Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 27 aprile 2007– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della Corte Federale pubblicata sul Comunicato Ufficiale n. 2/Cf del 4.8.2006 - www.figc.it
Parti: A.G. contro F.I.G.C
Massima: La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport non è competente a decidere sull’istanza di arbitrato promossa da colui chenon è un tesserato della F.I.G.C. non ricoprendo più la qualifica di dirigente della società, a seguito delle dimissioni rassegnate dalla carica di consigliere di amministrazione. In proposito, si osserva che, ai sensi degli artt. 15 e 37 delle N.O.I.F. della F.I.G.C. e dell’art. 2 del Regolamento della Lega Nazionale Professionisti della F.I.G.C., le società “per ottenere l’affiliazione alla detta Federazione Nazionale debbono inoltrare al Presidente Federale apposita domanda … corredata dai seguenti documenti … b) elenco nominativo dei componenti l’organo direttivo o gli organi direttivi ” (art. 15 NOIF FIGC) e che le società “ritenute idonee ad essere iscritte al Campionato di competenza … devono far pervenire (alla Lega Nazionale Professionisti) … c) elenco degli amministratori …autorizzati a rappresentare e ad impegnare validamente la società agli effetti sportivi e nel rapporto con gli Organi Federali” (art. 2 Regolamento LNP) e, infine, che “il tesseramento dei dirigenti e dei collaboratori nella gestione sportiva avviene all’atto dell’iscrizione al Campionato della società di appartenenza” (Art. 37 N.O.I.F.). Il combinato disposto delle richiamate norme e la pacifica circostanza del mancato rinnovo nelle cariche sociali della società, comportano che il soggetto non ricopra la qualifica di tesserato presso la F.I.G.C. per la stagione sportiva 2006/2007. E’ altresì circostanza pacifica che, antecedentemente alla proposizione dell’istanza, non sia intervenuto alcun accordo tra le parti volto a devolvere la controversia alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Infatti, la dedotta eccezione di improcedibilità/inammissibilità dell’odierno procedimento arbitrale - seppur sollevata con motivazione diversa da quella rilevata dal Collegio - deve essere necessariamente intesa come mancata adesione alla proposta del soggetto di devoluzione a codesto Collegio della decisione della odierna lite. La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport, ai sensi dell’art. 12, n. 3 dello Statuto del C.O.N.I., ha competenza “sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affiliati, tesserati o licenziati…” Secondo il n. 5 del medesimo art. 12 dello Statuto C.O.N.I., “alla Camera può … essere devoluta mediante clausola compromissoria o altro espresso accordo delle parti qualsiasi controversia in materia sportiva, anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati”. Secondo l’art. 9, n. 2 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport (di seguito solo “Regolamento”) “la proposizione dell’istanza vale come riconoscimento che la procedura arbitrale richiesta è irrevocabilmente assunta come manifestazione della propria volontà …”. Di conseguenza, l’atto introduttivo del presente procedimento deve venire considerato quale proposta compromissoria irrevocabile. Tutto ciò premesso, osserva il Collegio che: (i) al momento della proposizione della domanda di arbitrato, mancava (e manca ancor oggi) incontestabilmente la qualità di tesserato della F.I.G.C. da parte del soggetto; (ii) l’irrevocabile proposta del soggetto di devolvere alla Camera la controversia in discorso contenuta nell’istanza di arbitrato è stata inequivocabilmente respinta dalla F.I.G.C. in quanto la resistente, nei propri scritti difensivi, ha eccepito, in via preliminare, proprio l’inammissibilità/improcedibilità della domanda di arbitrato; iii) il consolidato orientamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato (Cfr. Lodo 5.11.2002 Hockey Club Gherdëina/FISG; Lodo 08.02.2005 Salerno Corse/ACI; Lodo 13.03/03.04.2006 Dal Cin F./F.I.G.C.; Lodo 07.03.2007 M./FIGC), e dal quale questo Collegio non intende discostarsi, ritiene che i procedimento arbitrale non costituisca una prosecuzione del processo svoltosi dinanzi agli Organi di Giustizia della F.I.G.C., ma un nuovo processo. L’arbitrato presso la Camera costituisce, infatti, un procedimento di risoluzione delle controversie sportive esterno agli ordinamenti delle Federazioni Sportive e non può essere considerato in alcun modo come prosecuzione dei procedimenti interni a tali ordinamenti. L’oggetto del giudizio, in sede di arbitrato presso la Camera, non è l’impugnazione in senso stretto di un provvedimento federale, ma l’esame di una controversia relativa alla volontà manifestata dalla Federazione con riguardo a una determinata fattispecie sviluppatasi in ambito endoassociativo. A tal fine l’art. 12 dello Statuto C.O.N.I. attribuisce alla Camera non una mera competenza a riesaminare in appello uno specifico atto federale, ma la competenza a decidere, con pronunzia definitiva, le controversie che contrappongono una Federazione a soggetti affiliati o tesserati sottoponendo al vaglio del Collegio la controversia nel suo intero. Le considerazioni precedentemente svolte in ordine alla inammissibilità / improcedibilità della domanda, nonché l’autonomia dei procedimenti e la conseguente impossibilità di ipotizzare una perpetuatio jurisdictionis nei confronti del soggetto, escludono radicalmente la competenza dell’odierno Collegio a decidere della presente controversia.
Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 13 marzo e 3 aprile 2006– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della Commissione d’Appello Federale (F.I.G.C.) pubblicata sul Comunicato Ufficiale n. 6/C del 06/08/05 - www.figc.it
Parti: F.D.C. contro F.I.G.C.
Massima: La Camera di Conciliazione non è competente a decidere in merito al ricorso promosso dal soggetto, che al momento della proposizione della domanda non risulta più tesserato con la FIGC, nonostante sia stato sanzionato e squalificato dalla Commissione d’Appello Federale. Per l’art. 12, comma 3, dello Statuto del C.O.N.I., la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport “ha competenza, con pronunzia definitiva, sulle controversie che contrappongono una Federazione sportiva nazionale a soggetti affiliati, tesserati o licenziati, a condizione che siano stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione o comunque si tratti di decisioni non soggette a impugnazione nell’ambito della giustizia federale”. La “competenza” in questione deriva da “gli statuti e i regolamenti delle Federazioni sportive nazionali” (comma 4) ovvero “altro espresso accordo delle parti”, e, solo in tal caso, “anche tra soggetti non affiliati, tesserati o licenziati”. Non ricorre, nella fattispecie, l’ipotesi di “competenza” del Collegio risalente a un “espresso accordo delle parti”, unica condizione che avrebbe assolto gli arbitri dal dovere di risolvere la questione altrimenti indotta dallo status di non tesserato del soggetto attore. Questi, sin dal momento della proposizione della domanda di arbitrato, manca della qualità di tesserato alla FIGC, che ha precedentemente perduto in dipendenza di un evento -la dichiarazione di fallimento della squadra di appartenenza- previsto dalle N.O.I.F. quale causa di estinzione del vincolo associativo. Nè la qualità di tesserato è oggetto del presente giudizio, essendo per un verso pacifico il fatto estintivo dello statuto personale dell’attore e, per altro verso, non ulteriormente rivendicato in arbitrato lo statuto personale suddetto, appunto quello di tesserato della FIGC. Dunque, il fondamento del potere degli arbitri, che è da rinvenire residualmente nella clausola compromissoria contenuta nell’art. 27, comma 3, dello Statuto della FIGC, postulerebbe una dimensione estremamente grande, esorbitante la massima latitudine conosciuta dal diritto positivo in materia: l’art. 34, comma 3, d.lgs. 17.1.2003, che disciplina un’ipotesi particolare di clausola compromissoria statutaria, stabilisce che pur quando “la clausola è vincolante per la società e per tutti soci”, come tipicamente accade per la fonte compromissoria statutaria, l’inclusione nel novero dei “soci” agli effetti della soggezione alla clausola non può oltrepassare “coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia”. Cioè, “la potestas iudicandi degli arbitri non può in radice essere esclusa per il solo fatto che tema del contendere sia proprio il presupposto da cui discende l'operatività della clausola” (così della Pietra, La clausola compromissoria, in corso di pubblicazione nella raccolta di Studi in memoria di Gian Franco Campobasso). In sintesi, dove la capacità degli arbitri risieda in una clausola di un contratto associativo, il patto compromissorio può resistere alla dismissione del vincolo associativo se e in quanto questa stessa vicenda costituisca oggetto del giudizio, il quale rimane -perciò- soltanto quello arbitrale. Diversamente, ove la dismissione della qualità di associato costituisca un prius neppure fatto segno di contrarie pretese, una clausola del genere considerato è incapace di distogliere dall’A.G. la controversia che insorga sopra una posizione soggettiva eventualmente rilevante per l’ordinamento giuridico. Peraltro, la giurisprudenza non ha mancato di precisare che il potere arbitrale non va soggetto al principio di cui all’art. 5 c.p.c., che è inutilizzabile per risolvere la questione della permanenza del vincolo compromissorio (Cass. 21 luglio 2004, n. 13516); dunque, diversamente da quanto accade in virtù della legge attributiva di potestà giurisdizionale all’A.G., pur quando sussista al momento della proposizione della domanda, il potere degli arbitri è suscettibile di essere perduto prima che l’esercizio del potere arbitrale si sia compiuto (e nell’ambiente dell’ arbitrato irrituale, in cui per definizione si colloca il presente giudizio, un evento del genere integra senz’altro gli estremi della revoca del mandato collettivo ai sensi dell’art. 1726 c.c.). Questa considerazione è di per sé dirimente, allora, anche in ordine alla pretesa di veder attribuita al Collegio una capacità di conoscere della presente controversia quasi si trattasse di perpetuare la capacità cognitiva degli organi di giustizia sportiva dopo che la singola Federazione sportiva ha promosso il procedimento che si è concluso con la sanzione inflitta a colui che intanto non era più tesserato. Ma, in realtà, la stessa pretesa, pur sotto altri profili, non ha pregio poiché il procedimento conclusosi con l’irrogazione della sanzione non si identifica soggettivamente né oggettivamente con quello di cui il presente lodo costituisce il compimento: non soggettivamente, in quanto la Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport “è istituita presso il CONI”, rispetto al quale una Federazione sportiva nazionale (coi suoi organi di giustizia) è in rapporto di sicura alterità; non oggettivamente, perché laddove “nell’ambito dell[a] Federazion[e] sportiv[a] nazional[e]” il procedimento di giustizia svoltosi fosse stato già censibile a ogni effetto come “procediment[o] arbitral[e]” (talchè quello che adesso rileva avrebbe potuto prendere fattezze di arbitrato di secondo grado, che è fenomeno non ignoto alla legislazione passata o presente: cfr. artt. 28 e 31 c.p.c. 1865 e 37, comma 2, d.lgs. 17.1.2003, n.5), questo avrebbe determinato l’ “[in]competenza” della Camera a norma dell’art. 12, comma 6, dello Statuto CONI (“Restano escluse dalla competenza della Camera tutte le controversie tra soggetti affiliati, tesserati o licenziati per le quali siano istituiti procedimenti arbitrali nell’ambito delle Federazioni sportive nazionali”). Del resto, che vi sia discontinuità assoluta, anzi vera e propria cesura tra i rimedi di giustizia endo- ed esofederale, contrariamente anche all’ assunto della difesa della FIGC che discorre di funzione meramente impugnatoria della presente istanza di arbitrato, trova riscontro nella totale assenza, qui, di limiti alla devoluzione di materia, tanto da permettere l’accesso all’arbitrato del genere ora in corso anche a petita mai portati (o persino inammissibili) nella sede di giustizia federale: le diverse vie di ricorso sono logicamente e cronologicamente giustapposte, ma non coordinate in guisa -la seconda- di revisio prioris instantiae, trattandosi senz’altro di novum judicium che trae occasione o ragione (come nell’eventuale intrapresa di azione risarcitoria, v., per un esempio specifico, il lodo 8 febbraio 2005, reso presso la Camera in causa Salerno corse s.r.l. versus Aci) dalla controversia già giustiziata al diverso (ma non inferiore) livello associativo. La stessa Camera nel parere reso il 19 giugno 2003 ha ribadito, oltre che il carattere di giustizia arbitrale della inerente attività, che rimane escluso qualsiasi collegamento con i meccanismi di giustizia interni alle singole Federazioni. Innanzitutto, dunque, è inconfigurabile un continuum tra le sedi di giustizia federale e confederale (se così vuol dirsi dell’arbitrato amministrato presso il CONI); ma, se per ipotesi dovesse questo assunto venir smentito, l’originario fondamento dell’ (ipoteticamente) unico potere di giustizia non statuale tornerebbe comunque a essere vanificato dalla sopravvenuta perdita del vincolo associativo poiché nessun principio di perpetuatio ha ingresso nella disciplina dell’arbitrato. In sintesi, comune acquisto della pratica arbitrale è che il fondamento volontario del potere di decisione debba non soltanto pre-esistere in guisa di presupposto processuale, ma altresì sussistere per tutto il corso del giudizio arbitrale in guisa di condizione dell’azione, non potendosi replicare in sede privata il contrario principio di cui l’art. 5 c.p.c. è espressione esemplare per la giustizia statuale. In concreto, ben anteriormente alla domanda di arbitrato l’efficacia vincolante dell’art. 27 dello Statuto federale era perduta inter partes, in nessuna misura risultando sub judice la vicenda estraneativa del (ex tesserato) dalla FIGC per via del fallimento della società, sicchè deve ritenersi conclusivamente che all’atto di introdurre il procedimento presso la Camera la parte attrice ha sostanzialmente rivolto, peraltro in conformità dell’ordinamento sportivo, una proposta compromissoria irrevocabile non seguita dall’ accettazione dell’altra (arg. ex artt. 12.5 Statuto CONI, 9.2 e 10.2 Regolamento Camera). Non si tratta, allora, di “interpretazione” più o meno estensiva della convenzione di arbitrato, quanto di “efficacia” della stessa (cfr. ora, per il dualismo concettuale, gli artt. 808-quater e quinquies c.p.c., introdotti dall’art. 20 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, inapplicabili -peraltro- al caso de quo ai sensi dell’art. 27, comma 3): e questa efficacia va recisamente esclusa. Come sarà apparso chiaro, non incide in alcuna misura sulla ricostruzione operata la nota quanto controversa tesi (in dottrina, v. Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino 2005, 21 s.; Napolitano, Caratteri e prospettive dell'arbitrato amministrativo sportivo, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 1153 ss.; in giurisprudenza, v. Tar Lazio, III, 25 marzo 2004, n. 2987) di parte della giurisprudenza amministrativa che attribuisce al lodo reso da un collegio arbitrale insediato presso la Camera la capacità di esaurire l’ultimo grado della giustizia sportiva (CdS, VI, 2 luglio 2004, n. 5025); e ciò in considerazione del fatto che neppure il Consiglio di Stato ha mai disconosciuto, se non la natura, almeno la forma arbitrale dell’azione che presso la Camera si viene realizzando, sicchè a impedire la “nullità del provvedimento” -pur così concepito anziché come lodo- “per difetto assoluto di attribuzione” (art. 21-septies l. 7.8.90, n. 241, come introdotto dall’art. 14, l. 11.2.2005, n. 15) deve pur sempre concorrere un valido ed efficace fondamento compromissorio, che, viceversa, si intende adesso negare. Della legittima pretesa di riuscire, tuttavia, affrancato da una sanzione che reputa invalida e ingiusta il soggetto non viene privato per il tramite del presente lodo, né quest’ultimo rappresenta una condizione senza della quale egli sarebbe rimasto impedito nell’accesso alla giustizia tout court, almeno qualora il suo vanto si riferisca effettivamente a situazioni rilevanti per l’ordinamento generale. Invero, da una parte, il principio di cui è oggi espressione l’art. 819-ter c.p.c. consente di percorrere simultaneamente la via arbitrale e giudiziaria, simultaneità espressamente liceizzata per il caso di procedimenti coevi su identica causa; dall’altra, lo stesso ordinamento onera soltanto i “tesserati” “di “adire, secondo le previsione degli statuti e regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle Federazioni sportive […], gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo” (art. 2, comma 2, d.l. 19.8.2003, n. 220, conv. l. 17.10.2003, n. 280); con la chiara conseguenza che, in difetto di vincolo associativo, l’onere non va assolto al fine di realizzare la procedibilità della giurisdizione pubblica. Non spetta, in definitiva, al Collegio della Camera di conciliazione e arbitrato dichiarare alcunchè nel merito delle pretese della parte attrice, merito del quale sarebbe già parte ogni valutazione, pur incidentale, circa la permanenza del potere disciplinare della Federazione successivamente alla recisione, per di più involontaria, del vincolo associativo.