Decisione C.C.A.S.–C.O.N.I.: Lodo Arbitrale del 27 ottobre 2006– www.coni.it
Decisione impugnata: Delibera della Corte Federale(FIGC) pubblicata sul C.U. n. 2/CF del 4 agosto 2006 - www.figc.it
Parti: Dott. F.C. contro F.I.G.C.
Massima: La Camera di Conciliazione è competente a decidere in merito alla sanzione dell’ammenda con diffida irrogata dagli organi di giustizia sportiva federale al tesserato ovvero al presidente federale, limitatamente alla sanzione della diffida. L’art. 27 dello Statuto della FIGC statuisce, al terzo comma, alcune deroghe al principio generale della arbitrabilità delle controversie insorte con la Federazione. Secondo il citato articolo dello Statuto, non rientrano nell'ambito della clausola compromissoria su cui si basa la giurisdizione dei collegi arbitrali operanti nell'ambito della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport le controversie di natura tecnico disciplinare che riguardino omologazioni di risultati sportivi o abbiano dato luogo a taluni tipi di sanzioni specificatamente indicati, tra cui le sanzioni “soltanto pecuniarie”, la squalifica o inibizione di tesserati, anche se in aggiunta a sanzioni pecuniarie, inferiore a 120 giorni, la squalifica del campo, e penalizzazioni di classifica. Proprio per superare tali limiti alla cognizione arbitrale, con riguardo alle istanze presentate dalle società avverso la medesima sentenza della Corte federale impugnata nel presente giudizio, la Federazione ha concluso con le medesime un accordo compromissorio ad hoc: vuoi in sede di conciliazione (in riferimento alla controversia insorta con l’A.C. Milan s.p.a., con l’A.C.F. Fiorentina s.p.a., e con la S.S. Lazio s.p.a.) vuoi in sede di arbitrato (in riferimento alla controversia insorta con la F.C. Juventus s.p.a.). In mancanza di analogo accordo nella presente controversia, il Collegio deve procedere all'interpretazione della disposizione in esame (art. 27 comma 3 dello Statuto della FIGC) e in particolare delle due condizioni poste dalla stessa all'esclusione della cognizione arbitrale. Quanto alla prima delle due condizioni, relativa alla natura “tecnico disciplinare” della controversia oggi in esame, bisogna preliminarmente rilevare che né lo Statuto della FIGC, né il Codice di Giustizia Sportiva enucleano una classificazione degli illeciti sportivi avente carattere generale. Soltanto nel secondo comma dell’art. 27 dello Statuto Federale, si accenna a una classificazione tipologica, seppure vaga, delle controversie sportive, laddove si afferma che «I soggetti di cui al comma precedente (…) accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla F.I.G.C., dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materia comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico». Sembra, dunque, che le possibili controversie siano state suddivise secondo una tripartizione, potendo essere di natura tecnica o disciplinare od economica. Non si accenna, dunque, alla ipotetica (sotto)categoria delle vertenze tecnicodisciplinari. Né appare accoglibile la tesi del ricorrente secondo cui sarebbe enucleabile dall’ordinamento un autonomo concetto di illecito “tecnicodisciplinare” di limitata applicazione concreta. D'altra parte, risulterebbe difficile comprendere a quale logica si sarebbe ispirato il legislatore federale nel prevedere una deroga alla compromettibilità delle controversie sportive, ma limitandola a quelle solamente tecnico-disciplinari, con ciò irragionevolmente escludendo quelle solamente disciplinari e quelle solamente tecniche. La valutazione della compromettibilità delle vertenze tecnico-disciplinari, nel cui ambito, per le ragioni appena indicate, rientra anche quella in oggetto, tuttavia va limitata anche in ragione del tipo di sanzione comminata; venendo, in particolare, in rilievo il problema della non compromettibilità delle controversie (tecnico-disciplinari) che abbiano ad oggetto l'irrogazione di una sanzione "soltanto pecuniaria" in relazione alla sanzione della “ammenda con diffida” inflitta al presidente federale.Il dato normativo positivo al quale occorre qui riferirsi è costituito dal catalogo delle sanzioni contenuto nell’art. 14 del Codice di Giustizia Sportiva. Tale norma, riguardante gli illeciti commessi dai dirigenti sportivi e dai tesserati, menziona le seguenti sanzioni:a) ammonizione;b) ammonizione con diffida;c) ammenda;d) ammenda con diffida.L’elenco poi prosegue individuando altri tipi di sanzioni che qui, comunque, non interessano. Il sistema sanzionatorio testé descritto si caratterizza, dunque, per la sua tipicità sistematica. In particolare, si osserva come la norma differenzi la sanzione della “ammenda” da quella della “ammenda con diffida”. Orbene, se davvero l’ordinamento sportivo avesse inteso concepire la diffida come un provvedimento non avente carattere sanzionatorio, sicuramente non avrebbe disgiunto l’ipotesi della ammenda pura e semplice da quella dell’ammenda accompagnata dalla diffida. Ed è chiaro, allora, come la dicotomia ammenda/ammenda con diffida possa avere un significato logicogiuridico solo se si ammetta che le due espressioni individuino due distinte sanzioni (e non, invece, un'unica species di sanzione corredata, nel secondo caso, da un provvedimento accessorio). Da ciò può inferirsi, sul piano delle definizioni concettuali, come la diffida, pur non essendo una sanzione principale (in quanto essa non è mai contemplata quale sanzione autonoma ma esiste solo nel binomio con altra sanzione), sia stata certamente concepita quale provvedimento idoneo ad esplicare una sua funzione sanzionatoria, a carattere fortemente afflittivo. Una conferma evidente di ciò si ricava dalla lettura integrale del testo dell’art. 14 ora in esame. L’elenco delle sanzioni, infatti, presenta una graduazione crescente del livello di afflittività. Si procede dalla pena minimale dell’ammonizione sino all’ipotesi di squalifica a tempo indeterminato. In questa gerarchia, l’ammenda con diffida segue alla semplice ammenda, a dimostrazione della chiara volontà del legislatore di considerare la diffida come un provvedimento esprimente un quid pluris di afflittività in grado di rendere più severa la mera sanzione pecuniaria, con la fissazione di una regola comportamentale pro futuro tale da incidere sullo status stesso del soggetto sanzionato. La cognizione della controversia avente ad oggetto l’irrogazione della sanzione pecuniaria, dunque, è preclusa alla Camera di Conciliazione, per autonoma e libera scelta della Federazione e dei suoi associati, la quale ha ritenuto che, in ragione della sua afflittività meramente patrimoniale, essa non richieda un vaglio esterno alla Giustizia Federale (a prescindere dal ricorso alla giurisdizione statale). La garanzia di un giudizio ulteriore interno all’ordinamento sportivo ma estraneo all’ambito della Giustizia Federale e dunque “terzo” va invece riconosciuta, nella logica sottostante alla soluzione canonizzata nell’art. 27 dello Statuto della FIGC, con riguardo alla sanzione della diffida, proprio in considerazione della sua duratura indefinita nel tempo (a differenza delle squalifiche e inibizioni inferiori a 120 giorni anch’esse sottratte alla cognizione arbitrale) sullo status personale ritenuto, dunque, per le considerazioni che precedono, che il ricorso del Presidente Federale vada dichiarato ammissibile limitatamente alla questione dell’irrogazione della sanzione della diffida.