Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 16 dicembre 2004 – www.coni.it Decisione impugnata: Ripescaggio della Savona Calcio 1097 s.r.l. al Campionato di Serie C2 - www.figc.it Parti: Società Savona Calcio 1907 SRL contro F.I.G.C. Massima: L’art. 27 dello Statuto della FIGC prevede la devoluzione in arbitrato di tutte le controversie tra la federazione e altro soggetto dell’ordinamento federale, con le uniche eccezioni di cui all’art. 12 Statuto CONI e dell’art. 3 della legge 17 ottobre 2003 n. 280, secondo cui “in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle Federazioni sportive”. Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 19 novembre 2003– www.coni.it Decisione impugnata: Delibera dalla Corte Federale (F.I.G.C.) pubblicata sul C.U. n. 12/CF del 22 maggio 2003 - www.figc.it Parti: Paternò Calcio S.R.L.contro F.I.G.C. Massima: Avverso la decisione della CAF è competente a giudicare in ultima istanza la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport del CONI e non la Corte Federale. Viene annullata, pertanto, la decisione della Corte Federale che statuendo ai sensi dell’art. 32 dello statuto Federale (tutela dei diritti fondamentali), su ricorso di una società - non parte del procedimento innanzi alla CAF - ha annullato la decisione della CAF e ripristinato il risultato conseguito sul campo. Sul punto si osserva, infatti, che l’art. 32 dello Statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio, collocato nel Titolo IV «Le garanzie», disegna le competenze della Corte Federale. Tale norma, sotto la rubrica «Corte federale», al primo comma dispone che «La Corte federale, composta dal Presidente e da otto componenti, è la massima autorità di garanzia nell’ordinamento della F.I.G.C. e dura in carica un quadriennio». Al 5° comma, poi, si prevede che «Ogni tesserato od affiliato alla F.I.G.C. può ricorrere alla Corte federale per la tutela dei diritti fondamentali personali o associativi che non trovino altri strumenti di garanzia nell’ordinamento federale». Il successivo comma, invece, dispone che «La Corte federale, anche d’ufficio, interpreta le norme statutarie e giudica sulla legittimità delle altre norme federali, annullando quelle adottate in violazione dello Statuto». L’art. 27, 3° comma, dello Statuto F.I.G.C. dispone che le controversie tra la Federazione  e uno dei soggetti indicati al comma 1° del medesimo articolo – tra i quali sono compresi le società e gli atleti – per le quali siano esauriti i gradi interni di giustizia federale siano sottoposte, su istanza del soggetto interessato o della Federazione, al tentativo obbligatorio di conciliazione davanti alla Camera di Conciliazione e Arbitrato e, in caso di esito negativo della conciliazione, alla decisione arbitrale della medesima Camera in via definitiva. La norma appena citata ripete il contenuto dell’art. 12 dello Statuto CONI e di alcune disposizioni del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport e, segnatamente, dell’art. 7. Invero, la C.A.F., ai sensi dell’art. 31 dello Statuto F.I.G.C., «[…] è competente a giudicare, in ultima istanza, sulle impugnazioni avverso le decisioni adottate dagli organi giudicanti nei casi previsti dal codice di giustizia sportiva. Tuttavia la decisione della C.A.F. è «in ultima istanza», ma non può reputarsi passata in giudicato. Infatti, se nell’ambito dell’Ordinamento Federale costituisce una decisione non più riformabile, avendo riguardo all’Ordinamento Sportivo, essa può essere oggetto di impugnazione (e, quindi, di riforma) dinanzi alla Camera. La competenza a conoscere della controversia portata dinanzi all’esame della Corte Federale era, dunque, della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Questa conclusione è confermata nel parere reso dalla Camera in data 19 giugno 2003. Si legge, infatti, a pag. 7 sub 16 che «[…] Peraltro, in linea di principio, non è da escludere che la Camera possa essere chiamata a occuparsi delle controversie sopra descritte ai punti 4-12 [trattasi di controversie relative ad un caso del tutto simile a quello oggetto del presente giudizio, n.d.r.], nell’ambito delle sue funzioni conciliativa e arbitrale, con riguardo sia al provvedimento della Corte Federale del 22 maggio 2003, sia alla decisione della CAF del 28 aprile 2003 […]». Ulteriore conferma può leggersi nella Deliberazione della Giunta Nazionale del CONI del 1° luglio 2003 e nella allegata «Relazione sulla situazione della controversia tra il Calcio Catania s.p.a. e la F.I.G.C.» di pari data. Nella Delibera del 1° luglio 2003 – prodromica al provvedimento del Consiglio Federale della F.I.G.C. del 2 luglio 2003 di cui si dirà appresso – la Giunta Nazionale del CONI precisava che «[…] La Camera di Conciliazione e di Arbitrato per lo Sport ha funzione di norma di chiusura dell’Ordinamento Sportivo Italiano, garantendo alla Comunità Sportiva Nazionale la possibilità di ottenere l’esame ed eventuale pronunzia su qualsiasi controversia insorta ed instauratasi nell’ambito delle Federazioni, con il rispetto delle previsioni e norme di procedura previste dal Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport [e che essa] configura un sistema di vera giustizia arbitrale con potere di piena cognizione sulle controversie sportive […]». La competenza della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport si coniuga con quella dell’incompetenza della Corte Federale. Lo «strumento di garanzia» è, appunto, la possibilità di ricorrere alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport sia attraverso il procedimento di conciliazione sia, all’esito di questo, attraverso il procedimento arbitrale di cui all’art. 12 dello Statuto CONI e 27 dello Statuto F.I.G.C. Depone in questo senso, tra l’altro, un argomento sistematico: la competenza della Camera è codificata nell’art. 27 dello Statuto Federale che apre il Titolo IV «Le garanzie» e che contiene anche le norme sulla composizione e sulle competenze della C.A.F. e, soprattutto, della Corte Federale. Né, per contestare questa conclusione, potrebbe essere fecondo addurre che l’art. 32, 5° comma, dello Statuto F.I.G.C. fa riferimento agli strumenti di garanzia nell’ordinamento federale. Infatti, la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport costituisce uno strumento di garanzia dell’ordinamento federale. La competenza della Camera e l’inserimento di questa tra le «Garanzie», invero, è la conseguenza di una scelta ben precisa del legislatore federale. Quest’ultimo, infatti, ai sensi dello Statuto CONI (cfr. art. 22), avrebbe potuto anche scegliere di non sottoporre le controversie de quibus alla competenza arbitrale della Camera, riservandole ad altro organo arbitrale. Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 25 febbraio 2002 – www.coni.it Decisione impugnata: Delibera dalla C.A.F. (F.I.G.C.) pubblicata sul C.U. 25/C del 21 marzo 1001 - www.figc.it Parti: M.F. contro F.I.G.C. Massima: L’arbitrato presso la Camera di Conciliazione non può essere costruito quale terzo grado del procedimento disciplinare della federazione sportiva, perché esso non è riferibile al procedimento interno alla federazione con il quale la menzionata “volontà disciplinare” si forma. Il Regolamento della Camera di Conciliazione conferisce all’organo arbitrale un potere di integrale riesame del merito della controversia, senza subire limitazioni (se non quelle derivanti dal principio della domanda e dai quesiti ad esso proposti dalle parti, ovvero dalla clausola compromissoria sulla quale i suoi poteri sono di volta in volta fondati) legate al “tipo” di vizio denunciabile. A favore di tale conclusione depongono sia la lettera del Regolamento sia considerazioni sistematiche. Sotto il primo profilo, ed a prescindere dalla considerazione che una limitazione così estesa (quale quella sostenuta dalla F.I.G.C.) dei poteri dell’organo arbitrale avrebbe dovuto essere specificamente prevista (il che non è avvenuto, nemmeno nella clausola compromissoria stabilita dalla stessa F.I.G.C. all’art. 27 comma 4 del suo Statuto), stanno, in senso positivo, le disposizioni stabilite all’art. 17. In particolare, la espressa previsione del possibile svolgimento di una istruttoria testimoniale ovvero della nomina di uno o più consulenti tecnici d’ufficio mal si concilierebbe con una limitazione dei poteri dell’organo arbitrale ad un mero esame dei vizi di legittimità dell’atto impugnato. Né con tale indicazione contrasta la disposizione, posta all’art. 3 comma 1 lett. c [corrispondente alla più pertinente, in questa sede arbitrale, previsione dell’art. 7 comma 2] del Regolamento, secondo la quale un procedimento di fronte alla Camera può essere avviato solo avverso “decisioni definitive” degli organi interni delle federazioni sportive. Tale disposizione, invero, si spiega alla luce del sistema istituito con la Camera, limitandosi ad esprimere l’esigenza che, laddove la controversia deferita ad arbitrato abbia ad oggetto la “volontà disciplinare” delle federazioni, questa volontà si sia definitivamente formata. Attraverso la Camera si è creato, infatti, sulla base dell’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I. ed in conformità a modelli internazionalmente affermati, un sistema di risoluzione delle controversie in materia sportiva esterno ai sistemi disciplinari delle federazioni sportive ed alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria. L’attività della Camera (istituita con atto del C.O.N.I.), per quanto riferibile anche all’ordinamento sportivo in generale, non può essere ricondotta al sistema della federazione sportiva di volta in volta interessata, né l’organo arbitrale che conosca dell’impugnazione di un provvedimento disciplinare può essere ritenuto (neanche in senso lato, o persino improprio) organo della federazione, al pari dei “giudici” interni a quella: nell’arbitrato svolto nel sistema della Camera, fondato sui “principi di terzietà, autonomia e indipendenza di giudizio” (art. 12 comma 8 Statuto C.O.N.I.), la federazione è (solo) parte e non (come invece avviene nei procedimenti interni, pur assistiti da garanzie procedurali) anche giudice. L’organo arbitrale istituito nel quadro della Camera svolge invece una funzione decisoria riferibile anche all’ordinamento generale: i poteri dell’arbitro si fondano su di una clausola compromissoria ex art. 806 cod. proc. civ. (la cui previsione determina – secondo i più recenti orientamenti della Corte di Cassazione: Cass. s.u., 3 agosto 2000 n. 527/SU; 1° febbraio 2001 n. 1403 – un difetto di giurisdizione dei giudici ordinari); il lodo ha natura rituale (ed è pertanto suscettibile di assumere efficacia esecutoria, ex art. 825 cod. proc. civ., anche per l’ordinamento “generale”). In definitiva, dunque, oggetto di giudizio, in sede di impugnazione di una sanzione disciplinare, è non il provvedimento disciplinare in quanto atto, ma (come vogliono l’art. 3 comma 1 lett. c e l’art. 7 comma 2 del Regolamento) una controversia relativa alla volontà definitivamente manifestata dalla federazione. Tale controversia può riguardare l’applicazione delle norme così come l’apprezzamento dei fatti alla base del provvedimento in cui quella volontà si è espressa; sulla sua estensione e sulle modalità di sua risoluzione non influisce il numero di passaggi attraverso i quali quella volontà si è formata. La previsione di più gradi nel procedimento disciplinare, garanzia dei diritti dei soggetti coinvolti e, in definitiva, indice di “civiltà”, nonché una differenziazione nei ruoli e nei poteri degli organi in cui esso si svolge, non sono infatti idonei ad influire (salvo specifica limitazione stabilita nella clausola compromissoria) sulla ricostruzione dei poteri della Camera. Diversamente opinando, il sistema dei poteri della Camera, definito unitariamente dal Regolamento, finirebbe per “frantumarsi”, variando di volta in volta a seconda delle modalità (uno o più gradi) nelle quali si articola il procedimento disciplinare interno alla federazione sportiva coinvolta nello specifico caso. Il che appare contrario alla logica del sistema. La soluzione è in linea con quanto si verifica nell’ordinamento sportivo internazionale (alla cui luce lo stesso Regolamento deve essere interpretato). Infatti, nel sistema del Tribunale arbitrale dello sport (T.A.S.), organismo permanente di arbitrato con sede a Losanna (Svizzera), al quale l’istituzione stessa della Camera si è ispirata, è principio riconosciuto (art. R57 del Codice di arbitrato in materia sportiva) ed applicato (per citare solo alcune pronunce: 23 maggio 1995, CAS 94/129, USA Shooting & Q.; 22 dicembre 1998, CAS 98/208, Wang Lu Na; 7 giugno 1999, CAS 98/211, Smith De Bruin; 19 ottobre 2000, CAS 2000/A/274, Susin), che l’organo arbitrale possa considerare – senza vincoli derivantigli dal procedimento disciplinare contestato – gli aspetti di fatto e di diritto della controversia e proprio a tal fine è dotato (assai significativamente) degli stessi mezzi (audizione delle parti, di testimoni e di esperti, esame del fascicolo disciplinare) di cui il Collegio arbitrale operante in seno alla Camera può avvalersi.
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