Massima n. 287641

      Decisione G.U.I. DOPING – C.O.N.I.: Decisione n. 1/06 del 9 gennaio 2006 – www.coni.itDecisione impugnata: Delibera dalla C.A.F. (F.I.G.C.) pubblicata sul C.U. 18/C del 2 novembre 2005 - www.figc.itImpugnazione – istanza: M.C.Massima: L’art. 17.4 del Regolamento Antidoping stabilisce che “l’udienza dinanzi all’organo federale di giustizia va fissata nel più breve tempo possibile e, comunque, non oltre venti giorni dalla notifica degli atti .. da parte dell’U.P.A”. Il destinatario della notifica va individuato nella Federazione di appartenenza dell’atleta e non nell’Organo di Giustizia interno ad essa (come invece ritenuto in primo grado dalla Commissione Disciplinare). L’individuazione del termine di fissazione dell’udienza attraverso il progressivo e duplice richiamo al “più breve tempo possibile” e al numero dei giorni della ricezione degli atti lascerebbe intendere, ad avviso della C.A.F., come la norma in esame delinei un criterio di celerità a cui ispirare l’iter del procedimento, all’evidente scopo di limitare al massimo l’incertezza e la conseguente situazione di pregiudizio in cui versa l’atleta. Con la conseguenza che il termine avrebbe esclusivamente natura “acceleratoria”, privo di sanzione laddove la fissazione dell’udienza sia avvenuta a brevissima distanza dalla scadenza (come nel caso in esame essendo l’udienza stata fissata al 21° giorno), così da potersi escludere in concreto qualunque pregiudizio al diritto dell’atleta alla celebrazione del processo entro termini celeri e ragionevoli. Ma anche qualora il termine fosse ritenuto perentorio, non potrebbe mai conseguire la “decadenza” dall’azione disciplinare intrapresa. Una tale sanzione non è assolutamente prevista dal Regolamento Antidoping e sarebbe anche illogica in quanto si farebbe derivare dallo spirare del termine una sorta di “annullamento” sia dell’attività istruttoria svolta sia una “preclusione” allo svolgimento di quella giurisdizionale (che, come noto, è esercitata non su base “professionale” ma “onoraria”). Nei sistemi processuali il mancato esercizio di prerogative di carattere giudiziale o giurisdizionale (fissazione di udienza, esercizio dell’azione penale, trasmissione degli atti, adozione e deposito della decisione cc.) non determina mai la “nullità” del procedimento svoltosi ma, solo nei casi espressamente previsti, può causare l’inefficacia delle misure cautelari o disciplinari adottate o l’inutilizzabilità di atti compiuti successivamente alla scadenza del termine. La mancata fissazione dell’udienza nel termine previsto comporta, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, esclusivamente sanzioni a carico della Federazione Nazionale che non ha proceduto con tempestività, potendo la Giunta Nazionale del C.O.N.I., quale organo sovraordinato, svolgere un’azione di moral suasion sino all’adozione, nei casi più “eclatanti” (si pensi ad una Federazione che omette ripetutamente di trasmettere gli atti ai propri giudici provvedimenti), di provvedimenti amministrativi di carattere sanzionatorio (ad es. commissariamento, sostituzione organi ecc.). Con riferimento, poi, alla possibile violazione del diritto di difesa va rilevato che l’udienza di merito dinanzi la Commissione Disciplinare della Lega di Serie C risulta essere stata fissata soltanto un solo giorno dopo la scadenza del termine di venti giorni previsto dal regolamento (come rilevato dalla C.A.F.), con la conseguenza che la violazione ha avuto consistenza tale da risultare trascurabile; che al momento della celebrazione dell’udienza l’atleta aveva già scontato la sospensione cautelare allo stesso inflitta con provvedimento della Commissione Disciplinare della Lega di Serie C per mesi due a far data dall’8.7.2005. Al riguardo va, infatti, osservato che la sospensione cautelare, laddove non intervenga nei termini la decisione del giudice di primo grado, decade, ai sensi dell’art. 16.3 del Regolamento Antidoping, trascorsi sessanta giorni. Il regolamento, quindi, stabilisce un termine massimo – a garanzia del tesserato - decorso il quale perde efficacia il provvedimento che inibisce all’atleta, nelle more del procedimento disciplinare, di svolgere l’attività agonistica. L’atleta, poi, nelle more della sospensione, può presentare appello avverso il provvedimento cautelare (come avvenuto nel caso di specie, avendo il calciatore proposto appello avverso il provvedimento di sospensione, impugnazione respinta dalla C.A.F. il 2.8.2005), rinvenendo quindi un’altra garanzia nell’ambito del regolamenti antidoping, svincolata dall’esito dell’instaurando giudizio di merito. Il calciatore, dunque, nelle more della trasmissione degli atti e della fissazione dell’udienza, poteva legittimamente riprendere l’attività agonistica (non assumendo alcuna rilevanza per l’ordinamento sportivo la decisione del calciatore di auto-sospendersi dall’esercizio dell’attività in attesa della decisione di merito).             Decisione C.A.F.: Comunicato Ufficiale n. 18/C Riunione del 21 novembre 2005 n. 7 - www.figc.itDecisione impugnata: Delibera della Commissione Disciplinare presso la Lega Professionisti Serie C - Com. Uff. n. 87/C del 27.11.2005Impugnazione - istanza: Appello C.M. avverso la sanzione della squalifica per mesi 6 a seguito di deferimento della Procura Antidoping del C.O.N.I.Massima: E’ ben vero che l’art. 17.4 del R.A.A. stabilisce che l’udienza dinnanzi all’organo federale di giustizia va fissata nel più breve tempo possibile e comunque non oltre venti giorni dalla notifica degli atti. É da parte dell’U.P.A. ed è condivisibile (per non risultare irragionevolmente svuotata, la norma, da ogni contenuto) che il destinatario della notifica va individuato nella Federazione di appartenenza dell’atleta e non nell’Organo di giustizia interno a questa. Bisogna osservare, tuttavia, che l’individuazione del termine di fissazione dell’udienza attraverso il progressivo, duplice richiamo al più breve tempo possibile ed al numero dei giorni dalla ricezione degli atti, invece che attraverso l’individuazione fissa di un solo e ben preciso termine, lascia chiaramente intendere come la norma in esame delinei un criterio di celerità al quale ispirare l’iter del procedimento, all’evidente scopo di limitare al massimo l’incertezza e la conseguente situazione di pregiudizio nelle quali versa l’atleta. Ne consegue che a ragione il calciatore avrebbe potuto dolersi della violazione del termine se questa, per la sua entità, avesse effettivamente pregiudicato il suo diritto alla celebrazione del processo il più celermente possibile. Nel caso in esame la violazione è stata invece di un solo giorno; ha avuto consistenza tale, cioè, da risultare del tutto trascurabile, se non addirittura insignificante.
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