F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2016/2017 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 041/CFA del 05 Ottobre 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 067/CFA del 28 Novembre 2016 e su www.figc.it 5. RICORSO DEL SIG. DIMITRI LUIGI AVVERSO LE SANZIONI: – INIBIZIONE DI ANNI 3 E MESI 6; – AMMENDA DI € 60.000,00, INFLITTE AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI AGLI ARTT. 1 BIS E 7 COMMA 1, 2, 5 C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA GALLIPOLI/REAL MARCIANISE DEL 17.5.2009 – (NOTA N. 10406/498 PF13-14 AM/SP/MA DEL 31.3.2016) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 4/TFN del 20.7.2016)
F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – 2016/2017 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 041/CFA del 05 Ottobre 2016 con motivazioni pubblicate sul Comunicato ufficiale n. 067/CFA del 28 Novembre 2016 e su www.figc.it
5. RICORSO DEL SIG. DIMITRI LUIGI AVVERSO LE SANZIONI: - INIBIZIONE DI ANNI 3 E MESI 6; - AMMENDA DI € 60.000,00, INFLITTE AL RECLAMANTE SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE PER VIOLAZIONE DI CUI AGLI ARTT. 1 BIS E 7 COMMA 1, 2, 5 C.G.S. IN RELAZIONE ALLA GARA GALLIPOLI/REAL MARCIANISE DEL 17.5.2009 – (NOTA N. 10406/498 PF13-14 AM/SP/MA DEL 31.3.2016) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 4/TFN del 20.7.2016)
Il Tribunale Federale Nazionale (TFN), dopo avere respinto, con autonoma ordinanza, le eccezioni preliminari di ordine processuale proposte dall’interessato, con la decisione ora appellata, in accoglimento del deferimento della Procura Federale della FIGC del 31 marzo 2016, ha condannato il Sig. Dimitri Luigi, attuale reclamante, nella qualità di direttore sportivo della società Gallipoli (all’epoca dei fatti), alla sanzione della inibizione di tre anni e all’ammenda di 60.000 euro, per avere commesso, in concorso con altri soggetti tesserati e con persone estranee alla Federazione, azioni finalizzate alla alterazione del risultato dell’incontro di calcio Gallipoli-Real Marcianise, disputatosi il 17 maggio 2009, decisivo per la possibile promozione della società Gallipoli in serie B (artt. 1-bis e 7 comma 1 2 5 CGS). Il Sig. Dimitri Luigi, con il reclamo in esame, contesta la pronuncia del TFN indicata in epigrafe, unitamente alla connessa ordinanza di rigetto delle eccezioni processuali, articolando un ampio atto di impugnazione e deducendo diverse, ulteriori questioni preliminari, riferite a questo grado di giudizio. Per una migliore comprensione della complessa vicenda sostanziale e processuale all’origine del presente giudizio di appello, è opportuno evidenziare che il citato deferimento, relativo ad un episodio illecito unitario, presentava un vasto ambito oggettivo e soggettivo, riguardando anche: - Giuseppe Giannini (all’epoca dei fatti allenatore della Società Gallipoli Calcio Srl); - Salvatore Bizzarro (all’epoca dei fatti Presidente della Società Real Marcianise); - Michele Murolo (all’epoca dei fatti tesserato come calciatore per la Società Real Marcianise); - Massimo Russo (all’epoca dei fatti tesserato come calciatore per la Società Real Marcianise); - Riccardo Innocenti (all’epoca dei fatti tesserato come calciatore per la Società Real Marcianise); - Ciro Ginestra (all’epoca dei fatti tesserato come calciatore per la Società Gallipoli Calcio Srl); - Salvatore Galizia (all’epoca dei fatti tesserato come calciatore per la Società Real Marcianise). Gli accertamenti svolti dalla Procura Federale, culminati nel deferimento per cui è causa, prendevano le mosse da un procedimento penale del 2014 (n. 17982/05 RGNR pendente presso il Tribunale di Napoli) nei confronti di numerosi soggetti coinvolti in gravissimi fatti di criminalità organizzata. Il procedimento, nel gennaio del 2014, era poi sfociato in una serie di ordinanze di custodia cautelare in carcere e risulta tuttora pendente, come riferito nel corso del dibattimento di appello anche dallo stesso reclamante. Nell’ambito di tale procedimento era compreso anche un episodio di frode sportiva risalente a cinque anni prima e riguardante la partita disputata il 17 maggio 2009 fra la squadra del Gallipoli e quella del Real Marcianise, vinta dalla prima con il punteggio di 3 a 2 e che aveva consentito la promozione del Gallipoli in serie B. I giornali avevano dato immediatamente ampio risalto alla notizia, pubblicando alcuni particolari di un pagamento della somma di € 50.000,00 che sarebbe stata versata dai Signori Righi, Salvatore e Ivano, da Giannini Giuseppe (all’epoca allenatore del Gallipoli) e da Dimitri Luigi (all’epoca Direttore sportivo del Gallipoli). A seguito di queste notizie di stampa, la Procura Federale richiedeva a più riprese e acquisiva in forza dell'art. 2, comma 3 della legge n. 401 del 1989 e dell'art. 116 c.p.p., una copiosa documentazione probatoria, rappresentata in prevalenza da numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché dall’informativa dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma del 2 maggio 2014, con vari allegati, dallo stralcio dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Napoli il 12 ottobre 2013, e dal dispositivo della sentenza emessa con rito abbreviato dal GUP presso il Tribunale di Napoli il 22.7.2015. Quindi, all’esito delle indagini, la Procura Federale disponeva il deferimento degli incolpati, sfociato nella impugnata decisione del Tribunale Federale Nazionale. Nel corso del giudizio di primo grado, i difensori dei deferiti Galizia Salvatore e Ginestra Ciro hanno preliminarmente comunicato di avere raggiunto un accordo con la Procura Federale per la definizione delle rispettive posizioni con un patteggiamento (ai sensi dell’art. 23 CGS per Ginestra e ai sensi degli artt. 23 e 24 CGS per Galizia), nella misura di mesi tre di squalifica e di Euro 2.000,00 di ammenda ciascuno. Il Tribunale ha allora disposto l’applicazione delle suddette sanzioni e ha dichiarato la chiusura del procedimento nei confronti dei predetti, come da decisione emessa nella stessa data e regolarmente pubblicata (cfr. C.U. 87 del 10 giugno 2016). Il procedimento di primo grado è quindi proseguito nei confronti degli altri soggetti deferiti. Nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale Nazionale, il difensore del Dimitri, oltre a contestare, nel merito, la fondatezza del deferimento, ha eccepito, sul piano strettamente procedimentale: - un’asserita nullità dell'atto di deferimento per la mancata emissione di una nuova comunicazione di conclusione delle indagini, dopo l'acquisizione di alcuni atti trasmessi dall'Autorità Giudiziaria di Napoli e dopo le dichiarazioni rese dagli incolpati Giannini, Murolo, Galizia, Ginestra; - l'inutilizzabilità, in ogni caso degli atti istruttori svolti dalla Procura dopo la comunicazione di conclusione delle indagini del 10.2.2015, notificata il 17.2.2015; - l'inapplicabilità, alla fattispecie concreta, delle norme contenute nel vigente Codice di Giustizia Sportivo, entrato in vigore il 12.6.2014, in quanto i fatti contestati erano stati accertati in data antecedente e prossima al 17 maggio 2009, e dovevano quindi essere ricompresi, in osservanza del principio dell'irretroattività della norma disciplinare sportiva, sotto la vigenza del Codice di Giustizia Sportiva del 2007, che all'art. 6 conteneva norme più favorevoli all'indagato; - la contemporanea pendenza del procedimento penale a carico del medesimo dinnanzi al Tribunale di Napoli per gli stessi fatti, che avrebbe consigliato di sospendere il giudizio disciplinare in attesa dell'esito del giudizio penale. Con separata ordinanza non definitiva del procedimento, il TFN respingeva tutte le eccezioni sollevate dal Dimitri, unitamente a quelle proposte dagli altri indagati, esponendo la seguente articolata motivazione: “Ritenuto che vanno rigettate le eccezioni preliminari sollevate dai difensori con riferimento alla nullità del deferimento nei confronti del deferito Dimitri Luigi, alla inutilizzabilità degli atti giudiziari depositati successivamente alla comunicazione di conclusione delle indagini, alla contemporanea pendenza del procedimento penale dinnanzi all’Autorità Giudiziaria di Napoli, in quanto destituite di fondamento. Ed invero la comunicazione di conclusione delle indagini inviata al Dimitri conteneva tutti i riferimenti in fatto ed in diritto che sono poi seguiti nell’atto di deferimento. In secondo luogo il CGS consente di acquisire atti provenienti dall’Autorità Giudiziaria in ogni tempo, e quindi anche dopo la comunicazione di conclusione delle indagini. E l’autonomia del diritto sportivo consente lo svolgimento del presente procedimento disciplinare anche in pendenza di un procedimento penale che riguardi gli stessi fatti;” “Ritenuto che l’eccezione di irretroattività della norma disciplinare sportiva risulta superata dalla precisazione effettuata in udienza dal rappresentante della Procura federale il quale ha chiarito che i fatti illeciti contestati nell’atto di deferimento riguardano le fattispecie di illecito sportivo e di omessa denuncia previsti come fattispecie disciplinari dal CGS vigente all’epoca dei fatti; (...)” Il procedimento, quindi, seguiva il suo regolare corso in dibattimento e, all’esito del giudizio, il TFN adottava il seguente dispositivo di sostanziale accoglimento delle tesi accusatorie formulate dalla Procura Federale: “in accoglimento del deferimento, infligge le seguenti sanzioni: - anni 3 (tre) e mesi 6 (sei) di inibizione ed € 60.000,00 (Euro sessantamila/00) di ammenda nei confronti di Dimitri Luigi; - anni 3 (tre) e mesi 6 (sei) di squalifica ed € 60.000,00 (Euro sessantamila/00) di ammenda nei confronti di Russo Massimo; - mesi 18 (diciotto) di squalifica ed € 18.000,00 (Euro diciottomila/00) di ammenda nei confronti di Murolo Michele. Dichiara di non doversi procedere nei confronti di Giannini Giuseppe in ordine all'addebito di omessa denuncia, così derubricata l’incolpazione di illecito sportivo contestatagli, perché estinta per intervenuta prescrizione.” La pronuncia è ora impugnata dinanzi a questa Corte Federale dal solo Dimitri, il quale contesta tanto la decisione finale del TFN, quanto la precedente ordinanza, strettamente connessa, con cui erano state disattese le eccezioni preliminari di rito. Prima di esaminare analiticamente i motivi di appello e le ulteriori eccezioni preliminari riferite a questa fase del giudizio, è necessario evidenziare che, con particolare riferimento alla ricostruzione complessiva della vicenda e alla posizione assunta dal Dimitri, la pronuncia di primo grado svolge la seguente estesa motivazione. “Al riguardo il Tribunale rileva che, come è stato ricordato in precedenza, gli addebiti disciplinari derivano dall’acquisizione di copia degli atti del procedimento penale pendente presso il Tribunale di Napoli per fatti di criminalità organizzata accertati nel territorio napoletano, nell’ambito dei quali era emerso “a latere” un episodio di frode sportiva legato alla partita di calcio fra le squadre del Gallipoli e del Real Marcianise disputata il 17 maggio 2009. Dagli atti successivamente acquisiti dalla Procura Federale presso l'Autorità Giudiziaria di Napoli, costituiti in gran parte dalle risultanze di numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, è stato invero confermato l'operato illecito della famiglia Righi, Salvatore e Ivano, legata ad ambienti camorristici ed in particolare al già nominato C.T., indagato per essere colui che controllava le attività del clan nella zona del Borgo di Sant'Antonio (c.d. “O Buvero”). Al di là del peso probatorio che si deve attribuire in particolare ai verbali degli organi investigativi di Napoli, che hanno effettuato la trascrizione riassuntiva di queste conversazioni telefoniche, non può negarsi che si tratta di atti provenienti da un’Autorità Giudiziaria, che fanno quindi fede nel presente giudizio, come da giurisprudenza consolidata degli Organi di giustizia sportiva e che molte di queste conversazioni sono state invece trascritte per intero, con la precisa indicazione di tutti gli interlocutori. È importante sottolineare che all'epoca dei fatti il Righi Ivano era fidanzato con la figlia di Giuseppe Giannini e seguiva costantemente le vicende della squadra allenata dal suo futuro suocero. Ed è importante notare che alla penultima giornata del campionato il Gallipoli aveva disputato in data 10 maggio 2009 una partita a Lanciano ed aveva perso per 2 a 1 ed era quindi rimasto fermo in classifica a quota 63 punti, mentre il Benevento seguiva con 61 punti. Sicché era diventato assolutamente indispensabile vincere l'ultima partita per assicurarsi la promozione in Serie B. La vicenda illecita è stata condotta principalmente dai Righi che subito dopo la sconfitta del Gallipoli a Lanciano decidevano di passare all'azione per assicurare la vittoria del Gallipoli nella partita successiva contro il Real Marcianise, prendendo contatto con alcuni calciatori della squadra campana, e in particolare con Murolo Michele e Russo Massimo che erano stati invitati a un incontro presso il centro sportivo “Mariano Keller” di proprietà dei Righi. Nei giorni successivi alla sconfitta del Gallipoli a Lanciano si registrava infatti un crescendo di riunioni, incontri, contatti telefonici che facevano capo ai Righi che avevano promosso la suddetta “combine” della partita contro il Real Marcianise, in cui erano a vario titolo coinvolti non solo alcuni indagati per appartenenza alla criminalità organizzata della zona (come il citato C.T.), ma anche alcuni dirigenti delle due Società interessate (in particolare il Dimitri, Direttore sportivo della Società Gallipoli, e il Bizzarro Salvatore, presidente della Società Real Marcianise), l'allenatore del Gallipoli, Giannini Giuseppe, due calciatori del Real Marcianise (Murolo Michele e Russo Massimo originari della zona del “Buvero” e legati a C.T.). L'accordo illecito prevedeva il pagamento immediato della somma di denaro di € 50.000,00 ai due calciatori del “Buvero” (non è escluso che ci fossero altri giocatori del Real Marcianise coinvolti, considerando anche che la posizione del Sig. Innocenti Riccardo è stata separata e quella del Galizia che ha patteggiato), mentre la Società Real Marcianise avrebbe beneficiato di un “aiuto” nel campionato successivo, avendo già raggiunto la salvezza nel campionato in corso. Dalla sequenza delle conversazioni telefoniche intercettate si percepisce anche che questa somma di denaro era stata valutata come eccessiva dai dirigenti del Gallipoli e il Righi Salvatore aveva cercato di ottenere una riduzione, ma poi si era deciso a pagare personalmente l'intera somma inizialmente pattuita, e aveva detto al figlio di riferire ai dirigenti della squadra pugliese che sarebbe stato lui a pagare tutta la somma di denaro perché “è un regalo che vuole fare a Peppe” (cioè al Giannini, “suocero” del figlio) (cfr. telefonata delle ore 17,54 del 13 maggio 2009) e che lui non pretendeva il pagamento di quanto anticipato. Il pagamento della somma di denaro non era però avvenuto prima della gara, sicché dopo la vittoria del Gallipoli si erano susseguiti ulteriori contatti telefonici affinché il Righi Salvatore mantenesse l'impegno, fino alla consegna del denaro avvenuta in due tempi fra i giorni 19 e 23 maggio 2009 presso il centro sportivo “Mariano Keller”. Dalle dichiarazioni ampiamente collaborative rese dal giocatore Murolo Michele in sede di audizione alla Procura Federale si è avuto una precisa conferma di tutte le manovre poste in essere dal Righi Salvatore e del contributo offerto dal Dimitri e dal Bizzarro, ma è stato soprattutto precisato il ruolo svolto dal C.T., che sarebbe stata la persona che aveva materialmente incassato la somma pagata dal Righi e che si sarebbe poi occupata di versarne una parte al Russo, allo stesso Murolo (anche se questi nega di avere percepito somme di denaro) e a qualche altro calciatore del Real Marcianise. Gli altri soggetti deferiti hanno invece scelto di negare ogni loro responsabilità disciplinare nella vicenda, anche se il Giannini ha alla fine ammesso di avere avuto un colloquio rivelatore con il Dimitri solo la sera del giovedì prima della partita con il Real Marcianise con il dettaglio della riunione avvenuta presso il centro sportivo “Mariano Keller” e dell’incontro con il calciatore Massimo Russo, ma di avere immediatamente preso le distanze dal Direttore sportivo del Gallipoli. Il Dimitri, per la verità, ha omesso di rendere dichiarazioni nel presente procedimento (fatte salve le spontanee dichiarazioni rilasciate al termine dell’udienza), e non ha mai cercato di spiegare il senso e il contenuto delle diverse conversazioni telefoniche che lo riguardavano, ma si è limitato ad affidare al suo difensore una serie di argomenti per contestare la conducibilità e la rilevanza delle conversazioni telefoniche intercettate, tenuto conto che la gran parte di tali conversazioni si erano svolte fra i diretti interlocutori (in particolare fra i Righi) fra i quali non figurava lo stesso Dimitri, il quale era stato intercettato solo in pochissime occasioni che avevano riguardato solo questioni senza alcun significato. Si osserva al contrario che anche se le conversazioni intercettate del Dimitri non sono così numerose, esse tuttavia forniscono un quadro chiaro del contributo offerto dal deferito, il quale aveva subito accettato di recarsi ad incontrare il Righi Salvatore nel pomeriggio del 11 maggio 2009 presso il Centro Sportivo “Mariano Keller”. Assai più rilevante è quanto avviene il 14 maggio sempre presso il Centro Sportivo “Mariano Keller”, dove erano convenuti una serie di personaggi interessati alla vicenda in questione; mentre tutti erano ancora in attesa dell'arrivo di Murolo Michele, era infatti squillato il telefono del C.T. e i Carabinieri avevano registrato un frammento della conversazione ambientale che il predetto aveva avuto con Righi Salvatore e Dimitri, anche loro presenti, ai quali aveva assicurato che la gara in questione sarebbe finita con la vittoria del Gallipoli. Rilevante è poi la conversazione intercettata il 17 maggio, giorno della partita, alle ore 10,22, quando Righi Salvatore, che si trovava in compagnia del Dimitri, chiama al telefono Russo Massimo, giocatore del Real Marcianise, e dopo avergli detto di stare tranquillo e di riferire la stessa cosa al Murolo, aveva passato il telefono al Dimitri, che aveva fatto altrettanto e gli aveva dato appuntamento all'interno dello stadio per ulteriori spiegazioni. Circostanza che fornisce una conferma piena del coinvolgimento del Dimitri, che, a poche ore di distanza dall'inizio di una partita così risolutiva, dimostra di avere avuto precedenti contatti con almeno un calciatore della squadra avversaria, al quale dà financo appuntamento all'interno dello stadio. Altrettanto importante è la conversazione telefonica del 18 maggio (giorno successivo alla partita) alle ore13,38 fra il Righi Salvatore e il Dimitri, i quali avevano fatto diverse chiare allusioni alla “combine” della partita (“dovranno incontrarsi per sistemare quella cosa”) e il secondo aveva dichiarato che era a disposizione del Righi “tenuto conto della cortesia che gli ha fatto a lui e a Beppe (Giannini n.d.r.)”, mentre il Righi aveva replicato che “lui quando si mette in prima persona raggiunge sempre l'obiettivo” e il Dimitri aveva concluso dicendo “di non avere parole per ringraziarlo”. Il difensore del Dimitri ha inoltre sostenuto che le dichiarazioni collaborative del Murolo risulterebbero smentite dalla ricostruzione dei fatti contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Napoli, ove viene riportata una sequenza degli avvenimenti che è diversa da quella raccontata dal Murolo. In realtà dall'esame delle risultanze investigative portate all'attenzione dell'Autorità Giudiziaria di Napoli, ivi comprese le citate intercettazioni telefoniche e ambientali che riguardano il Murolo, emerge che in effetti le dichiarazioni rese dal Murolo nell'ambito del presente procedimento disciplinare, pur avendo certamente finalità collaborative nei termini previsti dall’art. 24 CGS, mirano a limitare e circoscrivere la propria posizione e a fornire l'immagine di un giovane calciatore finito schiacciato fra le richieste di un soggetto che lui sapeva indagato per appartenenza alla criminalità organizzata (il C.T.) e quelle di altri soggetti facenti capo al Real Marcianise, come il presidente Bizzarro o il calciatore Russo Massimo, che volevano trarne un beneficio economico. Risulta invece da alcune conversazioni telefoniche che anche il Murolo era interessato a percepire una parte della somma di denaro pagata dal Righi e che i contatti avuti da lui con il C.T. lasciano intendere una chiara sintonia fra i due. Ma questo non è sufficiente a fare ritenere, come chiede la difesa, le dichiarazioni del Murolo prive di attendibilità (intrinseca ed estrinseca), perché, come detto, esse s'inseriscono in un quadro probatorio perfettamente completo e coerente, anche se risulta evidente il tentativo del “collaborante” di presentarsi quasi come una vittima del C.T. e dell'ingranaggio in cui era finito. Il difensore del Dimitri non ha invece potuto contestare le dichiarazioni rese dal Giannini nel presente procedimento, se non sul piano della prova logica, sostenendo che, data l'esistenza di stretti rapporti personali fra i Righi e il Giannini (la cui figlia, si ripete, era fidanzata con Ivano Righi) e di frequenti contatti diretti, la “interposizione” del Dimitri sarebbe stata superflua e non necessaria. Ma qui, al di là dell'importanza relativa della c.d. prova logica, c'è un preciso fatto che è stato raccontato dal Giannini che ha chiamato direttamente in causa il Dimitri e che questi non ha potuto negare né contestare, e che quindi va positivamente apprezzato come una prova del ruolo del Dimitri nell'organizzazione della “combine” della gara. Dai suddetti elementi indiziari, precisi e concordanti, il Tribunale ricava il convincimento che il Dimitri non sia stato meramente consapevole della “combine” diretta all’alterazione del risultato della gara in questione, ma abbia partecipato, con atti aventi efficacia causale, alla realizzazione dell’illecito. La partecipazione ai vari incontri, i contatti con calciatori della squadra avversaria, le conversazioni telefoniche riguardanti l’entità delle somme destinate ai calciatori del Real Marcianise, altro non sono che atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara Gallipoli – Real Marcianise, disciplinarmente rilevanti ai sensi dell’art. 7 del CGS nell’attuale versione, peraltro coincidente con quella del Codice vigente all’epoca dei fatti.” Il ricorso in appello è stato fissato per la riunione del giorno 21 settembre 2016. In quella sede il difensore del reclamante ha peraltro eccepito che dall’avviso dell’udienza ricevuto via PEC in data 13 settembre, non risultava decorso il termine di venti giorni liberi per la comparizione in udienza, previsto dall’art. 41, comma 1, C.G.S., applicabile anche al giudizio di appello ai sensi del successivo art. 42, chiedendo che venisse quindi concesso un nuovo termine di comparizione, per poter meglio sviluppare le proprie tesi difensive. La Corte Federale, in accoglimento di tale eccezione, pertanto, ha disposto il rinvio della trattazione al giorno 5 ottobre 2016 e ha altresì disposto, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 2 e 5, C.G.S e 38, commi 2 e 5, C.G.S. del Coni, la sospensione del termine di sessanta giorni previsto per la celebrazione del giudizio di secondo grado Nella successiva udienza del 5.10.2016 la difesa del ricorrente ha ribadito l’illegittimità della sospensione dei termini disposta dalla Corte Federale nella precedente udienza e ha pertanto avanzato richiesta di estinzione del procedimento aperto a carico del suo assistito ai sensi dell’art. 34 bis, commi 2 e 4, C.G.S. e dell’art. 38, commi 2 e 4 C.G.S. del CONI. Ha dedotto a tal proposito il reclamante che, nel caso di specie, non si era trattato di un rinvio a richiesta dell’incolpato o del suo difensore (ipotesi appunto contemplata dall’art. 38, comma 5, lett. d), del codice i giustizia sportiva del CONI, bensì di una eccezione procedurale, relativa al mancato rispetto del tassativo termine di comparazione previsto dal C.G.S. Ne conseguirebbe, pertanto, secondo il ricorrente, che la sospensione del procedimento, in assenza del presupposto normativo richiesto, non avrebbe potuto essere disposta e che, pertanto, essendo ormai interamente decorso il termine di 60 giorni previsto per la celebrazione del giudizio di appello, la Corte Federale avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del procedimento e dell’azione disciplinare avviata dalla Procura Federale. L’eccezione va disattesa. Il rinvio dell’udienza dibattimentale è stato correttamente disposto per garantire il rispetto dei termini a difesa dell’incolpato, assicurando, al tempo stesso, anche la pienezza del contraddittorio con la Procura Federale in ordine alla valutazione di ogni possibile eccezione riguardante l’asserita estinzione del procedimento. Occorre allora stabilire se effettivamente il procedimento si sia estinto, come ritenuto dal reclamante, per non essersi il giudizio di appello conclusosi nell’indicato termine di sessanta giorni o se, piuttosto, non debba trovare applicazione la disciplina della sospensione del decorso dei termini, prevista dall’art. 34-bis, comma 5, del CGS: “5. Il corso dei termini di estinzione è sospeso nelle ipotesi previste dal Codice della Giustizia Sportiva del CONI, fatta salva la facoltà del Collegio giudicante di disporre la prosecuzione del procedimento disciplinare.” Al riguardo, occorre considerare due argomenti essenziali, anche prescindendo da ogni possibile approfondimento in ordine alla necessità di individuare altre ipotesi di sospensione obbligatoria o facoltativa dei termini di conclusione del procedimento disciplinare non espressamente contemplati dalle norme federali e dal codice di giustizia sportiva, ma ricavabili dal complesso del sistema. A tale ultimo proposito, infatti, il Collegio ritiene che sia quanto meno dubbio il postulato interpretativo da cui muove l’affermazione della difesa del reclamante, secondo cui, nell’art. 34-bis, vi sarebbe una tassativa previsione delle cause di sospensione dei termini di durata del procedimento disciplinare. Infatti, diversamente da quanto affermato dalla difesa, la formulazione letterale della norma potrebbe anche condurre alla conclusione secondo la quale, in via di interpretazione sistematica e teleologica, possano rinvenirsi nell’ordinamento altri casi in cui i termini del procedimento devono essere sospesi od interrotti (per esempio, per il compimento di attività istruttoria indispensabile). Tale esito potrebbe essere ricavato, sul piano logico e sistematico, dalla regola generale espressa dal comma 5 dell’art. 34-bis: se il collegio giudicante ha sempre il potere discrezionale di disporre la prosecuzione del giudizio anche in presenza di una causa di sospensione, se ne dovrebbe ricavare, a contrario, il simmetrico principio in forza del quale il giudice è ugualmente titolare del potere di disporre la sospensione del processo (e dei relativi termini di estinzione) in presenza di particolari ragioni obiettive (quali, appunto, l’esigenza di rispettare il diritto di difesa dell’incolpato), ancorché queste non siano analiticamente elencate dalla norma codicistica (la quale avrebbe il solo scopo di indicare le fattispecie esemplificative di maggiore occorrenza pratica). Ma, anche mettendo da parte questi profili di carattere generale, occorre considerare, in primo luogo, che, nelle vicenda procedimentale in esame, l’udienza dibattimentale è stata indiscutibilmente fissata nel termine previsto di sessanta giorni (con un atto di impulso del giudizio che ne ha impedito l’estinzione) e che il suo rinvio è dipeso unicamente da un rilievo formulato dalla difesa della parte. In tale quadro fattuale, a nulla rileva la circostanza che, in astratto, il rispetto dei termini dilatori a tutela delle parti avrebbe potuto essere rilevato anche di ufficio. Il codice di giustizia sportiva del CONI, infatti, nel citato art. 38, comma 5, lettera d), non distingue espressamente i casi in cui la richiesta di rinvio formulata dall’incolpato dipenda dall’esigenza di rispettare una disposizione procedurale da quelli in cui, invece, il differimento sollecitato dalla parte sia giustificato da ragioni meramente soggettive (istanze istruttorie, o riguardanti un impedimento personale della parte o del suo difensore). Osserva infatti la Corte Federale che il mancato rispetto del termine di comparizione previsto dall’art. 41, comma 1, C.G.S. può essere oggetto di specifica eccezione, ben potendo la parte processuale interessata alla spedita celebrazione del giudizio di appello rinunciarvi, in tutto o in parte, anche implicitamente (e cioè non sollevando la relativa eccezione), senza che ciò si ripercuota sulla legittimità del giudizio. Trattandosi quindi di termine a cui l’incolpato può rinunciare, anche la decisione della parte che, valutate le proprie esigenze difensive, ritenga di eccepirne la violazione, provocando, così un rinvio dell’udienza al fine di poter usufruire integralmente dell’ordinario termine di comparazione va opportunamente ricondotta, sul piano testuale e sistematico al caso previsto dall’art. 38, comma 5, lettera d), del C.G.S. del CONI, nella parte in cui prevede il rinvio del procedimento disciplinare. Del tutto legittima è pertanto la decisione con la quale la Corte Federale, nel disporre il rinvio dell’udienza al 5.10.2016, ha contestualmente disposto la sospensione del termine di cui all’art. 34 bis, comma 2, del CGSe, per conseguenza, nessuna estinzione del procedimento di primo grado si è dunque verificata nel caso di specie. Ma vi è un ulteriore e decisivo argomento che conduce, parimenti, alla sicura esclusione della prospettata estinzione del presente giudizio di appello. Come ampiamente illustrato in narrativa, il deferimento all’origine del presente giudizio si innesta in un complesso procedimento penale, per gravi fatti di criminalità organizzata, che coinvolge una pluralità di imputati e molteplici episodi delittuosi, ancora pendente, come ricordato anche dalla parte reclamante. Pertanto, nel caso di specie, si applica la puntuale previsione del CGS del CONI (art. 38, comma 5, lettera a), secondo la quale i termini sono in ogni caso sospesi quando per lo stesso fatto pende un procedimento penale (“se per lo stesso fatto è stata esercitata l’azione penale, ovvero l’incolpato è stato fermato o si trova in stato di custodia cautelare, riprendendo a decorrere dalla data in cui non è più soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale di condanna, fermo restando che l’azione disciplinare è promossa e proseguita indipendentemente dall’azione penale relativa al medesimo fatto”). È evidente la ratio della norma del codice di giustizia sportiva: l’esigenza della sollecita conclusione del procedimento disciplinare, tanto più avvertita nella fase di impugnazione (alla base delle regole sull’estinzione del procedimento), deve sempre coordinarsi con i tempi della giustizia ordinaria, ferma restando la tendenziale autonomia dei tuoi processi. In questo senso, la pendenza del procedimento penale è considerata dall’ordinamento sportivo come idonea a imporre un possibile “rallentamento” del procedimento disciplinare, impedendo il decorso dei termini di estinzione, ma lasciando sempre ferma la facoltà per il giudice sportivo che procede di portare comunque avanti la fase del giudizio in corso. La causa di sospensione, quindi, incide direttamente sui termini di conclusione del procedimento, senza però ostacolarne lo svolgimento, come è avvenuto nel presente giudizio, anche nella fase di appello. Ne deriva, in conclusione, che il breve rinvio dell’udienza dibattimentale, correttamente disposto per tutelare il diritto di difesa delle parti, non ha inciso sul decorso dei termini per la estinzione del giudizio di appello. Il Collegio può quindi passare all’esame del contenuto reclamo. Con il ricorso in appello, l’interessato ripropone e sviluppa molte delle censure e delle difese disattese dal TFN e contesta, sotto diversi profili, la ritualità del procedimento di primo grado. Nel merito, il reclamante, svolge, con ampi argomenti, un’ampia difesa diretta a sostenere, gradatamente, l’insussistenza del fatto addebitato, oppure in subordine, la sua corretta qualificazione come ipotesi di omessa denuncia dell’illecito perpetrato da altri soggetti, con conseguente estinzione per prescrizione dell’illecito addebitato. Il Collegio ritiene, anzitutto, che il Tribunale abbia già fornito un’approfondita risposta ai temi riproposti in questa sede dall’appellante (recependo l’articolata motivazione dell’atto di deferimento), con la sola eccezione della parte riguardante la determinazione del trattamento sanzionatorio del reclamante, come sarà più ampiamente chiarito infra. Tuttavia, la Corte ritiene utile valutare puntualmente gli argomenti sviluppati dal reclamante, incentrati su una attenta verifica del materiale probatorio versato in atti e sul richiamo ad alcuni precedenti della giurisprudenza penale della Cassazione, ritenuti esportabili nel giudizio disciplinare, quali espressione di principi generali del diritto punitivo e delle regole del giusto processo. Anzitutto, il reclamante sostiene nuovamente la nullità del deferimento, perché, a suo dire, dopo una prima rituale comunicazione di conclusione delle indagini (atto adottato il 10 febbraio 2015, e notificato il successivo 17 febbraio), era stata omessa una nuova comunicazione, nonostante la Procura avesse compiuto altri decisivi accertamenti, consistenti nell’acquisizione di ulteriori atti e documenti dalla Procura della Repubblica e nell’audizione, su loro richiesta, degli altri soggetti incolpati (in particolare, Murolo e Giannini il 20 maggio 2015; Galizia il 3 aprile 2015 e Ginestra il 20 maggio 2015). La particolare rilevanza della violazione procedimentale emergerebbe dalla circostanza che, a suo dire, la decisione di primo grado abbia utilizzato, in larga misura, proprio molti di questi elementi di indagini, per giustificare la soluzione raggiunta, in ordine all’accertamento dell’illecito disciplinare, alla sua qualificazione e alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Il reclamante compie, a questo scopo, un attento parallelismo tra le regole del procedimento disciplinare sportivo e quelle del processo penale, caratterizzate, queste ultime, da uno spiccato garantismo, orientato ad assicurare il massimo rispetto del principio di parità delle parti tra accusa e difesa. La censura non è fondata. Come già esposto nei paragrafi precedenti, con separata ordinanza, il TFN aveva respinto l’eccezione, affermando che l’ipotesi accusatoria era già stata formulata in modo chiaro, con tutti i necessari elementi di fatto e di diritto, già all’atto della prima comunicazione della chiusura delle indagini. Pertanto, l’acquisizione di ulteriori elementi di indagine non ha in alcun modo inciso sulle conclusioni cui era pervenuta l’accusa, orientata a disporre il deferimento dei tesserati incolpati. Né il ricorrente avrebbe potuto lamentare la lesione del proprio diritto di difesa, dal momento che il contraddittorio sull’intero materiale probatorio acquisito agli atti ha poi potuto svolgersi con pienezza in sede dibattimentale. La Corte condivide, nella sostanza, il percorso argomentativo sviluppato dal giudice di primo grado, tenendo conto della circostanza che la corrispondenza tra la disciplina del processo penale statale e la regolamentazione del giudizio disciplinare è tendenziale e non piena, in assenza di norme che ricalchino, interamente, le disposizioni riguardanti la conduzione delle indagini effettuate dal pubblico ministero penale. In questa esatta prospettiva, la necessità di garantire l’effettivo esercizio di difesa nel giudizio disciplinare deve essere assicurata in modo sostanziale e funzionale, nel quadro di un procedimento caratterizzato dalla celerità e (con riferimento alla vicenda in esame) dal rilievo probatorio privilegiato degli atti di indagine penale e del diritto degli incolpati ad essere ascoltati dalla Procura, per rendere dichiarazioni spontanee. Il Collegio osserva, poi, in linea generale, che, anche seguendo la tesi ricostruttiva del reclamante, l’eventuale acquisizione di elementi istruttori in epoca successiva alla comunicazione di conclusione delle indagini non determinerebbe, in modo automatico, la nullità dell’atto di deferimento. A tal fine occorrerebbe valutare, sempre, la concreta incidenza sull’iniziativa accusatoria (oltre che sulla decisione dell’organo giudicante). In questa parte, quindi, non può essere condivisa la tesi interpretativa proposta dall’appellante (espressamente riconducibile alla sistematica processuale penalista), secondo cui, in caso di omesso rinnovo della comunicazione di chiusura delle indagini della Procura, si tratterebbe di una “nullità assoluta di ordine generale, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (…) perché subordina la richiesta di deferimento (rinvio a giudizio) all’esigenza che il diritto di difesa possa esplicarsi nel modo più completo e più favorevole alla persona sottoposta alle indagini già nella fase delle indagini preliminari”. È evidente, infatti, che la radicale invalidità dell’atto di deferimento si potrebbe verificare soltanto in quei casi in cui effettivamente l’ipotesi accusatoria si sorregga in modo determinante e autonomo sui nuovi elementi di indagine. Solo in queste circostanze, infatti, in base all’applicazione della prova di resistenza, si potrebbe affermare che le indagini della Procura non sarebbero sfociate nell’atto di deferimento riguardante il concreto addebito disciplinare mosso all’incolpato. Nessuna conseguenza significativa sulla validità dell’atto di deferimento si manifesterebbe, invece, qualora i nuovi dati istruttori rimangano del tutto estranei al deferimento (o, addirittura, incidano in senso più favorevole alla posizione dell’incolpato) e siano poi ignorati nella decisione del giudice. Meno nitida potrebbe risultare, a prima lettura, la qualificazione della vicenda nelle fattispecie in cui ulteriori elementi di indagini siano utilizzati non già per definire il contenuto della determinazione accusatoria della Procura Federale (come sembra essere avvenuto nel caso di specie), ma solo per irrobustire l’atto di deferimento, che pure si regge autonomamente sull’indagine conclusa prima della rituale comunicazione all’incolpato. In tali eventualità si può intanto affermare, che, in ogni caso, la “sanzione” derivante dalla prosecuzione delle indagini dopo la comunicazione della sua conclusione non potrà essere quella della integrale nullità del deferimento, ma, piuttosto, a tutto concedere, quella della parziale inutilizzabilità degli atti istruttori acquisiti successivamente. Ritiene però il Collegio che, certamente, non si determini nemmeno la conseguenza della inutilizzabilità degli atti istruttori ulteriori qualora si sia in presenza non già di nuovi atti di indagine della Procura, bensì del mero svolgimento di segmenti procedimentali espressamente contemplati dal codice di giustizia sportiva, che si affiancano autonomamente alla ordinaria attività di indagine della Procura Federale, quali, appunto, l’acquisizione di ulteriori elementi dall’Autorità giudiziaria ordinaria o delle dichiarazioni spontanee rese da alcuni degli incolpati Nel caso di specie, infatti, i nuovi elementi di indagine acquisiti dopo la comunicazione della conclusione delle indagini della Procura consistono: Nella acquisizione delle ulteriori risultanze dell’attività svolta dalla Procura della Repubblica; Nelle spontanee dichiarazioni rese, a loro richiesta, da alcuni dei soggetti incolpati, nella parte in cui esse delineano la partecipazione del Sig. Dimitri alla combine destinata a falsare il risultato della partita Gallipoli-Real Marcianise. Entrambi gli atti presentano alcune peculiarità tipiche. Con riguardo al materiale istruttorio proveniente dalla Procura della Repubblica, occorre considerare la disciplina specifica secondo cui nel procedimento disciplinare gli atti provenienti dal procedimento penale vanno senz’altro acquisiti, senza alcuna preclusione (Art. 32-quinquies, comma 3, ultimo periodo del CGS: “Possono sempre essere utilizzati gli atti e documenti in ogni tempo acquisiti dalla Procura della Repubblica e dalle altre autorità giudiziarie dello Stato.”) Anche con riguardo alle dichiarazioni spontanee rese dagli indagati, occorre considerare che esse possono essere acquisite senza alcun limite temporale, allo scopo di favorire un migliore esercizio del diritto di difesa, anche allo scopo di favorire soluzioni patteggiate del contenzioso. Per tali attività istruttorie, dunque, potrebbe ritenersi insussistente l’invocata preclusione temporale costituita dalla conclusione delle indagini, a condizione che tali elementi istruttori non rappresentino la giustificazione determinante dell’atto di deferimento. Evidentemente, però, la possibile problematicità di tale esito interpretativo deriva dalla circostanza che le affermazioni rese dai coindagati sono citate dall’atto di deferimento quali elementi idonei a rafforzare e confermare ulteriormente l’ipotesi accusatoria e sono poi considerate, in qualche misura, anche dalla impugnata decisione di accoglimento del deferimento. A parere del collegio, però, come ampiamente illustrato dal TFN, nella vicenda in esame l’accertamento dei fatti risulta adeguatamente delineato dai dati istruttori ricavati dalle indagini penali e dagli altri elementi precedentemente indicati dalla Procura Federale: pertanto, anche a voler asserire, per ipotesi, l’inutilizzabilità delle chiamate di correità svolte dai coindagati, la ricostruzione processuale della vicenda sostanziale all’origine del presente procedimento non cambierebbe i suoi tratti essenziali. L’appellante deduce, poi, che, in ogni caso, ai sensi dell’art. 32 ter, comma 4, del CGS, “non tutti gli atti di indagine preliminare a carico dell’appellante venivano depositati contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione delle stesse”. Al proposito, non possono che condividersi le motivazione della pronuncia impugnata, la quale ha correttamente posto in rilievo che, una volta riconosciuta la ritualità della acquisizione di ulteriori elementi (in particolare quelli provenienti dall’Autorità Giudiziaria ordinaria), dopo la comunicazione di conclusione delle indagini, non avrebbe senso pretenderne il deposito di tali elementi prima del deferimento e contestualmente allo stesso atto di comunicazione di conclusione delle indagini. L’appellante deduce, poi, la nullità della sentenza di 1 grado, perché essa applica, oltre alla sanzione della inibizione anche quella dell’ammenda, non prevista dal vecchio codice, nella formulazione vigente al momento dei fatti. Il motivo è parzialmente fondato, nei limiti di seguito specificati. Al riguardo, va evidenziato che, in base all’art. 7 dell’abrogato codice, “Il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo” (comma 1). “I soggetti di cui all’art. 1, commi 1 e 5, riconosciuti responsabili di illecito sportivo, sono puniti con una sanzione non inferiore all'inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di tre anni e con l’ammenda non inferiore ad euro 50.000,00” (comma 5). Si tratta, però, della versione derivante dalla modifica determinata dal Comunicato Ufficiale FIGC n. 177/A del 9 giugno 2011. Secondo la precedente formulazione della norma sanzionatoria, vigente all’epoca dei fatti contestati al reclamante, “I soggetti di cui all’art. 1, commi 1 e 5, riconosciuti responsabili di illecito sportivo, sono puniti con una sanzione non inferiore all'inibizione o alla squalifica per un periodo minimo di tre anni.” È pacifico che, in materia di illeciti sportivi, viga il principio “tempus regit actum”: in ogni caso, una norma che introduca un aggravamento del trattamento sanzionatorio di un determinato illecito può trovare applicazione solo per il futuro, senza spiegare effetti retroattivi. Pertanto, è senz’altro errata la decisione del TFN, nella parte in cui ha applicato, oltre alla sanzione dell’inibizione, anche quella dell’ammenda. Tale errore, tuttavia, non rende nulla la sentenza nella sua totalità, ma incide soltanto sulla legittimità della sanzione pecuniaria inflitta. In tal modo, pertanto, risulta assorbita (e sostanzialmente accolta) la censura articolata dal reclamante alle pp. 7 e 8 (motivo n. 3), incentrata sul richiamo ai principi della irretroattività della norma sportiva, tempus regit actum e del favor rei. L’atto di appello, poi, contesta analiticamente la pronuncia di primo grado e la ricostruzione dei fatti, in relazione all’accoglimento del deferimento della Procura. Il reclamante sostiene la totale estraneità ai fatti contestati, asserendo di non avere in alcun modo partecipato alla ipotizzata combine della partita e, in linea subordinata, che i fatti dovrebbero essere qualificati come omessa denuncia dell’illecito sportivo compiuto da altri soggetti. A suo dire, gli atti di indagine penale avrebbero fatto emergere che “l’incontro, nel corso del quale si sarebbe perfezionato il pactum sceleris, si svolgeva tra Murolo Michele, Righi Salvatore, Agata Luigi, Russo Massimo e Cristiano Tommaso (Tom), nel pomeriggio di lunedì 11 maggio 2009 presso il centro sportivo Mariano Keller di Napoli”, ma “non vi è in atti alcuna prova che il Dimitri fosse effettivamente presente a tale riunione”. Per l’appellante, le intercettazioni telefoniche della conversazione tra Righi Salvatore e il figlio Ivano, svolta il 13 maggio, non farebbero alcun riferimento puntuale alla presenza del Dimitri a tale incontro. L’analitica confutazione della pronuncia di primo grado, peraltro, basata sul significato delle parole contenute nelle trascritte intercettazioni non appare idonea, però, a scalfire il complesso degli elementi istruttori acquisiti in atti. L’appellante, poi, si sofferma sulle “propalazioni accusatorie di Murolo e Giannini”. A suo giudizio, sarebbe carente la valutazione di attendibilità delle chiamate di correità (anche alla luce dei principi ripetutamente affermati dalle Sezioni Unite della Cassazione penale) e le dichiarazioni sarebbero prive di sufficienti riscontri oggettivi. Lo stesso appellante richiama la consolidata opinione giurisprudenziale secondo la quale “il confessato personale coinvolgimento del dichiarante nello stesso fatto-reato narrato (specie in relazione ad episodi criminosi altrimenti destinati all’impunità) influisce positivamente sul giudizio relativo, oltre che al disinteresse, anche al grado di conoscenza della materia riferita”. Con particolare riguardo alla posizione del Murolo, l’appellante sostiene che esisterebbero difformità rilevanti tra gli elementi emersi in sede di indagine penale e il contenuto della dichiarazione resa dinanzi alla Procura Federale: “le contraddizioni non appaiono di poco momento, come invece infondatamente e riduttivamente sostenuto dal Giudice di prime cure, ove solo si consideri quanto riportato sul punto della OCC del GIP di Napoli e dagli altri atti giudiziari qui depositati, come ampiamente evidenziato in primo grado.” Da tali dichiarazioni, comunque, emergerebbe che “la stessa circostanza che il Cristiano solo nei giorni successivi avrebbe incontrato anche il Sig. Luigi Dimitri, dirigente al tempo del Gallipoli Calcio, conferma che l’appellante era, evidentemente, del tutto estraneo al pactum sceleris maturato.” Con riferimento alla posizione di Giannini Giuseppe, poi, l’appellante indica alcune discrasie tra gli elementi emersi in sede di procedimento penale e la motivazione della decisione di primo grado. Ne deriverebbe che “non si comprende come possa fondatamente e credibilmente sostenersi che il Giannini pur essendo a conoscenza della “combine” posta in essere da altri, si sia semplicemente limitato ad ometterne la denuncia”. Secondo il reclamante, il giudice di primo grado, “in contrasto con tutto il sistema processuale (non solo sportivo) vigente, retto dal noto basilare principio per il quale onere probandi incumbit ei qui dicit, effettuava una inammissibile inversione dell’onere della prova, in virtù della quale non sarebbe dovuta essere l’accusa (o, al peggio, il Giannini) ad offrire il riscontro alle dichiarazioni accusatorie dianzi riportate, dmostrandone l’attendibilità (almeno intrinseca) ma, sorprendentemente, sarebbe dovuto essere il Dimitri a provarne la falsità. Nessuno degli argomenti esposti dal reclamante risulta convincente. Entrambe le dichiarazioni degli incolpati risultano caratterizzate da attendibilità intrinseca e conducono ad una lineare ricostruzione della vicenda illecita accertata. Il reclamante, poi stigmatizza il passaggio della motivazione della pronuncia del TFN, nella parte in cui attribuisce peso rilevante alla mancata specifica contestazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche. A suo dire, in piena sintonia con una solida linea interpretativa, l’incolpato ha il diritto di seguire la linea difensiva ritenuta più adeguata. L’esercizio del diritto al silenzio non potrebbe mai determinare alcun sovvertimento dell’onere probatorio. Nel corpo della motivazione della decisione di primo grado, tuttavia, l’atteggiamento processuale dell’incolpato è considerato soltanto come un elemento rafforzativo del giudizio di colpevolezza, incentrato sui dati oggettivi ricavati dal materiale istruttorio proveniente dalla Procura federale e dalle dichiarazioni degli altri tesserati deferiti. Pertanto, il peso specifico delle scelte processuali del Dimitri non è particolarmente rilevante nel complesso dell’iter argomentativo sviluppato dal TFN. Con un sesto motivo, l’appellante ribadisce la propria tesi difensiva secondo cui, a tutto concedere, i fatti accertati potrebbero integrare la fattispecie disciplinare della omessa denuncia: ne deriverebbe, quindi, la derubricazione dell’addebito e la sua conseguente estinzione per intervenuta prescrizione. Al riguardo, la Corte non può che richiamare le considerazioni sviluppate dalla pronuncia di primo grado, che ha indicato puntualmente il ruolo determinante dell’incolpato nella formazione della combine, ancorché sia emerso che l’iniziativa sia stata di altri soggetti. Con il settimo motivo, il reclamante si duole che la decisione impugnata si basi sul recepimento pedissequo delle risultanze delle indagini penale, senza alcuna valutazione critica di tale materiale istruttorio. L’errore del TFN sarebbe aggravato dalla circostanza che l’intera vicende risulta tuttora oggetto di attenzione da parte dell’autorità giudiziaria penale, senza che sia possibile evincere da tale procedimento dati univoci e indiscussi. La censura non merita accoglimento, perché trascura di considerare che, in ogni caso, i dati istruttori provenienti dalla autorità giudiziaria ordinaria hanno un rilievo probatorio particolarmente significativo e, comunque, in concreto, hanno formato oggetto di specifica valutazione da parte del giudice di primo grado. Con il motivo di reclamo rubricato al numero 9, poi, l’appellante deduce che la decisione di primo grado ha omesso di indicare i criteri di determinazione della sanzione, limitandosi a postularne la “congruità”, in conformità alle richieste formulate dalla Procura. Ritiene peraltro il collegio che la sanzione adeguata ai fatti accertati, anche in relazione al ruolo rivestito dal reclamante nella vicenda, caratterizzata dalla iniziativa di altri soggetti, debba essere rideterminata in anni tre di inibizione, corrispondenti al minimo della pena, in assenza di circostanze particolari idonee a determinare una ulteriore diminuzione al di sotto del minimo edittale, ferma restando la doverosa espunzione della sanzione dell’ammenda non applicabile all’illecito accertato, in virtù del principio di irretroattività del diritto punitivo sportivo. La sostanziale conferma della decisione di primo grado determina il non luogo a provvedere sulla richiesta di Sospensione della sentenza di primo grado, anche prescindendo dai possibili profili di irritualità della richiesta. Conclusivamente, quindi, vanno respinte tutte le eccezioni preliminari sollevate dall’appellante e il reclamo deve essere parzialmente accolto, con la conseguente restituzione della tassa di reclamo. Per questi motivi la CFA in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal sig. Dimitri Luigi riduce la sanzione alla sola inibizione di anni 3. Dispone restituirsi la tassa reclamo
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