F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 140/CFA del 10 Giugno 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 141/CFA del 16 Giugno 2016 e su www.figc.it 2. RICORSO SIG. PIANGERELLI LUIGI AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 5 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI ALL’ART. 1BIS COMMA 1 C.G.S., IN RIFERIMENTO ALL’ART. 96 N.O.I.F. – nota n. 8536/827 pf 14-15/AA/mg del 19.2.2016 (Delibera della Commissione Disciplinare presso Settore Tecnico F.I.G.C. – Com. Uff. n. 264 dell’11.5.2016)
F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO - 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 140/CFA del 10 Giugno 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 141/CFA del 16 Giugno 2016 e su www.figc.it
2. RICORSO SIG. PIANGERELLI LUIGI AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 5 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI ALL’ART. 1BIS COMMA 1 C.G.S., IN RIFERIMENTO ALL’ART. 96 N.O.I.F. – nota n. 8536/827 pf 14-15/AA/mg del 19.2.2016 (Delibera della Commissione Disciplinare presso Settore Tecnico F.I.G.C. - Com. Uff. n. 264 dell’11.5.2016)
I fatti In data 7 aprile 2015 il sig. Tramonti Giuseppe, presidente della società Atletico San Paolo Padova SSD ha inoltrato alla Procura Federale della FIGC un esposto avente per oggetto “tentativi di elusione dell’art. 96 della NOIF”. Il denunciante riferiva che si stava diffondendo in tutte le categorie calcistiche una sorta di escamotage al fine di contenere la misura del premio di preparazione da riconoscere ai sensi dell’art. 96 delle NOIF. Questa, in sintesi, la condotta posta in essere per aggirare l’obbligo di cui trattasi. Una società tessera, con vincolo annuale, un giovane di serie ovvero un giovane dilettante in società dilettantistiche di 2° o 3° categoria, per poi trasferirlo in prestito dopo pochi giorni ad una società di categoria superiore, interessata ad utilizzare il calciatore. La società che tessera per prima il calciatore corrisponde il premio di preparazione alla società cedente, mentre la società beneficiaria (di categoria superiore) a cui viene dato in prestito il calciatore, utilizza lo stesso senza pagare alcuna differenza del premio di preparazione (di importo maggiore, poiché connesso a parametri più alti in ragione della categoria superiore). Secondo il denunciante siffatta triangolazione, che, nel caso dell’Atletico San Paolo, aveva riguardato ben otto giocatori tesserati, consentiva di corrispondere alla società di provenienza un premio di preparazione di importo inferiore a quello che avrebbero dovuto corrispondere le reali interessate, attesa la loro appartenenza alla sfera professionistica.
Il denunciante, quindi, chiedeva di intervenire non tanto nei confronti delle società che avevano già avviato la procedura per il pagamento, secondo i rispettivi (più bassi) parametri del premio di preparazione, ma verso le società che beneficiavano del trasferimento in prestito provvisorio dei calciatori, ossia, le società che poi effettivamente si avvalevano delle prestazioni sportive degli stessi. Nel caso di specie, relativo al giocatore Zaggia Marco (minorenne), tesserato fino al 30.06.2014 con la fallita società San Paolo Padova s.r.l., il denunciante riferisce che la sua società nel luglio del 2014 aveva acquisito il titolo sportivo, appunto, dalla predetta San Paolo Padova s.r.l., oggi Atletico San Paolo Padova. I giocatori della società fallita, appartenenti alla categoria giovani, con vincoli annuali, erano stati tutti tesserati per società di 2° ovvero 3° categoria, con vincoli pluriennali e, poi, a distanza di pochi giorni, trasferiti a società di categorie superiori. Infatti, per quanto interessa il presente procedimento, lo stesso giocatore Zaggia era stato tesserato in data 08.08.2014, con vincolo pluriennale, dalla società ASD Virtus Cesena (cat. Dilettanti) per poi, in data 27.08.2014 (ovvero 19 giorni dopo), essere trasferito in prestito alla società A.C. Cesena S.p.A.. Il Procedimento disciplinare Con provvedimento del 20.11.2015 la Procura federale deferiva avanti al TFN il sig. Piangerelli Luigi, unitamente alla società A.C. Cesena S.p.A., al sig. Foschi Marcello, alla società ASD Virtus Cesena 2010, per rispondere della violazione «dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 bis, comma 1, CGS, in relazione all’art. 96 delle NOIF, per aver pianificato e disposto unitamente al Dirigente dell’ASD Virtus Cesena 2010, sig. Marcello Foschi, che il tesseramento del calciatore Marco Zaggia per quest’ultima società fosse un mero proforma, avendo già preordinato il suo trasferimento all’AC Cesena S.p.A., al fine di eludere il pagamento del premio di preparazione, pari a euro 19.000,00 circa anziché euro 1086,00, corrisposto dall’ASD Virtus Cesena alla predetta società cedente….». Il Tribunale Federale Nazionale, sezione disciplinare, a seguito di specifica eccezione di incompetenza sollevata dalla difesa del deferito Piangerelli Luigi, stante la competenza della Commissione disciplinare presso il Settore Tecnico, essendo il deferito tecnico iscritto al relativo albo, ritenuta fondata detta eccezione, rimetteva gli atti alla Procura federale per la sola posizione del Piangerelli Luigi e sospendeva il presente procedimento nei riguardi delle altre parti, con sospensione dei termini di cui all’art. 34 bis, comma 5, C.G.S.. In virtù di quanto sopra la Procura federale, con nuovo atto in data 19.02.2016, deferiva il sig. Piangerelli Luigi avanti alla Commissione disciplinare del Settore Tecnico. Nel corso dell’istruttoria del procedimento disciplinare la Procura federale ha, tra l’altro, disposto le audizioni dei diversi soggetti interessati dall’indagine. Il sig. Tramonti Giuseppe, presidente della società Atletico San Paolo SSD, oltre a confermare in toto il contenuto della sua segnalazione, ha affermato che il comportamento assunto dalle due società coinvolte (ASD Virtus Cesena e AC Cesena) era la diretta conseguenza di un sistema in essere fra talune società sportive volto ad eludere il premio di preparazione in favore della società di provenienza del giocatore attraverso il c.d. sistema della triangolazione fra società compiacenti, che consiste nel tesserare il calciatore con una squadra “amica” di categoria inferiore (solitamente di 2° o 3° categoria) per poi trasferirlo in prestito alla società iscritta al campionato nazionale dilettanti ovvero a quelle di serie A, B o Lega Pro, favorendo queste ultime che riescono, così, a sgravarsi di un cospicuo premio di preparazione in favore delle società che per ultime avevano tesserato il giovane. Ha evidenziato, poi, il denunciante, il rapporto di stretta collaborazione in essere tra le due società menzionate, in relazione all’utilizzo del campo di calcio della Virtus Cesena da parte del settore giovanile della AC Cesena, che avrebbe sicuramente favorito il presunto irregolare comportamento. In pratica afferma il Tramonti, di aver percepito il premio di preparazione dalla società ASD Virtus Cesena per un importo di euro 1.086,00, ma che, qualora la AC Cesena avesse tesserato direttamente il giocatore Zaggia Marco, l’ammontare del premio sarebbe stato di euro 19.548,00. Secondo la prospettazione accusatoria gli elementi di riscontro all’ipotesi di un presunto comportamento illecito posto in essere dalle due società vengono cristallizzati dalla deposizione del calciatore Zaggia Marco che afferma che ancora prima di essere tesserato con la società ASD Virtus Cesena era stato contattato dai dirigenti della AC Cesena nella persona del sig. Piangerelli Luigi, all’epoca dei fatti responsabile del settore giovanile, per un suo trasferimento presso quest’ultima società professionistica. Per cui, nel luglio del 2014 il giocatore Zaggia alla presenza dei genitori, oltre a quella di Piangerelli e di Marcello Foschi, dirigente della ASD Virtus Cesena, sottoscriveva il contratto per il trasferimento in favore di quest’ultima società, con l’impegno da parte di entrambi i dirigenti di trasferire lo stesso dopo pochi giorni presso la società AC Cesena, con inizio della attività il 31.07.2014. Circostanza, questa, poi effettivamente concretizzatasi: infatti, il calciatore ha confermato in sede di audizione di non aver mai svolto alcuna attività sportiva per la società Virtus Cesena. Il sig. Luigi Piangerelli confermava, in sede di audizione, l’esistenza di un rapporto di collaborazione tra le due società ampiamente richiamate nella pagina di presentazione del sito web della AC Cesena. Confermava di aver conosciuto il giocatore Zaggia e i di lui genitori nel luglio del 2014, ma negava di aver preso accordi preliminari con il giocatore stesso circa il suo successivo trasferimento alla società AC Cesena una volta perfezionalo il tesseramento con la Virtus Cesena. Affermava, poi, di non essere stato presente alla firma del contratto del calciatore. Chiariva, inoltre, di essere stato delegato dalla propria società di promuovere un incontro con l’esponente per portare a termine una trattativa economica in virtù della richiesta di corresponsione del premio di preparazione, incontro avvenuto nel periodo marzo-aprile 2015. Il sig. Marcello Foschi ha sostanzialmente confermato la dinamica dei fatti descritti dal sig. Piangerelli, escludendo anch’egli qualsiasi accordo preliminare con il giocatore. Le affermazioni dei sigg.ri Piangerelli e Foschi risultano, secondo l’organo inquirente federale, difformi dalle altre risultanze istruttorie. Segnatamente, il teste Zaggia, alla presenza del genitore, ha puntualmente descritto, in maniera inconsapevole, serena e naturale (lo stesso non comprendeva le ragioni imposte dai suoi interlocutori di procedere prima al tesseramento per la Virtus Cesena, sapendo anticipatamente che sarebbe stato subito trasferito in prestito alla AC Cesana) gli accordi preliminari con le due società prima del suo tesseramento. Pertanto, secondo la Procura federale, non vi è alcun dubbio circa il presunto comportamento assunto nella fattispecie da entrambe le società che hanno posto in essere una strategia elusiva del pagamento del premio di preparazione in favore della società (nel caso in esame, Atletico San Paolo ASD) di provenienza del giocatore (Zaggia Marco) da tesserare nel proprio settore giovanile, costringendo di fatto la società compiacente (ASD Virtus Cesena) a provvedere al tesseramento dello stesso, per poi trasferire, in via definitiva, o in prestito, a titolo gratuito, con l’esonero del pagamento del premio di preparazione, il giocatore alla AC Cesena S.p.A. Il deferimento Visti gli atti del procedimento disciplinare avente ad oggetto «accertamenti relativi al tesseramento del Calciatore Marco Zaggia, n. a Padova il 29.04.1998 per la società Virtus Cesena cat. dilettanti dall’08.08.2014 per poi essere trasferito in prestito temporaneo alla società Ac Cesena dal 27.08.2014 presumibilmente al fine di eludere il pagamento del premio di preparazione», considerato che nel corso del procedimento in oggetto sono stati espletati vari atti di indagine e tenuto, in particolare, conto delle audizioni dei soggetti interessati e dell’esame della documentazione acquisita, ritiene, la Procura federale, che le emergenze istruttorie confermino quanto lamentato dall’esponente Tramonti. A dire della Procura federale, in sintesi, è emerso che nel luglio del 2014 il calciatore minorenne Zaggia Marco venne contattato dal dirigente della ASD Virtus Cesena, Foschi Marcello, per proporgli di tesserarsi presso quest’ultima società, con lo scopo di un possibile o eventuale trasferimento presso la società professionistica AC Cesena. Alla firma del contratto avvenuto qualche giorno dopo nella sede della ASD Virtus Cesena (affiliata AC Cesena), il calciatore Zaggia (accompagnato dai genitori), alla presenza dei sigg.ri Foschi e Piangerelli, venne rassicurato proprio da quest’ultimo sulla cessione pressoché immediata dello stesso alla società AC Cesena, presso la cui sede si sarebbe dovuto presentare in data 31.07.2014 per iniziare l’attività sportiva. Pertanto, l’iniziativa posta in essere dai sigg.ri Piangerelli e Foschi era finalizzata ad eludere la normativa federale, allo scopo, in particolare, di omettere di corrispondere alla società di provenienza del calciatore Zaggia (Atletico San Paolo Padova) il corretto importo del premio di preparazione, pari a euro 19.000,00 circa anziché euro 1.086,00 corrisposto dalla ASD Virtus Cesena alla società cedente. Secondo la Procura la triangolazione di cui trattasi si evince, oltre che dal rapporto di affiliazione tra le due società, anche dall’offerta non accettata della somma di euro 2.000 (riferita dall’esponente Tramonti), da parte di Piangerelli, a saldo e stralcio della maggior somma richiesta. Insomma, la Procura federale ritiene che le emergenze istruttorie confermino l’accordo simulatorio, svelando la tipica interposizione fittizia prestata da società di categorie inferiori al fine di consentire ad altra società di categoria superiore di acquisire le prestazioni di calciatori, riducendo, così, di fatto, il premio di preparazione dovuto. Chiara, dunque, sarebbe la violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva di cui all’art.1 bis, comma 1, CGS in relazione all’art. 96 delle NOIF. Rientrando, la condotta descritta, nell’ambito della previsione di cui all’art. 39, comma 2, del Regolamento del Settore Tecnico, e, pertanto, della competenza della Commissione disciplinare del Settore Tecnico, la Procura federale ha, quindi, deferito innanzi alla predetta Commissione «il sig. Piangerelli Luigi, responsabile del settore giovanile della società AC Cesena, iscritto nell’albo dei Tecnici, per rispondere della violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 bis, comma 1, CGS, in relazione all’art. 96 delle NOIF, per aver formalmente tesserato il calciatore Marco Zaggia, pur avendo preordinato il suo trasferimento all’AC Cesena s.p.a, al solo fine di eludere il pagamento in favore della società Atletico San Paolo Padova, dell’intero e corretto importo del Premio di Preparazione, pari a euro 19.000,00 circa anziché ad euro 1.086,00, corrisposto dall’ASD Virtus Cesena 2010 alla predetta società cedente». La decisione della Commissione Disciplinare La Commissione disciplinare presso il Settore Tecnico ha, anzitutto, disatteso le eccezioni preliminari sollevate dal deferito. Secondo il deferito, il procedimento sarebbe improcedibile per violazione dell’art. 34 bis CGS, poiché il termine di 90 giorni per la pronuncia di primo grado sarebbe nella specie ampiamente spirato, atteso che tale termine deve farsi decorrere dal primo atto di notificazione del deferimento, datato 20 novembre 2016. Secondo la Procura federale, invece, il termine dei 90 giorni farebbe riferimento al precipuo segmento procedimentale e, quindi, si rinnoverebbe ogni qualvolta si interessi un organo decisionale diverso, secondo lo stesso principio di diritto applicabile al giudizio di rinvio. Nella specie, dunque, tale termine non sarebbe ancora trascorso. Questa la decisione della Commissione disciplinare. «… Sul punto si sono già espressi, con risultati diametralmente opposti, sia il Tribunale Federale Nazionale con decisione n. 30 del 17.02.2015, sia la Corte d’Appello Federale, Sezioni Unite, con decisione n. 63 del 28.5.2015 (CU n. 63/CFA) richiamata dalla difesa del deferito. In particolare, il Tribunale Federale Nazionale ha affermato che il termine in questione non è "un termine di prescrizione che estingue l’illecito disciplinare ma un termine di decadenza della potestas iudicandi degli Organi di giustizia federale", che non può che decorrere dal momento in cui il deferimento metta "l’Organo di giustizia in condizione di esercitare la potestas iudicandi”. Tale decisione è stata riformata dalla Corte di Appello Federale a Sezioni Unite, la quale con la decisione n. 63 del 28.5.2015 (sopra richiamata) ha stabilito, con interpretazione aderente al dato letterale della norma, che il termine fissato dall’art. 34 bis CGS decorre sempre dal primo atto di deferimento formulato dalla Procura Federale, indipendentemente dal fatto che questo sia valido o meno. Successivamente alla decisione della CFA sopra richiamata è tuttavia intervenuta una modifica dell’art. 34 bis CGS, il quale, nella nuova formulazione (CU n. 17/A del 17/07/2015), prevede che “se la decisione di merito è annullata in tutto o in parte a seguito del ricorso all’Organo giudicante di 2° grado o al Collegio di Garanzia dello Sport, il termine per la pronuncia nell’eventuale giudizio di rinvio è di sessanta giorni e decorrere dalla data in cui vengono restituiti gli atti del procedimento al giudicante che deve pronunciarsi nel giudizio di rinvio". Con tale novella normativa è stato quindi chiarito che il termine per la pronuncia, nell’eventuale giudizio di rinvio, decorre ex novo dalla data in cui gli atti vengono restituiti all’organo che deve giudicare non solo nel caso in cui la decisione di merito sia annullata in tutto o in parte dal Collegio di Garanzia dello Sport, ma anche nel caso in cui ciò avvenga per effetto di ricorso all’Organo giudicante di 2° grado endofederale, anche nei casi previsti dall’art. 37, comma 4, CGS. A seguito di tale modifica è intervenuta poi una nuova pronuncia della CFA a Sezioni Unite (CU n. 32 del 01/10/2015), che merita di essere richiamata non solo perché esprime valutazioni contrastanti con la decisione richiamata dalla difesa del deferito a sostegno della sua eccezione, ma anche perché è il frutto di un iter procedimentale complesso che aveva prodotto una prima decisione del TFN (TFN C.U. n. 38 del 16.3.2015); una prima decisione della CFA che riformava con rinvio (CFA C.U. n. 60 del 25.5.2015); una seconda decisione del TFN a seguito di detto rinvio (TFN C.U. n. 3 del 7.7.2015) e la decisione finale di cui sopra della CFA (CU n. 32 del 01/10/2015). In particolare, tale pronuncia assume qui rilievo perché afferma chiaramente il principio secondo cui l’organo giudicante deve sempre disporre di un ragionevole periodo di tempo per poter decidere a partire dal momento in cui gli vengono consegnati gli atti del giudizio: “la Corte ritiene perfettamente condivisibile la considerazione secondo la quale, anche nella disciplina previgente, il provvedimento di annullamento con rinvio al giudice di primo grado, travolgendo la decisione annullata e l’intero procedimento, determina la nuova decorrenza del termine. Ed infatti l’art. 37, comma 4, C.G.S. stabilisce che la C.F.A. “se ritiene insussistente la inammissibilità o la improcedibilità dichiarata dall’organo di prima istanza o rileva la violazione delle norme sul contraddittorio annulla la decisione impugnata e rinvia all’Organo che ha emesso la decisione, per l’esame del merito”; la restituzione al primo giudice presuppone pertanto o che questi non abbia provveduto ad esaminare il merito, avendo ritenuto decisiva una questione pregiudiziale; o che l’esame del merito debba essere replicato nel rispetto del principio del contraddittorio”; “dovendo provvedere ab imis all’esame del merito, il giudice di primo grado deve necessariamente disporre di un ragionevole periodo di tempo; periodo che, nel regime del vecchio testo dell’art. 34 bis C.G.S., non poteva che coincidere, allora, con il periodo di 90 giorni stabilito per la pronuncia della decisione di primo grado”; “la rimessione degli atti al primo giudice per il compimento di tale esame senza che sia consentito al medesimo di disporre di quello stesso periodo di tempo che il Codice prevede per lo svolgimento del giudizio di primo grado equivarrebbe a depotenziare in radice il principio di effettività e del giusto processo di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 2 C.G.S. CONI (“1. Tutti i procedimenti di giustizia regolati dal Codice assicurano l’effettiva osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo e la piena tutela dei diritti e degli interessi dei tesserati, degli affiliati e degli altri soggetti dal medesimo riconosciuti. 2. Il processo sportivo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e gli altri principi del giusto processo”); del resto l’integrazione apportata dal legislatore sportivo al testo dell’art. 34 bis (Com. Uff.n. 17/A del 17.7.2015) muove proprio da questa chiave di lettura e dalla avvertita necessità di uniformare il termine per la celebrazione del giudizio di rinvio davanti al primo giudice (sessanta giorni) indipendentemente dall’identità dell’Organo giudicante che tale rinvio operi (Giudice di secondo grado o Collegio di garanzia dello sport)”. Tali novità normative e giurisprudenziali, ad avviso di questa Commissione, devono indurre a ritenere superato l’approdo cui è giunta la C.F.A. con la decisione a Sezioni Unite n. 63 del 28.5.2015, giacché dimostrano che il termine dettato dall’art. 34 bis CGS è un termine relativo al singolo segmento procedimentale e non all’intero grado di giudizio. Del resto, la Commissione ritiene che per la risoluzione di questioni che attengono ad aspetti procedimentali, quale quella di specie, sia preferibile prediligere l’ approccio logico – sistematico rispetto a quello puramente formale, come affermato dalla stessa CFA, che nella decisione di cui al C. U. n. 60 del 25.5.2015 così si esprime al riguardo: “in ambito processuale (rectius procedimentale), andrebbero comunque evitate interpretazioni formalistiche… L’ inquadramento sistematico richiede la ricerca della soluzione idonea a colmare quella che nel C.G.S. appare essere una lacuna ed impone l’individuazione della norma dell’ordinamento generale (diritto comune) che governi l’ipotesi che presenti maggiori similitudini ed analogie con quella oggi posta all’attenzione della giustizia sportiva. Si deve quindi fare riferimento ad una norma che regoli una fattispecie simile, che sia espressione di un principio e che persegua uno scopo pratico replicabile per la fattispecie non regolata nell’ordinamento sportivo. Nel compimento di tale operazione, peraltro, si deve tenere presente che con il C.G.S. CONI, al quale opera esplicito riferimento il nuovo C.G.S. F.I.G.C. entrato in vigore il 1.7.2014, è stato stabilito, all’art. 2, comma 6, che “per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”. Si ritiene pertanto che il principio di diritto secondo cui il giudice di rinvio deve disporre di un “ragionevole lasso di tempo” per la pronuncia non possa che estendersi anche al caso, analogo, di proposizione di un secondo deferimento davanti al giudice competente a seguito dell’eccezione di incompetenza sollevata dal deferito davanti al primo organo giudicante, senza che ciò significhi compromissione dei diritti dell’incolpato. Del resto nel caso di specie, l’applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite della CFA nella decisione del 28.5.2015 C.U. n. 63 condurrebbe ad un esito paradossale e contrario allo spirito della norma, in quanto il temine di 90 giorni decorrente dal primo deferimento (del 20.11.2015) era già scaduto al momento del secondo atto di deferimento, che è intervenuto il 19.2.2016, sebbene tutti gli organi coinvolti nel procedimento avessero rispettato i termini loro assegnati dall’ordinamento sportivo (entrambi i deferimenti della Procura Federale sono intervenuti entro il termine di prescrizione dell’azione e la decisione del TFN è stata resa entro il termine dell’art. 34 bis CGS). Nella specie, cioè, il mancato rispetto del termine di 90 giorni dipenderebbe non già dall’inerzia degli organi decisionali coinvolti nel procedimento né dall’inerzia della Procura Federale, ma da incidenti processuali del tutto naturali, quale è la richiesta del deferito di essere giudicato dal giudice competente, con conseguente rimessione degli atti alla Procura Federale e nuovo deferimento davanti all’organo disciplinare munito del potere di decidere. Tanto più che lo stesso CGS stabilisce dei tempi procedimentali ben precisi (si pensi per esempio al termine a comparire di 20 giorni che deve decorrere tra la comunicazione al deferito della data di udienza e il giorno del suo svolgimento), sicché pretendere il rispetto del termine di 90 giorni ex art. 34 bis CGS a partire dalla data del primo deferimento sarebbe comunque incompatibile con il rispetto dei termini procedimentali previsti per il giudizio. Si tratta del resto di principi già espressi dal TNF nelle seguenti decisioni, che la Commissione ritiene di condividere: C.U. n. 30/TNF del 17.2.15, secondo cui “tale termine [ex art. 34 bis CGS] non può che decorrere dal momento in cui il deferimento viene concretamente proposto e mette quindi l’Organo di giustizia in condizione di esercitare la potestas iudicandi. Il decorso del termine non può certo discendere dall’inerzia (vera o presunta) di altro Organo diverso da quello titolare di detta potestas. Nello specifico il termine decorre quindi dal secondo deferimento con il quale la Procura federale ha validamente esercitato azione disciplinare ponendo concretamente questo Tribunale nelle condizioni di giudicare la controversia. Il precedente deferimento ha cessato i suoi effetti (tamquam non esset) con la dichiarazione di improcedibilità in seguito alla quale la Procura ha proposto il secondo deferimento nel rispetto dei termini di prescrizione dell’illecito disciplinare, che hanno tutt’altra natura rispetto al termine previsto dall’art. 34 bis CGS”); e C.U. n. 3/TFN del 7.7.15, secondo cui “la ratio della norma è quella di porre un termine acceleratorio, determinato per fasi, entro il quale gli organi di Giustizia devono pronunciarsi. Il termine di novanta giorni dalla data di esercizio dell’azione disciplinare inizia nuovamente a decorrere ove il procedimento torni all’esame del TFN in seguito ad annullamento con rinvio da parte della Corte Federale d’appello che travolge non solo la decisione annullata ma tutto il procedimento svoltosi dinnanzi il TFN. Non si tratta quindi di sospensione dei termini di estinzione bensì di nuovo decorso del termine. Ogni altra interpretazione viola non solo il principio di conservazione degli atti ma anche la logica, la ragionevolezza e ogni canone ermeneutico. Tra l’altro se il termine di novanta giorni per la pronuncia della decisione dovesse essere conteggiato tenendo conto dei giorni già intercorsi tra il deferimento e la prima decisione poi annullata, esso sarebbe impossibile da rispettare e introdurrebbe una abnorme causa di sospensione dei termini. Si pensi al caso di una decisione legittimamente assunta dal TFN all’ottantanovesimo giorno dal deferimento. In tal caso, adottando il criterio proposto dalla difesa dei deferiti, in caso di annullamento con rinvio da parte della CFA la decisione dovrebbe essere assunta entro un giorno”. Ne deriva che l’eccezione avanzata in via preliminare dal deferito deve essere respinta, in quanto infondata, giacché ad avviso di questa Commissione Disciplinare, nel caso di deferimento davanti ad un organo che si dichiari incompetente a seguito della relativa eccezione sollevata dal deferito e di successivo nuovo deferimento davanti all’organo competente, il termine di 90 giorni ex art. 34 bis CGS decorre ex novo e per intero dalla data del secondo deferimento, che nella specie, come detto, risale al 19.2.2016….” Il deferito ha, inoltre, contestato l’utilizzabilità di gran parte degli atti di indagine per pretesa violazione del termine di cui all’art. 32 quinques CGS. Infatti, secondo la difesa tutti gli atti compiuti dopo il 26.05.2015 (audizioni comprese) devono ritenersi inutilizzabili in quanto compiuti oltre 40 giorni dopo la data in cui la procura federale ha ricevuto l’esposto del sig. Tramonti. Osserva, al riguardo, la Commissione disciplinare che l’art. 32 quinquies CGS stabilisce che il termine di 40 giorni di durata delle indagini non decorre dal giorno in cui la Procura federale venga a conoscenza dell’illecito disciplinare, ma decorre, per espressa previsione normativa, «dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante», che nella specie è avvenuta il giorno 17.5.2015. Chiarisce, inoltre, la Commissione, che «non sussiste nessuna norma dell’ordinamento sportivo che imponga alla Procura Federale di iscrivere immediatamente (o comunque entro un termine perentorio) la notizia dell’illecito nel proprio registro. Anzi, da una lettura sistematica delle norme contenute nel CGS CONI, e precisamente l’art. 47 e l’art. 51, si evince la predisposizione di un accurato meccanismo di controllo da parte della Procura Generale sulle singole Procure Federali. Controllo che si esplica attraverso un costante flusso di comunicazioni di tutte le informazioni relative ai singoli procedimenti, tanto che alla Procura Generale è dato anche di invitare il capo della Procura federale ad aprire un fascicolo d’indagine provvedendo all’iscrizione nel registro e perfino di avocare le indagini con provvedimento motivato che, però, può essere disposto soltanto dopo che il Procuratore Generale abbia invitato il Procuratore federale ad adottare, “entro un termine ragionevole”, specifiche iniziative , concrete misure o comunque atti che in difetto potrebbero pregiudicare le indagini. Né può valere in contrario il riferimento alle norme processualpenalistiche operato dal deferito, sia perché non espressamente richiamate dal Codice di giustizia sportiva del Coni sia perché i registri tenuti dalle Procure della Repubblica sono sostanzialmente differenti rispetto a quelli in dotazione alle Procure federali, fatta eccezione solamente per la Procura antidoping che tiene anche il registro “atti relativi” (vedi art. 22 Codice sportivo Antidoping) che consentirebbe un’iscrizione immediata della notizia criminis anche se non allo stato sufficiente per l’avvio di un procedimento disciplinare vero e proprio per genericità dei fatti, per impossibilità di individuare immediatamente i presunti responsabili o per altri motivi…». Nel caso di specie, secondo la suddetta Commissione, tutti gli atti di indagine sono stati compiuti tempestivamente dalla Procura federale entro il termine di 40 giorni dal 17.5.2015 e sono, dunque, pienamente utilizzabili. Pertanto l’eccezione è infondata e pertanto deve essere respinta. Nel merito la Commissione disciplinare ritiene che il deferimento sia fondato. Le dichiarazioni rese dal calciatore Marco Zaggia (che confermano quelle del sig. Giuseppe Tramonti) risultano comprovare che il deferito ha posto in essere un’iniziativa volta ad eludere la normativa federale in materia di pagamento del premio di preparazione. Dalle dichiarazioni emerge chiaramente, secondo la Commissione, che Piangerelli, quale responsabile del settore giovanile dell’AC Cesena Spa, ha posto in essere con il sig. Marcello Foschi, dirigente dell’ASD Virtus Cesena, una “triangolazione” volta a far tesserare fittiziamente il calciatore Marzo Zaggia per l’ASD Virtus Cesena al fine di evitare il pagamento dell’intero premio di preparazione dovuto alla società di provenienza del calciatore. Sarebbe, poi, dimostrato che al giocatore fu proposto il tesseramento per l’ASD Virtus Cesena esclusivamente in funzione del successivo ed immediato tesseramento per l’AC Cesena, tanto è vero che egli non si è mai neppure allenato con l’ASD Virtus Cesena, ma è stato immediatamente convocato agli allenamenti dell’AC Cesena. Pertanto, la Commissione disciplinare del Settore tecnico, considerato che il deferito era chiamato a rispondere della violazione dei principi di lealtà, correttezza e probità sportiva, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 bis, comma 1, CGS, in relazione all’art. 96 delle NOIF, per aver formalmente tesserato il calciatore Marco Zaggia, pur avendo preordinato il suo trasferimento all’AC Cesena s.p.a, al solo fine di eludere il pagamento in favore della società Atletico San Paolo Padova, dell’intero e corretto importo del Premio di preparazione, pari a euro 19.000,00 circa anziché ad euro 1.086,00, corrisposto dall’ASD Virtus Cesena 2010 alla predetta società cedente, esaminata la memoria difensiva dello stesso deferito, e sentita la Procura federale in sede di udienza del 28.4.2016, che ha chiesto l’applicazione della sanzione della squalifica per mesi cinque, ha dichiarato Piangerelli Luigi responsabile dell’addebito contestato, infliggendo allo stesso la sanzione della squalifica per mesi cinque. Il ricorso Averso la suddetta decisione ha proposto reclamo il sig. Piangerelli, come rappresentato e difeso. Ripropone, sostanzialmente, l’appellante le eccezioni e deduzioni difensive già offerte con la memoria difensiva presentata nella precedente fase del procedimento. Ribadisce, anzitutto, il reclamante l’eccezione di improcedibilità del deferimento per violazione dell’art. 34 bis C.G.S.. Secondo il reclamante, infatti, «appare evidente come i 90 giorni previsti dalla norma per l’emissione della pronuncia di primo grado siano abbondantemente decorsi, con estinzione del procedimento disciplinare in data 18 febbraio 2016». Ciò in quanto l’azione disciplinare sarebbe stata «esercitata dalla Procura federale mediante l’atto di deferimento elevato il 20 novembre 2015». Inconferente sarebbe, a tal riguardo, il richiamo effettuato dalla Commissione disciplinare alla modifica normativa dell’art. 34 bis CGS, intervenuta con C.U. n. 17/A del 17 luglio 2015, così come al precedente giurisprudenziale indicato. Quest’ultima, in particolare, «trae origine da un procedimento riguardante una decisione del Tribunale federale nazionale (cfr. C.U. n. 38/TFN del 16 marzo 2015) a cui ha fatto seguito l’appello, la decisione di seconde cure che disponeva il rinvio all’Organo di prime cure (cfr. C.U. n. 60 del 25 maggio 2015) e la successiva statuizione a seguito di detto rinvio (cfr. C.U. n. 3 del 07 luglio 2015)». «Peccato», prosegue il reclamante, «si sia trattato di una fattispecie completamente diversa a quella in esame», nella quale non è intervenuta alcuna decisione «di un Organo di secondo grado o del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, così come nessuna sospensione dei termini ex art. 37 CGS». Secondo la prospettazione difensiva non sarebbe mai venuto meno il principio adottato dalla Corte federale d’appello, nella decisione di cui al C.U. n. 63/CFA del 28 maggio 2015, secondo cui «inequivoche e innegabili esigenze di certezza dei tempi di definizione dei procedimenti disciplinari e, al contempo, di sollecita definizione degli stessi (…) perdono di significato ove non sia individuato con certezza il dies a quo per il decorso del ricordato termine di 90 giorni. Non sussistono dubbi che detto termine iniziale, che la disposizione stessa riferisce alla “data di esercizio dell’azione disciplinare”, sia da individuare nella data in cui la Procura federale deferisce con proprio atto al Tribunale il soggetto incolpato (…) che sia (detto esercizio) validamente o meno operato». Anche nel caso in esame, dunque, a dire del reclamante, «il dies a quo, pertanto, dovrà computarsi dalla notifica del primo atto di deferimento del 20 novembre 2015». In via subordinata, il reclamante eccepisce la inutilizzabilità degli atti di indagine per violazione del termine di cui all’art. 32 quinquies CGS. L’assunto difensivo ruota, al riguardo, attorno alla tesi della erroneità della impugnata decisione della Commissione disciplinare del Settore tecnico laddove ritiene che non vi sia alcuna norma che imponga alla Procura federale di iscrivere immediatamente o, comunque, entro un termine perentorio, la notizia dell’illecito nel proprio registro. Ad ogni buon conto, ritiene il reclamante, ciò «non può certo tradursi in una totale incertezza nell’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine per la conclusione delle indagini». Insomma, nella prospettazione difensiva, «l’iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro deve essere contestuale alla conoscenza della stessa da parte della Procura federale: diversamente, un istituto introdotto nel reticolato normativo federale allo scopo di fornire ai consociati certezza in ordine alla propria posizione disciplinare ed alle tempistiche dell’esercizio dell’azione produrrebbe l’effetto contrario, i.e. quello di rimettere alla completa discrezionalità dell’organo inquirente i tempi dell’indagine». Di conseguenza, risulterebbe «irragionevole e non conforme a giustizia» una rigorosa interpretazione letterale della norma secondo cui il termine di 40 giorni per lo svolgimento dell’indagine decorre dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante. Attesa, quindi, a dire del reclamante, «l’inerzia della Procura federale nell’iscrizione della notizia nell’apposito registro, doverosa a partire dal 16 aprile 2015, il termine per lo svolgimento delle indagini avrebbe dovuto computarsi dalla predetta data, con conseguente inutilizzabilità di tutti gli atti d’indagine raccolti successivamente al 26 maggio 2015, i.e. di tutte le audizioni disposte dall’organo inquirente. Ogni diversa interpretazione finisce per frustrare immotivatamente il diritto di difesa della parte sottoposta a procedimento disciplinare la quale si potrebbe, così, vedere contestati illeciti sportivi anche a lunga distanza di tempo dai fatti, perdendo quindi in possibilità di argomentare esaurientemente a proprio discarico». Richiama, a tal proposito, il reclamante, la decisione 11 aprile 2016, n. 17 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni, con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite, la questione in ordine alla ragionevolezza e alla possibile violazione del principio di parità delle parti, dell’interpretazione in base alla quale l’inizio del procedimento sanzionatorio è rimesso esclusivamente al vaglio della Procura, senza alcun termine perentorio per la iscrizione nell’apposito registro della notitia criminis. In via ulteriormente subordinata, il reclamante deduce «insussistenza di violazioni disciplinari da parte del sig. Piangerelli, inesistenza dell’obbligo dell’AC Cesena s.p.a. di corrispondere il premio di preparazione, inesistenza di comportamenti elusivi». La dinamica degli accadimenti non dimostrerebbe affatto «l’esistenza di un comportamento elusivo da parte del sig. Piangerelli, finalizzato alla violazione delle norme sul premio di preparazione, come invece apoditticamente asserito dalla Commissione disciplinare c/o il Settore tecnico. A ben vedere, infatti, lo stretto rapporto intercorrente tra AC Cesena s.p.a. e ASD Virtus Cesena 2010 ben poteva giustificare il trasferimento temporaneo di uno o più giocatori dalla società affiliata a quella affiliante, in presenza di contingenze tali da richiedere l’integrazione di carenze numeriche e/o qualitative squadre del club professionistico». Evidenzia, poi, il reclamante che, contrariamente a quando sostenuto dalla pubblica accusa federale, la condotta non poteva, ad ogni buon conto, essere «finalizzata ad impedire il pagamento di un premio che, comunque, non era dovuto, per almeno due ragioni: a) L’A.C. Cesena ha tesserato il calciatore a titolo temporaneo, senza alcun diritto di instaurare il vincolo pluriennale, presupposto indefettibile per il pagamento del premio, tanto che, alla fine della stagione, lo Zaggia ha fatto rientro all’ASD Virtus Cesena. b) La società richiedente non aveva diritto al Premio di preparazione. Il presidente della SSD Atletico San Paolo Padova s.r.l. ha dichiarato, nel proprio esposto, di aver acquistato, nel luglio 2014, l’azienda sportiva della fallita San Paolo Padova s.r.l., come confermato dal C.U. n. 8/A dell’11 luglio 2014. Ne consegue che, nell’agosto 2014, allorquando Marco Zaggia venne tesserato dapprima per l’ASD Virtus Cesena 2010 quindi dall’AC Cesena s.p.a., la legittima titolare dell’eventuale diritto al Premio di preparazione (San Paolo Padova s.r.l.) non esisteva più, in quanto fallita (…)». A dire del reclamante, «siamo, quindi, in presenza, a tutto voler concedere, del caso scolastico del reato impossibile». Inoltre, si aggiunge in ricorso, occorre tener conto della novella che ha interessato l’art. 6, comma 2, NOIF, secondo cui, adesso, qualora, a seguito del primo tesseramento «il calciatore venga tesserato per altra società nel corso della stessa stagione sportiva, anche tale ultima società è tenuta a corrispondere il premio di preparazione calcolato in relazione alla sua categoria di appartenenza, se superiore, detratto l’importo del premio dovuto dalla precedente società». Pertanto, prosegue il reclamante, «avendo l’A.C. Cesena s.p.a. tesserato Zaggia nella medesima stagione sportiva rispetto a quella in cui lo stesso ha assunto, per la prima volta, il vincolo pluriennale, il club cesenate, ove l’Atletico San Paolo SSD ne avesse avuto diritto, avrebbe dovuto corrispondere il Premio di preparazione, al di là delle presunte “manovre elusive” di Piangerelli!». Con la conseguenza che «di nessuna utilità si sarebbe rivelata la condotta asseritamente e apparentemente elusiva, perché inidonea allo scopo, del sig. Piangerelli». Conclude, quindi, il reclamante, chiedendo il proscioglimento da «ogni addebito disciplinare contestato». Il giudizio innanzi alla CFA All’udienza fissata, innanzi questa Corte federale di appello, per il giorno 10 giugno 2016, sono comparsi l’avv. Dario Perugini, per la Procura federale, e l’avv. Stefano Vitale, in sostituzione dell’avv. Mattia Grassani, per il reclamante. Le parti hanno illustrato le rispettive difese. Dichiarato, quindi, chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti Motivi Risulta necessario esaminare con anteriorità le questioni preliminari in questa sede riproposte dal sig. Luigi Piangerelli. La prima eccezione, quella di intervenuta estinzione del procedimento, si basa sull’asserito decorso del termine di 90 giorni previsto per l’emissione della pronuncia di primo grado. Questo termine, secondo l’appellante, sarebbe infruttuosamente trascorso essendo stata esercitata l’azione disciplinare con il primo atto di deferimento del 20 novembre 2015, con correlata «estinzione del procedimento disciplinare in data 18 febbraio 2016». Né può ammettersi, ritiene, ancora, il reclamante, un nuovo atto di deferimento, perché l’azione disciplinare è già stata irrevocabilmente esercitata con il primo atto di deferimento e perché, inoltre, il suddetto termine di 90 giorni decorre non dal deferimento, ma, appunto, dall’esercizio dell’azione disciplinare e non può ammettersi che questa sia esercitata «un numero indeterminato di volte dall’organo requirente». Né, prosegue il reclamante, si versa in ipotesi di rinvio ex art. 34 bis CGS disposto dalla Corte federale di appello o dal Collegio di Garanzia del Coni e, dunque, non sarebbe conferente neppure il richiamo operato dalla Commissione disciplinare al precedente di cui al C.U. n. 60/CFA del 25 maggio. L’eccezione, pur suggestivamente articolata, non può essere condivisa. L’azione disciplinare nei confronti del sig. Luigi Piangerelli è stata esercitata con il deferimento del 20 novembre 2015. Il TFN, con provvedimento pubblicato nel C.U. n. 52/TFN del 12 febbraio 2016, ha dichiarato la propria incompetenza a favore della Commissione disciplinare presso il Settore tecnico. Con nuovo provvedimento datato 19 febbraio 2016 la Procura federale ha, dunque, riproposto l’atto di incolpazione innanzi a detto organo di giustizia sportiva. La Commissione disciplinare presso il Settore tecnico ha, infine, accertato la responsabilità del deferito per i fatti di cui trattasi con decisione pubblicata nel C.U. n. 264 del 11 maggio 2016. Ora, occorre, anzitutto, osservare come il secondo provvedimento della Procura federale, quello del 19 febbraio 2016, pur formalmente definito “deferimento”, in realtà si sostanzia in una mera “riedizione grafica” - relativamente alla sola posizione del sig. Piangerelli – del deferimento del 20 novembre 2016. Tra i due atti non vi sono differenze sostanziali di contenuto, non vi è diversità di fatti, non vi è una diversa contestazione: se ne ricava, dunque, che, a prescindere dalla formale qualificazione del provvedimento del 19 febbraio 2016, con lo stesso la Procura federale non ha inteso esercitare (e non ha, comunque, esercitato) una “nuova” azione disciplinare, ma ha posto in essere un atto dovuto che trova la sua fonte in un espresso comando giudiziale. Insomma, si tratta, sul piano procedimentale, di una mera rinnovazione dell’atto innanzi al Giudice competente, siccome indicato dall’organo inizialmente adìto. Ciò premesso e, dunque, chiarito come nel caso di specie non vi sia stato un nuovo esercizio dell’azione disciplinare, occorre verificare se, rispetto alla data (20 novembre 2015) di effettivo esercizio della stessa sia o meno decorso il termine di 90 giorni invocato dal reclamante. Orbene, l’azione disciplinare nei confronti del sig. Luigi Piangerelli, come detto, è stata esercitata con il deferimento del 20 novembre 2015. Il TFN (con decisione non di merito, ma di natura meramente processuale) pubblicata nel C.U. n. 52/TFN del 12 febbraio 2016 (quindi, nel rispetto del termine di 90 giorni), ha dichiarato la propria incompetenza a favore della Commissione disciplinare presso il Settore tecnico («essendo il deferito tecnico iscritto al relativo albo»), rimettendo «gli atti alla Procura federale per la sola posizione di Piangerelli». La Procura federale, con nuovo provvedimento datato 19 febbraio 2016 ha, quindi, tempestivamente riproposto l’atto di incolpazione innanzi all’organo di giustizia sportiva (Commissione disciplinare presso il Settore tecnico) indicato dal TFN. La Commissione disciplinare presso il Settore tecnico ha, infine, accertato la responsabilità del deferito per i fatti di cui trattasi con decisione pubblicata nel C.U. n. 264 del 11 maggio 2016 (quindi, nel rispetto del termine di 90 giorni prescritto per la definizione del giudizio di primo grado). Come è evidente, non vi è stata inerzia, né ritardo ingiustificato, da parte della Procura federale o del TFN o della Commissione disciplinare presso il Settore tecnico ed il giudizio è proseguito innanzi all’organo di giustizia sportiva competente, che non può non disporre del termine (90 giorni) previsto dall’ordinamento sportivo per la conclusione del giudizio di primo grado. Diversamente opinando si violerebbe il principio di conservazione degli atti, ma anche la semplice logica giuridica, oltre che la ragionevolezza ed il rispetto dei più elementari canoni ermeneutici. Il Collegio, del resto, intende dare continuità all’indirizzo già affermato, seppur con riferimento a fattispecie non del tutto sovrapponibile a quella oggetto del presente procedimento, con la precedente decisione pubblicata nel C.U. n. 32 del 01 ottobre 2015, secondo cui l’organo giudicante deve sempre disporre di un ragionevole periodo di tempo per poter decidere a partire dal momento in cui gli vengono rimessi gli atti del giudizio: detta rimessione, infatti, presuppone che il primo giudice non abbia provveduto ad esaminare il merito (come è avvenuto nel caso di specie) avendo ritenuto decisiva una questione preliminare, oppure che l’esame del merito debba essere replicato. Il Giudice del primo esame del merito non può, dunque, che disporre del termine di 90 giorni stabilito per la pronuncia della decisione di primo grado, decorrente dalla rimessione degli atti che, nel caso di specie, è stata tempestivamente effettuata a cura della Procura federale cui il TFN ha rinviato gli atti in relazione alla ritenuta competenza della Commissione disciplinare. In tale prospettiva, peraltro, la Commissione disciplinare ha correttamente ritenuto ed evidenziato come, con riferimento a «questioni che attengono ad aspetti procedimentali, quale quella di specie, sia preferibile prediligere l’approccio logico-sistematico rispetto a quello puramente formale». Come, del resto, già affermato da questa Corte con decisione, qui integralmente condivisa, pubblicata sul C.U. n. 60 del 25 maggio 2015, secondo cui «in ambito processuale (rectius procedimentale), andrebbero comunque evitate interpretazioni formalistiche (…) Sotto il profilo squisitamente sistematico, inoltre, deve essere considerato che - fermo restando il richiamato principio della tassatività delle ipotesi di improcedibilità – la ricerca della soluzione idonea a colmare quella che nel C.G.S. all’epoca vigente (ed in particolare nell’art. 32, comma 11 oggi sostituito dall’art. 32 quinquies nuovo C.G.S.) appariva essere una lacuna, imponga l’individuazione della norma dell’ordinamento generale (diritto comune) che governi l’ipotesi che presenti maggiori similitudini ed analogie con quella oggi posta all’attenzione della giustizia sportiva. Si deve quindi fare riferimento ad una norma che regoli una fattispecie simile, che sia espressione di un principio e che persegua uno scopo pratico replicabile per la fattispecie non regolata nell’ordinamento sportivo. Nel compimento di tale operazione, peraltro, si deve tenere presente che con il CGS CONI, al quale opera esplicito riferimento il nuovo CGS F.I.G.C. entrato in vigore il 1.7.2014, è stato stabilito, all’art. 2, comma 6, che “per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”». In definitiva, non si può che concludere che il termine dettato dall’art. 34 bis CGS è un termine relativo al singolo segmento procedimentale e non all’intero grado di giudizio e ritiene, questo Collegio, che il principio secondo cui il giudice di rinvio deve disporre di un “ragionevole lasso di tempo” per la pronuncia non possa che estendersi anche alla fattispecie oggetto del presente procedimento, nella quale vi è stata rimessione degli atti innanzi al Giudice competente a seguito dell’eccezione di incompetenza sollevata dal deferito davanti al primo organo giudicante. In altri termini, nel caso in cui il giudice proceda all’esame del merito a seguito di dichiarazione di incompetenza da parte del primo adìto organo di giustizia. Peraltro, anche a voler riconoscere l’opinabilità della soluzione adottata e pur non trascurando, questo Collegio, di considerare la possibile fondatezza, sul piano teorico-concettuale, delle argomentazioni giuridico-processuali offerte dalla parte reclamante, si dovrebbe ugualmente ritenere impossibile aderire alle stesse, non consentendo, la peculiarità del caso, una loro immediata applicazione. Inconferente, sotto questo profilo, il richiamo operato dal reclamante alla pronuncia della Corte federale d’appello pubblicata sul C.U. n. 63/CFA del 28 maggio 2015, secondo cui, il termine di 90 giorni di cui trattasi decorre dall’esercizio dell’azione disciplinare e, quindi, dall’atto di deferimento, a prescindere se lo stesso sia stato o meno validamente operato, perché, «diversamente opinando, nel senso cioè di consentire alla Procura federale di ripetutamente formulare deferimenti fino alla formulazione di un deferimento legittimo ovvero validamente operato, condurrebbe alla inaccettabile conclusione di non avere certezza in ordine ai tempi di definizione dei procedimenti disciplinari, con grave vulnus alle ragioni della “difesa” dei soggetti deferiti». Nel caso in esame, non può in alcun modo condividersi l’assunto difensivo secondo cui «il dies a quo, pertanto, dovrà computarsi dalla notifica del primo atto di deferimento del 20 novembre 2015, atteso che la dilatazione dei tempi del procedimento e la necessità di un secondo deferimento sono dipese unicamente dall’erronea individuazione, da parte della Procura federale, dell’organo competente a giudicare il sig. Luigi Piangerelli il quale, tuttavia, ha visto esercitare l’azione disciplinare nei propri confronti più di 7 (sette) mesi or sono». Infatti, nel caso di specie, non si può trascurare di considerare che il sig. Piangerelli, in data 11 giugno 2015, in sede di audizione innanzi alla Procura federale, si è qualificato quale dirigente (“direttore sportivo”) della società A.C. Cesena, e non già quale tesserato iscritto al Settore tecnico. Pertanto, non ha errato l’organo disciplinare del Settore tecnico nel riferirsi ad un “incidente processuale del tutto naturale”, non versandosi nell’ipotesi agitata dal deferito, in ricorso, della «erronea e macroscopica valutazione e determinazione da parte della Procura federale (…) certamente non imputabile al deferito che non può, quindi, giustificare la concessione di un nuovo 13 termine e/o la rimessione in termini per la definizione del giudizio di primo grado». L’errore, qui, non è imputabile alla Procura federale che, attese le dichiarazione rese, in sede di audizione, dal sig. Piangerelli, nella naturale consapevolezza delle eventuali conseguenze disciplinari delle stesse nel caso di reticenza o falsità, ha correttamente effettuato il deferimento innanzi al TFN. Solo a questo punto, ad azione disciplinare esercitata e in sede di difesa innanzi all’organo di giustizia di primo grado, il deferito ha eccepito l’incompetenza di quest’ultimo, attesa la sua qualifica di tesserato appartenente al Settore tecnico e non già al ruolo dirigenziale. È, dunque, evidente che nella particolare vicenda oggi sottoposta all’attenzione di questa Corte, diversamente da quanto affermato dal reclamante, non si versa nell’ipotesi di attribuzione alla Procura federale del potere di «“rinnovare”, senza limiti, l’atto di deferimento, al fine di porre rimedio ad una erronea individuazione dell’organo competente a decidere». Nel caso di specie, infatti, com’è evidente, non vi è stato alcun errore, tantomeno “macroscopico”, della Procura nella individuazione dell’organo di giustizia federale competente per la decisione. E non si vede, dunque, francamente, come, in sede processuale, possa consentirsi ad un soggetto di utilmente avvalersi di un eventuale errore della controparte causato da una sua falsa o, comunque, erronea affermazione. Del pari infondata l’eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagine per violazione del termine di cui all’art. 32 quinquies CGS. Ai sensi della suddetta norma il Procuratore federale deve svolgere tutte le indagini necessarie all’accertamento di violazioni statutarie e regolamentari di cui ha notizia ed a tal fine «iscrive nell’apposito registro le notizie di fatti o atti rilevanti» e «la durata delle indagini non può superare quaranta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante». Orbene, non può che prendersi atto del fatto che, mentre viene imposto un termine (40 giorni) per lo svolgimento delle indagini dall’iscrizione nel registro, manca una norma che imponga alla Procura federale di iscrivere nel registro dei procedimenti una data notitia criminis entro un termine, tantomeno perentorio. La prima interpretazione, del resto, non può che essere quella letterale. E, sotto tale profilo, la disposizione indica espressamente, per le indagini, il termine di 40 giorni dall’iscrizione nel registro, ma non anche che l’iscrizione avvenga entro un dato termine. Ciò che appare, del resto, logico, sol che si tenga conto del fatto che è intuibile che alla Procura federale possano pervenire, in un ristretto arco temporale, anche molteplici denunzie o segnalazioni di illeciti e che l’organo federale inquirente debba disporre di un congruo periodo di tempo al fine di effettuare un necessario, quanto opportuno, vaglio preliminare delle stesse, al fine di verificare se vi siano gli estremi (i.e. i presupposti di ordine fattuale e giuridico) per poter avviare le relative indagini, previa, appunto, iscrizione nell’apposito registro. Del resto, non è dato all’interprete ritenere esistente un termine perentorio laddove lo stesso non sia espressamente indicato e così qualificato dal legislatore. Infatti, la perentorietà del termine, come noto, richiede una espressa previsione normativa e, per l’effetto, in difetto di una tal previsione, non è possibile sanzionare il mancato rispetto di un eventuale termine (ordinatorio, ma, nel caso di specie, peraltro, insussistente), con una dichiarazione di inammissibilità dell’atto o di inutilizzabilità dell’attività sulla quale lo stesso si basi. Confortano tale conclusione almeno due ordini di considerazioni. Primo. Recita l’art. 12 ter, comma 3, dello Statuto del Coni: «Il capo della Procura federale deve avvisare la Procura generale dello sport di ogni notizia di illecito sportivo ricevuta, dell’avvio dell’azione disciplinare, della conclusione delle indagini, della richiesta di proroga, del deferimento di tesserati e affiliati e dell’intenzione di procedere all’archiviazione. La Procura generale dello Sport, anche su segnalazione di singoli tesserati e affiliati, può invitare il capo della procura federale ad aprire un fascicolo di indagine su uno o più fatti specifici». Recita, inoltre, l’art. 51, comma 4, CGS Coni: «La Procura generale dello sport, in spirito di leale collaborazione, coopera con ciascuno dei procuratori federali al fine di assicurare la completezza e tempestività delle rispettive indagini; a tal fine, la Procura generale dello Sport, anche su segnalazione di singoli tesserati e affiliati, può invitare il capo della procura federale, secondo le modalità stabilite nel Regolamento di cui all’art. 12 ter dello Statuto del CONI, ad aprire un fascicolo di indagine su uno o più fatti specifici, provvedendo all’iscrizione nel registro di cui 14 all’art. 53 del presente Codice. Qualora il medesimo fatto sia oggetto di indagine da parte dell’ufficio del Procuratore federale di più di una Federazione, la Procura Generale dello Sport assicura il coordinamento tra gli uffici». Recita, infine, l’art. 12, comma 2, del Regolamento di organizzazione e funzionamento della Procura generale dello sport: «L’invito di cui al comma 4 dell’art. 51 del Codice della Giustizia Sportiva può essere formulato soltanto qualora la segnalazione sia stata preventivamente inviata dal tesserato o affiliato alla competente Procura federale e quest’ultima non abbia provveduto entro trenta giorni dalla ricezione all’iscrizione nel registro di cui al comma 2 dell’art. 47 del Codice della Giustizia Sportiva». Dal combinato disposto delle norme sopra citate si evince, in modo inequivoco, che non sussiste alcun obbligo, in capo alla Procura federale, di iscrivere, entro un dato termine (tantomeno perentorio) il fatto segnalato o denunciato nell’apposito registro dei procedimenti, tanto è vero che, solo decorsi almeno 30 giorni dalla denunzia o segnalazione, è previsto un potere, in capo alla Procura generale, di (mero) invito e sollecitazione, alla Procura federale, in ordine all’apertura di un fascicolo di indagine, provvedendo all’iscrizione nell’apposito registro. Secondo. Nel caso di specie la notitia criminis è del 16 aprile 2015 e l’iscrizione nell’apposito registro dei procedimenti è stata effettuata in data 18 maggio 2015. Quindi, in un tempo, all’evidenza, del tutto congruo e ragionevole, anche in relazione a quanto si è detto sopra e tenuto conto che, peraltro, nel caso di specie, si tratta di una denuncia plurima, che interessava numerose società e tesserati e, quindi, doveva essere adeguatamente ed attentamente esaminata dalla Procura federale, per verificare nei confronti di quali tesserati e di quali società era opportuno e doveroso avviare le indagini. In definitiva, la decisione della Commissione disciplinare non solo è conforme al complessivo quadro normativo di riferimento e rispettosa della ratio dello stesso, volto, in questa prospettiva, a coniugare l’esigenza di assicurare l’effettiva osservanza delle norme federali con quella di garanzia dei diritti di difesa dei tesserati e delle affiliate, ma resiste anche ad una interpretazione logicosistematica. Quanto al merito si evidenzia che nel settore dilettantistico il premio di preparazione ha la funzione di sostenere le società di puro settore giovanile. Il premio consiste nel pagamento, al momento della stipulazione di un rapporto di tesseramento pluriennale, di una somma – c.d. parametro – alle società che abbiano cresciuto giovani calciatori. L’obiettivo di tale premio è, in altri termini, quello di sviluppare ed incentivare la formazione di giovani calciatori da parte di società di puro settore giovanile. Tale finalità si attua attraverso un sistema solidaristico che vede le società che militano in categorie maggiori riconoscere un contributo alle società che disputano campionati di categoria inferiori, laddove, appunto, vi sia il primo contratto con vincolo pluriennale. Il premio di preparazione è principalmente disciplinato dall’art. 96 NOIF, che così statuisce: «1. Le società che richiedono per la prima volta il tesseramento come giovane di serie”, “giovane dilettante” o “non professionista” di calciatori che nella precedente stagione sportiva siano stati tesserati come “giovani”, con vincolo annuale, sono tenute a versare alla o alle società per le quali il calciatore è stato precedentemente tesserato un “premio di preparazione” sulla base di un parametro – raddoppiato in caso di tesseramento per società delle Leghe professionistiche – aggiornato al termine di ogni stagione sportiva in base agli indici ISTAT per il costo della vita, salvo diverse determinazioni del Consiglio Federale e per i coefficienti di seguito indicati Le società della Lega Nazionale Professionisti non hanno diritto al “premio di preparazione”, fatto salvo il caso in cui la richiesta riguardi società appartenenti alla stessa Lega. 2. Agli effetti del “premio di preparazione” vengono prese in considerazione le ultime due Società titolari del vincolo annuale nell’arco degli ultimi tre anni. Nel caso di unica società titolare del vincolo, alla stessa compete il premio per l’intero. Qualora, a seguito del primo tesseramento di cui al comma precedente, il calciatore venga tesserato per altra società nel corso della stessa stagione sportiva, anche tale ultima società è tenuta a corrispondere il premio di preparazione calcolato in relazione alla sua categoria di appartenenza, se superiore, detratto l’importo del premio 15 dovuto dalla precedente società. Il vincolo del calciatore per almeno una intera stagione sportiva è condizione essenziale per il diritto al premio». Anche l’art. 33 del Regolamento SGS richiama il premio di preparazione di cui trattasi e così dispone: «1. La corresponsione del "premio di preparazione" è disciplinato dall'art. 96 delle Norme Organizzative Interne della F.I.G.C. ed il versamento dello stesso deve essere regolato direttamente dalle società interessate». Come già sopra evidenziato, l’obiettivo della disciplina in materia è quello di sviluppare ed incentivare la formazione di giovani calciatori da parte di società di puro settore giovanile. L’Alta Corte di Giustizia Sportiva presso il Coni, con la decisione n. 27/2014 del 5 settembre 2014, ha aperto, ispirandolo a giustizia, il dibattito in ordine alla liceità di scritture che disciplinino i rapporti economici tra due club in materia di premio di preparazione, fornendo anche un interessante spunto interpretativo della norma. Il massimo organo di giustizia sportiva del Coni, infatti, nel dichiarare inammissibile il ricorso promosso da una società professionistica, ha così inquadrato il premio di preparazione: «è noto come il premio di preparazione rappresenti una sorta di collegamento fra mondi, quello del calcio professionistico da un lato e del dilettantismo, dall’altro. L’obiettivo è duplice, giacché esso assicura alle piccole società dilettantistiche l’opportunità economica di proseguire nel compimento della loro attività di formazione di giovani atleti e, in pari tempo, offre alle società professionistiche il vantaggio di avvalersi di validi atleti senza dover concorrere direttamente alla loro formazione di base. Si è in presenza, dunque, di un meccanismo di tipo solidaristico, in cui il contributo che le società maggiori sono tenute a pagare alle società inferiori, allorché vi sia un primo contratto con vincolo pluriennale, assolve alla funzione di creare condizioni di equilibrio nel mercato calcistico, al contempo incentivando la pratica sportiva. La logica della disposizione è, in altri termini, quella di assicurare alla società che abbia provveduto ad erogare un’adeguata preparazione ed un sufficiente allenamento (magari anche consentendo al giovane la partecipazione all’attività agonistica) un riconoscimento economico per siffatto periodo di formazione». Orbene, ciò premesso, deve, anzitutto osservarsi come nel presente procedimento, il thema decidendum non è costituito dall’effettivo ammontare del premio di preparazione dovuto da una data società ad altra società o dalla (asserita) insussistenza dell’obbligo di cui trattasi verso una società poi fallita, altro essendo, infatti, il nodo centrale da sciogliere. Nodo centrale di causa che può essere sintetizzato nella domanda se i soggetti deferiti abbiano o meno posto in essere, in violazione della normativa federale in materia, una condotta volta ad eludere la corresponsione del premio di preparazione da parte della società AC Cesena s.p.a. o, comunque, una condotta antidoverosa, in violazione dell’art. 1 bis CGS, ponendo in essere un trasferimento fittizio o apparente, quale che fosse lo scopo effettivo dello stesso. Tenuta, dunque, presente quella che è la funzione propria del premio di cui trattasi, da un lato, e la condotta contestata, dall’altro, ritiene, questo Collegio, che, nel caso di specie, le risultanze dell’attività di indagine conducano a ritenere dimostrato l’accordo simulatorio posto in essere dalle due società ASD Virtus Cesena 2010 e AC Cesena s.p.a., ai fini elusivi della normativa federale in materia di riconoscimento e corresponsione del premio di preparazione di cui trattasi. E’ emerso, infatti, che nel luglio del 2014 il calciatore minorenne Zaggia Marco venne contattato dal dirigente della ASD Virtus Cesena Foschi Marcello per proporgli di tesserarsi presso quest’ultima società, con lo scopo di un possibile o eventuale trasferimento presso la società professionistica AC Cesena. Alla firma del contratto avvenuto qualche giorno dopo nella sede della ASD Virtus Cesena (affiliata AC Cesena), il calciatore Zaggia (accompagnato dai genitori), alla presenza dei sigg.ri Foschi e Piangerelli, venne rassicurato (in particolare, proprio da quest’ultimo) sulla cessione pressoché immediata dello stesso alla società AC Cesena, presso la cui sede si sarebbe dovuto presentare in data 31.07.2014 per iniziare l’attività sportiva. Non appare revocabile in dubbio, pertanto, che la condotta del deferito Piangerelli fosse finalizzata ad eludere la normativa federale in materia di premi di preparazione. In particolare, l’obiettivo era quello di corrispondere alla società di provenienza del calciatore Zaggia (Atletico San Paolo Padova) il corretto importo del premio di preparazione pari a euro 19.000,00 circa anziché euro 1.086,00 corrisposto dalla ASD Virtus Cesena alla società cedente. 16 Ma anche laddove così non fosse, volendo, in tale prospettiva, seguire il ragionamento svolto dal reclamante (rimasto, peraltro, del tutto indimostrato e, anzi, contraddetto dalle emergenze probatorie acquisite al procedimento), secondo cui la condotta non aveva, comunque, le potenzialità per eludere la corresponsione di un (maggior) premio di preparazione, non vi è dubbio che la condotta posta in essere dal sig. Piangerelli sostanzierebbe, in ogni caso, una violazione dell’art. 1 bis CGS, avendo, con la stessa, realizzato un trasferimento meramente fittizio del calciatore Zaggia alla società ASD Virtus Cesena, essendo, invece, la reale finale destinazione dello stesso predetto calciatore, la società AC Cesena. Del resto, il costrutto accusatorio trova inequivoca conferma nel fatto che (dato pacifico) il giocatore Zaggia non ha mai svolto alcuna attività sportiva a favore della società ASD Virtus Cesena, essendo stato convocato direttamente, per l’inizio dell’attività sportiva, dall’AC Cesena. Laddove, dunque, si dovesse escludere l’accordo simulatorio di cui sopra si diceva, il brevissimo (formale) periodo di tesseramento del calciatore Zaggia con la Virtus Cesena sarebbe privo di significato alcuno. Circostanza deduttiva, questa, che rende non verosimile la ricostruzione difensiva operata dal deferito. In altri termini, la società Virtus Cesena (cat. dilettanti) in data 08.08.2014 ha tesserato con vincolo pluriennale il giocatore Zaggia Marco, versando all’Atletico San Paolo Padova (società di provenienza del giocatore) il premio di preparazione pari ad euro 1.086,00, per poi trasferirlo in prestito, in data 27.08.2014, dopo, quindi, soli 19 giorni, alla società professionistica AC Cesena s.p.a. Qualora, invece, quest’ultima avesse direttamente tesserato il calciatore, senza farlo, per così dire, “transitare” apparentemente per la società affiliata Virtus Cesena, avrebbe dovuto corrispondere, a titolo di premio di preparazione, alla società di provenienza, la ben più elevata somma di euro 19.000,00 circa. Decisivi elementi a conforto del convincimento di questo Collegio si evincono, poi, dalle convergenti dichiarazioni dei sigg.ri Tramonti e Zaggia. In particolare, queste ultime appaiono più convincenti e, quindi, preferibili rispetto a quelle rese dal deferito, anche perché risultano connotate di un più elevato grado di genuinità, anche per essere state rese in modo del tutto naturale da un ragazzo, attore inconsapevole delle ragioni imposte dai suoi interlocutori sulla necessità di procedere al tesseramento per la Virtus Cesena, sapendo anticipatamente che sarebbe stato subito trasferito in prestito all’AC Cesena. In conclusione, questa Corte ritiene sussistere la responsabilità del sig. Piangerelli Luigi, in relazione al capo di incolpazione come da contestazione della Procura federale. Per l’effetto, valutate le complessive circostanze della fattispecie, tenuto conto delle condotte poste in essere dal deferito e del relativo apporto fornito dallo stesso alla realizzazione dell’evento elusivo di cui trattasi, la Corte ritiene congrua la sanzione inflitta dalla Commissione disciplinare del Settore Tecnico FIGC, che merita, pertanto, piena conferma. Per questi motivi la C.F.A. respinge il ricorso come sopra proposto dal signor Piangerelli Luigi e dispone incamerarsi la tassa reclamo.
Share the post "F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2015/2016 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 140/CFA del 10 Giugno 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 141/CFA del 16 Giugno 2016 e su www.figc.it 2. RICORSO SIG. PIANGERELLI LUIGI AVVERSO LA SANZIONE DELLA SQUALIFICA PER MESI 5 INFLITTA AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI ALL’ART. 1BIS COMMA 1 C.G.S., IN RIFERIMENTO ALL’ART. 96 N.O.I.F. – nota n. 8536/827 pf 14-15/AA/mg del 19.2.2016 (Delibera della Commissione Disciplinare presso Settore Tecnico F.I.G.C. – Com. Uff. n. 264 dell’11.5.2016)"