal duo Cossidente – Postiglione”. In buona sostanza, i due commettevano illeciti sportivi e per gestire la situazione minacciavano ed intimidivano la tifoseria a che questa non contestasse le scelte societarie, a riguardo – sempre nell’ipotesi accusatoria ciò si sarebbe palesato con “l’avvertimento minaccioso dato al tifoso Mecca Antonio”». Alla seduta innanzi a questa Corte, riunita in Sez. un., il rappresentante della Procura Federale ha eccepito l’inammissibilità, sotto diversi profili, dell’istanza di revisione, evidenziando, tra l’altro, come il provvedimento conclusivo definitivo della giustizia sportiva sia costituito non già dalla decisione della C.G.F. del 19 marzo 2010, bensì dalla successiva decisione del TNAS del 25.5.2010. Ha, inoltre, eccepito difetto di legittimazione del sig. Giuseppe Postiglione, non essendo lo stesso legale rappresentante della società Potenza Calcio, società peraltro non più affiliata. E, ancora, che difetterebbe, nel caso di specie, il presupposto della irrevocabilità della decisione contrastante posta a base della richiesta di revisione. La difesa dell’istante ha illustrato e specificato le ragioni del ricorso per revisione, replicando alle eccezioni formulate dalla Procura ed evidenziando che ben potrebbe l’adìta Corte, disporre, ove necessario od opportuno, apposita integrazione istruttoria. Ha, quindi, insistito per l’accoglimento delle conclusioni già in atti rassegnate. All’esito della discussione, questa C.G.F. si è, quindi, riunita in camera di consiglio, deliberando quanto in dispositivo sulla base dei seguenti Motivi della decisione La richiesta di revisione del processo ex art. 39, comma 2, C.G.S. non può essere accolta e deve essere dichiarata inammissibile. La questione che in via logicamente preliminare la Corte è chiamata ad affrontare, riguarda la ammissibilità del ricorso per revisione, peraltro contestata dalla Procura. Ma, ancor prima, l’ordine logico delle diverse questioni agitate nel presente procedimento impone di verificare la sussistenza della legittimazione processuale in capo al Potenza Sport Club S.r.l. ed all’istante sig. Giuseppe Postiglione. A tal proposito, occorre muovere dal dato testuale. Il sig. Giuseppe Postiglione dichiara di agire «in proprio e nella qualità di proprietario della società Calpel srl detentrice dell’intero capitale sociale della società Potenza Sport Club srl con sede in Potenza alla via Livorno 144». L’istanza di revisione proposta dal sig. Postiglione «in proprio» è inammissibile: questi non richiede, infatti, la revisione del procedimento a suo carico e delle conseguenti sanzioni allo stesso inflitte, limitandosi, invece, a richiedere che sia disposta la revisione dei processi «Potenza/Salernitana e Potenza – Gallipoli» e, per l’effetto, che sia «riassegnata la matricola federale ingiustamente dichiarata decaduta dalla F.I.G.C.» e riammessa «la società Potenza Sport Club S.r.l. nel campionato originario di appartenenza ovvero Prima Divisione (ex C1) della Lega pro». Nessun riferimento e domanda, dunque, in ordine ai provvedimenti disciplinari assunti dalla giustizia sportiva nei suoi confronti. Del pari inammissibile l’istanza di revisione proposta dal sig. Postiglione «nella qualità»: infatti, lo stesso si dichiara, come detto, «proprietario della società Calpel srl detentrice dell’intero capitale sociale della società Potenza Sport Club srl». Ora, senza voler qui disquisire in ordine alle differenze tra proprietà (rectius titolarità) delle quote del capitale di una società e la legale rappresentanza della medesima e volendo “leggere” in senso ampio il riferimento al concetto di proprietà come utilizzato dal ricorrente, rimane il fatto che pur laddove questi sia (anche) il legale rappresentante della Calpel s.r.l., non è detto che lo sia pure della Potenza Sport Club S.r.l., che è e rimane, comunque, una diversa società, giuridicamente autonoma, rispetto alla prima, anche sotto il profilo della gestione e della rappresentanza in giudizio e nei rapporti con i terzi. Solo per completezza di esposizione si evidenzia che anche laddove il ricorrente avesse dimostrato o, quantomeno, dedotto di avere la legale rappresentanza della Potenza Sport S.r.l., cionondimeno l’istanza di revisione sarebbe rimasta lo stesso inammissibile. Infatti, con provvedimento di cui al Com. Uff. n. 132/A del 4 aprile 2010, il Presidente della F.I.G.C., «rilevato che la società Potenza Sport Club S.r.l. ha cessato tutte le attività nella stagione 2011/2012; preso atto della richiesta formulata dalla medesima società, in data 23 marzo 2012; visto l’art. 16 N.O.I.F.», ha deliberato «la decadenza dell’affiliazione per inattività della Società Potenza Sport Club S.r.l.». Ne consegue che non essendo più affiliata alla FIGC la società Potenza Sport Club S.r.l. difetta di legitimatio ad causam. Peraltro, anche nell’ipotesi in cui si volesse ritenere sussistente la legittimazione processuale della predetta società, l’istanza di revisione rimarrebbe comunque inammissibile. In tal ottica, infatti, occorre evidenziare che l’istanza di cui trattasi è volta, come già ricordato, alla revisione dei processi «Potenza – Salernitana e Potenza – Gallipoli», al fine della riassegnazione della matricola federale «ingiustamente dichiarata decaduta dalla F.I.G.C.» e della riammissione della società Potenza Sport Club S.r.l. nel campionato originario di appartenenza di prima divisione della Lega Pro. Orbene, il mezzo giuridico utilizzato dal ricorrente è volto alla rimozione, per effetto della revisione, delle decisioni, inappellabili o divenute irrevocabili, degli organi della giustizia sportiva, e non già anche dei provvedimenti del Presidente della F.I.G.C.. Pertanto, anche nella ipotesi in cui questa Corte ritenesse prima ammissibile e poi fondato il ricorso per revisione, non potrebbe adottare alcuno dei provvedimenti richiesti: non la riassegnazione della matricola federale, perché attività che esula dalla competenza degli organi della giustizia sportiva; non la riammissione al campionato di Prima divisione della Lega Pro, in quanto si tratta di società non più affiliata alla F.I.G.C., rappresentando l’affiliazione, un evidente presupposto logicogiuridico per la domanda di riammissione ad un dato campionato. Si aggiunga, ancora, che anche laddove fosse stato possibile riconoscere la “competenza giurisdizionale” di questa Corte in ordine alla richiesta di riassegnazione della matricola, rimarrebbe, comunque, preclusa, nel caso di specie, una correlata concreta decisione sul punto, considerato che, come detto, il provvedimento di decadenza dell’affiliazione è stato adottato non già quale effetto e conseguenza dei processi di cui è chiesta la revisione, bensì sulla base della richiesta effettuata «dalla medesima società, in data 23 marzo 2012» e in considerazione della cessazione, da parte della stessa, di «tutte le attività nella stagione 2011/2012». L’istanza di revisione è, poi, comunque inammissibile in relazione alla decisione oggetto della stessa. In particolare, occorre evidenziare che la decisione della C.G.F. del 19 marzo 2010, della quale è chiesta la rimozione, è stata fatta oggetto, da parte del Potenza Sport Club S.r.l., di apposito arbitrato innanzi al TNAS, con atto depositato il 22 marzo 2010. All’esito del procedimento arbitrale, il TNAS, in parziale riforma dell’impugnata decisione della C.G.F., ha condannato il Potenza Sport Club S.r.l. alla retrocessione diretta al Campionato di Seconda Divisione». Orbene, secondo l’art. 28 del Codice dei giudizi innanzi al TNAS, i lodi arbitrali aventi ad oggetto controversie rilevanti anche per l’ordinamento della Repubblica sono sempre impugnabili «con i mezzi previsti dal codice di procedura civile». E, in tal ottica, l’art. 831 c.p.c., come è noto, prevede la possibilità di impugnare per revocazione il lodo arbitrale davanti alla Corte d’Appello nella cui circoscrizione ha sede l’arbitrato. Anche sotto questo profilo, dunque, il ricorso non può sfuggire a declaratoria di inammissibilità (cfr. CGF, sez. un., Com. Uff. n. 245/CGF del 4 maggio 2012). Ai soli fini di completezza espositiva è possibile segnalare ulteriori profili di inammissibilità dell’istanza di revisione come formulata, che rimangono, peraltro, comunque, assorbiti dal difetto di legittimazione di cui si è detto. Anzitutto, l’istanza non appare connotata da una sufficiente individuazione e allegazione dei presupposti del rimedio esperito. Occorre, preliminarmente, osservare che l’apprezzamento della capacità rivalutativa della precedente pronuncia posseduta dagli elementi che si asseriscono sopravvenuti è unicamente riservata dal legislatore federale al giudice della revocazione, che appare del tutto sciolto dal vincolo di conformità ad altre valutazioni svolte con riferimento ai medesimi fini in altre sedi: semmai la conformità tra tale apprezzamento ed altri realizzati, sia pur interinalmente, in altre sedi, può corroborare o meno l’affidabilità dell’apprezzamento effettuato in ambito federale. Il ricorrente sembra dedurre due dei profili che l’art. 39, comma 2, C.G.S. pone a fondamento della pronuncia caducatoria di una decisione irrevocabile adottata dagli Organi federali di Giustizia sportiva. In particolare, dal ricorso come formulato sembra doversi desumere che sarebbero sopravvenute nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrerebbero che il sanzionato avrebbe dovuto essere prosciolto e si afferma, inoltre, la inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile. Come illustrato nella parte espositiva, le condizioni afferenti al primo profilo dovrebbero, secondo il ricorrente, ravvisarsi nelle due decisioni del giudice penale di cui si è fatto sopra cenno. L’inconciliabilità con altra decisione irrevocabile andrebbe colta in ciò che il procedimento penale che avrebbe tratto origine dalla medesima condotta, fenomenicamente intesa, su cui si è pronunciato il Giudice Sportivo, si è concluso con sentenza di assoluzione. Orbene, premesso che delle decisioni del Giudice Penale non viene dedotta e, tantomeno, provata, l’ “irrevocabilità” richiesta dall’art. 39, comma 2, C.G.S., il Collegio rileva che l’esame in questione deve essere condotto attraverso la esegesi della predetta norma, la cui formulazione, per ciò che attiene all’impulso di cui il procedimento ed alla ripartizione degli oneri di giudizio tra la parte ed il Giudice, necessita di alcune precisazioni integrative che, in omaggio al compito nomofilattico ad essa riservato dal vigente ordinamento federale, questa Corte a Sezioni Unite, i cui orientamenti sono da leggere anche in termini di criteri direttivi in materia di Giustizia sportiva, ha già in precedenza fornito. «In primo luogo, è da porre nel debito conto che il procedimento di revisione non può perdere la propria caratteristica di promuovimento su istanza della parte interessata per il solo fatto che la norma si esprima affermando che “la Corte di Giustizia Federale può disporre la revisione…”. Ed invero la disposizione può solo spiegarsi attribuendo al legislatore la volontà di affidare alla Corte stessa il previo compito, che in questa sede motivazionale si sta assolvendo, di verificare l’ammissibilità del ricorso per revisione: e ciò in quanto manca per il procedimento in esame una disposizione corrispondente a quella posta dal comma 4, del medesimo art. 39 in materia di revocazione, allorché si stabilisce che “l’organo investito della revocazione si pronuncia pregiudizialmente sull’ammissibilità del ricorso per revocazione”. Ciò equivale a dire che la struttura del procedimento di revisione desumibile dall’art. 39 C.G.S. contempla il doppio momento, comune a quello per revocazione, della ammissibilità e, quello ulteriore e successivo, della rescindibilità e possibile sostituibilità della pronuncia della cui rimozione si tratta» (Com. Uff. n. 190/CGF del 20.5.2009). Ciò premesso, con riferimento al caso di specie, questa Corte non può che rilevare il difetto di adeguata allegazione da parte dell’istante dei nuovi elementi di prova idonei ad ammettere la revisione del processo. La richiesta di revisione è, infatti, corredata soltanto dai dispositivi delle sentenze nelle quali, a dire del sig. Postiglione, sarebbero rinvenibili quelle «nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il sanzionato doveva essere prosciolto oppure in caso di inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile, od in caso di acclarata falsità in atti o in giudizio» (cfr. pag. 6 ricorso). Peraltro, nel primo dispositivo di sentenza cui fa riferimento l’istante, ossia quello del Tribunale di Potenza del 22.2.2012, si legge dell’assoluzione dei sigg.ri Postiglione Giuseppe e Giuzio Pasquale «dal reato a loro ascritto in rubrica per non aver commesso il fatto». Tuttavia, non viene allegata né la sentenza (nonostante il Giudice abbia indicato giorni 90 per il deposito delle motivazioni ed essendo, dunque, decorso ben oltre un anno dalla decisione), né, quantomeno, gli atti del procedimento penale e, segnatamente, il provvedimento d’incolpazione dal quale desumere quale era il reato per il quale si procedeva in sede giudiziaria ordinaria e dal quale l’odierno istante è stato assolto. Nel secondo dispositivo è, invece, dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Giuseppe Postiglione «relativamente al reato di cui al capo j) dell’imputazione, per non aver commesso il fatto» e «di cui al capo p) dell’imputazione, perché il fatto non sussiste». Anche in questo caso, tuttavia, non essendo stata allegata copia integrale della sentenza, non è possibile procedere ad una valutazione della eventuale inconsistenza materiale e/o giuridica degli elementi di prova sui quali nel 2010 la C.G.F. ha costruito il proprio convincimento posto a base della decisione di cui oggi si chiede la revisione. Anzi, ancor prima, questa Corte non è in grado neppure di stabilire se i fatti in ordine ai quali è stato dichiarato il non luogo a procedere siano i medesimi di quelli costituenti oggetto del giudizio disciplinare-sportivo. Insomma, parte ricorrente non consente a questa Corte di compiere quel preliminare giudizio volto a verificare l’astratta idoneità della decisione posta a fondamento della richiesta revisione a rendere possibile una diversa conclusione del procedimento disciplinare conclusosi con i provvedimenti di cui al Com. Uff. n. 200/CGF del 19 marzo 2010. Del pari, sulla base del ricorso, come proposto, non è possibile un raffronto tra il materiale probatorio sul quale sono state fondate e motivate le decisioni del giudice penale e quello sul quale si è, invece, basato il giudice sportivo, al fine di verificare se la decisione che, a dire dell’interessato, si rivelerebbe inconciliabile con quella resa nel giudizio sportivo sia effettivamente tale. In particolare, non è possibile conoscere se le sentenze di cui trattasi siano state o meno adottate sulla base del disconoscimento o, addirittura, della riconosciuta o dichiarata falsità degli elementi istruttori che hanno fondato il convincimento dei giudici sportivi. Soltanto una siffatta valutazione, infatti, avrebbe potuto condurre alla dichiarazione di ammissibilità del ricorso ed al successivo esame nel merito della sussistenza dei presupposti e delle condizioni per procedere alla sostituzione della sentenza così rescissa. Per completezza, deve osservarsi come, in questa sede di richiesta di revisione del procedimento, le “nuove prove” che dimostrerebbero che il sanzionato doveva essere prosciolto non sono state neppure dedotte o indicate, quantomeno in modo chiaro e specifico. Il ricorrente, infatti, si limita ad «argomentare e precisare sull’attendibilità degli accusatori Antonio De Angelis, Antonio Cossidente e Antonio Lopiano, dato che certamente ha influito significativamente sulle predette sentenze di proscioglimento» (cfr. pag. 6 ricorso), ma non già riportando le valutazioni ed il convincimento del giudice penale, quanto ricostruendo la vicenda secondo la propria interpretazione difensiva, richiamando, peraltro, stralci degli interrogatori resi dai suddetti ancora (sembra di capire) nella fase delle indagini preliminari e, quindi, già esistenti e valutati nel 2010 al momento della decisione della C.G.F. resa all’esito del processo di cui si chiede la revisione e che, pertanto, non possono certamente rappresentare elementi sui quali basare la richiesta revisione. Secondo la prospettazione di parte ricorrente, dagli interrogatori resi da De Angelis e Lopiano il giorno 1.9.2008 sarebbe possibile evincere come i due siano «in perfetta simbiosi, combinata, aggiustata, artatamente creata e voluta per dissimulare la realtà». Ora, a prescindere, lo si ribadisce, dal fatto che tali valutazioni sono effettuate su dichiarazioni non certo nuove, ma già esistenti al momento dell’istanza di revocazione avanzata nel 2010 dalla Procura Federale, rimane il fatto che si tratta di valutazioni di parte, pur dettagliatamente articolate e ben argomentate, e non già, invece, poste a fondamento di una decisione che si appalesa “inconciliabile” con quella resa in sede sportiva e che potrebbe essere astrattamente idonea a fondare un giudizio di revisione. Prosegue, parte istante, evidenziando come il Lopiano non sappia «nemmeno quali fossero le partite su cui lui stesso avrebbe scommesso, ma sa che De Angelis ha prodotto dei documenti che, di contra, all’esito dell’udienza preliminare, si sono dimostrati falsi». Ma, al di là di una lettera della Coget, gestore della società Mister Toto, dalla quale si apprenderebbe che, i dati in possesso della stessa, «relativamente al periodo aprile 2007 – marzo 2009 ed alle partite specificate nella richiesta» (che non si sa quali siano), «non evidenziano la presenza di giocate anomale né di vincite significative», non vi è alcun provvedimento giudiziario dal quale risulti, per quel che possa rilevare, la dichiarazione di falsità di detta documentazione. Il riferimento al fatto che la tesi accusatoria dell’esistenza di un sistema di scommesse al quale avrebbe aderito anche Giuseppe Postiglione, sarebbe stata, invece, disattesa in sede di giudizio penale avrebbe, eventualmente, soltanto una parziale e, comunque, limitata e marginale rilevanza nel presente procedimento, atteso che le sanzioni irrogate nella decisione di cui è chiesta la revisione conseguono ad un giudizio di colpevolezza in ordine all’accusa di illecito sportivo relativamente alla gara Potenza - Salernitana del 20 aprile 2008 e non già per illecito sportivo associativo o per la partecipazione ad un sistema illecito di scommesse. Nella stessa direzione, fermo restando, anche in questo caso, che non si tratta di elementi nuovi o dichiarati falsi (semmai, al più, infondati: ma neppure questo è dato sapere, attesa la mancata produzione delle sentenze) non appare di grande momento pratico, come già, peraltro, evidenziato nella decisione della C.G.F. qui fatta oggetto di richiesta di revisione, stabilire la paternità del messaggio in inglese maccheronico nel quale «gli agenti operanti» troverebbero «conferma alle loro illazioni sulle scommesse». «A dire degli inquirenti», prosegue il ricorrente, «poi smentiti, questo sarebbe il sistema per sviare le indagini. La verità è che di SMS in inglese, più o meno corretto, De Angelis ne ha mandati diversi, non solo in quell’occasione e ciò è dimostrato dall’estratto degli sms ricevuti dall’istante effettuato mediante il servizio offerto dalla Nokia e ritualmente prodotto. Anche se incredibile, è emerso che, pur avendone conoscenza poiché in quel periodo il sottoscritto era intercettato, gli organi inquirenti non hanno fatto menzione alcuna di tutti gli altri sms scherzosi inviati dal De Angelis al sottoscritto in “inglese maccheronico”. Comunque, anche volendo, in astratto, aderire all’ipotesi fantasiosa prospettata dalla Procura che il messaggio inviato dal De Angelis “Do not want play the tickets whith double chance!” volesse effettivamente significare, come prospettato dall’accusa, “non vogliono giocare i biglietti con la doppia possibilità”, da qui discende proprio la prova contraria alla tesi degli illeciti sportivi. Nel senso che se fosse, per assurdo, vero che il De Angelis condividesse con il sottoscritto il vizio del gioco delle scommesse qual è il fatto penalmente rilevante? Ed anche dal punto di vista sportivo, se anche si potrebbero ravvisare delle violazioni al C.G.S. in riferimento al divieto per i tesserati di effettuare scommesse, si sarebbe comunque nel campo di eventuali punti di penalizzazione e non in quello della radiazione ovvero retrocessione, come per il caso di acclarati illeciti sportivi» (cfr. pag. 19 s. ricorso). Sul punto, come detto, la Corte ha osservato – nella decisione di cui è chiesta la rimozione – come se detti messaggi «siano stati fraudolentemente autoinviati» o, invece, «abbiano una diversa provenienza» non sposti lo stato delle cose, considerato che «il testo che li compone può solo dimostrare che esisteva una nota e diffusa tensione che accompagnava la gara: e la tensione stessa, lungi dal rappresentare un indice di preoccupazione ambientale alla quale il Postiglione si sarebbe assurdamente sottratto imponendo una formazione menomata, ben appare spiegabile – come messo in rilievo concordemente da De Angelis e Lopiano – con la propagazione dei sospetti circa una volontà alteratrice addebitata al Postiglione e molto diffusi nell’ambiente cittadino (e non solo calcistico)». Anche il tentativo, per quanto dettagliatamente articolato, dell’istante di mettere in rilievo il rancore che avrebbe animato De Angelis e Lopiano, è inconferente ai fini del presente giudizio. La ricostruzione effettuata dal Postiglione muove dall’assunto che allorché lo stesso si rese conto «delle angherie subite» e decise di porvi fine, divenne «acerrimo nemico dei due protagonisti, i quali si vendicheranno di lui con ogni mezzo» (cfr. pag. 23 ricorso). Tuttavia, come detto, siffatta argomentazione non può essere in alcun modo valorizzata nel presente procedimento, perché non costituisce (a quanto consta) oggetto di valutazione e conseguente affermazione giudiziaria, tale che questa Corte la possa raffrontare con il quadro probatorio sul quale si erge la decisione del 19 marzo 2010. Lo stesso dicasi per tutte le deduzioni volte, nella prospettazione del ricorrente, a dimostrare l’inattendibilità dei testi De Angelis e Lopiano e la contraddittorietà dei loro contributi dichiarativi. Sempre in attuazione della medesima impostazione difensiva, il ricorrente afferma, inoltre, come sia assolutamente falsa la circostanza che lo stesso decise di non affidare i servizi di sicurezza alla Ronda e che la medesima circostanza sarebbe «facilmente smentibile documentalmente dalle comunicazioni e dagli accordi depositati in atti tra la società Potenza Calcio e La Ronda». E, ancora, prosegue nella stessa direzione l’istante: «è assolutamente impossibile che il tramite fisico, nell’assurda ipotesi in cui il Cossidente gestisse il servizio di sicurezza fosse il Campanella – Cossidente dirà che era lui che fisicamente sovraintendeva il servizio e disponeva degli accessi al campo – dal che semplicemente leggendo le pagine 24 e seguenti dell’ordinanza di custodia cautelare, precisamente la parte inerente la “genesi dell’indagine” scaturita proprio dall’interesse investigativo di scoprire chi avesse preso il controllo delle attività originariamente in capo al Campanella a seguito del suo arresto avvenuto il 12.02.2007. Or bene, il Campanella da quella data ad oggi è detenuto, senza soluzione di continuità, in regime di 41 bis. Come poteva mai essere l’incaricato dell’associazione ad intrattenere i rapporti con il sottoscritto e fisicamente coordinare allo stadio i predetti servizi?» (cfr. pag. 28 ricorso). Com’è evidente il ricorrente si riferisce, ancora una volta, non già a «“nuove prove” che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il sanzionato doveva essere prosciolto», bensì ad elementi probatori già esistenti e, comunque, valutati o possibile oggetto di valutazione al momento della decisione di cui è richiesta la revisione. Pertanto, prima ancora che infondata, l’istanza avanzata dal Postiglione ex art. 39, comma 2, C.G.S. è, anche sotto questo profilo, palesemente inammissibile. Lo stesso vale per la «dimostrata assoluta liceità dei flussi finanziari di denaro riscontrati», in riferimento al sequestro operato, «il 2 luglio 2010, dalla Polizia del Principato di Monaco, in esecuzione di attività di rogatoria internazionale richiesta dalla Procura della Repubblica di Potenza, di un conto corrente riferibile al sig. Postiglione», in ordine al quale sarebbe «ormai pacifico che si tratta di personali risparmi del sottoscritto» (cfr. pag. 29 ricorso). Dov’è la prova e, soprattutto, la “novità” della prova? In quale decisione delle due invocate a supporto dell’istanza di revisione di cui trattasi è contenuto siffatto accertamento? Fatto fermo quanto sopra già osservato, in termini di rilevanza e specifica incidenza, a proposito dell’eventuale assoluzione dall’ipotesi associativa di cui all’art. 416 bis c.p. in riferimento al controllo e all’intervento «negli appalti pubblici come quello relativo al progetto e alla realizzazione del nuovo complesso sportivo di Potenza, su cui l’organizzazione mafiosa attraverso le sue società aveva diretto le sue mire» (cfr. pag. 36 ricorso), si deve, ancora una volta rilevare, come alla manifestata opportunità «di evidenziare quale siano state le considerazioni a sostegno della venuta meno dell’ipotesi illecita», non faccia seguito alcun concreto elemento (nuovo) di prova o conferente affermazione giudiziaria. Neppure questo elemento si presta, dunque, ad una sua possibile valutazione ai fini dell’eventuale revisione richiesta. Le medesime considerazioni possono essere svolte per le ulteriori argomentazioni puntualmente sviluppate in ricorso, a proposito, ad esempio, delle «risorse all’estero» e del “tesoretto svizzero” di cui alle accuse mosse dal Giuzio, della vicenda del presunto conto corrente esistente presso la Banca del Sempione, del preteso «falso processuale» che ha caratterizzato l’ipotesi accusatoria con riferimento alla gara Potenza – Gallipoli (che, certo, «fu partita vera e gli animi di tutti, nessuno escluso furono particolarmente accesi dalla competizione sportiva che spesso, per quanto qui si tratti di comportamenti in ogni caso censurabili, rientrano nei canoni delle manifestazioni sportive di tale portata» (cfr. pag. 51 ricorso), del «giudicato cautelare, assolutamente viziato dal modus operandi degli organi inquirenti», «dei risultati delle intercettazioni che non possono essere utilizzati in un procedimento differente da quello in cui le captazioni furono disposte», delle cassate contestazioni in ordine al modus violento nella gestione della società, delle «congetture» cui sarebbe ricorsa la giustizia sportiva «per giustificare il “clima minaccioso sottostante”, elemento invero escluso dal GUP in sede di emissione di provvedimento di non luogo a procedere» (cfr. pag. 63 ricorso), della «“pacca sulla spalla” a Quarantino, secondo quanto deciso in sentenza, rappresentante il fatto nuovo per il quale si ricorre ex art. 39 C.G.S.» (cfr. pag. 63 ricorso): argomentazioni, queste, tutte prive di quel supporto di legittimazione e ammissibilità richiesto dalla normativa federale per aprire un giudizio di revisione e, specialmente, come detto, del tutto carenti della necessaria condizione (“se sopravvengono o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il sanzionato doveva essere prosciolto oppure in caso di inconciliabilità dei fatti posti a fondamento della decisione con quelli di altra decisione irrevocabile, od in caso di acclarata falsità in atti o in giudizio”) in presenza della quale questo giudice della revisione può dare ingresso al richiesto relativo giudizio. Le suddette deduzioni non sono, infatti, in alcun modo supportate da “nuove prove”, né risulta e, tantomeno, è stato dimostrato che i relativi asseriti elementi probatori siano stati posti a base della sentenza penale (irrevocabile) dalla quale deriverebbe la situazione di inconciliabilità con i fatti posti a fondamento della decisione della giustizia sportiva. Ritiene l’istante che «il non luogo a procedere per l’associazione mafiosa» sia «fondamentale per dirimere il campo da ogni dubbio circa gli illeciti e le frodi sportive. Secondo l’accusa originaria l’associazione mafiosa era costituita per il compimento di “frodi in competizioni sportive” e che ciò era possibile anche grazie alla “gestione violenta ed affaristica della società Potenza Calcio e di tutte le attività parallele, ivi comprese le violenze e le pressioni sui collaboratori della società e sulla tifoseria locale, costretti a subire con minaccia e forza tutte le scelte imposte dal duo Cossidente – Postiglione”. In buona sostanza, nell’accusa errata sostenuta anche dalla procura federale sarebbero stati commessi una serie di illeciti sportivi e per gestire la situazione venivano minacciati ed intimiditi i tifosi a che non contestassero le scelte societarie». E prosegue: «L’ordinanza che ha ingiustamente cagionato l’esclusione del Potenza Sport Club (pp. 8- 14) ripropone acriticamente le argomentazioni contenute nell’originario provvedimento cautelare (pp. 41-42 e pp. 118-119), con l’aggiunta di congetture pacificamente escluse dalla lettura dello stesso provvedimento del Tribunale» (cfr. pag. 66 s. ricorso). Orbene, secondo l’assunto attoreo «il travisamento del dato probatorio» sarebbe «ricavabile dalla stessa lettura dei “passi dialogici” precedenti quelli riportati in ordinanza» (cfr. pag. 68 ricorso). Quindi, ancora una volta, l’istante supporta la propria istanza di revisione non già invocando nuove prove o fornendo dimostrazione dell’inconciliabilità della decisione sportiva di cui è chiesta l’eliminazione con quella del giudice penale, bensì sostanzialmente pretendendo una (inammissibile) nuova e diversa valutazione del materiale probatorio già esaminato nel precedente giudizio la cui decisione ha assunto natura definitiva (peraltro solo in sede Tnas, come detto), salvi, appunto, i rimedi di cui all’art. 39 C.G.S., i cui presupposti, per quanto detto, non sono rinvenibili nella fattispecie. Peraltro, deve rammentarsi che le circostanze di fatto sulle quali si fonda la decisione del giudice della revocazione non possono essere separatamente valutate, ma devono essere necessariamente esaminate nel loro complessivo insieme probatorio, anche al fine di individuarne il relativo legame. Sotto tale profilo, il Collegio – seppur in via meramente incidentale – osserva come alcune delle circostanze poste a base del provvedimento della CGS in sede di revocazione appaiono e rimangono pacifiche e, comunque, acclarate. Le stesse, ad ogni buon conto, non sono neppure astrattamente idonee ad introdurre un giudizio di inconciliabilità con le pronunce di cui ai dispositivi delle sentenze del giudice penale sulle quali è basata l’istanza, pur laddove “integrate” dalle (i.e. lette alla luce delle) argomentazioni spese in ricorso. Certa, in tal ottica, l’esclusione dei tre giocatori titolari decisa dal presidente Postiglione, che di fatto ha certamente indebolito, e di molto, la compagine potentina e creato un clima di tensione all’interno dello spogliatoio, fino all’epilogo delle dimissioni dell’allenatore. Così come fatto storico acclarato è la corresponsione in loro favore di una ingente somma di denaro, anche se manca la prova certa della causale effettiva dei pagamenti. Non si può, però, sottacere che, mentre le “giustificazioni” fornite dagli interessati appaiono poco plausibili e prive di riscontri contrattuali e documentali, a favore della tesi secondo cui le ragioni dei pagamenti affondano le loro radici proprio nella suddetta esclusione decisa dal presidente in relazione alla gara contro la Salernitana sembra militare tanto il carattere anomalo degli stessi, sia in ordine alle modalità ed alle forme della consegna, quanto il profilo cronologico (i pagamenti sono stati effettuati subito dopo la gara in questione). Altro dato certo è, poi, la consegna di una quantità ingente di denaro contante, poco dopo la fine della partita, da parte dell’Evangelisti al Postiglione, peraltro avvenuta in un’area di servizio, e confermata dal Lopiano e dal De Angelis e da ulteriori riscontri ambientali. Seppure rimane incerto il ruolo dell’Evangelisti, quale anello di collegamento tra Potenza e Salernitana, atteso che all’epoca lo stesso era non già tesserato della Salernitana, bensì direttore sportivo del Martina Franca. Orbene, a tal proposito, merita di essere ricordato quanto già affermato da queste Sezioni unite: «la struttura letterale e la stessa impostazione finalistica della norma federale ricalcano quelle che il codice di procedura penale disciplina all’art. 630: è, allora, inevitabile che la norma processualpenalistica costituisca lo sfondo di riferimento anche per il giudizio sportivo, non ravvisandosi ragioni per affermare una applicazione derogatoria, attesa la sostanziale identità delle condizioni al cui ricorso è subordinato l’utile esperimento del rimedio» (cfr. CGF, Com. Uff. n. 190/CGF del 20.5.2009). «Ebbene, l’art. 637, comma 3, c.p.p. stabilisce che il giudice non può pronunciare il proscioglimento del condannato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, ponendo in tal modo un limite invalicabile alla revisione nel divieto di riesame degli stessi elementi che furono valutati nel processo conclusosi con il giudicato» (cfr. CGF, Com. Uff. n. 245/CGF del 4.5.2012). «Ed invero, le ipotesi di cui alle lett. a), c), e d) dell’art. 630 C.P.P. descrivono le medesime ipotesi recepite dal comma 2 dell’art. 39 C.G.S., riferendosi rispettivamente al caso di inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento della pronuncia soggetta a revisione con quelli stabiliti in altre sentenze irrevocabili promananti dal plesso giurisdizionale ordinario o speciale, al caso di sopravvenienza di nuove prove risolutive e, infine, all’accertamento della dipendenza della condanna dalla dimostrata falsità in atti o in giudizio. L’ulteriore corollario di questa armoniosa convivenza tra i due sistemi normativi quanto all’ipotesi in esame è che possono certamente costituire utili, se non addirittura imprescindibili, criteri ermeneutici quelli elaborati nel tempo e con costanza di caratteri dalla giurisprudenza penale di legittimità in punto di determinazione della ammissibilità dei ricorsi per revisione. A questo riguardo deve subito aversi riguardo alla nozione di “prove nuove”, così ponendo le premesse per delibare l’ammissibilità del ricorso in esame. Circola, ormai in forma accreditata e condivisa, l’idea che, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, vadano qualificate “prove nuove” quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili: così si è da ultimo espressa la Cassazione penale con sentenza 26637 del 28.5.2008, che si colloca in linea di continuità con conformi precedenti che datano alla sentenza della stessa Corte 1976 del 1997, a partire dalla quale si è definitivamente superato il contrario e sparuto indirizzo inaugurato sotto la vigenza dell’attuale codice di procedura penale con la sentenza 3444 del 1992. Nel medesimo senso si è ritenuto che la valutazione di ammissibilità debba intendersi estesa anche ad elementi di prova di cui rilevi solo l’esistenza e la persuasività e non il procedimento, o le forme della loro avvenuta acquisizione» (cfr. CGF, Com. Uff. n. 190/CGF del 20.5.2009). I suddetti orientamenti consolidano l’idea che nel giudizio di revisione il giudice debba verificare l’attitudine dimostrativa delle nuove prove, congiuntamente alle prove del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento (cfr. Cass. pen. 17 giugno 2008, n. 29486). Quanto al profilo della inconciliabilità tra giudicati la giurisprudenza di legittimità ha nel tempo affermato che le situazioni di contrasto non sono definibili in numero chiuso e possono essere le più varie, in modo da denunciare, rispetto alla sentenza di condanna, una diversa realtà fattuale, irrevocabilmente accertata in altra sentenza ed idonea a scagionare il condannato (cfr. Cass. pen. 7 febbraio 2006, n. 10916). Orbene, alla luce dei riferiti indirizzi giurisprudenziali, dai quali queste Sezioni Unite non hanno alcun motivo di discostarsi, il Collegio ritiene che l’applicazione dell’articolato normativo sopra ricordato imponga a questa Corte di dichiarare, anche per tale aspetto, inammissibile, sotto ciascuno dei profili dedotti, il ricorso per revisione, come proposto. Per questi motivi la C.G.F. dichiara inammissibile il ricorso per revisione ex art. 39, comma 2, C.G.S. come sopra proposto dal Sig. Postiglione Giuseppe. Dispone addebitarsi la tassa reclamo.
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