F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 7/CF del 01 settembre 2006 1. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA A.C. AREZZO S.p.A. AVVERSO LA SANZIONE DELLA PENALIZZAZIONE DI NOVE PUNTI IN CLASSIFICA NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006-2007 INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 6/C del 17 agosto 2006) 2. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. GENNARO MAZZEI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE INFLITTAGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.6/C del 17 agosto 2006) 3. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. TITOMANLIO STEFANO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE INFLITTAGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.6/C del 17 agosto 2006) 4. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELL’ A.C. MILAN AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI EURO 10.000,00 (DIECIMILA) INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.6/C del 17 agosto 2006) 5. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. LEONARDO MEANI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI TRE INFLITTAGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 6/C del 17 agosto 2006) 6. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ U.S. AVELLINO S.p.A. AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELL’A.C. AREZZO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 6/C del 17 agosto 2006)

F.I.G.C. – CORTE FEDERALE – 2006/2007 – Decisione pubblicata sul sito web: www.figc.it e sul Comunicato ufficiale n. 7/CF del 01 settembre 2006 1. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA A.C. AREZZO S.p.A. AVVERSO LA SANZIONE DELLA PENALIZZAZIONE DI NOVE PUNTI IN CLASSIFICA NELLA STAGIONE SPORTIVA 2006-2007 INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 6/C del 17 agosto 2006) 2. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. GENNARO MAZZEI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE INFLITTAGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.6/C del 17 agosto 2006) 3. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. TITOMANLIO STEFANO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER ANNI TRE INFLITTAGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.6/C del 17 agosto 2006) 4. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELL’ A.C. MILAN AVVERSO LA SANZIONE DELL’AMMENDA DI EURO 10.000,00 (DIECIMILA) INFLITTA A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n.6/C del 17 agosto 2006) 5. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DEL SIG. LEONARDO MEANI AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI TRE INFLITTAGLI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 6/C del 17 agosto 2006) 6. RICORSO DI ULTIMA ISTANZA AI SENSI DELL’ART. 32, COMMA 7, STATUTO F.I.G.C. E ART. 38, CODICE GIUSTIZIA SPORTIVA DELLA SOCIETA’ U.S. AVELLINO S.p.A. AVVERSO DECISIONI A SEGUITO DEL DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE A CARICO DELL’A.C. AREZZO S.p.A. E ALTRI (Delibera C.A.F. Com. Uff. n. 6/C del 17 agosto 2006) Pertanto, la Corte Federale ha pronunciato la seguente decisione, in merito agli appelli in epigrafe specificati, sulla base delle osservazioni che seguono. I. ATTO DI DEFERIMENTO Invero, il presente procedimento trae origine dai deferimenti disposti in data 8 agosto 2006 dal Procuratore Federale nei confronti delle seguenti persone fisiche e giuridiche, alla luce dell’art. 28, comma 4, lett. B, del Codice di Giustizia Sportiva. DEFERENDO 1) MAZZEI Gennaro, all’epoca dei fatti Vice Commissario CAN; 2) TITOMANLIO Stefano, all’epoca dei fatti assistente arbitrale; 3) A.C. AREZZO S.p.A.; 4) MEANI Leonardo, all’epoca tesserato A.C. MILAN S.p.A. quale addetto agli arbitri; 5) A. C. MILAN S.p.A., per rispondere: i primi due, della violazione dell’art. 6, commi 1 e 6, C.G.S. in relazione alla condotta antiregolamentare sopra descritta, con l’aggravante della effettiva alterazione dello svolgimento della gara, ex art. 6, comma 6, C.G.S.; la soc. AREZZO, a titolo di responsabilità presunta ex artt. 6, comma 4, 2, comma 3, e 9, comma 3, C.G.S., per la condotta a suo vantaggio posta in essere dal MAZZEI e dal TITOMANLIO e dal BERGAMO (non più tesserato), persone estranee alla stessa Società, con l’aggravante della effettiva alterazione dello svolgimento della gara, ex art. 6, comma 6, C.G.S.; il MEANI, della violazione dell’art. 6, comma 7, C.G.S., per l’omessa denuncia dell’illecito descritto nella parte motiva ascritto al MAZZEI ed al TITOMANLIO; 4 la soc. MILAN, a titolo di responsabilità oggettiva ex art. 2, comma 4, C.G.S., per la violazione ascritta al MEANI, proprio tesserato, all’epoca dei fatti. II. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto dell’ 8 agosto 2006, conseguente alla motivata relazione dell’Ufficio Indagini del precedente 31 agosto, il Procuratore Federale deferiva alla Commissione d’Appello Federale: 1. Gennaro Mazzei e Stefano Titomanlio, che all’epoca dei fatti in questione rivestivano le rispettive cariche di Vice-Commissario C.A.N. e di Assistente Arbitrale, per la violazione dell’art. 6, commi 1, e 6, C.G.S. in relazione alle condotte antiregolamentari tenute dal secondo (oltre che da Paolo Bergamo, non più tesserato) ed incoraggiate dal primo, nel corso della gara Arezzo-Salernitana del 14 maggio 2005, vinta per 1 a 0 dalla squadra di casa, e consistenti, secondo quanto sarebbe emerso dalla conversazione telefonica intercettata tra Titomanlio e Leonardo Meani, tesserato della A.C. Milan S.p.a. in un atteggiamento favoritistico verso la squadra toscana in termini di dolosa interruzione di azioni da attacco della compagine avversaria: ad entrambi veniva contestata l’aggravante, di cui al comma 6 della norma citata, dell’effettiva alterazione dello svolgimento della gara; 2. l’A.C. Arezzo S.p.a., a titolo di responsabilità presunta, per le condotte a suo vantaggio poste in essere da Mazzei e Titomanlio, estranei alla società; 3. Leonardo Meani, per l’omessa denuncia dell’illecito ascritto a Mazzei e Titomanlio, e da lui conosciuto nel corso della conversazione telefonica con quest’ultimo; 4. la Società Milan S.p.a. per responsabilità oggettiva per la violazione ascritta al proprio tesserato Meani. Compiuti gli atti preliminari di rito il dibattimento si svolgeva davanti alla C.A.F. nella seduta del 14 agosto 2006, nel cui corso il Collegio adottava provvedimenti ordinatori con i quali: a) ammetteva l’intervento della Società Avellino, in testa alla quale riconosceva la sussistenza dell’interesse concreto di cui all’art. 29, comma 3 CGS; b) rigettava l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche nonché ogni richiesta istruttoria, ad eccezione di quella, formulata dalla Società Arezzo, di acquisizione degli audiovisivi relativi alla gara incriminata e dei documenti esibiti, tranne la trascrizione di conversazione telefonica a firma Vincenzo Romano. In esito all’istruttoria dibattimentale, la C.A.F., con decisione del 14 agosto 2006, pubblicata nel C.U. 6/C del successivo 16 agosto dichiarava la responsabilità dei deferiti in relazione alle incolpazione loro rispettivamente ascritte e, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 6 comma 6 CGS, infliggeva a Gennaro Mazzei e Stefano Titomanlio la sanzione dell’inibizione di tre anni ciascuno, alla A.C. Arezzo S.p.a. la penalizzazione di 9 punti in classifica nella stagione sportiva 2006-2007, a Leonardo Meani l’inibizione per tre mesi, alla A.C. Milan S.p.a. l’ammenda di 10.000,00 euro. Nella decisione impugnata i primi giudici, dopo aver ribadito la propria ordinanza istruttoria, osservavano che era provato il compimento, da parte di Titomanlio e Mazzei, di atti diretti ad alterare lo svolgimento della gara Arezzo - Salernitana quali si desumevano dalla conversazione telefonica (emendata nella sua trascrizione da errori rilevati dalla stessa C.A.F.) del giorno successivo tra il primo degli incolpati e Meani, nel corso della quale Titomanlio riferiva all’interlocutore della genesi dei suggerimenti ricevuti da Mazzei e del suo invito “a non dir niente neanche all’altro assistente né all’arbitro” nonché di quello rivoltogli da Bergamo a mettersi in contatto con Mazzei. La Commissione poneva, inoltre, in rilievo che nella memoria dibattimentale il Mazzei aveva ammesso, ad integrazione delle dichiarazioni rese all’Ufficio Indagini, di aver chiesto a Titomanlio di prestare alla gara la massima attenzione, data la sua delicatezza. La decisione attribuiva anche peso probatorio alla frase di Meani secondo cui “ma loro praticamente quando gli danno questo imput è come dire dai un occhio all’Arezzo” e alla risposta dell’incolpato nonché alle dichiarazioni istruttorie dell’osservatore arbitrale Luciano Luci che aveva segnalato un eccesso interventistico dell’assistente, il quale nel secondo tempo si era sostituito per ben tre volte all’arbitro nella segnalazione di falli di gioco, pur relativi a situazioni nel pieno controllo del direttore di gara.La Commissione riteneva che andasse esclusa l’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 6 CGS alla stregua della doppia considerazione che l’arbitro aveva, comunque, condiviso le segnalazioni di Titomanlio e che non vi era la prova che gli interventi dell’incolpato possedessero un’attitudine oggettiva ad incidere in modo significativo sull’andamento della gara.Veniva, inoltre, affermata la responsabilità presunta dell’Arezzo sotto il profilo che, seppur mancasse la prova del diretto coinvolgimento della società, l’illecito accertato era idoneo a favorire la stessa. Veniva, infine, riconosciuta la responsabilità di Meani (e quella oggettiva del Milan, società per la quale l’incolpato era tesserato) in relazione alle informazioni telefoniche fornitegli da Titomanlio, capaci di fargli chiaramente avvertire l’illeicità dei comportamenti descritti. Contro la decisione hanno proposto impugnazione: 1. la A.C. Arezzo S.p.a sulla base di un triplice motivo, con cui si fa valere l’insussistenza dell’illecito, l’erronea valutazione delle risultanze processuali, l’eccessività della sanzione; 2. Gennaro Mazzei, sulla base di un unico, articolato motivo volto a confutare la sussistenza dell’illecito contestatogli e, in subordine, ad ottenere la diversa qualificazione della propria condotta come trasgressiva dell’art. 1 CGS; 3. Stefano Titomanlio, sulla base di un articolato motivo in cui si prospettava l’insussistenza dell’illecito addebitatogli e si censurava la decisione impugnata sotto il profilo della motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria e si domandava, in subordine la mitigazione della pena in conseguenza della richiesta, diversa qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 1 CGS; 4. Leonardo Meani che, sulla base di un motivo unico, contestava la sussistenza dell’obbligo di denuncia addebitatogli, in ragione della carente certezza che dalla telefonata con Titomanlio emergesse un illecito; 5. la A.C. Milan S.p.a. che, con articolato motivo, sosteneva che solo la riferibilità alla società di appartenenza degli atti posti in essere dal tesserato può giustificare l’addebito ad essa della responsabilità oggettiva, chiedendo il proscioglimento; 6. la società Unione Sportiva Avellino S.p.a., quale terza interessata, che lamentava l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha escluso la partecipazione diretta dell’Arezzo all’illecito di cui Mazzei e Titomanlio sono stati dichiarati responsabili nonché la ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 6 comma 6 CGS e conseguente determinazione in misura inadeguata per difetto la sanzione irrogata a carico della società incolpata. In esito all’odierno dibattimento nel corso del quale il Presidente dell’Arezzo rendeva spontanee dichiarazioni e tutte le parti ammesse a parteciparvi discutevano e replicavano in merito ai reclami proposti, il procedimento veniva deciso come da dispositivo. III. MOTIVI DELLA DECISIONEVa, preliminarmente, ribadita l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche provenienti dall’indagine penale, ed a maggior ragione la loro rilevanza in termini di ricognizione storica di condotte ed eventi rilevanti ai fini del presente procedimento, in conformità alla giurisprudenza, sia di questa Corte, che della C.A.F. da quest’ultima esattamente citata nella decisione impugnata. Ciò premesso, l’ordine logico dell’esame delle impugnazioni deve procedere da quello riguardante le posizioni degli appellanti Mazzei e Titomanlio, chiamati a rispondere della commissione dell’illecito costituente il presupposto di quelli a vario titolo (presunto, omissivo, oggettivo) contestati agli altri incolpati.La decisione impugnata ha ritenuto che la prova della responsabilità degli appellanti citati, in relazione all’illecito sportivo posto in essere al riguardo della gara del campionato di serie B tra Arezzo e Salernitana, disputatasi il 14 maggio 2005, fosse stata pienamente raggiunta in virtù di quanto emerge dall’intercettazione del colloquio telefonico fra Titomanlio e Meani, dirigente della società Milan con la qualifica di addetto agli arbitri, svoltosi l’indomani della partita. La Commissione d’Appello Federale ha vagliato criticamente, collegandole tra loro, una serie di scambi registrati tra gli incolpati, pervenendo alla conclusione, avvalorata dal giudizio di inconsistenza delle rispettive dichiarazioni difensive, che la situazione di illecito si fosse configurata in modo chiaro ed in particolare che si fosse delineata con certezza la prova della adesione di Titomanlio alle raccomandazioni di Mazzei e della attitudine della stessa, anche avvalorata dalla deposizione istruttoria dell’osservatore arbitrale Luci, ad alterare lo svolgimento o il risultato della gara.La Corte ritiene che i motivi di impugnazione proposti nei confronti di questo capo della decisione non possono essere accolti in ragione della ineccepibilità e completezza della motivazione del provvedimento impugnato.Ed invero va premesso che l’illecito contestato ha ad oggetto il compimento di atti diretti alla alterazione dello svolgimento o del risultato di una singola gara e che, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte mutuata anche da quella della C.A.F., (confronta in particolare il recente C.U. 1/C della presente stagione sportiva), per il relativo perfezionamento occorre la combinazione fra più segmenti di condotta (dal proponente il programma illecito e dell’appartenente alla sfera tecnica, di volta in volta, interveniente: calciatori, tecnici, componenti la terna arbitrale, ecc.) munita di adeguata capacità causale.Ora, già in linea di principio, tale situazione sembra ricorrere nel caso di specie, poiché secondo le prospettazioni accusatorie il proponente il programma contestato (qualificato esponente della componente tecnica, in quanto designatore degli assistenti di gara) avrebbe stabilito un idoneo ed efficiente, allo scopo alterativo della gara, contatto con un protagonista tecnico della stessa, uno degli assistenti di gara.E’, quindi, indiscutibile che la condotta estrinsecatasi nel contatto tra i due, e, come si vedrà, preceduta da altro colloquio geneticamente rilevante tra Mazzei e uno dei designatori arbitrali (sottrattosi al presente procedimento per effetto di acconcia rinuncia al tesseramento), si prestasse, per le rispettive qualità soggettive e per il delicato ruolo tecnico da entrambi rivestito, a dar vita alla adeguata base per la commissione dell’illecito.Resta, adesso da verificare se, come ritenuto dai giudici di primo grado, il concreto atteggiarsi delle condotte degli incolpati quale si desume dalle intercettazioni telefoniche acquisite agli atti, abbia effettivamente integrato l’illecito loro contestato.E la risposta, ad avviso della Corte è positiva e confermativa del ragionamento dei giudici di prime cure, la cui decisione non merita, quindi, le censure mosse da Mazzei e Titomanlio. Ed infatti, la conversazione telefonica tra Titomanlio e Meani è pienamente dimostrativa della sussistenza dell’illecito loro ascritto e della consapevolezza della relativa ricorrenza anche da parte dell’estraneo alla sua commissione (circostanza che ovviamente spiega i propri effetti sulle posizioni dello stesso Meani e della sua società). Va aggiunto che le dichiarazioni di Titomanlio appaiono spontanee e genuine, ignorando egli le intercettazioni in corso e non provano che egli - peraltro in assenza di movente - abbia mentito a Meani. Dalla telefonata si ricava inequivocabilmente che prima della gara Titomanlio – che rivela direttamente il fatto al suo interlocutore – fu avvicinato da Bergamo – verosimilmente messo al corrente del piano da Mazzei e da questo, altrettanto verosimilmente incaricato di sensibilizzare, forte dell’autorità connessa al ruolo svolto nell’organizzazione arbitrale, Titomanlio - allo scopo di invitarlo a prendere contatti con Mazzei. E sempre dalle dichiarazioni intercettate dell’incolpato si evince che il contatto fu immediatamente realizzato (altrettanto verosimilmente nel corso del raduno che si stava svolgendo nel centro tecnico di Coverciano della componente arbitrale) con l’effetto di consentire a Mazzei – anch’egli dotato di forza persuasiva in virtù della carica sovraordinata – di dare a Titomanlio senza giri di parole l’elaborato messaggio secondo cui lo stesso Mazzei era sottoposto a pressioni da parte dell’Arezzo (il linguaggio è triviale, ma sufficientemente intelligibile quanto al significato affidatovi da chi lo usa) che lo infastidivano (“mi stanno rompendo….”) e lo allarmarono almeno metaforicamente (“questi … eh, mi uccidono”). Il corollario del messaggio era che si trattava di una “rogna” che il Titomanlio avrebbe dovuto “fare”. Dal colloquio telefonico scaturisce una coppia di essenziali informazioni: l’immediata adesione di Titomanlio al programma alterativo propostogli da Mazzei (lo stesso assistente riferisce di aver detto “non ci sono problemi”) e l’espresso divieto postogli dal Mazzei di comunicare alcunché all’arbitro (“chiunque venga fuori”) ed all’altro assistente sintomi evidenti della completa fiducia riposta nell’osservanza del patto e nelle assicurazioni ricevute.La percezione in senso illecitamente favoritistico è, già da queste stesse frasi di Titomanlio, chiara in Meani (di cui non va trascurata la precedente attività di assistente di gara che lo rende maggiormente attrezzato a comprendere contesto e senso di condotte e parole), che trae l’immediata (ed assolutamente lineare, alla luce dell’ascolto effettuato delle parole di Titomanlio) conclusione che la concertata azione tra Bergamo e Mazzei (con il primo che avvia l’assistente verso il secondo) fosse “un imput, è come dire “dà un occhio all’Arezzo”, società autrice secondo un precedente chiarimento fornito da Titomanlio su specifica richiesta di Meani, di quella “rottura” (intesa come pressione) di cui gli aveva finemente parlato Mazzei. La conclusione non è affatto respinta da Titomanlio, che, se da un canto non può negare l’evidenza della mancanza di una esplicita richiesta favoritistica da parte di Mazzei, dall’altro canto ammette di aver logicamente (ed inevitabilmente) interpretato in tale chiave la richiesta, valorizzando deduttivamente il monito ricevuto di “non stare a fare i discorsi a nessuno”, monito espressamente accolto attraverso l’assicurazione che egli avrebbe badato ai fatti propri, “ho detto cosa mi interessa … l’hai fatto a me il discorso”. L’andamento del colloquio telefonico e la successione delle frasi scambiate tra gli interlocutori è incalzante e conseguente il rilievo della piena armonia tra gli stessi nell’intendere l’oggetto e il fine della sollecitazione di Mazzei (su mandato di Bergamo), essi, infatti, si diffondono sulla situazione in classifica delle squadre in campo, sulla condizione di speciale protezione goduta dalle squadre toscane (all’osservazione di Meani replica Titomanlio citando il caso dell’Empoli) e soprattutto, sulla prestazione tecnica dell’assistente.L’analisi testuale di questa parte della conversazione tra due persone, che mostravano di sapere bene di cosa stavano discutendo, conferma che Titomanlio non si limitò a recepire il messaggio ricevuto da Mazzei, ma lo tradusse in azione cooperativa, allo scopo (così realizzando la massima espansione del segmento tecnico).Due specifici ed importanti elementi si ricavano dalle parole del Titomanlio delle quali Meani non si stupisce e rispetto alle quali chiede ulteriori dettagli puntualmente fornitigli dall’interlocutore: il fastidio per l’azione dell’osservatore Luci e la disistima per la sua competenza tecnica (“perché poi Luci certe volte non capisce …”), e per le critiche da lui ricevute (“però conoscendoti hai un po’ arbitrato oggi mi hai detto … sei andato su parecchie volte”) e, inoltre, l’astuzia del comportamento in gara dell’incolpato, che autoironicamente non manca di mettere in chiaro.Al riguardo si noti che Titomanlio non disconosce, parlando con Meani, il proprio ruolo protagonistico (nel senso dell’assolvimento di compiti non di mera segnalazione ma di direzione e, quindi, di natura sostanzialmente arbitrale) come si arguisce da un doppio passaggio. In primo luogo, egli, nel descrivere un’azione di attacco della squadra avversaria all’Arezzo, da lui bloccata in quanto comportante il rischio di dare il pareggio, riferisce di essersi detto “mo vado su perché almeno, almeno che la cosa sia pulita … capisci” (e Meani mostra di capire perfettamente, inserendosi in piena linea di continuità con l’osservazione coerente “comunque loro le toscane”).In secondo luogo, è sintomatica della “mens rea” di Titomanlio e della sua piena consapevole e meditata partecipazione al programma illecito propostogli da Mazzei (su mandato di Bergamo) la frase pronunciata telefonicamente a commento della critica di aver indossato i panni dell’arbitro rivoltagli verbalmente al termine della gara (e ribadita nel relativo rapporto) dell’osservatore Luci, “non gli potevo mica dire che stava premendo” (riferendosi con certezza alla squadra che manovrava in attacco prima di vedere interrotta la propria azione dall’intervento di Titomanlio e cioè la Salernitana). Conclusivamente, non residuano spazi di incertezza o ambiguità quanto a piena integrazione dell’illecito nei termini loro contestati, nei confronti di Mazzei e Titomanlio. La sanzione loro irrogata dalla C.A.F. si rivela perfettamente proporzionata alla gravità delle condotte e alla intensità del dolo.Va, quindi, confermato il capo che li riguarda della decisione impugnata. Dalle considerazioni prima svolte emerge, con altrettanta chiarezza, la piena e completa percezione del carattere illecito della condotta di Titomanlio da parte di Meani, che seguiva il ragionamento dell’interlocutore, ne deduceva coerenti conseguenze lo arricchiva di considerazioni pertinenti, rese ancora più attendibili dalla sua sicura competenza proveniente dall’attività sportiva precedentemente svolta.L’aver taciuto della telefonata, del suo oggetto e del relativo tenore dà vita alla fattispecie omissiva contestata all’appellato nei cui confronti va confermata l’attestazione di responsabilità. Anche la pena irrogata a suo carico dai primi giudici appare del tutto conforme ai fatti e congrua rispetto alla posizione dell’incolpato; essa va quindi confermata. Alla accertata responsabilità di Meani, tesserato per l’A.C. Milan S.p.a. consegue, come esattamente statuito dai giudici di prime cure, quella a titolo oggettivo della società per il concorrente ordine argomentativo della generale indissolubilità del rapporto organico nella logica della giustizia sportiva e, con specifico e decisivo rilievo, della necessaria riferibilità alla società della natura delle azioni del proprio preposto ad un ramo di attività nel sistema delle relazioni sportive, che implica da parte del tesserato, una speciale cura nell’intrattenere rapporti debiti e leali, e il dovere di rifuggire da quelli illeciti o artificiosi ed obbliga la società ad una stringente opera di ulteriore vigilanza al fine di verificare che non si ravvisino nei comportamenti del tesserato violazioni di qualunque natura, che ben dovrebbero essere represse e punite. Del resto non può passare inosservato il fatto che Meani fosse avvezzo a contatti così stretti, confidenziali, abituali, espliciti ed invasivi con il mondo arbitrale, che non risultano essere stati controllati o tanto meno rimossi dalla società. Ciò è sufficiente ad escludere carattere privato, e cioè irrilevante nell’ottica della disciplina sportiva, della condotta del Meani, e ad attribuirvi il connotato dell’inerenza all’uffici dirigenziale ricoperto all’interno dell’organizzazione societaria ad attivare senza incertezze il meccanismo incriminatorio e sanzionatorio esattamente messo in moto rispettivamente dalla Procura Federale e dalla C.A.F..La decisione va confermata sul punto tenendo conto della natura solo economica della pena e della ragionevolezza della misura dell’ammenda erogata.Va infine, così disattendendo la relativa impugnazione sullo specifico punto, confermata la decisione impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’Arezzo responsabile a titolo presuntivo delle condotte addebitate a Mazzei e Titomanlio (ed ispirate da Bergamo). La conformazione del tipo di illecito in questione previsto genericamente dall’art. 2, comma 3, CGS e punito ai sensi del combinato disposto degli articoli 6, comma 4, e 13, comma 1, lettere f, g, h ed i dello stesso codice, è descritta dall’articolo 9, comma 3, secondo cui la responsabilità deriva da illecito sportivo che risulti commesso da persone estranee alla società. Ora, il regime probatorio della norma da ultimo citata – che indubbiamente mira a punire gli illeciti vantaggi ovunque e comunque si annidino e da chiunque causati, a condizione che vi sia la prova della concreta configurazione del vantaggio, inteso quale beneficio sportivo indebitamente goduto dal destinatario, anche non autore della condotta che ne ha consentito il conseguimento – è concepito in modo tale che la mera produzione in capo ad una società calcistica di un vantaggio generato dall’altrui condotta illecita fa sorgere la previsione di responsabilità della beneficiaria, secondo un modello conosciuto anche dal diritto comune in materia di obbligazioni da fatto illecito collegate al fatto dei figli o dei dipendenti, salvo la prova di aver impartito una adeguata educazione o di aver fornito idonee istruzioni. A superare, nella logica dell’articolo 9, comma 3, in questione (che continua a costituire oggetto di dibattito per ciò che attiene alla sua capacità di esprimere genuine garanzie in termini di ragionevolezza di onere probatorio), la conseguente presunzione di responsabilità vale solo la prova, desumibile tanto dall’attività difensiva della parte quanto dalle acquisizioni istruttorie o dibattimentali, quanto dalla ricorrenza di fondato e serio dubbio, della mancata partecipazione della società all’illecito e della relativa ignoranza. La complessa struttura della norma, che sembra procedere con andamento discontinuo, alternando aperture garantiste (quali quella verso il serio e fondato dubbio quale criterio di scioglimento delle possibili ambiguità dei casi concreti) a chiusure penalizzanti (quali quella del necessario cumulo di risultanze probatorie, in punto di mancata partecipazione all’illecito e di connessa ignoranza), ha tradizionalmente indotto un orientamento giurisprudenziale che ha fatto riposare sulla accertata sussistenza del vantaggio un sufficiente elemento dirimente dei dubbi circa partecipazione e consapevolezza della società presunta responsabile, in omaggio al criterio del “cui prodest” come base logica di giustificazione di una responsabilità per la appropriazione dei risultati dell’opera di terzi, di cui sarebbe altrimenti inspiegabile (in alternativa, cioè, all’individuazione nella partecipazione all’illecito come plausibile movente) l’azione. Non sembra alla Corte necessario nel presente giudizio affrontare la delicata questione, in quanto essa non ne costituisce un punto decisivo ed una pronuncia che lo affrontasse possiederebbe semplicemente un (inutile) carattere astratto e si limiterebbe ad essere interpretato come mero “obiter dictum”, in nessun modo giustificato dalla funzione nomofilattica della Corte stessa. Ed invero, dagli atti si ricavano elementi che in modo piano consentono di ritenere fallita, e, comunque, non pienamente integrata, la prova, incombente sull’incolpata, dell’estraneità all’illecito e della correlativa inconsapevolezza. Va, intanto, confermato che, nel caso di specie, si è determinato un vantaggio per la società Arezzo nella prestazione dell’assistente di gara Titomanlio, per le ragioni favoritistiche dallo stesso ammesse e riconosciute, nel corso della telefonata con Meani, di cui ci si è prima occupati. E’ irrilevante, nella prospettiva del raffronto tra la concreta fattispecie in questa sede riscontrata e quella legale astratta di cui all’art. 9, comma 3, che il vantaggio ontologicamente insito in una predisposizione di prestazione tecnica artatamente favorevole ad una squadra da parte dell’estraneus produca l’ulteriore e non richiesto effetto del conseguimento di un risultato complessivamente favorevole della gara o competizione, ben potendo il vantaggio consistere in una alterazione, anche parziale e relativa alla quota di intervento riservata all’illecita condotta del terzo, dell’attività sportiva. La necessità o la possibilità che a realizzare il risultato globalmente favorevole concorrano altri soggetti, dotati di una posizione funzionale anche più idonea, può semmai provocare – come esattamente osservato dai primi giudici – l’eliminazione dell’aggravante della verificazione del vantaggio illecito ma non portare all’esclusione della figura antigiuridica in parola. Come si diceva, la Corte ritiene che non solo non vi siano argomenti, anche promananti da fondati e seri dubbi, per dire che l’appellante non ha partecipato all’illecito e lo ha ignorato, ma che ve ne siano altri che positivamente giustifichino la conclusione opposta. Deve, infatti, considerarsi che, nel corso della conversazione con Meani, Titomanlio (che non aveva motivo per mutare il vero sul punto, né interesse a pregiudicare, agli occhi dell’interlocutore, la posizione di Mazzei, anche tenuto conto dell’assenza di qualunque ragione di ostilità o di inimicizia tra ciascuno degli appartenenti al triangolo, né movente alla millanteria che, secondo quanto normalmente accade, è comportamento tipico di chi attraverso l’artificio intenda precostituirsi un eccesso di estimazione allo scopo di ricavare un’utilità dal destinatario della vanteria: ciò di cui non vi è prova alcuna alla luce dell’esame dei rapporti tra Titomanlio e Meani quale traspare dall’intercettazione) questi esplicitamente e senza peli sulla lingua, ed in un doppio passaggio, riferisce che Mazzei – ancora una volta senza apparire in alcun modo portatore di ragioni per un mendacio fine a se stesso – gli ha comunicato di fastidiose ed insistenti pressioni da parte dell’Arezzo: alla domanda postagli da Meani su chi gli stesse “rompendo i …” Titomanlio risponde in modo netto “l’Arezzo”. Si tratta di circostanze ed elementi univocamente dimostrativi che l’Arezzo non era estraneo né ignorava (avendone, anzi, con le proprie proteste provocato la nascita) il primo, indeclinabile momento del piano illecito, vale a dire delle lamentazioni e recriminazioni con Bergamo e con Mazzei. Su questa così accertata base probatoria ben si innesta, con attitudine a suffragarla, la considerazione logica che non vi sarebbe stata altra ragione, se non quella di accondiscendere alle pressanti istanze dell’Arezzo perché Bergamo e Mazzei parlassero con scopi illeciti con Titomanlio (così recuperandosi anche in questa sede l’argomento del “cui prodest”). Ancora una volta, la Corte si trova di fronte ad evidenze probatorie inconciliabili con l’onere che avrebbe dovuto essere assolto dalla società appellante, di cui va riaffermata la responsabilità presunta. Merita, invece, parziale accoglimento l’appello, nella parte in cui lamenta l’eccessività della sanzione. La Corte ritiene, infatti, che, in considerazione delle modalità del fatto, della sua rilevanza effettuale e dei modelli sanzionatori generalmente adottati in casi simili, la sanzione debba essere determinata in 6 punti di penalizzazione da scontarsi nella classifica del campionato 2006 – 2007 di competenza. Vanno incamerate le tasse versate da tutti gli appellanti le cui impugnazioni sono state rigettate, e restituita, ai sensi dell’art. 29, comma 13, CGS, quella versata dall’Arezzo per effetto dell’accoglimento parziale della sua impugnazione. P.Q.M. la Corte Federale ha pronunciato il seguente DISPOSITIVO In parziale riforma della decisione della C.A.F. di cui al C.U. n. 6/C del 17 agosto 2006, impugnata dall’A.C. Arezzo S.p.A., da Gennaro Mazzei, da Stefano Titomanlio, da Leonardo Meani, dall’A.C. Milan S.p.A e dall’U.S. Avellino S.p.A., - determina la sanzione a carico dell’A.C. Arezzo S.p.A. nella penalizzazione di sei punti in classifica da scontarsi nella stagione sportiva 2006-2007. - Conferma, per il resto, la decisione impugnata. - Ordina l’incameramento delle tasse, ad eccezione, di quella versata dall’A.C. Arezzo S.p.a., di cui dispone la restituzione. Così deciso, seguito della Camera di Consiglio del 26 agosto 2006.
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