CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport –Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 17/02/2005 TRA Adriano Panatta e Federazione Italiana Tennis
CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport –Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 17/02/2005 TRA Adriano Panatta e Federazione Italiana Tennis
Il Collegio arbitrale composto da:
Avv. Enrico Ingrillì Presidente del Collegio Arbitrale
Prof. Avv. Massimo Zaccheo Arbitro
Prof. Avv. Giulio Napolitano Arbitro
nel procedimento di arbitrato promosso da:
Adriano Panatta, nato a Roma il 9 luglio 1950, rappresentato e difeso, in
virtù di procura speciale per Notaio Dott. Paolo Silvestro di Roma,
dall’avv. Oreste Fasano, presso lo studio del quale in Roma, al Lungotevere
delle Navi n. 30, è elettivamente domiciliato
- attore -
contro
Federazione Italiana Tennis, in persona del Presidente p.t., rappresentata e
difesa dagli Avv.ti Saverio Schiavone a Andrea Zoppini, come da procura
speciale notarile
- convenuta -
ha emesso il seguente
LODO ARBITRALE
SVOLGIMENTO DEI FATTI
A) Il provvedimento disciplinare a carico del Sig. Adriano Panatta
1. Con lettera raccomandata del 17.6.2003, la Federazione Italiana
Tennis (d’ora in poi, per brevità, anche FIT) comunicava al Sig. Adriano
Panatta la pendenza di un procedimento disciplinare a suo carico,
invitandolo a presentarsi presso la sede della Federazione, il giorno
3.7.2003.
2. Successivamente, il Sig. Panatta veniva rinviato a giudizio con
provvedimento del Procuratore federale datato 7.7.2003; l’udienza per la
discussione davanti alla Corte federale veniva fissata per il 27.8.2003.
Anche di tale provvedimento – sebbene inviato il 16.7.2003 nei luoghi
indicati dall’art. 90 R. G. – il Sig. Panatta dichiarava di aver avuto
conoscenza soltanto occasionale in quanto, in sua assenza, la
comunicazione inviata presso la sua residenza in Roma – Via dei Monti
Parioli n. 40 – non veniva ritirata dal portiere.
3. All’udienza del 27.8.2003, la difesa del Sig. Panatta eccepiva, in via
preliminare, la nullità del procedimento per violazione dei diritti di difesa
nella fase istruttoria, ma la Corte Federale, ritenuta irrilevante la
circostanza, irrogava al Sig. Panatta, con delibera n. 14/03, depositata il
10.9.2003, la sanzione dell’inibizione perpetua a ricoprire cariche federali,
per gravi violazioni ai principi di lealtà e correttezza e per frode sportiva,
commesse nell’esercizio delle funzioni di direzione degli Internazionali di
tennis.
4- Con atto del 12.9.2003, il Sig. Panatta impugnava la decisione
davanti alla Corte di appello federale; impugnava anche il Procuratore
federale, e pertanto gli appelli venivano riuniti.
5. Con decisione n. 5/04 del 13.2/10.3.2004, la Corte d’appello federale
accoglieva parzialmente l’appello del Sig. Panatta, e respingeva quello della
Procura federale, dichiarando l’insussistenza della violazione di cui all’art.
9 comma 3 del R. G., intitolato “Frode sportiva”, e riducendo la sanzione di
inibizione perpetua a ricoprire cariche federali a inibizione temporanea a
ricoprire cariche federali per anni cinque, in relazione all’art. 1 del R. G.,
intitolato “Doveri ed obblighi”.
B) I fatti posti a fondamento del provvedimento disciplinare
6. In particolare, la vicenda a seguito della quale scaturiva il
procedimento disciplinare, e in conseguenza della quale la Corte d’Appello
federale irrogava la sanzione di cui sopra, traeva origine
dall’organizzazione della manifestazione Tennis Master series 2001 di
Roma. Il Sig. Panatta riceveva l’incarico di Direttore della manifestazione,
in forza di “Contratto di Direzione Manifestazione e Responsabilità
Divisione Sponsor”, con contratto stipulato con la società P.C. M. di
Adriano Panatta e C. S.a.s..
7. Nella fase delle indagini, aperte anche a seguito delle denunce del
Sig. Cino Marchese, emergeva che il Sig. Panatta, nella sua qualità di
Direttore dei c.d. “Internazionali d’Italia” veniva coinvolto in un c.d. “giro”
di versamenti di denaro. In particolare, la Procura Federale contestava al
Sig. Panatta di aver ricevuto la somma di Lire 20.000.000, dal Sig.
Marchese, per l’intervento nelle trattative volte alla conclusione del
contratto con lo sponsor principale della manifestazione. Ciò veniva
suffragato, oltre che dalle dichiarazioni, in tempi successivi parzialmente
ritrattate, del Sig. Marchese, dalla documentazione acquisita dalla Procura,
relativa al bonifico bancario estero, effettuato dal Sig. Marchese a
vantaggio del Sig. Panatta, grazie all’esibizione di tale documentazione da
parte dello stesso Sig. Marchese.
8. Inoltre, al Sig. Panatta venivano contestati ulteriori episodi,
relativi a rapporti contrattuali con fornitori e a elargizioni di denaro in
favore di soggetti a vario titolo coinvolti nell’organizzazione di
manifestazioni sotto l’egida della FIT.
9. Alla fine del procedimento di giustizia sportiva, la Corte
d’appello federale affermava, alla luce dell’espletata istruttoria, la
violazione dell’art. 1 del regolamento di giustizia denunciando il fatto che il
Sig. Panatta aveva ricevuto dal Sig. Marchese la somma di [...] omissis [...]
euro, a fronte del suo intervento per la conclusione del contratto di
sponsorizzazione della Manifestazione Tennis Masters Series 2001 tra la
Telecom e la TPL. Ad avviso della Corte federale di appello, infatti, il Sig.
Panatta avrebbe dovuto rifiutare, o, comunque, evitare di porsi nelle
condizioni di ricevere il riferito importo per il suo ruolo di rappresentante
della FIT e per la funzione di controllo e vigilanza dispiegata nei confronti
dell’attività del Sig. Marchese.
C) L’istanza di arbitrato e le difese del Sig. Adriano Panatta
10. In data 30 giugno 2004, conclusosi il 9 giugno 2004 senza esito
positivo il procedimento di conciliazione innanzi alla Camera di
Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I. (prot. n. 0399 del
10.5.2004), il Sig. Panatta proponeva istanza arbitrale per chiedere
l’annullamento della decisione di condanna della Corte d’Appello Federale
innanzi alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport istituita presso
il C.O.N.I., ai sensi del Titolo sesto, artt. 60 – 61 e 62 dello Statuto FIT
approvato dall’assemblea di Bologna, in data 15 dicembre 2000. L’attore
precisava, altresì, di aver esaurito i ricorsi interni alla FIT.
11. Nella propria istanza di arbitrato, la difesa del Sig. Panatta
denunciava, in rito, l’omissione di pronuncia relativamente all’eccezione di
violazione dell’art. 111 Cost.; l’omissione di pronuncia relativamente alla
riserva formulata dalla Corte d’appello nella seduta del 30.1.2004 in ordine
all’ammissibilità dei documenti tardivamente depositati dalla Procura
federale; il vizio di motivazione in relazione alla disposizione della
rinnovazione istruttoria in seconda istanza, in luogo della chiesta rimessione
degli atti alla Corte di prima istanza per la rinnovazione dell’intero giudizio;
l’illogicità manifesta della motivazione in relazione al vizio conseguente
alla mancata comunicazione al Sig. Panatta della convocazione nella fase
inquirente e del provvedimento di rinvio a giudizio.
12. Nel merito, l’istante affermava la legittimità del comportamento del
Sig. Panatta e l’erroneità ed ingiustizia della decisione della Corte d’appello
federale. L’istante, in particolare, precisava che il fatto che il Sig. Panatta
abbia ricevuto dal Sig. Marchese la somma indicata è pacifico, non essendo
stato mai contestato, né dal Sig. Panatta, né dal Sig. Marchese. Ciò che,
invece, è stata sempre contestata è l’illegittimità della dazione, che è, per di
più, totalmente indifferente alla FIT: tale illegittimità sarebbe stata
dichiarata dalla Corte d’appello federale in virtù di un’erronea
interpretazione del contratto di Direzione e di una contraddittoria
qualificazione in termini pubblicistici della FIT.
13. Pertanto, in considerazione di quanto sopra, la difesa del Sig. Panatta
chiedeva al Collegio di accogliere l’istanza, e per l’effetto, di annullare la
decisione n. 5/04 resa dalla Corte d’Appello Federale della F.I.T. il 13
febbraio – 10 marzo 2004.
D) La costituzione in giudizio della FIT e le sue difese
14. In data 7 luglio 2004, si costituiva la FIT, la quale chiedeva il rigetto
del ricorso, nonché, in via riconvenzionale, la conferma del provvedimento
di prima istanza, emesso dalla Corte Federale, in data 10 settembre 2003,
consistente nella sanzione dell’inibizione perpetua a ricoprire incarichi
federali. In particolare, la FIT ribadiva la correttezza del procedimento
istruttorio e in particolare delle modalità di notifica; affermava che l’istanza
di arbitrato proposta da Panatta aveva in ogni caso un effetto per così dire
devolutivo, per effetto del quale l’organo arbitrale sarebbe investito del
merito della vicenda controversa, indipendentemente da eventuali
violazioni procedimentali realizzatesi davanti agli organi di giustizia
federale. Nel merito della vicenda, la difesa della FIT, a sostegno della tesi
della gravità del dimostrato e ormai non più contestato comportamento
posto in essere dal Sig. Panatta, si limitava a rinviare all’analisi svolta dalla
sentenza della Corte d’Appello federale.
15. Pertanto, in considerazione di quanto sopra, la FIT chiedeva di
respingere le richieste dell’istante e avanzava domanda riconvenzionale
affinché venisse ripristinata la decisione dell’organo di giustizia federale di
primo grado.
E) Il procedimento arbitrale
16. In data 14 luglio 2004, la difesa del Sig. Panatta depositava una
memoria di replica.
17. In data 16 settembre 2004, il Collegio Arbitrale si costituiva, con
l’insediamento degli arbitri, avv. Enrico Ingrillì, con funzione di presidente,
prof. avv. Massimo Zaccheo e prof. avv. Giulio Napolitano, e dando
termine alle parti per memorie e repliche.
18. In data 24 e 30 settembre 2004, le parti depositavano memorie e
repliche.
19. In data 6 ottobre 2004, si teneva la prima udienza, innanzi al
nominato Collegio Arbitrale, il quale, a seguito di mancata presentazione
dell’avvocato dell’istante, rinviava la trattazione del procedimento
all’udienza del 25 ottobre 2004.
20. Nell’udienza del 25 ottobre 2004, le parti sviluppavano gli argomenti
svolti nelle rispettive memorie.
21. In date 12 e 22 novembre 2004, le parti presentavano ulteriori
memorie e repliche, depositando altresì le dichiarazioni di proroga del
termine di pronuncia del lodo.
22. In data 2 dicembre 2004, il Collegio, accogliendo le richieste delle
parti, concedeva termine alle parti per deposito di documenti e
presentazione di istanze istruttorie. Le parti procedevano, nei termini
indicati, a depositare ulteriori memorie e documenti; non venivano invece
avanzate ulteriori richieste istruttorie, in particolare di prove testimoniali, se
non in via subordinata.
23. In data 10 gennaio 2005, le parti presentavano memorie
conclusionali.
24. All’udienza di discussione in data 11 febbraio 2005, le parti
insistevano per l’accoglimento delle rispettive conclusioni, come formulate
negli atti introduttivi del giudizio, sulla base degli argomenti sostenuti nei
medesimi e successivamente sviluppati nelle citate memorie.
DIRITTO
1. Ad avviso del Collegio, ai fini della soluzione della presente
controversia, è necessario muovere dagli specifici caratteri dei principi
deontologici dell’ordinamento sportivo, della responsabilità disciplinare che
consegue alla loro violazione, nonché del sistema di giustizia sportiva.
2. Tutti i codici di giustizia federale, compreso quello della FIT,
impongono ai tesserati e agli affiliati doveri di lealtà, correttezza e probità.
Tali doveri mirano ad assicurare l’osservanza da parte dei soggetti
dell’ordinamento sportivo di standard elevati di comportamento, che vanno
al di là dei vincoli previsti dall’ordinamento statale e conseguentemente dei
regimi di responsabilità civile, penale e amministrativa vigenti nell’ambito
di quest’ultimo.
3. L’importanza di tali standard di comportamento ai fini del buon
funzionamento interno e della salvaguardia dell’immagine esterna delle
comunità sportive è tale che, di recente, il Coni ha emanato un Codice di
comportamento sportivo, affidato alle cure di un apposito Garante (Codice
di comportamento sportivo, approvato dal Consiglio nazionale del Coni, 15
luglio 2004, del. n. 1270). Tale Codice cataloga le principali condotte
pacificamente riconosciute come lesive dei principi di lealtà, correttezza e
probità, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali degli organi di
giustizia operanti presso le singole federazioni.
4. L’accertamento delle violazioni ai principi di leale e corretto
comportamento in ambito sportivo è operato dagli organi interni di giustizia
sulla base delle norme e degli usi dell’ordinamento sportivo. Le une e gli
altri, come noto, possono anche discostarsi da principi e regole propri
dell’ordinamento statale: basti pensare alla diffusione in ambito sportivo dei
sistemi di responsabilità oggettiva, banditi, invece, dall’ordinamento statale,
in particolare in ambito penalistico.
5. Analogo discorso vale per le procedure seguite dagli organi di
giustizia sportiva. Queste devono assicurare le garanzie sostanziali del
contraddittorio, ma da ciò non discende che esse debbano integralmente
allinearsi alle singole prescrizioni e alle specifiche formalità imposte dai
codici di procedura civile e penale: ciò anche al fine di assicurare un più
celere ed efficace funzionamento del sistema sanzionatorio, a tutela della
buona gestione e della reputazione delle comunità sportive.
6. Alla luce di queste premesse, le censure sollevate dal ricorrente in
ordine alla pretesa illegittimità del procedimento disciplinare e alla non
utilizzabilità del relativo materiale probatorio appaiono infondate e,
comunque, di scarso rilievo rispetto alla soluzione della presente
controversia.
7. In proposito, il Collegio non può non rilevare che il procedimento
istruttorio risulta essere stato avviato nell’osservanza di idonee modalità di
notificazione; che il contraddittorio è stato comunque ed effettivamente
integrato nel corso del giudizio sportivo; che i relativi verbali, nonostante
talune contraddizioni ed imperfezioni formali, risultano ritualmente
sottoscritti, senza che di tali sottoscrizioni sia mai stata disconosciuta la
paternità o accertata la falsità.
8. A prescindere da tutto ciò, e in particolare dal valore riconoscibile
alle contrastanti ricostruzioni dei fatti offerte nel tempo dal Sig. Marchese,
risulta comunque incontestato, anche tra le parti, che vi è stata la materiale
dazione di una somma di denaro tramite bonifico bancario estero da parte
del Sig. Marchese in favore del Sig. Panatta (la documentazione relativa al
bonifico bancario essendo stata esibita dallo stesso Sig. Marchese); che tale
pagamento è avvenuto dopo la conclusione del contratto con lo sponsor
principale e in misura pari al 50% della provvigione spettante al Sig.
Marchese; che per la conclusione di tale contratto vi è stato l’intervento
nelle trattative del Sig. Panatta.
9. Le circostanze e le modalità con cui è avvenuta tale dazione di
denaro offrono indizi oltre modo significativi circa l’esistenza di un’intesa o
comunque di una fattiva collaborazione tra il Sig. Marchese e il Sig.
Panatta, volta alla conclusione di affari in occasione di eventi sportivi, per
di più in ambiti contrattualmente preclusi a quest’ultimo, anche in virtù
delle responsabilità di direzione e vigilanza affidategli dalla FIT. Non
spetta, tuttavia, a questo Collegio valutare i termini e la gravità delle
inadempienze contrattuali imputabili al Sig. Panatta: la questione è già stata
oggetto di delibazione da parte di altro collegio arbitrale, investito a questo
specifico fine.
10. In proposito, il Collegio ha anche discusso l’argomento secondo cui
l’eventuale superamento, da parte del Collegio medesimo, della
qualificazione pubblicistica della FIT, operata dalla Corte d’appello
federale, imporrebbe di valutare la condotta del Sig. Panatta esclusivamente
alla stregua della disciplina contrattuale. In tale ambito, l’esistenza di un
eventuale conflitto di interesse sarebbe tutt’al più causa di annullabilità del
contratto.
11. Il Collegio ha ampiamente considerato questo argomento e ha
ritenuto, seppur a maggioranza, di non condividerlo. Quel che conta ai fini
del presente giudizio, infatti, è esclusivamente la valutazione dei fatti
appena citati, incontestati nella loro oggettività, alla luce dei principi e delle
regole di condotta dell’ordinamento sportivo federale, e segnatamente
dell’art. 1 del Regolamento di giustizia. È soltanto da questo tipo di
valutazione che dipende il riconoscimento o meno della responsabilità
disciplinare del Sig. Panatta, in quanto soggetto tesserato alla FIT e da
questa incaricato, su base fiduciaria, di una rilevante funzione organizzativa
e di vigilanza, dal cui corretto svolgimento dipende la stessa reputazione
della FIT e delle competizioni che si svolgono sotto la sua egida.
12. È opinione, dunque, del Collegio, che, a prescindere da qualsiasi
esplicita previsione contrattuale e dalla configurazione in termini
pubblicistici o invece privatistici della FIT, ciascun tesserato, tanto più se
incaricato di funzioni di alta responsabilità, è tenuto, in base ai principi
fondamentali del Regolamento di giustizia federale, ad astenersi da
comportamenti e condotte che possano far sorgere situazioni anche soltanto
apparenti di conflitto di interesse, ovvero indurre il sospetto di trattamenti
di favore o discriminatori nell’esercizio di funzioni o attività connesse
all’organizzazione e allo svolgimento di competizioni sportive. È
significativo che un’indicazione in tal senso si ricavi esplicitamente anche
dagli articoli 9 e 10 del Codice di comportamento sportivo approvato dal
Coni, riferiti proprio a siffatte ipotesi. Il Codice, pur essendo stato emanato
successivamente ai comportamenti contestati, costituisce, per le ragioni
prima indicate, un idoneo parametro di interpretazione anche di
comportamenti pregressi, limitandosi a catalogare condotte pacificamente
ritenute dagli organi di giustizia sportiva contrarie a principi di lealtà,
correttezza e probità.
13. In questa prospettiva, dunque, è sufficiente la semplice accettazione
(per di più, successiva all’attivo interessamento per il buon esito di un
affare) di una somma di denaro proveniente da un soggetto sulla cui attività
il Sig. Panatta era tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento “cooperativo”,
in quanto chiamato, su incarico della FIT, a svolgere funzioni di vigilanza e
controllo, a ingenerare, a prescindere dall’accertamento dell’effettiva causa
del pagamento, anche il semplice sospetto di una condotta non imparziale e
non trasparente, tale da minare di per sé la credibilità dell’organizzazione
della manifestazione sportiva e indirettamente della FIT sotto il cui
patrocinio essa si svolge.
14. Per queste ragioni, la sanzione comminata dagli organi di giustizia
della Fit sulla base dell’art. 1 del Regolamento di giustizia (mentre non
risultano integrati gli elementi della fattispecie di cui all’art. 9) appare
congrua e ragionevole. Essa, infatti, oltre a svolgere una funzione
sanzionatoria nei confronti del tesserato di cui è stata riconosciuta la
responsabilità, mira a garantire, all’esterno, nei confronti di tutti i potenziali
interlocutori, diretti e indiretti, della FIT, una netta soluzione di continuità
rispetto a un precedente fascio di rapporti istituzionali e/o commerciali
anche soltanto apparentemente idonei a pregiudicare le fondamentali
condizioni di trasparenza e di correttezza nel cui pieno rispetto deve
svolgersi l’organizzazione degli eventi sportivi.
Spese
1. In applicazione dell’art. 23 del Regolamento della Camera, il
Collegio, tenendo conto del notevole tempo occorso agli arbitri
(complessivamente 60 ore), della complessità della controversia, della
capacità finanziaria delle parti e della circostanza che la controversia si
presentava comunque come connessa a questioni di ordine commerciale e
patrimoniale, ritiene, ai sensi dell’applicabile Tabella, che gli onorari
dell’organo arbitrale vadano complessivamente determinati in Euro [...]
omissis [...], oltre a Euro [...] omissis [...] per spese generali (10%), oltre
agli oneri accessori dovuti e alle spese documentate effettivamente
sostenute come da notule dei membri del Collegio, con deduzione di quanto
già corrisposto a titolo di acconto e fondo spese.
2. Quanto alla ripartizione tra le parti, il Collegio ritiene che, in
considerazione dell’esito del giudizio, gli onorari e le spese dell’arbitrato,
nonché le spese di difesa, da liquidare in via equitativa in complessivi Euro
[...] omissis [...], e i diritti amministrativi debbano essere posti a carico del
Sig. Panatta.
P.Q.M.
Il Collegio arbitrale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le
parti:
1. Conferma l’inibizione di cinque anni a rivestire cariche federali a
carico del Sig. Adriano Panatta.
2. Condanna il Sig. Adriano Panatta al pagamento degli onorari e delle
spese dell’arbitrato, nonché delle spese di difesa e dei diritti amministrativi.
Così deciso in Roma, l’11 febbraio 2005, nella conferenza personale degli
arbitri e con voti a maggioranza. Ai sensi del vigente Regolamento della
Camera, il Collegio dichiara che l’arbitro dissenziente non ha potuto
sottoscrivere il lodo nella medesima data convenuta dalla maggioranza del
Collegio, per la pregressa assunzione di concomitanti impegni, e
appositamente interpellato ha comunque escluso di volerlo sottoscrivere
dato il suo dissenso, come da comunicazione personale da egli rivolta al
Presidente del Collegio.
Letto, confermato e sottoscritto.
F.to Avv. Enrico Ingrillì
F.to Prof. Avv. Giulio Napolitano
Prof. Avv. Massimo Zaccheo (non ha potuto e voluto firmare il lodo)
Si allega l’opinione dissenziente del Prof. Avv. Massimo Zaccheo,
depositata presso l’Ufficio di Segreteria della Camera di Conciliazione
e Arbitrato per lo Sport in data 17 febbraio 2005 e protocollata nel
Registro dell’Ufficio di Segreteria in data 18 febbraio 2005 al n. 0256.
NOTA DI DISSENSO DELL’ARBITRO MASSIMO ZACCHEO.
L’art. 7 comma 7 del Regolamento prevede che l’arbitrato proposto dinanzi
alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport sia rituale e debba essere
deciso secondo diritto. In ragione della natura privatistica dell’istituto e
dell’obbligo imposto agli arbitri, mandatari delle parti, di decidere secondo
diritto, discende che, a fondamento della decisione, possono essere posti gli
usi sportivi solo ed esclusivamente ove non si applichi una norma di rango
superiore, costituendo l’uso l’ultimo grado (inferiore) della gerarchia delle
fonti. Nel caso che ci occupa la vicenda è stata decisa, nei precedenti gradi di
giudizio davanti alla Federazione, e avrebbe dovuto essere decisa, anche e
soprattutto in questa sede, solo in base alle prove allegate dalle parti. Ogni
convincimento o presunzione non può, infatti, trovare applicazione ove sia
applicabile una norma di legge che direttamente disciplini l’oggetto della
controversia. Gli arbitri, in maggioranza, motivano la decisione con il
richiamo ai principi deontologici dell’ordinamento sportivo e richiamano un
codice di giustizia federale (peraltro entrato in vigore successivamente ai
comportamenti oggetto di controversia e, dunque, palesemente inapplicabile
agli stessi) omettendo ogni valutazione, come invece previsto dalla legge,
delle risultanze dell’ istruttoria, sulle quali dovrebbe fondarsi la decisione a
norma dell’art. 115 c.p.c, che costituisce un principio fondamentale
dell’attività giurisdizionale (di qualsiasi natura) e, dunque, anche e soprattutto
di un arbitrato rituale e di diritto.
La decisione in forza di usi o consuetudini, dunque, viola palesemente il
principio di cui all’art. 7, comma 7, del Regolamento.
Del pari, l’applicazione o il richiamo di codici di giustizia entrati in vigore
successivamente ai comportamenti oggetto di contestazione, viola
palesemente, in via immediata, la disposizione centrale in materia di illeciti, di
cui all’art. 2 c.p., che vieta l’applicazione retroattiva della norma che prevede
l’illecito e, in via indiretta, il principio di cui all’art. 7, comma 7, del
Regolamento.
Peraltro, la violazione dell’art. 115 c.p.c. appare evidente, anche in
considerazione dei risultati emersi dall’istruttoria. .
All’esito dell’istruttoria (che proprio colui che firma questa nota aveva
invitato le parti a svolgere nuovamente) emerge, infatti, quanto segue:
a. le dichiarazioni di Binaghi, Marchese e Ravaglia, acquisite dalla
Corte Federale, sono, nel giudizio arbitrale, del tutto inutilizzabili
perché recanti incongruenze logiche e cronologiche che le rendono
assolutamente incredibili. In tutte e tre, in data 4 febbraio 2002 la
prima, in data 18 febbraio 2002 le altre due, vengono dai
medesimi raccontati fatti successivi alla data in cui la deposizione
sarebbe stata raccolta. Ne discende che o i tre testi erano in
possesso di facoltà divinatorie ovvero il verbale non è stato
predisposto in uno con la deposizione, ovvero ancora non
documenta fedelmente le dichiarazioni rese dai tre testi;
comunque, l’effetto è la inutilizzabilità del documento, a meno
che non si ometta di esercitare il dovere, che discende
dall’applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 91 del
Regolamento, di motivare, con logicità e congruità, la decisione
sulla base delle prove allegate, valutandone l’attendibilità.
b. due dei tre documenti sono, peraltro, estesi con le stesse parole,
almeno nella prima parte: se ne evince che o i due dichiaranti
hanno utilizzato il medesimo linguaggio (e il fatto appare talmente
incredibile da confermare, in questo caso correttamente in via
presuntiva, la inattendibilità) ovvero il verbale non documenta le
dichiarazioni rese dai medesimi.
c. del resto, con riferimento ad almeno una delle due deposizioni
(Ravaglia), la assoluta inutilizzabilità e la nullità discende dalla
palese assenza nella dichiarazione delle generalità che, in
applicazione delle fondamentali regole di diritto in materia di
assunzione della testimonianza (di cui l’art. 497 c.p.p. rappresenta
il punto di emersione), condizionano la validità della deposizione
testimoniale.
d. le circostanze di cui ai paragrafi che precedono rappresentano un
elemento che avrebbe dovuto indurre, sempre ex art. 115 c.p.c., ad
escludere la validità dell’intero procedimento istruttorio di
assunzione delle deposizioni testimoniali di primo grado (tanto
che, ripetesi, il sottoscritto ne ha richiesto, e il Collegio ha
proposto alle parti, la rinnovazione (rectius: l’assunzione)
nell’istruttoria).
e. le dichiarazioni attribuite al Sig. Marchese nel verbale sopra
indicato sono state, peraltro, disconosciute più volte dallo stesso.
Del resto, le sopra esposte incongruenze e irregolarità avrebbero
dovuto indurre a ritenere rispondente al vero la precisazione del
medesimo. Anche la Corte di Appello Federale, edotta del fatto,
ha fondato la sua decisione non già su quelle dichiarazioni, ma su
due fatti del tutto diversi: che la Federazione sia organismo di
diritto pubblico; che Panatta fosse in conflitto di interessi. Poiché
la stessa difesa della Federazione ha riconosciuto che, nel rapporto
per cui è causa, quest’ultima agisce iure privatorum (fatto invece
non affrontato nel lodo e che contraddice la giurisprudenza di
questa Camera nonché le opinioni dei loro componenti, soprattutto
considerando che la domanda di Panatta è volta all’annullamento
della decisione della Corte di Appello Federale che su quei fatti
fonda la decisione) se, da un lato, fa venir meno l’impalcatura
sulla quale è stata fondata la decisione di secondo grado, dall’altro
lato, la invalidità del procedimento istruttorio di primo grado,
avrebbe, sul piano logico giuridico, obbligato il Collegio a un
esame delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio di
secondo grado.
f. l’unica deposizione non travolta dalle ‘incongruenze’ sopra
evidenziate è, dunque, quella resa da Marchese davanti alla Corte
di Appello Federale e con la quale il teste smentisce di aver mai
affermato quanto contenuto nella deposizione ‘incongrua’ e
dichiara di aver versato la somma di denaro a Panatta a titolo
personale per vicende del tutto estranee a quella per cui è causa.
g. Gli arbitri, in assenza di altri elementi, avrebbero dovuto fondare
la loro decisione su questa dichiarazione, che rappresenta l’unica
prova valida acquisita al giudizio. Non su un principio di
plausibilità, che non compete loro, né su usi o, addirittura, come
dichiarato espressamente nel lodo su meri ‘sospetti’, ma fondando
la loro decisione in diritto a norma dell’art. 115 c.p.c. in tema di
prova.
h. Tanto più che nel lodo, a conferma della inesistente valutazione
del materiale probatorio acquisito, esistono, addirittura, lacune di
motivazione estremamente evidenti che violano il principio,
essenziale di ogni provvedimento decisorio a qualsiasi latitudine
adottato, della logicità intrinseca e della completezza dell’iter
motivazionale, il cui punto di emersione è l’art. 360 n. 5 c.p.c.
i. Segnatamente, è del tutto omessa l’analisi della circostanza – che
costituiva, quantomeno, un punto decisivo della controversia – per
cui i comportamenti tenuti da Panatta sono stati adottati
nell’ambito di un rapporto di natura strettamente privatistica cui è
estranea ogni valutazione ex art. 1 del Regolamento FIT,
soprattutto ove si fondi la decisione su presunzioni per nulla gravi,
precise e concordanti, e per giunta smentite, o comunque
seriamente poste in dubbio, dalle risultanze istruttorie acquisite. In
particolare la decisione si fonda sull’ammissione di Panatta di aver
ricevuto la somma indicata, ma si omette di analizzare il titolo del
versamento, che viene ricostruito, in via presuntiva, sulla base
della collaborazione prestata dal medesimo Panatta, in favore della
TPL; altri elementi presuntivi della decisione sarebbero, il periodo
in cui sarebbe avvenuto il versamento, in concomitanza, cioè, con
lo svolgimento della manifestazione sportiva in esame, e
l’ammontare del versamento che – sempre secondo la
ricostruzione del lodo – sarebbe pari al 50% del corrispettivo
versato a Marchese, e da questi ricevuto, non già da parte della
Federazione, priva di ogni diritto in ordine all’evento sportivo, ma
da un soggetto privato, terzo rispetto alle parti, ossia TPL.
Senonchè, anche a prescindere dal titolo del versamento in favore
di Panatta – che pure avrebbe dovuto costituire un punto oggetto
di approfondita disamina – si è trascurato che l’importo indicato
non è pari al 50% di quello versato a Marchese da TPL e, per
quanto appena illustrato, che detto importo era relativo ad un
rapporto estraneo alla Federazione intercorso tra soggetti privati
terzi, per fatti diversi da quelli oggetto di addebito.
j. Sullo stesso piano, e con maggiore ampiezza, il lodo omette di
inquadrare il contesto dei rapporti oggetto di accertamento,
affermando che l’intervento di Panatta avrebbe avuto quale
perimetro ‘ambiti contrattuali preclusi a quest’ultimo’ quando è
emerso chiaramente nel presente giudizio che sulla P.C.& M. – di
cui Panatta è socio accomandatario – gravavano obblighi di
cooperazione per la massimizzazione della visibilità del torneo,
cui avrebbe contribuito in maniera significativa la conclusione
dell’accordo, in relazione al quale Panatta avrebbe esercitato la
sua influenza. E’ sufficiente, a tal riguardo, la lettura dell’art. 2.2,
punto 4 del contratto concluso tra FIT e P.C. & M per avvedersi di
tutto ciò. In realtà, infatti, il contratto prevedeva esclusivamente
che la P.C.& M non avrebbe avuto alcun diritto in ordine a
remunerazioni per i contratti per i quali il contratto non trovava
applicazione (art.6.6), tra i quali senza dubbio rientrava il contratto
avente a oggetto la sponsorizzazione del torneo di Roma. In
questo contesto, è evidente che non è stata acquisita la prova di
una violazione di tale disposizione contrattuale, in quanto non
esiste alcuna prova di una remunerazione in favore della P.C.& M.
Anzi, in applicazione dell’art. 115 c.p.c., è possibile affermare, in
forza dell’unica prova valida acquisita al giudizio, ossia la
dichiarazione di Marchese, che sussiste la prova contraria, attesa
la natura del versamento effettuato da Marchese in favore di
Panatta, in ordine alla quale non esistono elementi probatori di
segno contrario, neanche – per quanto fin qui evidenziato – di
rango presuntivo.
Per queste ragioni si manifesta espressamente il dissenso al lodo sopra
riportato.
F.to Prof. Avv. Massimo Zaccheo