Decisione Alta Corte di Giustizia Sportiva - C.O.N.I.: Parere n. 01 del 01/04/2011 – www.coni.it
Parere: In merito all’art. 14, comma 2, del Codice di giustizia sportiva vigente fino al 30 giugno 2007 Parti: FIGC
Parere: E’ inammissibile il parere richiesto dal Presidente della FIGC all’Alta Corte con il quale si chiede di conoscere se considerate le implicazioni che i provvedimenti preclusivi hanno in altri ordinamenti sottoposti al controllo del CONI ed il cui quesito può essere riassunto come segue: Posto che: l’art. 14, comma 2, del Codice di giustizia sportiva vigente fino al 30 giugno 2007 prevedeva che l’organo di giustizia sportiva, qualora avesse considerato di particolare gravità l’infrazione, irrogando la sanzione massima di cinque anni, avrebbe potuto proporre al presidente Federale la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della FIGC; il successivo codice di giustizia sportiva, emanato il 21 giugno 2007 (ed entrato in vigore, ai sensi dell’art. 54, il 1° luglio 2007), adeguandosi all’art. 3 (già art. 18) dei principi fondamentali degli statuti federali del CONI, che prevede la netta separazione tra gli organi di gestione sportiva e gli organi della giustizia sportiva, ha modificato il su citato art. 14, attribuendo soltanto a questi ultimi il potere di adottare il provvedimento in preclusione; su alcune proposte preclusive formulate in vigenza del precedente codice, i competenti organi federali non hanno assunto decisioni; in assenza di disposizioni transitorie sul punto, si è chiesto alla Corte di giustizia federale di esprimere un parere interpretativo; la Corte di giustizia federale ha ritenuto che la Federazione non potesse che prendere atto delle decisioni a suo tempo assunte dagli organi di giustizia sportiva, sì che il provvedimento di preclusione deve ritenersi implicito, quale effetto ex lege della proposta, con la conseguenza che la FIGC deve limitarsi a effettuare agli interessati le comunicazioni circa l’intervenuta applicazione, nei loro confronti, della preclusione. Ai sensi dell’art. 15, comma 3, lett. a) del Codice dell’Alta Corte di giustizia sportiva, l’Alta Corte non può rendere parere “su una controversia in atto per la quale sia stata avviata una procedura avanti a organi della giustizia sportiva o in ordine alla quale vi sia la possibilità di proporre ricorso all’Alta Corte”. Come più volte rimarcato in precedenza da questa Corte, il Codice ha così inteso differenziare nettamente le competenze consultive e quelle giustiziali dell’Alta Corte, del resto disciplinate da due diversi Titoli del Codice (II e III). La possibilità, anche semplicemente astratta, di un successivo coinvolgimento dell’Alta Corte nell’esercizio delle attribuzioni disciplinate dal Titolo II del Codice preclude qualsivoglia pronuncia in sede consultiva, che potrebbe risolversi in un autentico pre-giudizio sulla concreta controversia che essa potrebbe poi trovarsi a dover scrutinare. La richiesta di parere si riferisce a situazioni pregresse, circoscritte a casi già verificatisi e individuabili, rimasti senza specifica determinazione e soprattutto senza un espresso completamento procedurale: quindi - quale che possa essere la soluzione adottabile -, con possibilità di successiva tutela avanti a questa Alta Corte, tenuto anche conto della rilevanza della questione. In effetti, sono in discussione le modalità di irrogazione della misura sanzionatoria più grave dell’ordinamento sportivo, con preclusione della possibilità, per il destinatario, di tornare a far parte dell’ordinamento stesso. Ciò implica che sarebbero attinti diritti indisponibili dell’interessato, cui consegue, ex art. 1, comma 2, del Codice dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, la legittimazione a proporre ricorso innanzi alla Corte stessa.