CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport –Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 9/8/2004 TRA Società U.S. Viterbese calcio 90 s.r.l. e FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO (“FIGC”)

CONI – Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport –Decisione pubblicata sul sito web: www.coni.it LODO ARBITRALE DEL 9/8/2004 TRA Società U.S. Viterbese calcio 90 s.r.l. e FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO (“FIGC”) Il collegio arbitrale composto da: - Avv. Mario Antonio Scino Presidente - Dr. Salvatore Cirignotta Arbitro - Prof. Avv. Luigi Fumagalli Arbitro riunito in conferenza personale in data 9 agosto 2004, in Roma, ha pronunziato all’unanimità il seguente LODO nel procedimento di arbitrato promosso da: - Società U.S. Viterbese calcio 90 s.r.l. , con sede in Viterbo, Via della Palazzina s.n.c., in persona dell’Amministratore Delegato dott. Giuseppe Flenghi, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al ricorso , dall’avv. Francesco Cefaly, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via A. Bertoloni 55 - ricorrente - contro - FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO (“FIGC”), in persona del Presidente dr. Franco Carraro, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Gallavotti e Luigi Medugno, e presso lo studio del primo in via Po n. 9 elettivamente domiciliata giusta delega agli atti; - convenuta – avente ad oggetto la non ammissione della U.S. Viterbese Calcio al campionato di serie C1 (stagione sportiva 2004-2005 ) di cui al Comunicato Ufficiale F.I.G.C. 27 luglio 2004, n.29/A. Fatto e svolgimento del giudizio Con istanza di arbitrato di cui al “Regolamento di arbitrato per la risoluzione delle controversie relative all’applicazione del Manuale per l’ottenimento della Licenza UEFA da parte dei CLUB – versione italiana e delle controversie relative all’iscrizione ai campionati nazionali di calcio professionistico” (Regolamento ad hoc) datata 29 luglio 2004, la Viterbese Calcio ’90 s.r.l. , in persona del legale rappresentante, agendo contro la F.I.G.C. (Federazione italiana giuoco calcio), chiedeva che il collegio arbitrale: - Annullasse il provvedimento emanato il 27 luglio 2004 con il quale il Consiglio Federale della F.I.G.C. aveva deciso di “disporre la non ammissione della U.S. Viterbese Calcio al Campionato di Serie C1 ( stagione sportiva 2004-2005),(Comunicato Ufficiale F.I.G.C. 27 luglio 2004 n. 29/A); nonché ogni ulteriore atto, presupposto o conseguente, ad esso comunque connesso, in particolare di tutte le comunicazioni relative al procedimento de quo (parere COAVISOC, parere Lega Professionisti di Serie C e varie comunicazioni), nonché tutte quelle norme dell’ordinamento sportivo che prevedono che il diniego di iscrizione ad un campionato per mere ragioni contabili-finanziarie- amministrative per una determinata stagione agonistica determina la definitiva perdita del” titolo sportivo” per la relativa categoria. - Per l’effetto ordinasse al Consiglio Federale della F.I.G.C. di iscrivere la U.S. Viterbese Calcio al Campionato di serie C1 2004-2005 - Comunque confermasse a favore di essa ricorrente a) lo status attuale di Società affiliata alla F.I.G.C.; b) lo status attuale di Società affiliata alla Lega Professionisti di Serie C1; c) lo status attuale di Società titolare del “titolo sportivo” per presentare domanda di iscrizione al campionato di serie C1. - con riserva di tutelare anche in altre sedi i propri interessi, e con vittoria di spese e onorari. A sostegno della domanda la U.S. Viterbese Calcio esponeva in punto di fatto: 1) che in data 24 giugno 2004 era stato formalizzato il passaggio della Società Viterbese dal dott. Fabrizio Cappucci alla SOGEFI spa, con la nomina del Dr. Flenghi come Amministratore Delegato; 2) che con lettera in data 24 maggio 2004, la Lega Professionisti di Serie C 1 aveva richiesto alla Società di depositare la fideiussione di 207.000 euro necessaria per l’iscrizione al campionato di Serie C 1 per la stagione 2004- 2005, entro il 6 luglio 2004. 3) Che in data 9 luglio 2004, la Lega Professionisti di Serie C 1, non avendo ancora ricevuto la fideiussione de qua, precisava alla Società che avrebbe informato di tale circostanza la Federazione Italiana Giuoco Calcio. 4) Che in data 19 luglio 2004, la COVISOC aveva riscontrato il mancato possesso di alcuni dei requisiti previsti per l’iscrizione al campionato, ovvero in particolare: a) La presenza di debiti nei confronti di enti previdenziali e del fondo di fine carriera, scaduti al 30 aprile 2004, relativi a tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo; b) Mancato deposito della garanzia bancaria di 207.000 Euro. 5) Che in data 21 luglio 2004 la Viterbese aveva presentato ricorso, precisando che: a) Per quanto riguarda i debiti con gli Enti previdenziali, essi sarebbero stati saldati prima possibile (come ribadito dal dott. Flenghi in una dichiarazione allegata al ricorso stesso) e che non erano ancora stati saldati perché il nuovo proprietario e la nuova gestione della società non sapevano che i termini indicati ( 6 luglio 2004) fossero perentori, non essendo espressamente indicati come tali né nelle comunicazioni inviate alla Società, né nei relativi Comunicati Ufficiali F.I.G.C.; b) Per quanto riguarda il deposito della fidejussine di 207.000 Euro, essa era stata rilasciata, tanto che essa veniva allegata al ricorso (in un momento successivo al termine del 6 luglio, e ciò in quanto lo stesso non era espressamente indicato come termine perentorio né nelle varie comunicazioni inviate dalla federazione alla Società, né nei vari Comunicati Ufficiali federali, ma soltanto, per la prima volta, nella comunicazione della Lega Professionisti di Serie C del 9 luglio, ovvero dopo la scadenza del termine del 6 luglio 2004). 6) Che in tale situazione, con il provvedimento ora impugnato, su parere della COAVISOC emanato in data 26 luglio 2004, il Consiglio federale della F.I.G.C. aveva disposto “la non ammissione della U.S. Viterbese Calcio al Campionato di Serie C1 (stagione sportiva 2004-2005)”. In diritto la ricorrente premetteva innanzitutto considerazioni sulla natura delle decisioni della Camera di Conciliazione e di arbitrato per lo Sport affermando che, così come statuito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5025/2004, la decisione della Camera di Conciliazione e di Arbitrato per lo sport del C.O.N.I., specie quando riguardi provvedimenti relativi ad esclusione dei campionati agonistici (incidendo essi su interessi legittimi) avrebbe carattere di provvedimento amministrativo e non di lodo arbitrale. Conseguentemente non procedeva a formulare la dichiarazione di cui all’art. 5 co.1, del regolamento della Camera per le questioni in materia di ammissione ai campionati, “con la quale la parte ricorrente dà atto che la decisione arbitrale richiesta è irrevocabilmente riconosciuta come manifestazione della propria volontà e di conseguenza si impegna a rispettarla”. Quindi deduceva: 1) Che alla luce di quanto chiarito dal Consiglio di Stato con la citata sentenza, tutta la fase dei ricorsi in ambito sportivo (ivi compresa la fase del ricorso alla camera di Conciliazione e Arbitrato) altro non era che una fase di svolgimento di attività amministrativa endoprocedimentale, che si conclude proprio con la decisione della camera di Conciliazione e Arbitrato stessa, che costituisce il provvedimento finale avente carattere di provvedimento amministrativo (poi, quindi impugnabile al T.A.R.): e proprio in tal senso si spiegherebbe (sempre alla luce della sentenza de qua) l’obbligo di esaurire tutti i gradi di giustizia sportiva (compresa la Camera di Conciliazione e Arbitrato) prima di proporre ricorso al T.A.R. (art. 3 legge n. 280/2003), in quanto, prima della decisione della Camera di Conciliazione, il procedimento amministrativo non si è ancora concluso, con l’effetto che, ai fini della valutazione sull’iscrivibilità o meno di una società ad un campionato, essa dovrebbe essere ammessa a regolarizzare la propria posizione fino al momento di tale decisione, giacchè l’unico termine veramente perentorio, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza, è il giorno di emanazione della decisione da parte della Camera di Conciliazione e Arbitrato. 2) Che pertanto, per quanto attiene alle irregolarità contestate alla Viterbese esse non potevano sussistere, dal momento che: a) Per quanta riguarda i debiti con l’ ENPALS la Società ricorrente si era impegnata (anche sottoscrivendo il ricorso) a regolarizzare tale posizione prima della decisione della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport sul ricorso stesso, riservandosi di dare prova di tale avvenuta regolarizzazione all’udienza fissata innanzi alla Camera di Conciliazione; b) Per quanta riguarda il deposito della fidejussione di 207.000 Euro, tale profilo era già stato regolarizzato, in quanto la fidejussione era stata regolarmente prodotta; 3) Che comunque il provvedimento impugnato risultava manifestamente illegittimo in quanto non poteva espressamente comportare la privazione della Viterbese del proprio status di titolare del “titolo sportivo” per la serie C1 e il proprio status di soggetto affiliato alla Lega Professionisti di Serie C; tale conseguenza sarebbe, infatti, in primis illegittima per violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 (mancata comunicazione dell’avvio del procedimento), comunicazione necessaria in quanto il provvedimento di diniego del titolo sportivo per la serie C1 e di decadenza dall’affiliazione alla Lega Professionisti di serie C sarebbe un provvedimento amministrativo a tutti gli effetti ed inciderebbe in maniera rilevante sullo status di soggetto affiliato; 4) Che il provvedimento impugnato (qualora esso comportasse indirettamente la perdita definitiva del titolo sportivo per la Serie C1) era manifestamente illegittimo, sotto il profilo sostanziale, in quanto determinava un effetto devastante (perdita definitiva del titolo sportivo per la relativa categoria, nella fattispecie Serie C1) soltanto in virtù del diniego di iscrizione, per ragioni meramente contabili, ad un determinato campionato per una determinata stagione agonistica: tale effetto perverso sarebbe stato in palese contrasto con quanto disposto dal provvedimento del Consiglio Federale del 27/07/2004, che, in conseguenza di alcuni marginali difetti e ritardi nella documentazione contabile depositata dalla Viterbese (fideiussione di 207.000 Euro depositata dopo il 6 luglio 2004 e mancato pagamento di tutti i debiti con l’ENPALS), ne aveva disposto esclusivamente il diniego di iscrizione soltanto “per la stagione agonistica 2004-2005”, ma in alcun modo aveva specificato che tale provvedimento avrebbe avuto l’effetto (devastante) della perdita definitiva del relativo titolo sportivo. 5) che per le stesse ragioni dovevano ritenersi manifestamente illegittime tutte le norme regolamentari federali (norme di fonte regolamentare e quindi c.d. “secondaria”) che eventualmente prevedono la perdita del titolo sportivo come conseguenza del provvedimento di diniego di iscrizione ad un campionato per ragioni contabili per una certa stagione agonistica, in quanto norme aventi un contenuto palesemente illegittimo per violazione della superiore normativa di cui all’art. 12 della legge n. 91/1981 (fonte di legge e quindi c.d. fonte primaria), in base alla quale le Federazioni sportive hanno un potere di controllo sull’equilibrio finanziario delle società sportive “al solo fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati”. La convenuta F.I.G.C. si costituiva depositando e notificando tempestivamente memoria datata 31 luglio 2004 con la quale chiedeva la reiezione delle domande proposte dalla Viterbese Calcio ’90 srl in quanto inammissibili e comunque infondate in fatto e in diritto, con vittoria di spese, competenze e onorari. Eccepiva innanzitutto doversi escludersi la natura non perentoria dei termini fissati per la presentazione della documentazione volta ad attestare il possesso dei requisiti necessari alla iscrizione ai Campionati Professionistici; ed invero che nulla vieta che anche all’interno di un procedimento amministrativo possa essere prescritta l’osservanza di termini perentori. La giurisprudenza amministrativa sarebbe, infatti unanime nel ritenere che l’Amministrazione possa “apporre termini, anche perentori, al fine di dare certezza ai rapporti giuridici e di assicurare la tempestiva conclusione del procedimento” (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 5998 del 4 novembre 2002). Il Consiglio di Stato con riferimento a controversie aventi ad oggetto l’iscrizione ai campionati di calcio avrebbe ritenuto la perentorietà del termine fissato per la regolarizzazione degli adempimenti economici da parte delle società, affermando che la natura perentoria dei limiti temporali fissati a tal fine, pur se non sancita dal dato testuale delle disposizioni federali vigenti all’epoca, può essere “ricavabile dalla natura e della finalità del termine in rilievo, in quanto la funzione, assolta da tali termini, di individuare gli aventi titolo alla partecipazione al campionato, implica la necessità di uno sbarramento temporale netto e sufficientemente anticipato al fine di garantire l’espletamento di tutti gli incombenti organizzativi funzionali all’avvio del campionato” (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 2546/2001). Incontestabilmente, quindi, alla Viterbese non poteva essere riconosciuta la possibilità di regolarizzare la propria posizione nel corso del presente giudizio arbitrale, essendo ormai spirati i termini perentori di cui al C.U. n. 167/A. Contestava inoltra la FIGC che nella specie vi fosse un obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento per il diniego del titolo sportivo per la serie C1, dovendosi rilevare che la mancata iscrizione della Viterbese al campionato di serie C1 stagione calcistica 2004-2005 costituiva l’esito dell’iter avviato con la domanda di iscrizione presentata dalla stessa società e che era principio generale del diritto amministrativo quello per cui “l’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo sussiste solo quando l’Amministrazione si attivi d’ufficio e non anche quando essa adotti un provvedimento, ancorché di segno negativo, in seguito ad una iniziativa del destinatario dell’atto” (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, n. 1283 del 10 marzo 2003). Nel merito, premessa la anzidetta perentorietà dei termini, rilevava infine la FIGC che gli adempimenti della Viterbese erano sostanzialmente ammessi nella domanda di arbitrato, contenente – con riguardo ai debiti con l’ENPALS – l’impegno a saldarli prima della udienza del Collegio, e - con riguardo alla fideiussione – l’affermazione di essersene dotata solo il 21 luglio 2004. ************************************ All’odierna udienza, le parti insistevano nelle rispettive richieste; ammetteva, comunque, parte ricorrente che il debito con l’ENPALS non era stato ancora saldato. Dopo la discussione, sentito il CTU dott. Carlo Purificato, l’arbitrato veniva deciso come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE A. Sul procedimento 1. Preliminarmente il Collegio ritiene utile correttamente inquadrare il significato e la natura del presente procedimento, confermandone la natura arbitrale, nonché rilevando la deducibilità in arbitrato della controversia insorta tra la Soc. Viterbese Calcio 90 srl e la FIGC. 2. In primo luogo, deve rilevarsi che la Camera è stata istituita ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del CONI del 2000 presso il medesimo ente pubblico in quanto rappresentativo di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo; e che in riferimento a ciò è stato approvato lo Statuto della FIGC, il quale all’art. 27 consente la devoluzione in arbitrato di pressoché tutte le controversie tra la federazione e altro soggetto dell’ordinamento federale. In secondo luogo, si deve sottolineare che le regole contenute nel Regolamento ad hoc alla base della presente procedura arbitrale speciale – amministrata dalla stessa Camera –sono state approvate dal Consiglio Nazionale del CONI nella riunione del 30 aprile 2004 quale annesso al Regolamento della Camera. Ebbene, tale Regolamento ad hoc – approvato successivamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, anche ai sensi della legge n. 138/1992 – prevede che il lodo è imputabile esclusivamente all’organo arbitrale e che in nessun caso il lodo può essere considerato atto della Camera o del CONI. In terzo luogo, deve essere rimarcato che, sempre nell’ambito delle controversie compromettibili in arbitrato, la l. 17 ottobre 2003 n. 280, nel devolvere la maggior parte delle controversie aventi ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni sportive rilevanti per l’ordinamento statale alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, allo stesso tempo, ha affermato espressamente che “in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle Federazioni sportive” (art. 3 comma 1). In conclusione, dunque, per tutte queste ragioni, il Collegio riafferma che la presente procedura attivata dalla Ricorrente ha natura arbitrale e che in nessun caso il lodo può essere considerato atto della Camera o del CONI. 3. Il Collegio rileva altresì il carattere “arbitrabile” della controversia dedotta nel presente arbitrato, che vede contrapposta una società di calcio professionistico la Viterbese Calcio ’90 ad una Federazione sportiva (la FIGC) in relazione al diniego da parte della seconda all’iscrizione della prima ad un campionato di calcio, conseguente alla verifica della insussistenza dei requisiti stabiliti dalla normativa federale per la iscrizione al campionato. Il Collegio condivide integralmente a tal proposito le considerazioni svolte (in materia di affiliazione) da altro Collegio istituito in seno alla Camera, nel lodo deliberato il 27 luglio 2004 nei procedimenti promossi da A.C. Perugia S.p.A. c. FIGC e Parma A.C. S.p.A. Ritiene, infatti, il Collegio che la questione non possa essere risolta invocando l’automatica applicazione dei più restrittivi orientamenti tradizionalmente formulati con riguardo alle controversie di cui sia parte una pubblica amministrazione (anche se si assumesse di riconoscere tale natura alla FIGC, il che comunque, come più oltre rilevato, non appare possibile). Anche in quest’ultimo ordine di ipotesi, in verità, è possibile registrare negli ultimi anni una profonda evoluzione normativa e giurisprudenziale. Da tempo, si riconosce la compromettibilità in arbitrato delle controversie relative all’attività di diritto privato della pubblica amministrazione di naturale spettanza dell’autorità giudiziaria ordinaria. Più di recente, la legge n. 205/2000 ha esplicitamente affermato la possibilità di risolvere in arbitrato rituale di diritto anche le controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 6 comma 2). Dalle norme che facoltizzano la negoziazione del potere amministrativo attraverso la stipula di accordi procedimentali (art. 11 e 15, l. n. 241/1990) c’è poi chi addirittura trae la conclusione che anche l’interesse pubblico sia disponibile: pertanto, persino le controversie che contrappongono questo agli interessi legittimi dei privati sarebbero passibili di compromesso arbitrale. Dunque, anche con riguardo alle controversie di cui sia parte una pubblica amministrazione, si registra una chiara tendenza alla progressiva estensione delle ipotesi in cui è ammesso il ricorso all’arbitrato. Ad avviso del Collegio, tale tendenza deve essere affermata in modo ancora più netto per le controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a una società affiliata, per tre ordini di ragioni. In primo luogo, la Federazione costituisce un soggetto formalmente e sostanzialmente privato, non pubblico. Ciò risulta in modo inequivocabile dal decreto legislativo n. 242/1999, successivamente modificato e integrato dal d.lgs. n. 15/2004, secondo cui le Federazioni sportive nazionali sono persone giuridiche di diritto privato. Permane, è vero, una loro dimensione pubblicistica, ma questa si appunta esclusivamente su specifici segmenti dell’attività, la cui individuazione è rimessa allo Statuto del CONI. Anche a voler ammettere che le vicende controverse involgano lo svolgimento di uno dei profili a rilevanza pubblicistica dell’attività delle Federazioni sportive nazionali, il Collegio non ritiene che se ne possano trarre le conseguenze prima indicate in termini di qualificazione delle situazioni giuridiche soggettive e di limiti alla deducibilità in arbitrato delle stesse. In questo ordine di idee si pone ora il nuovo art. 22 comma 2 dello Statuto del C.O.N.I. ove si afferma che “nell’esercizio delle attività a valenza pubblicistica, di cui al comma 1, le Federazioni sportive nazionali si conformano agli indirizzi e ai controlli del C.O.N.I. ed operano secondo principi di imparzialità e trasparenza”. Tuttavia, si chiarisce espressamente che “la valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse”. Ciò vale anche nel caso di specie, dove i poteri della Federazione di cui si discute nella presente controversia non sono certo riconducibili al paradigma tipico della discrezionalità amministrativa, ma si presentano in termini rigorosamente vincolati. È dunque opinione del Collegio che rispetto agli atti in questione, al ricorrere dei requisiti previsti, le società sportive abbiano un diritto soggettivo all’emanazione dell’atto (di iscrizione) positivo o negativo. In secondo luogo, le controversie in esame non involgono i rapporti tra soggetti giuridici reciprocamente estranei, l’uno, la Federazione, titolare di una situazione di potere, e gli altri, le società sportive, destinatarie passive del corretto esercizio di tale potere. La Federazione, infatti, è l’associazione (privata) di tali società, con la conseguenza che tra l’una e le altre si controverte semplicemente della corretta esecuzione del contratto associativo ed al godimento di diritti ad esso relativi e non in relazione all’irrogazione di una sanzione amministrativa. Di conseguenza, la valutazione della compromettibilità in arbitrato delle controversie deve essere svolta con categorie privatistiche, non pubblicistiche. Anche in questa diversa prospettiva è possibile rilevare un deciso favor dell’ordinamento per l’estensione del ricorso all’istituto arbitrale. Si pensi alla recente riforma del diritto societario, ove già la legge delega apriva la strada all’inserimento negli statuti di clausole compromissorie aventi anche ad oggetto questioni che non possono formare oggetto di transazione, in deroga agli art. 806 e 808 c.p.c. Quindi l’art. 3 del decreto legislativo n. 5/2003 ha espressamente previsto la deferibilità in arbitrato delle impugnative relative alle delibere assembleari e consiliari. In una logica non dissimile va dunque apprezzata l’ampia previsione contenuta negli statuti delle Federazioni sportive, sulla base della norma facoltizzante contenuta nell’art. 12 dello Statuto del CONI del 2000. L’art. 27 dello Statuto della FIGC, in particolare, consente la devoluzione in arbitrato di pressoché tutte le controversie tra la federazione e altro soggetto dell’ordinamento federale: nessun riferimento è fatto ad altri limiti derivanti dalla natura dei poteri esercitati o delle situazioni giuridiche soggettive azionate. In terzo luogo, solidi argomenti in favore della conferma della arbitrabilità della controversia derivano dalla configurazione particolarmente ampia che la clausola arbitrale riveste nell’ambito dell’ordinamento sportivo e della legislazione statale in materia di sport. Innanzi tutto, è bene ricordare che, nell’ambito dell’ordinamento sportivo internazionale, al quale deve necessariamente uniformarsi quello nazionale, da anni opera un Tribunale arbitrale dello sport, cui sono devolute, tra le altre, proprio alcune di quelle controversie, che, inquadrate nelle categorie giuridiche nazionali, sono espressione del potere pubblicistico delle federazioni (in primis le sanzioni in materia di doping). Ma, per venire alla legislazione statale in materia di sport, decisiva appare la l. 17 ottobre 2003 n. 280. La legge, innanzi tutto, introduce una speciale riserva in favore della giustizia endoassociativa per tutte le questioni rilevanti esclusivamente per l’ordinamento sportivo. La legge, inoltre, devolve la maggior parte delle controversie aventi ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni sportive rilevanti per l’ordinamento statale alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Allo stesso tempo, però, la legge, come già ricordato, afferma espressamente che in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI e delle Federazioni sportive. L’ambito delle controversie compromettibili in arbitrato, dunque, appare in questo settore persino più ampio di quello previsto dall’art. 6 della legge n. 205 del 2000, travalicando la sfera dei diritti soggettivi e aprendo la strada anche all’arbitrato irrituale. Per tutte queste ragioni, il Collegio ritiene dunque di potersi validamente pronunciare su tutte le questioni attinenti direttamente o indirettamente alla iscrizione di una società sportiva ad un campionato di calcio professionistico. B. Nel merito Nel corso dell’odierna udienza la parte ricorrente ha ammesso che fino a quel momento i debiti con gli Enti previdenziali scaduti al 30/04/2004 non erano stati ancora saldati. In tal modo ha confermato il perdurare dell’assenza di uno dei requisiti previsti per l’iscrizione al campionato già evidenziata dalla COVISOC il 19 luglio 2004, poi dalla COAVISOC il 26 luglio 2004, e posta a fondamento del provvedimento di non ammissione al campionato emanato dal Consiglio Federale della FIGC. Le disposizioni relative all’iscrizione ai campionati di calcio professionistico per la stagione calcistica 2004-2005 rilevanti ai fini del presente giudizio possono invero essere rinvenute nel CU n. 162/A della FIGC, il quale ha, tra l’altro, così stabilito: “1. Costituiscono condizioni per l’iscrizione ai Campionati professionistici della stagione sportiva 2004/2005: a) il rispetto dei criteri economico finanziari richiesti per il rilascio delle Licenze UEFA. Le società sono tenute al deposito presso la Co.Vi.So.C. del bilancio relativo all’ultimo esercizio e della relazione semestrale. Le società neo promosse in Serie A, le società di Serie B e di Serie C non hanno l’obbligo della certificazione dei bilanci; b) l’assenza di debiti nei confronti dell’Erario per i rapporti di cui alla successiva lettera c.a) scaduti al 30 giugno 2003; c) l’assenza di debiti scaduti al 30 aprile 2004: c.a) nei confronti di tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo; c.b) nei confronti di enti previdenziali e del fondo di fine carriera, per quanto attiene al precedente punto c.a); […]”. Nella perdurante assenza, ammessa dalla Ricorrente, del requisito stabilito al punto 1 lett. c.b) del CU n. 167/A, la domanda di annullamento del provvedimento di non iscrizione al campionato non può che essere respinta e diventa irrilevante esaminare la questione relativa alla perentorietà o meno del termine del 6 luglio 2004 fissato per conseguire e/o dimostrare il possesso dei requisiti di ammissione al campionato. Allo stesso modo diventa superfluo affrontare la questione della dedotta violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, facendo comunque presente che l’univoca e condivisibile giurisprudenza citata dalla convenuta FIGC porta a escludere la violazione stessa. Peraltro l’art.7 della L.241/90 non è applicabile nei casi in cui , come quello in esame , è sufficentemente compiuta la disciplina del procedimento in cui è invocata la lesione della partecipazione procedimentale (argomenta ex art.13 legge 241/90). Comunque la tutela ex art.7 citato non è invocabile ricorrendo, in concreto,l’assenza di discrezionalità nel provvedimento di ammissione al campionato oltre che esigenze di celerità, e considerata la mancata prova da parte della società ricorrente sia dell’utilità della comunicazione (cd. prova di resistenza), in relazione all’ininfluenza della partecipazione sull’esito del procedimento federale in esame : in tutte queste ipotesi è pacifica in giurisprudenza l’esclusione della comunicazione dell’avvio del procedimento. Con la domanda di arbitrato la Viterbese Calcio ’90 srl ha chiesto altresì che comunque venissero confermati a proprio favore: a) Lo status di società affiliata alla FIGC; b) Lo status di società affiliata alla Lega Professionisti di Serie C1; c) Lo status di società titolare del “titolo sportivo” per presentare domanda di iscrizione al campionato di serie C 1. Con riguardo a tali domande deve ricordarsi che a mente dell’art. 2, co. 1, lett. B. del Regolamento ad hoc, la procedura di arbitrato disciplinata da tale Regolamento ha come oggetto “la concessione, il diniego o la revoca da parte della Federazione della iscrizione ai campionati nazionali di calcio professionistico”. Le domande anzidette non possono ricondursi, nemmeno indirettamente, al predetto oggetto della controversia che può trovare risoluzione attraverso la procedura in questione, e pertanto debbono valutarsi inammissibili. C. SPESE 1. Gli onorari per il Collegio Arbitrale sono stabiliti nell’importo di euro 10.000 (diecimila euro) . Tali onorari dovranno essere versati nella misura del 40% al Presidente del Collegio e del 30% a ciascuno degli arbitri. 2. Gli onorari del CTU possono liquidarsi in euro 1.000 (mille euro). 3. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di assistenza legale sopportate da ciascuna delle parti nel presente procedimento e per porre a carico di entrambe le parti, nella misura del 50% ciascuna, ma con il vincolo della solidarietà per l’intero, gli onorari del Collegio Arbitrale e del consulente tecnico d’ufficio. P.Q.M. Il Collegio Arbitrale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le parti, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione, - rigetta il ricorso con riguardo alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato e di richiesta di iscrizione della società al campionato di serie C1 2004- 2005, e lo dichiara inammissibile per le restanti domande; - spese compensate; - liquida come da separata ordinanza gli onorari e le spese del C.T.U., che pone a carico delle parti in via solidale; - determina come da separata ordinanza gli onorari e le spese a carico delle parti in via solidale da corrispondere all’organo arbitrale. Così deciso in Roma, il 9 agosto 2004, nella conferenza personale degli arbitri e con voti unanimi. F.to Avv. Mario Antonio Scino F.to Dott. Salvatore Cirignotta F.to Prof. Avv. Luigi Fumagalli
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