F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2016/2017 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 011/CFA del 26 Luglio 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 043/CFA del 10 Ottobre 2016 e su www.figc.it 2. RICORSO A.S. LIVORNO CALCIO S.R.L.AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI € 5.000,00 INFLITTA ALLA RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1 BIS, COMMA 1, 4, COMMA 3, E 12, COMMA 3 C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA LIVORNO CALCIO/ASCOLI PICCHIO DEL 23.12.2015 – NOTA N. 12859/672 PF15-16 AM/SP/MA DELL’11.5.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 92/TFN del 30.6.2016) 3. RICORSO ASCOLI PICCHIO F.C. 1898AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTA ALLA RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1 BIS, COMMA 1, 4, COMMA 3, 11 COMMI 1 E 3, E 12, COMMA 3 C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA LIVORNO CALCIO/ASCOLI PICCHIO DEL 23.12.2015 – NOTA N. 12859/672 PF15-16 AM/SP/MA DELL’11.5.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 92/TFN del 30.6.2016)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite - 2016/2017 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 011/CFA del 26 Luglio 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 043/CFA del 10 Ottobre 2016 e su www.figc.it 2. RICORSO A.S. LIVORNO CALCIO S.R.L.AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI € 5.000,00 INFLITTA ALLA RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1 BIS, COMMA 1, 4, COMMA 3, E 12, COMMA 3 C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA LIVORNO CALCIO/ASCOLI PICCHIO DEL 23.12.2015 - NOTA N. 12859/672 PF15-16 AM/SP/MA DELL’11.5.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 92/TFN del 30.6.2016) 3. RICORSO ASCOLI PICCHIO F.C. 1898AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTA ALLA RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1 BIS, COMMA 1, 4, COMMA 3, 11 COMMI 1 E 3, E 12, COMMA 3 C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA LIVORNO CALCIO/ASCOLI PICCHIO DEL 23.12.2015 - NOTA N. 12859/672 PF15-16 AM/SP/MA DELL’11.5.2016 (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 92/TFN del 30.6.2016) L’A.S. Livorno Calcio, con ricorso del 4 luglio 2016, ha impugnato la decisione con cui il Tribunale Federale Nazionale ha inflitto alla reclamante la sanzione dell’ammenda di €. 5.000,00 in quanto i propri sostenitori, nel corso della gara Livorno Calcio/Ascoli Picchio, del campionato della Lega Nazionale Professionisti – Serie B del 23 dicembre 2015, hanno pronunciato frasi offensive per motivi di origine territoriale nei confronti dei tifosi avversari. In ordine alla stessa gara, il Tribunale Federale Nazionale ha inflitto la sanzione dell’ammenda di €. 10.000,00 alla soc. Ascoli Picchio F.C. 1898 poiché i suoi tifosi hanno rivolto, ai sostenitori avversari, cori ritenuti integranti apologia e propaganda ideologica. Avverso tale ultima sanzione, la società marchigiana ha proposto ricorso in data 7 luglio 2016. La prima società ha preliminarmente eccepito il difetto di competenza del Tribunale Federale e l’inutilizzabilità delle prove televisive per contestare le violazioni qui contestate. Entrambe hanno poi chiesto l’annullamento della decisione ovvero, in subordine, ridurre la sanzione inflitta. Il deferimento La Procura Federale, con atto dell’11 maggio 2016 ha deferito, innanzi al Tribunale Federale Nazionale, l’Ascoli Picchio FC 1898 s.p.a e l’A.S. Livorno calcio s.r.l.. Nei confronti della prima società è stata prospettata la violazione degli artt. 1 bis, comma 1, 4, comma 3, 11, commi 1 e 3, 12, comma 3 del C.G.S. perché “durante il primo tempo della gara “Livorno-Ascoli Picchio” del 23.12.2015, a partire dal 9° minuto circa, propri sostenitori intonavano reiteratamente il coro, configurante propaganda ideologica vietata dalla legge, “Duce, duce” e il coro, comportante insulto per motivi di origine territoriale, “Livornesi ebrei””. Alla società toscana è stata, invece, addebitata la violazione dell’art. 1 bis, comma 1, 4, comma 3 e 12, comma 3 del C.G.S. perché “durante il primo tempo della gara “Livorno-Ascoli Picchio” del 23.12.2015, a partire dal 9° minuto circa, propri sostenitori intonavano reiteratamente i cori, comportanti insulto per motivi di origine territoriale “Ascolano pezzo di merda” e “Ascoli pecuri”. Il procedimento ha avuto origine da una lettera del sindaco di Livorno, sig. Filippo Nogarin, inviata in data 28.12.2015 al Ministero dell’Interno, al Presidente Federale e a quello della LNP serie B, con cui esprimeva la propria contrarietà perché nessuna iniziativa era stata adottata nei confronti dei tifosi ascolani, rei di aver profferito, in occasione dell’incontro calcistico di cui sopra, frasi offensive, discriminatorie e di apologia. La nota è stata trasmessa, dalla Presidenza Federale, alla Procura interna che ha avviato un’istruttoria nel corso della quale, preso atto che nulla si coglieva dalla lettura degli atti ufficiali di gara, è stato interessato l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, il cui Vice Presidente Operativo, in una sua mail del 15.02.2016, premesso che in conseguenza di un’avaria del sistema audio erano disponibili solo immagini relative all’evento, ha tuttavia fatto rilevare che da queste ultime, interpretando il movimento labiale dei tifosi ascolani, era possibile rilevare che costoro avrebbero presumibilmente intonato cori o comunque lanciato slogans dal tenore “duce duce”, accompagnate da braccia tese verso l’alto o protese in avanti, con mani aperte o chiuse. Lo stesso dirigente ha però precisato che, dall’ascolto delle riprese di Sky TV, comprensibili solo per i primi quindici minuti della gara, si è avuta conferma dei cori che precedono ma anche che, all’ingresso sugli spalti dei tifosi ascolani, avvenuto a gara iniziata da qualche minuto, i supporters livornesi avevano loro indirizzato l’inno “Avanti popolo” e grida come “Ascolano pezzo di merda”, suscitando la reazione degli ascolani che replicavano con “Livornese ebreo”. 4 Sono stati, altresì sentiti sull’episodio, oltre al sindaco Nogarin (che ha confermato di aver udito personalmente i cori come riportati nella sua nota e, insieme a lui, li avevano sentiti anche altre persone presenti in tribuna), il suo portavoce Andrea Morini, tale Claudio Cosci, seduto vicino a lui, il giornalista Gianni Tacchi nonché diversi tesserati delle due società presenti alla gara. Sono stati acquisiti anche due articoli di stampa del giornale “Il Tirreno” pubblicati il 24.12.2015 e il 26.01.2016. Il dirigente del servizio di O.P. della Questura livornese aveva invece precisato che i tifosi locali erano circa 3.200 mentre quelli ospiti circa 110. Raggiunto il convincimento che le espressioni riportate erano state effettivamente pronunciate dalle due tifoserie, il Procuratore Federale Aggiunto, con provvedimento dell’11 maggio 2016 (n. 12859/672pf15-16/AM/ma), ha deferito le due società, ai sensi dell’art. 4, comma 3 C.G.S., ritenendoli responsabili dei comportamenti ascritti ai rispettivi tifosi, come sopra riportati. Il giudizio dinanzi al Tribunale Federale Nazionale Si sono costituite innanzi al Tribunale Federale le due società che hanno opposto questioni pregiudiziali/preliminari e censure di merito. La società Ascoli Picchio ha eccepito sulla correttezza della procedura seguita dall’organo inquirente in relazione ai tempi e modi dell’istruttoria (avviata solo a seguito di atti provenienti da terzi e non in base a documenti ufficiali di gara) e comunque l’inadeguatezza dei mezzi di prova. La società toscana ha, da parte sua, contestato il difetto di competenza/giurisdizione del TFN, ritenendola incardinata in capo al Giudice Sportivo, l’inutilizzabilità delle riprese televisive e la non congrua definizione dell’accaduto, rientrante, a suo avviso, nelle mere “schermaglie tra tifoserie”. Entrambe concludevano per il proscioglimento da ogni accusa. All’esito del dibattimento, tenutosi il 23 giugno 2016, nel corso del quale il rappresentante della Procura Federale ha chiesto, per la soc. Ascoli Picchio, l’obbligo di disputare una gara con assenza del pubblico nella curva sud dello stadio casalingo, in applicazione dell’art. 11, comma 3 C.G.S. e, ai sensi dell’art. 12, comma 6 dello stesso Codice, l’applicazione dell’ammenda di €. 6.000,00. Nei confronti della soc. Livorno Calcio, l’applicazione dell’ammenda di €. 6.000,00 ai sensi dell’art 12, comma 6, C.G.S., per violazione dell’art. 12, comma 3 dello stesso Codice. La difesa della soc. Livorno Calcio, nel riportarsi a quanto esposto, dedotto e richiesto in memoria, ha insistito per il proscioglimento della società. Il Collegio ha deliberato, al termine della camera di Consiglio, l’irrogazione delle sanzioni indicate nel C.U. n. 92/TFN – Sez. Disciplinare (2015/2016), ossia: - sanzione di €. 10.000,00 di ammenda alla soc. Ascoli Picchio FC 1898 s.p.a.; - sanzione di €. 5.000,00 alla soc. Livorno calcio s.r.l.. Dopo aver respinto, in rito, l’eccezione di incompetenza posta dalla società livornese in quanto, secondo giurisprudenza, sussisterebbe sia il potere/dovere della Procura Federale a deferire alla cognizione fatti o atti conosciuti successivamente alla disputa delle gare sia quello del Tribunale Federale Nazionale a conoscerli, anche avvalendosi di mezzi istruttori acquisiti autonomamente dall’organo inquirente. Nel merito ha ritenuto, stante la convinta rilevazione dell’avvenuto “scambio di epiteti tra le opposte fazioni”, che quelli rivolti dai tifosi ascolani a quelli livornesi contenessero elementi di apologia e propaganda ideologica mentre quelli dei tifosi toscani avessero natura e valenza di denigrazione scurrile e territoriale. Per questo motivo ha irrogato sanzioni pecuniarie in misura diversa. I ricorsi alla Corte Federale d’Appello Entrambe le società hanno opposto ricorso a questa Corte avverso la decisione di primo grado. La difesa della società Livorno Calcio, dopo aver ricordato come il procedimento abbia tratto origine da una nota inviata “al Ministro degli Interni (correttamente Ministro dell’Interno 5 n.d.r.), al Presidente Federale e a quello della Lega serie B dal Sindaco di Livorno, che “si è dogliato della mancanza di provvedimenti nei confronti dei tifosi avversari, rei di aver pronunciato cori di matrice antisemita riconducibili all’apologia del fascismo…” e ripercorso le fasi procedimentali precedenti ha riproposto, in via preliminare, il difetto di competenza del Tribunale Federale Nazionale. A suo avviso, ai sensi dell’art. 29, comma 2, C.G.S., la competenza spetterebbe al Giudice Sportivo che avrebbe dovuto giudicare in base alle risultanze ufficiali e dei mezzi di prova di cui all’art. 35 C.G.S.. Il Tribunale Federale Nazionale avrebbe, quindi, errato nel ritenersi competente e nel citare, a supporto del proprio convincimento, due precedenti decisioni di questa Corte, che ritiene inconferenti. Richiama, a sua volta, precedenti asseritamente in linea con la sua tesi. Sempre in rito, esprime l’avviso che le immagini televisive, che hanno costituito il mezzo probatorio unico per addivenire alla sfavorevole decisione, non avrebbero potuto essere utilizzate perché “L’art. 35, comma 2 C.G.S. disciplina i procedimenti in ordine al comportamento dei sostenitori precisando, al comma 2.2, che le immagini televisive possano essere utilizzate solo in riferimento alle condotte violente di particolare gravità e sempre se segnalate con le modalità previste dai precedenti commi 1.3 e 1.4…”. Nel merito, ha insistito nella già prospettata (in primo grado) tesi che i cori dei tifosi toscani non avrebbero concretizzato alcun insulto, ma solo una “schermaglia” nei confronti degli avversari “peraltro non volgare” e che, a suo avviso, il riferimento territoriale non avrebbe costituito elemento essenziale del coro livornese, requisito costitutivo della violazione dell’art. 12, comma 3 C.G.S., così come ritenuto in precedente decisione che cita. Incongrua sarebbe, in ogni caso, la sanzione inflitta in quanto nella sua quantificazione non si sarebbe tenuto conto delle circostanze indicate nell’art. 13 C.G.S. a titolo di esimente/attenuante. Ha chiesto, in conclusione, che l’A.S. Livorno sia prosciolto da ogni addebito o, in subordine, che la sanzione venga rideterminata in misura più equa. La difesa della società Ascoli Picchio F.C. 1898 s.p.a., nel suo atto di gravame, dopo aver brevemente ripercorso gli eventi di cui è cognizione, con particolare riguardo alla mancata segnalazione di cori offensivi o discriminatori da parte degli organi federali presenti alla gara, nonché sottolineato come il sindaco di Livorno e le persone che aveva accanto sugli spalti abbiano sentito solo i cori ascolani e non anche quelli dei tifosi del Livorno, in numero ben superiore, in diritto ha argomentato in ordine al requisito della “percepibilità” dei cori denunciati come discriminatori che, stante l’omessa refertazione da parte dell’arbitro e degli altri ufficiali di gara, non sarebbe stata tale. Pertanto, non si sarebbe giunta la soglia minima per la loro punibilità. Non corretta sarebbe stata, poi, la mancata applicazione dell’esimente di cui all’art. 13, commi 1 e 2, C.G.S. essendovi stata da parte dell’Ascoli, ad avviso della stessa difesa, l’adozione di ogni misura idonea a prevenire i comportamenti addebitati. In conclusione ha insistito perché la soc. Ascoli Picchio F.C. 1898 venga prosciolta da ogni addebito, con annullamento della sanzione inflitta dal giudice di prime cure. In via subordinata ha chiesto l’applicazione dell’esimente o delle attenuanti di cui all’art. 13 C.G.S. Il dibattimento dinanzi la Corte Federale d’Appello e la decisione All’odierna riunione hanno partecipato l’avv. Sara Agostini per l’A.S. Livorno Calcio s. r.l., l’avv. Cristina Celani, per l’Ascoli Picchio F.C. 1898 s.p.a. e l’avv. Dario Perugini in rappresentanza della Procura Federale. L’avv. Agostini ha sottolineato come tutto il procedimento si fonderebbe su mere congetture, in quanto l’offensività dei cori sarebbe il frutto di una “interpretazione” dei movimenti labiali oppure percepita parzialmente dalle registrazioni audio-video, peraltro inammissibili perché acquisite al di fuori delle ipotesi previste dal C.G.S.. In ogni caso e in via subordinata ha manifestato il convincimento che la sanzione irrogata sia stata eccessiva. Ha concluso ribadendo motivi e richieste riportate in ricorso. L’avv. Celani ha, in primo luogo, contestato la carenza probatoria della responsabilità oggettiva dell’Ascoli perché non vi sarebbe nulla di oggettivo nella nota del Sindaco di Livorno e la 6 ricostruzione ex post dei cori non sarebbe che un apprezzamento degli stessi fondato su sensazioni e non su atti ufficiali. Discutibile sarebbe anche la c.d. percezione dell’offensività degli stessi in quanto uditi, stando alle dichiarazioni, solo da quattro persone. Ha concluso ribadendo quanto già in ricorso. L’avv. Perugini, per la Procura Federale, ha dedotto circa l’incensurabilità della decisione di primo grado sia per quanto riguarda la competenza a decidere del Tribunale Federale sia per quanto attiene all’applicazione della normativa federale operata dal Collegio nel caso di specie. Ha concluso chiedendo che i ricorsi siano respinti stante la congruità delle sanzioni irrogate. Motivi della decisione Preliminarmente ad ogni esame, in rito e nel merito della vicenda posta alla sua cognizione, la Corte dispone la riunione dei giudizi per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva. In via preliminare, deve valutarsi la censura posta dalla soc. Livorno Calcio s.r.l. circa l’incompetenza del Tribunale Federale Nazionale a conoscere i fatti in questione. La società ricorrente, in sintesi, opina che alla fattispecie de qua possa applicarsi una disciplina diversa da quella indicata sub art. 29, comma 2 C.G.S., che indica quale giudice naturale dei fatti avvenuti “nel corso di tutti i campionati e le competizioni organizzate dalle Leghe e dal Settore per l’attività giovanile e scolastica, sulla base delle risultanze dei documenti ufficiali e dei mezzi di prova di cui all’art. 35” il Giudice Sportivo. Quanto, poi, alla possibilità di utilizzo dei mezzi di prova, la stessa difesa richiama l’art. 35 C.G.S., al punto 2.2. allorché prevede che “In caso di condotta violenta di particolare gravità, non rilevata in tutto o in parte dagli ufficiali di gara o dai soggetti di cui al precedente punto 2.1., gli Organi della giustizia sportiva possono utilizzare ai fini della decisione immagini televisive segnalate o depositate con le modalità previste dai precedenti punti 1.3. e 1.4.”. La conclusione cui perviene la difesa è che non solo ci si trova di fronte ad un caso di decisione viziata da incompetenza ma anche che il giudicante avrebbe addirittura formato il suo convincimento sulla base di risultanze probatorie inammissibili. E, sul punto, ritiene inconferenti i precedenti citati dal Tribunale Federale Nazionale in punto di asserita competenza. La censura non può essere condivisa nella sua complessiva rappresentazione e, come tale, dev’essere respinta, poiché la lettura operata dalla ricorrente, in ordine alle regole che disciplinano la competenza dei giudici sportivi, non è corretta in quanto offre una visione parziale - e non adeguatamente coordinata - delle norme poste a presidio dei procedimenti sanzionatori di condotte illecite o non regolamentari. L’art. 29 C.G.S. individua nel Giudice Sportivo, nazionale e territoriale, l’organo di giustizia deputato a valutare i profili disciplinari di fatti e condotte “sulla base delle risultanze dei documenti ufficiali e dei mezzi di prova di cui all’art. 35…”(comma 2) e sulla regolarità dello svolgimento delle gare (comma 3) . Questo, in base ai documenti ufficiali o su reclamo, entro le ore 24 del giorno successivo alla gara d’interesse (comma 4). Conosce, altresì, della regolarità del campo di gioco e della posizione irregolare dei tesserati presenti alle gare. Appare evidente, a questa Corte, che la detta previsione regolamentare, da un lato, evidenzia la connessione con la gara disputatasi in prossimità temporale della decisione e, dall’altro, la ratio che sottende alla sollecita definizione delle controversie attinenti la gara stessa e dei suoi possibili effetti sul prosieguo dei vari tornei. Il tutto fondato su risultanze emergenti dagli atti ufficiali di gara, ossia da una diretta e immediata percezione degli accadimenti da parte degli ufficiali di gara presenti. Questa impostazione finalistica, tuttavia, non può che avere un angolo di visuale limitato, ossia la disputa della gara e l’immediata percezione, ma non può esaurire in essa ogni possibile evento che possa coinvolgere società, dirigenti e tesserati, soprattutto se gli episodi non siano stati, per le più svariate ragioni, direttamente percepiti dagli ufficiali di gara o dagli organi federali presenti in loco e refertati negli atti che questi redigono nell’immediatezza della gara. A questa necessità di assicurare, sempre e comunque, la giustiziabilità di episodi che siano sfuggiti agli organi federali presenti sul campo di gara, sottende la regola di cui all'art. 32 7 quinquiesCGS, che pone in capo al Procuratore Federale il potere/dovere di “svolgere tutte le indagini necessarie all’accertamento delle violazioni statutarie o regolamentari di cui ha notizia”, coniugandosi a questo il potere di azione esclusiva, ex art. 32 ter C.G.S., in tutti quei casi in cui non ritenga di dover disporre l’archiviazione. E giudice naturale del suo atto di deferimento diviene, a quel punto, il Tribunale Federale (comma 6) e non il Giudice Sportivo. Nella presente fattispecie, trattandosi di denuncia pervenuta oltre il termine naturale di decisione del Giudice Sportivo (improntata, come detto, alla massima sollecitudine e sulla base dei referti) e in assenza di menzione negli atti ufficiali di gara, i fatti riportati dovevano essere oggetto di apposita indagine, nel corso della quale essi potevano essere accertati utilizzando tutti i mezzi probatori legittimamente acquisiti. Peraltro, rispetta la stessa, naturale, esigenza di completezza di accertamento la previsione che riconosce in capo agli organi di giustizia federale (art. 34 C.G.S.) i più ampi poteri di indagine, nessuno escluso; non potrebbe essere diversamente perché, in caso contrario, si accetterebbe l’idea di una giustizia monca, con un ambito di cognizione limitato e con l’inammissibile conseguenza che debba ammettersi una decisione che può presentare ambiti non esaurientemente scrutinati. Se ne trova conferma sia in più risalenti pronunce (C.U. n. 198/CGF (2008/2009) punto 6.) che in più recenti decisioni (C.U. n. 013/CFA (2015/2016), della quale ultima costituisce conferma il C.U. n. 076/CFA (2015/2016), che la difesa del Livorno Calcio ritiene, erroneamente, inconferente. Infatti, nella parte motiva di quest’ultima, si apprezza chiaramente che quel Collegio ha distinto il momento della cognizione e della refertazione da parte degli Ufficiali di gara da quello, possibile, della percezione (in quel caso di offese) al di fuori del contesto della gara e da parte di altro soggetto, ancorché rientrante, in quel caso, tra le persone preposte dalla Federazione al corretto svolgimento dell’evento. Ugualmente non puntuale si rivela la censura sulla citazione operata dal Tribunale Federale del C.U. n. 208/CGF (2011/2012), in punto di acquisizione delle prove da parte della Procura Federale perché, come detto, l’indagine dell’organo inquirente non conosce gli stretti confini di idoneità e utilizzabilità dei mezzi cui vorrebbe confinarla la difesa del Livorno Calcio. Accertato, pertanto, che il Tribunale Federale ha correttamente inteso e fatto applicazione delle norme in materia di competenza e che anche le immagini televisive possono costituire, in ambito istruttorio a seguito di denuncia di fatto illecito, idoneo strumento di cognizione della fondatezza degli addebiti, si può ora affrontare il merito della valutazione dei cori rivolti reciprocamente dalle due tifoserie e della sussistenza dei requisiti per poter affermare la loro rilevanza a fini disciplinari. L’impugnata decisione afferma che, in primo luogo, non si trattò di semplici e inoffensive schermaglie tra tifosi ma di vero e proprio “scambio di epiteti tra le opposte tifoserie che, nella reciproca esplicazione miravano a offendere l’altrui reputazione, contenendo altresì (con peculiare riguardo ai cori lanciati dai tifosi ascolani) elementi di apologia e propaganda ideologica…” La ricostruzione operata in sede istruttoria, anche con l’ausilio dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, consente di poter assumere come dato certo che, ancorché in una fase temporalmente limitata e collocata nei minuti iniziali di gara, all’ingresso in campo dei tifosi ascolani (in lieve ritardo rispetto all’inizio della stessa) i supporters della società ospitante abbiano intonato l’inno “avanti popolo”, preceduto dallo slogan, ripetuto quattro volte “Ascolano pezzo di merda”, subito seguito dalla “risposta” marchigiana di “Livornese ebreo” e dalla controreplica toscana di “Ascoli pecuri”. In questo, alcuni tifosi dell’Ascoli Picchio avrebbero inneggiato “duce duce..” accompagnandolo da braccia protese in avanti o in alto. Il tutto, come detto, si è verificato nella prima decade di tempo della gara e non ha dato luogo a conseguenze di sorta, ancorché la relazione del funzionario dell’Osservatorio concluda in modo dubbioso circa la possibilità che altri slogans possano essere stati pronunciati da ambo gli schieramenti ma non percepiti per il rumore di fondo. Ora, la difesa della soc. Livorno Calcio ritiene che detti cori non abbiano integrato alcun “insulto per motivi di origine territoriale” ma solo una schermaglia “non volgare” mentre quella della società Ascoli Picchio, sottolineato la particolarità che nella denuncia si deprecano i cori 8 marchigiani (urlati da poche decine di persone) ma nulla si dice di quelli toscani che potevano contare su un numero ben maggiore di tifosi presenti, svolge un’appropriata analisi in ordine al concetto di “percepibilità” degli stessi e alla sussistenza di caratteri di offensività e turbamento che, a suo avviso, nella specie non si sarebbero concretizzati, con conseguente inoffensività degli stessi. Tuttavia le affermazioni delle difese e, in particolare, il tentativo di porre i cori ascolani al di fuori del paradigma di illiceità, non convincono. Giova ricordare, in primo luogo, che l’art. 11 C.G.S. (rubricato come “Responsabilità per comportamenti discriminatori”) nel definire comportamento discriminatorio “ogni condotta che, indirettamente o indirettamente comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza , colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori” considera questi tout court “illecito disciplinare”. Le società sono dunque responsabili, oltre che per l’introduzione o esibizione nei loro impianti di scritti, simboli o emblemi discriminatori, anche “per cori, grida e ogni altra manifestazione e percezione reale del fenomeno, espressione di discriminazione”. Complemento a questa disposizione è quella del successivo art. 12 C.G.S. che, seppur titolata “prevenzione di fatti violenti”, precisa ulteriormente l’ampiezza del divieto di cui all’articolo 11 precedente, disponendo, tra l’altro, che le stesse società “sono altresì responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione oscena, oltraggiosa, minacciosa o incitante alla violenza o che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di origine territoriale”. La valutazione della presente fattispecie non può che prendere le mosse dall’interpretazione che la Corte Federale di Giustizia - Sezioni Unite - ha dato dei due concetti fondamentali che rappresentano limite e sostanza della norma: “dimensione”, che secondo l’intenzione del legislatore federale, deve sostanziarsi in una odiosa ripetitività dell’offesa discriminatoria (con esclusione dei casi singoli), e “percezione”, locuzione con la quale la riforma del 2013 ha voluto fare riferimento alla conseguenze dei comportamenti discriminatori udibili e compresi dagli astanti, di modo che essi abbiano avuto un’effettiva, negativa incidenza sulle persone presenti, idonea a portare turbamento e offesa ad una generalità di spettatori, direttamente o indirettamente destinatari incolpevoli delle offese. Sul piano contenutistico, poi, emerge una differenziazione tra le disposizioni dell’art. 11 e dell’art. 12 C.G.S. Con la prima, infatti, si vuole reprimere qualsiasi tentativo di offendere taluno, ponendo odiose differenziazioni fondate su elementi che, ancorché assolutamente “neutri” (razza, religione lingua ecc…), divengono veicolo strumentale per ledere, in maniera becera, la dignità altrui. Con ciò volendo colpire l’intima essenza di ogni essere umano, uguale per diritto naturale, ponendolo in posizione non paritaria, ovviamente inferiore, solo in virtù di caratteri esteriori o colpendolo nelle sue personalissime convinzioni. Nell’ipotesi di cui all’art. 12, 3° comma, invece, non emerge, dalla ratio, alcuna intenzione prava di porre un soggetto o categoria in un livello di disprezzata inferiorità ma quella, ugualmente riprovevole, in disparte l’ipotesi di incitamento alla violenza, di offendere una categoria di tifosi per il solo fatto di appartenere ad un determinato contesto territoriale, assunto come parametro per motivare insulti o far risaltare differenziazioni. Ciò posto, una corretta e meditata valutazione delle frasi pronunciate dai tifosi delle due squadre porta a ritenere che i cori urlati dai sostenitori della società marchigiana si pongono, fuor di ogni dubbio, nei confini di una manifestazione certamente discriminatoria per religione e offensiva per motivi territoriali (“livornese ebreo”) nonché concretizzanti sicura manifestazione apologetica (“duce, duce” e braccio alzato e teso, tipico degli appartenenti al disciolto partito fascista), mentre le offese pronunciate dai tifosi livornesi rientrano, ugualmente senza dubbio, negli insulti basati su una connotazione territoriale. Questo induce conseguentemente a vagliare se, nella prima ipotesi, i cori urlati dai tifosi ascolani integrino il complessivo requisito di cui all’art. 11, comma 3, CGS, ossia dimensione e percezione tali da poter concretizzare la violazione del valore tutelato dalla norma. L’esito non può che essere positivo. In merito alla dimensione del fenomeno non può infatti sfuggire che, seppur in numero inferiore all’opposta tifoseria, i supporters della società ascolana abbiano gridato i loro insulti 9 discriminatori con forza ed intensità almeno pari a quella dei più numerosi tifosi livornesi. Non si è trattato, quindi, di un grido isolato ma della concertata espressione corale di denigratoria discriminazione e di apologia ideologica illecita della totalità o stragrande maggioranza dei tifosi. Quanto, invece, alla percepibilità degli stessi cori non vi è dubbio che essi, per reiterazione (ancorché in un arco di tempo non lungo ma ugualmente apprezzabile) e per effetto del posizionamento degli autori all’interno dello stadio, siano stati percepiti da più persone ed abbiano causato, in coloro che li hanno uditi (riportati anche dalla stampa locale e dalla tv) sentimenti di sdegno e riprovazione. Ne sono testimonianza le dichiarazioni delle persone che sono state rese non solo agli inquirenti federali ma anche alla stampa. A nulla rileva il fatto che i cori non siano stati uditi dagli ufficiali di gara perché questo può essere derivato da condizioni acustiche dell’impianto o dal contesto particolarmente rumoroso in cui si è svolta la partita. Elemento essenziale per la concretizzazione del requisito della percepibilità e che essi siano stati uditi, come è avvenuto, da più settori dello stadio e compresi nel loro pieno disvalore. Per l’effetto, si ritiene quindi che i cori profferiti dai tifosi ascolani abbiano concretizzato l’ipotesi prevista e punita dall’art. 11, commi 1 e 3 C.G.S. Entrambe le tifoserie, poi, si sono resi autrici di slogans integranti la violazione di quanto previsto dall’art. 12, comma 3, C.G.S. rivolgendosi reciprocamente epiteti motivati dalle rispettive appartenenze a precisi ambiti territoriali. L’accertata violazione comporta che le società debbano rispondere dei rispettivi comportamenti, ai sensi dell’art. 4, comma 3, CGS. Non può invece accogliersi la richiesta, avanzata da entrambe le ricorrenti, circa l’applicazione dell’esimente/attenuante di cui all’art. 13 C.G.S. in quanto non risulta che, nell’occorso, le società abbiano efficacemente messo in atti misure idonee a contrastare i cori o a collaborare efficacemente con le forze dell’ordine, giungendo a negare che tali manifestazione vi siano sostanzialmente state nella loro effettiva dimensione e giungendo, una volta emerse, a definire solo come “mere schermaglie” fatti integranti, invece, odiose discriminazioni e differenziazioni. In conclusione, i ricorsi debbono essere respinti alla luce dei motivi che precedono, con conferma della decisione di primo grado, anche nella parte relativa alle sanzioni irrogate, valutate, nella loro tenuità, come assolutamente non rivedibili al ribasso. Per questi motivi la C.F.A., riuniti preliminarmente i ricorsi come sopra proposti dalle Società A.S. Livorno Calcio Srl di Livorno e Ascoli Picchio F.C. 1898 di Ascoli Piceno, lirespinge, e per l’effetto, conferma le sanzioni inflitte. Dispone incamerarsi le tasse reclamo.
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