F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2014/2015 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 025/CFA e n. 028/CFA del 12 e 26 Febbraio 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 032/CFA del 09 Marzo 2015 e su www.figc.it 1) RICORSO DEL SIG. RUSSO GENNARO AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER ANNI 5 CON PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA FEDERAZIONE INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1, C.G.S IN RELAZIONE ALL’ART. 38, DEL REGOLAMENTO SETTORE TECNICO E AL COM. UFF. N. 1 STAGIONE SPORTIVA 2013/2014 PUNTO 1.1 (Delibera della Commissione Disciplinare presso il Settore Tecnico – Com. Uff. n. 128 del 17.12.2014)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2014/2015 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 025/CFA e n. 028/CFA del 12 e 26 Febbraio 2015 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 032/CFA del 09 Marzo 2015 e su www.figc.it 1) RICORSO DEL SIG. RUSSO GENNARO AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER ANNI 5 CON PRECLUSIONE ALLA PERMANENZA IN QUALSIASI RANGO O CATEGORIA DELLA FEDERAZIONE INFLITTA SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DELL’ART. 1 BIS, COMMA 1, C.G.S IN RELAZIONE ALL’ART. 38, DEL REGOLAMENTO SETTORE TECNICO E AL COM. UFF. N. 1 STAGIONE SPORTIVA 2013/2014 PUNTO 1.1 (Delibera della Commissione Disciplinare presso il Settore Tecnico - Com. Uff. n. 128 del 17.12.2014) 1. A seguito della comunicazione, proveniente dal Comitato Regionale della Campania, del disposto rinvio a giudizio per delitti, consumati e tentati, di violenza sessuale nei confronti di tre calciatrici dell’A.S.D. Polisportiva S. Magna Graecia da lui allenate in qualità di tecnico, di Gennaro Russo (iscritto nel foglio di censimento sociale con la qualifica di cassiere) la Procura Federale avviava indagini conclusesi con atto del 7.10.2014,cui è succeduto, il 13 novembre dello stesso anno ,il provvedimento di deferimento dell’incolpato al giudizio della Commissione Disciplinare presso il Settore Tecnico della F.I.G.C. per rispondere di plurime violazioni dell’art.1 bis comma 1 C.G.S. in relazione a quanto previsto dall’art.38 del Regolamento del Settore Tecnico in tema di rispetto, da parte dei tecnici federali, dei principii di disciplina e correttezza sportiva, coordinati con quelli discendenti dalla “Carta dei diritti dei bambini ed alla Carta dei diritti dei ragazzi dello sport”. In particolare, all’incolpato venivano addebitate le medesime condotte costituenti oggetto del procedimento penale, consistenti: 1) nel compimento di atti di aggressione sessuale-di cui venivano descritti i modi di esplicazione-nei confronti di due calciatrici minorenni; 2) nell’esercizio di un atto di violenza sessuale consumata nei confronti di una delle due calciatrici minorenni in questione; 3) nel compimento, nei confronti di una terza calciatrice minorenne, di atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere la stessa a subire atti sessuali. Si contestava all’incolpato che le condotte prima descritte fossero state poste in essere nei confronti di persone affidate alla sua cura e custodia nella qualità di allenatore della squadra prima indicata. 2. L’atto di deferimento-premesso che l’incolpato figurava nei ruoli tecnici federali quale allenatore della squadra di calcio a 5 femminile in questione –ricostruiva, alla stregua degli atti del procedimento penale trasmessi, in spirito di leale collaborazione, dagli uffici giudiziari procedenti presso il Tribunale di Salerno, i termini essenziali della vicenda. Essa traeva spunto dalla denuncia 2 giudiziaria effettuata, il 30.5.2013, dalle due calciatrici menzionate nel primo capo di incolpazione le quali riferivano gli episodi, descritti nell’atto di deferimento, che si sarebbero verificati in occasione dei trasferimenti, curati dall’incolpato con un proprio mezzo di trasporto, delle giovani dal luogo di allenamento ai rispettivi luoghi di residenza. La prima di esse-colei nei cui confronti sarebbe stato perpetrato il delitto di violenza sessuale di cui al secondo capo di incolpazione-poneva a disposizione degli inquirenti la registrazione di un colloquio telefonico con l’allenatore nel corso del quale questi avrebbe ammesso il compimento dell’atto sessuale, precisando che-per effetto delle precauzioni adottate-da esso non sarebbe conseguito il rischio di una gravidanza indesiderata. L’altra calciatrice minorenne (dalle iniziali I.D.R.) aveva dichiarato alla polizia giudiziaria che i comportamenti penalmente rilevanti posti in essere dall’incolpato si erano protratti per circa un anno e mezzo. La Procura Federale osservava che sussistevano concordanti ed univoci elementi probatori atti ad affermare “la condotta violativa del tesserato”, non essendo dubbia la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e probità di cui all’art.1 bis C.G.S. in relazione al citato art. 38 del Regolamento del Settore Tecnico, anche con riferimento alle fonti normative integrative, anch’esse prima citate. Conclusivamente, sulla base delle circostanze illustrate e del decreto che dispone il giudizio pronunciato dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Salerno in data 22.5.2014 sotto il profilo che “dagli atti di indagine sussistono sufficienti elementi quali evincibili dalle fonti di prova” acquisite ( denuncia-querela delle tre persone offese, sommarie informazioni testimoniali rese da due di loro, intercettazioni telefoniche, e relative trascrizioni, delle conversazioni tra le stesse e l’imputato, relazioni di consulenza psicologica e medica, dichiarazioni di atre calciatrici) per sottoporre l’imputato al vaglio dibattimentale, l’incolpato era chiamato a rispondere in sede disciplinare davanti l’apposita Commissione istituita presso il Settore Tecnico. 3. Nelle more della celebrazione del giudizio la Commissione Disciplinare, con ordinanza del 18.11.2014 di accoglimento di conforme richiesta della Procura Federale, disponeva-ritenendo che ricorressero i presupposti di urgenza e di merito-la sospensione cautelare dell’incolpato dai ruoli del Settore Tecnico federale inibendogli ogni attività. 4. In vista dell’udienza di discussione veniva depositata un’articolata memoria da parte del difensore dell’incolpato. In essa, in sintesi veniva eccepito, per quanto in questa sede ancora rileva (alla originaria richiesta di revoca della misura cautelare il difensore avrebbe rinunciato nel corso della successiva udienza): a) sia il difetto di giurisdizione (non rivestendo l’incolpato la qualità di tecnico) sia quello di competenza (dovendo la questione essere devoluta agli organi di giustizia previsti dal Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.); b) la necessità di sospensione del procedimento in pendenza del giudizio penale; c) l’insussistenza di qualsiasi responsabilità non avendo l’incolpato commesso i fatti e, comunque, mancando la relativa prova, alla stregua della complessiva inattendibilità-desumibile anche da prove oggettive di natura peritale e dalla trascrizione di alcuni colloqui telefonici tra due delle calciatrici in danno delle quali sarebbero stati compiuti gli atti oggetto di incriminazione-- delle fonti dell’accusa. 5. Con decisione pronunciata al termine dell’udienza di discussione del 12.12.2014 la Commissione Disciplinare del Settore Tecnico osservava che: a) l’incolpato era iscritto all’Albo degli allenatori senza mai esserne stato sospeso; b) la medesima Commissione è espressamente qualificata come organo di giustizia sportiva in materia disciplinare dall’art. 47 C.G.S. della F.I.G.C., a propria volta derivante dall’art. 34 comma lettera F dello Statuto della medesima Federazione; c) essa è competente a conoscere e giudicare su ogni condotta disciplinarmente rilevante riferibile alle persone iscritte nell’albo dei tecnici e relative alla connessa attività; d) tale competenza riguarda anche le violazioni delle norme deontologiche e comportamentali (tanto presenti nel C.G.S. quanto nel regolamento del Settore Tecnico) oggetto di contestazione, con la conseguente impugnabilità del provvedimento davanti la Corte Federale d’Appello; e) il quadro probatorio era di particolare gravità, con particolare riguardo a tutte le risultanze del procedimento penale acquisite agli atti (e, in special modo, alla conversazione telefonica, registrata dall’interessata, intercorsa con la calciatrice minorenne C.A. costituitasi parte civile in sede penale 3 in quanto vittima del delitto di violenza sessuale addebitato all’incolpato); f) vi erano sufficienti ragioni per affermare la responsabilità disciplinare dell’incolpato, cui, in considerazione della eccezionalità gravità dei fatti, in considerazione anche della minore età delle persone offese e della rilevanza sociale del ruolo rivestito dall’allenatore, andava inflitta la sanzione della squalifica per 5 anni con preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della Federazione. 6. Contro tale decisione, di cui si è chiesta l’integrale riforma con sua conseguente caducazione, è stata dall’incolpato proposta impugnazione davanti questa Corte Federale d’Appello sulla base di 5 articolati motivi, che saranno illustrati nella parte successiva. 7. All’udienza di discussione del 12.2.2015 la Procura Federale chiedeva il rigetto dell’appello, mentre l’impugnante insisteva per il suo accoglimento. 8. Al termine delle Camere di Consiglio del 12 e del 26 febbraio 2015 la Corte si pronunciava attraverso la pubblicazione, nella seconda di tali date, del dispositivo, nel quale era indicato in 15 giorni il termine per il deposito della decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L’appello è complessivamente infondato e va, pertanto, rigettato,con conseguente conferma della decisione impugnata ed incameramento della tassa. La Corte osserva che la decisione di primo grado si sottrae a ciascuna delle censure formulate dall’incolpato, come di seguito analiticamente si dirà. 1. Con il primo motivo l’appellante sostanzialmente ripropone con ricchezza di argomenti il tema della carenza di “potestas iudicandi” in capo alla Commissione Disciplinare del Settore Tecnico, cui farebbe difetto la qualità di organo di giustizia sportiva, trattandosi semplicemente di uno degli “altri organi in materia disciplinare “ di cui all’art.47 C.G.S. F.I.G.C., con la connessa carenza nell’organo pronunciatosi in primo grado, altresì, di ogni potere punitivo. Esso potrebbe, al massimo, secondo la prospettazione dell’appellante, adottare, ai sensi dell’art. 4 comma 4 C.G.S. CONI, provvedimenti rivolti alla regolamentazione di rapporti patrimoniali riguardanti gli allenatori. Diversamente interpretando la portata del citato art.47 C.G.S. F.I.G.C. (ossia, intendendolo come attributivo del potere decisorio tipico degli organi denominati di giustizia sportiva) se ne determinerebbe un inammissibile contrasto con la citata disposizione del C.G.S. CONI, di natura sovraordinata. A questa stregua, secondo l’appellante, le decisioni della Commissione Disciplinare in parola non potrebbero costituire oggetto di impugnazione davanti gli organi di giustizia federale; tuttavia, la presente impugnazione apparirebbe inevitabile allo scopo di attuare, attraverso la previsione di un doppio grado di giudizio, il principio del giusto processo sportivo predicato dall’art.2 C.G.S. CONI. A riprova della fondatezza del proprio ragionamento l’appellante rileva che tra le competenze statutariamente previste (ai sensi dell’art 34 del corpo normativo sovraordinato in ambito federale) della Corte Federale d’Appello non rientri quella afferente all’impugnazione di provvedimenti provenienti dall’organo di cui si discute. E ciò in coerenza con la disposizione dell’art.33 dello Statuto Federale che, nel prevedere la vigenza di organi disciplinari per particolari categorie di tesserati, ne circoscrive i compiti unicamente “ ad aspetti strettamente interni alle categorie”. La Corte, dopo approfondita e capillare discussione, esprime l’avviso che il mezzo non sia fondato. Ed invero, è da ritenere che il quadro normativo destinato a disciplinare gli aspetti procedimentali della fattispecie sia molto più lineare, perspicuo ed agile di quanto venga, non senza intime, insuperate contraddizioni, prospettato dall’appellante. Riducendo ai termini essenziali la questione qui agitata si tratta di stabilire, in primo luogo ed in via di pregiudizialità logica, se il provvedimento di cui si discute fosse impugnabile davanti questa Corte o, il che rappresenta il lato speculare del problema, se essa abbia titolo a conoscerne nell’ambito delle proprie attribuzioni. Affrontando l’interrogativo si darà-come apparirà subito chiaro-congrua ed armonica risposta anche al quesito circa la ricorrenza della potestà decisoria e punitiva in testa alla Commissione Disciplinare del Settore Tecnico. La Corte è dell’opinione che vada data risposta affermativa a tutte le domande appena proposte. 4 Ed invero, va osservato, in primo luogo ed in modo logicamente assorbente, che appare viziato da artificiosità il dubbio-che, in effetti, sta alla radice di tutta l’impalcatura del discorso difensivo-circa la dissociabilità tra la generica competenza in materia disciplinare (in quanto organo specificamente operante nei riguardi di particolari categorie di tesserati) della Commissione del Settore Tecnico di cui qui si discute ed il potere di giudizio e di sanzione, quasi che potesse concepirsi un organo disciplinare che si limitasse ad enunciare in forma astratta e non effettuale precetti deontologici, senza farvi seguire l’inscindibile attività di giudizio, in termini di diniego o affermazione di responsabilità (e, in quest’ultima ipotesi, di esercizio del potere punitivo contemplato dalla norma incriminatrice applicata alla condotta dedotta in sede procedimentale). In altri termini, l’attribuzione, da parte dello stesso Codice di Giustizia Sportiva Federale, di poteri disciplinari alla Commissione in parola implica il simultaneo conferimento ad essa dell’apparato di poteri e facoltà diretti a rendere effettiva la competenza: e, tra di essi, ovviamente ed imprescindibilmente, di quelli di accertamento della ricorrenza della violazione deontologica contestata. Ed allora, già in via generale e di pura logica giuridica, la sola previsione dell’art.34 dello Statuto Federale di organi specializzati in tema disciplinare vale a trasferire agli stessi quel plesso di attribuzioni idonee a munire del necessario grado di effettività la loro azione. Da questo punto di vista, esattamente è stato dall’organo di accusa federale individuato nella Commissione Disciplinare del Settore Tecnico l’organo da investire della cognizione, a fini decisori, degli addebiti formulati nei confronti dell’incolpato (della cui qualità soggettiva ci si occuperà esaminando un successivo motivo),in quanto ricadenti nel campo delle materie non eccettuate dalla relativa competenza (quali i procedimenti in materia di illecito sportivo). Egualmente ineccepibile si rivela l’esercizio del potere, sollecitato dalla Procura Federale, in concreto svolto dall’organo “a quo”. Da ciò deriva una conseguenza di carattere dirimente, vale a dire che, correttamente instaurato il procedimento disciplinare davanti all’organo competente, le norme procedimentali applicabili non potessero che assecondare il rito proprio dell’organo, fino alla determinazione del Giudice competente per la fase dell’impugnazione, individuato nell’organo di giustizia federale nazionale di secondo grado dall’art.38 del Regolamento del Settore Tecnico. Ed è proprio tale norma, inscritta nel generale ordinamento federale, a radicare la competenza di questa Corte ai sensi dell’art.34 lettera e) dello Statuto Federale, che ne prevede una competenza residuale (la Corte Federale d’Appello “esercita le altre competenze previste dalle norme federali”). In questo modo si completa l’intero circuito procedimentale, in assoluta conformità al fermissimo orientamento giurisprudenziale d’appello, che ha costantemente riconosciuto la propria competenza (pur nella differente denominazione dell’organo, ma nell’inalterazione delle proprie funzioni) quale Giudice d’appello sulle decisioni adottate, nel proprio raggio di competenza, dalla Commissione Disciplinare del Settore Tecnico. Nè tale sistema, previgente alla recente riforma ordinamentale dell’estate 2014,appare in alcun modo scalfito o contraddetto da quest’ultima, che ha lasciato del tutto immodificate le disposizioni che qui rilevano. Del resto, e conclusivamente, lo stesso appellante conviene sull’ineluttabilità, a scopi di tutela finale, del ricorso a carattere impugnatorio del provvedimento lesivo davanti questa Corte. 2. Anche il secondo motivo, con cui si denuncia la nullità della decisione per omessa sottoscrizione del comunicato ufficiale e della decisione nonché per omessa indicazione dei componenti il collegio giudicante, è infondata se solo si consideri che il comunicato ufficiale assolve il compito di assicurare la pubblicità- notizia delle decisioni pubblicate, la cui intrinseca validità è del tutto indipendente dal modo in cui viene assicurata la loro esteriorizzazione. Sicchè all’intrinseco contenuto del provvedimento deve guardarsi ai fini della sua validità. Nel caso di specie l’appellante non ha in alcun modo provato o dedotto la ricorrenza di vizi di qualsiasi natura nella decisione in sé. 3. Con il terzo motivo, che in parte ripropone questioni attinenti alla competenza già esaminate in sede di analisi del primo mezzo di impugnazione, si solleva la questione del difetto di competenza dell’organo di primo grado in relazione al contestato possesso della qualità di tecnico da parte dell’incolpato, cui andrebbe riconosciuta la differente posizione di cassiere sociale, postulante la competenza degli organi disciplinari di carattere generale. 5 Il motivo è infondato in quanto non solo l’incolpato non ha mai dismesso la qualità (documentalmente rinvenibile agli atti della Federazione) di allenatore ma ha, in modo incontrovertibile in concreto svolto-senza nemmeno negarla-tale attività. Ciò è sufficiente ai fine del radicamento della competenza dell’organo disciplinare di categoria. Seguendo questa linea argomentativa si rivela infondato anche il quinto motivo d’appello nella parte in cui l’impugnante si duole dell’applicazione a sé di un regime sanzionatorio proprio di una categoria di tesserati (gli allenatori, appunto) cui egli nega di appartenere. L’opposta conclusione appena raggiunta priva di fondatezza la censura. 4. Con il quarto motivo viene lamentata l’erroneità della decisione impugnata sotto il profilo della mancata considerazione degli elementi probatori che avrebbero dovuto scagionare in sede disciplinare l’incolpato dagli addebiti mossigli con formule del tutto liberatorie (insussistenza dei fatti, mancata commissione degli stessi, mancanza della prova della loro commissione). Si dà valore in questo contesto ad una serie di elementi, quali la mancata adozione di provvedimenti cautelari di sospensione dal servizio dell’incolpato da parte dell’amministrazione statale di appartenenza; l’inverosimiglianza delle accuse in considerazione della circostanza che l’incolpato prestava la propria attività in una società sportiva a conduzione (e controllo) familiare; la acclarata inattendibilità (alla luce della consulenza psicologica redatta nel corso delle indagini penali) della testimonianza di almeno una delle accusatrici; l’esito della consulenza medica in sede penale che escluderebbe l’esistenza di segni di violenza a carico di una delle calciatrici; la mancanza di riscontri alle accuse tenuto conto che le stesse non sono state né confermate né autonomamente addotte da altre calciatrici; l’esistenza di rapporti tra due delle accusatrici di natura personale tale da incrinarne l’intrinseca attendibilità e da giustificare il dubbio del carattere mistificatorio delle rispettive dichiarazioni, in effetti dissimulanti altri scopi legati ai rapporti stessi. Ciò premesso, la Corte giudica infondato anche questo motivo. In via preliminare, va ricordato che, per giurisprudenza costante, ai fini della dichiarazione di responsabilità disciplinare sportiva non occorre una prova incontrovertibile, ben potendo giudicarsi sufficienti argomenti che diano solidità, consistenza, coerenza all’accusa, senza l’ulteriore necessità-ciò che esclude l’esigenza di sospensione del procedimento sportivodell’avvenuta pronuncia di condanna in sede penale dei medesimi fatti. Ora, nel caso di specie va considerato, innanzitutto, che le accuse formulate in sede penale – e trasfuse, quanto alla materialità dei fatti, nel paradigma incriminante dell’art. 1 C.G.S. F.I.G.C.- hanno già ricevuto un primo, autorevole e ragionato avallo di plausibilità e serietà nel provvedimento di rinvio a giudizio pronunciato di recente dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno. E di per sé la circostanza-anche nella prospettiva, legislativamente sancita, di cooperazione tra giustizia statale e giustizia sportiva- assume valore decisivo al fine di respingere l’idea che gli addebiti siano sprovvisti di adeguata base probatoria, essendo stati, al contrario, valutati in sede penale come idonei alla formulazione di un giudizio probabilistico di condanna dibattimentale. Già questo sarebbe argomento capace di sostenere-come di sovente e di recente è accaduto-un congruo giudizio di responsabilità disciplinare sportiva. Tuttavia, la Corte non si esime dall’approfondire il tema delle fonti di prova. Esse sono, in primo luogo, costituite dalle reiterate, precise, dettagliate ed immodificate dichiarazioni delle persone offese, che hanno ottenuto il riscontro di altre testimoni, che ne avevano raccolto le confidenze, del tutto compatibili con le denunce (è il caso delle dichiarazioni delle testi C.D.- pag.105-,V.P.-pag.106-F.O., sia pure in forma indiretta- pag.1 07-). Nè il preteso carattere di dominio-soggezione nei rapporti interpersonali tra due delle parti offese ne implica certamente o necessariamente un’influenza negativa sulla veridicità dei racconti e delle denunce (soprattutto per quel che concerne la persona che apparirebbe più debole: C.A., che, peraltro, risulta vittima degli episodi più gravi di violenza). Allo stesso modo le risultanze della consulenza medica non appaiono, secondo i dati di comune esperienza, assolutamente inconciliabili con le conseguenze denunciate da C.A. circa la violenza perpetrata a suo danno, anche alla luce di quanto la stessa ha dichiarato di aver appreso dall’incolpato nel corso di una conversazione telefonica. 6 Ed ancora, si rivelano privi di efficacia decisiva elementi esteriori quali la mancata sospensione dall’impiego pubblico dell’incolpato o la presenza di familiari nella compagine sociale, in quanto l’esercizio della potestà cautelare avrebbe avuto natura solo discrezionale (e non vincolata) secondo un criterio insindacabile dal giudice disciplinare ed i fatti in questione si sono certamente svolti in luoghi e tempi sottratti al controllo dei congiunti. In conclusione, la Corte giudica sufficienti gli elementi posti a fondamento dell’accusa ai fini dell’affermazione della responsabilità, esattamente effettuata dall’organo disciplinare di primo grado. Altrettanto condivisibile si rivela la sanzione massima inflitta, del tutto appropriata alla straordinaria gravità delle condotte violative dell’altrui dignità, tenuto conto delle condizioni di vulnerabilità delle persone offese sia in ragione della minore età sia a causa della (ex post definibile malriposta) fiducia serbata nell’operato di colui cui veniva, per il ruolo ricoperto, certamente accreditata capacità di rispetto dell’altrui personalità e dignità. Per questi motivi la C.F.A. respinge il ricorso come sopra proposto dal sig. Russo Gennaro e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
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