F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2017/2018 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 024/CFA del 11 Agosto 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 109/CFA del 22 Febbraio 2017 (dispositivo) – RICORSO SIG. NICOLA LAURENZA AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 15 E AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTE AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE; – ART. 1 BIS, COMMI 1, DEL CGS, IN RELAZIONE ALL’ART. 21, COMMI 2 E 3, DELLE NOIF E ALL’ART. 19 DELLO STATUTO DELLA F.I.G.C.; – ART. 1 BIS, COMMA 5, DEL CGS; – ART. 1 BIS, COMMA 1, DEL CGS IN RELAZIONE ALL’ART. 8, COMMI 1, 2 E 4, DEL CGS; – ART. 1 BIS, COMMA 1 DEL CGS, IN RELAZIONE ALL’ART. 37, COMMA 1, DELLE NOIF, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 3667/705PF15- 16 GT/SDS DELL’11.10.2016 (FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ AS VARESE 1910 SPA) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale-Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 44 del 21.12.2016)

RICORSO SIG. NICOLA LAURENZA AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 15 E AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTE AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE;

- ART.  1  BIS,  COMMI  1,  DEL  CGS,  IN  RELAZIONE  ALL’ART.  21, COMMI 2 E 3, DELLE NOIF E ALL’ART. 19 DELLO STATUTO DELLA F.I.G.C.;

- ART. 1 BIS, COMMA 5, DEL CGS;

- ART. 1 BIS, COMMA 1, DEL CGS IN RELAZIONE ALL’ART. 8, COMMI 1, 2 E 4, DEL CGS;

- ART. 1 BIS, COMMA 1 DEL CGS, IN RELAZIONE ALL’ART. 37, COMMA 1, DELLE NOIF,

SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALENOTA N. 3667/705PF15- 16 GT/SDS DELL’11.10.2016 (FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ AS VARESE 1910 SPA)

(Delibera del Tribunale Federale Nazionale-Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 44 del 21.12.2016)

Il Procuratore Federale, visti gli atti del procedimento n. 705pf15-16, effettuate le attività di indagine di propria competenza deferiva al Tribunale Federale Nazionale, Sezione disciplinare, con nota prot. 36670/705pf15-16/GT/sds dell'11 ottobre 2016, tra gli altri, per quanto qui interessa il sig. Nicola Laurenza, presidente nelle stagioni sportive 2013/2014 e 2014/15 dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa e, in ambito civilistico, presidente del consiglio di amministrazione e socio di riferimento per il tramite della Oro In Euro Italia Spa dal 25 giugno 2013 all’8 giugno 2015, per le seguenti violazioni,

1) art. 1 bis, comma 1, CGS, in relazione all’art. 21, commi 2 e 3, delle NOIF e all’art. 19 dello Statuto della F.I.G.C.:

a) per aver attuato la cattiva gestione economica e finanziaria della Società fallita, caratterizzata da un forte squilibrio tra costi e ricavi e che ha contribuito a causare il dissesto economico, patrimoniale e finanziario che ha condotto al fallimento l’associazione sportiva Varese 1910 Spa, avendo la medesima maturato 31.12.2014, una perdita di periodo di euro 533.305, un’esposizione debitoria pari a euro 18.630.771 circa e un patrimonio netto negativo per euro 1.987.481 ed al 30.4.2015 una perdita in corso di formazione di euro 3,5 milioni circa e un patrimonio netto negativo per oltre euro 3.000.000 contribuendo all’accumulo dei debiti accertati nello stato passivo per complessivi euro 13.707.354,17 a fronte di insinuazioni per complessivi euro 15.332.678,49;

b) per aver sistematicamente ritardato ovvero omesso il pagamento degli oneri fiscali e contributivi sorti a carico dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa così da comportare una crescita costante delle esposizioni debitorie nei confronti dell’erario e degli Istituti previdenziali, nonché alla necessità di chiedere e ottenere numerose rateizzazioni di tali debiti con gravi ripercussioni di natura finanziaria che hanno contribuito a causare lo stato d’insolvenza  della Società, debiti accertati nello stato passivo per euro 11.180.058,74;

2) art. 1 bis, comma 5, CGS per non aver effettuato, in qualità di socio di riferimento fino al 2 giugno 2015 e di socio di minoranza del sodalizio fino alla data del fallimento, gli apporti di capitale necessari a riequilibrare la situazione finanziaria della Società, consentire il pagamento dei creditori e scongiurare lo stato d’insolvenza che ha dato luogo alla dichiarazione di fallimento della Società;

3) art. 1 bis, comma 1, CGS in relazione all’art. 8, commi 1 2 e 4, CGS per aver contabilizzato nel bilancio al 31 dicembre 2013 dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa una plusvalenza fittizia di euro 1.200.000, scaturita dall’operazione di cessione senza corrispettivo del marchio “AS Varese 1910” alla società La Sportiva Srl, interamente partecipata dalla cedente e da lui gestita in qualità di amministratore unico dal 12 luglio 2014 alla data del fallimento (dichiarato dal Tribunale di Varese con sentenza n. 1 del 4 gennaio 2016), riducendo così la perdita d’esercizio al 31 dicembre 2013 dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa che sarebbe stata di euro di euro 3.558.440, invece che di euro 2.358.440 e fatto assumere al patrimonio netto un valore positivo di euro 388.587, che, diversamente, avrebbe avuto un valore negativo pari a euro - 811.413, circostanza che non avrebbe consentito alla Società di ottenere l’iscrizione al campionato di competenza della stagione 2014/2015 in assenza di una immediata ricapitalizzazione da parte dei soci;

4) art. 1 bis, comma 1, CGS, in relazione all’art. 37, comma 1, delle NOIF, per non avere provveduto alla comunicazione agli organi federali in ossequio alla normativa vigente del ruolo ricoperto dal sig. Antonino Imborgia nell’ambito dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa durante il periodo novembre 2014-marzo 2015, nel quale questi ha svolto le mansioni di vice presidente esecutivo con delega alla gestione sportiva della società su mandato da lui stesso conferitogli.

Nella sua difesa scritta il sig. la difesa del sig. Laurenza, oltre a formulare l'eccezione di irricevibilità del deferimento ex art. 32 ter, comma 4, CGS ha escluso ogni ipotesi di responsabilità in ordine alla causazione del dissesto finanziario del Varese, sottolineando, in particolare l'esistenza di una situazione finanziaria reale diversa rispetto a quella prospettatagli al momento in cui ha assunto la presidenza; a supporto delle proprie asserzioni ha evidenziato il massiccio sforzo finanziario posto in essere dal Laurenza che avrebbe versato nelle casse societarie diversi milioni di euro per evitare la decozione della stessa. Ha chiesto, inoltre, la sospensione del processo in attesa delle definizione del procedimento penale pendente presso la competente Procura della Repubblica.

Alla seduta del 16 dicembre 2016 la Procura Federale ha replicato alle deduzioni difensive del deferito, chiedendo infliggersi le seguenti sanzioni: inibizione mesi 24 (ventiquattro) e ammenda € 10.000,00 (Euro diecimila/00).

Il TFN ha, anzitutto, rigettato le eccezioni formulate dal deferito.

Con riferimento alla supposta improcedibilità del deferimento per la violazione dei termini previsti dall'art. 32 ter, comma 4, il Tribunale ha richiamato quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte Federale d'Appello in ordine alla non perentorietà dei termini previsti dalla predetta disposizione (Comunicato ufficiale 075/CFA del 2 dicembre 2016).

Questo Tribunale, inoltre, non ritiene possa trovare accoglimento la richiesta di sospensione del procedimento in attesa della definizione del procedimento penale in corso giacché gli eventuali rilievi penali della vicenda (si ricordi che il procedimento risulta ancora in fase di indagine) si ritiene non possano aggiungere alcunché in ordine alle violazioni delle norme di disciplina dell'ordinamento sportivo contestate in tale sede».

Quanto al merito ha ritenuto «durante la gestione della Società da parte del Rosati Antonio, sono state poste in essere condotte non improntate a criteri di economicità e sana gestione finanziaria, soprattutto senza alcuna programmazione di carattere economico idonea a ristabilire una situazione di equilibrio finanziario che avrebbe quantomeno potuto evitare il fallimento societario.

Sotto la gestione del Rosati e del Montemurro, che contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, aveva un ruolo esecutivo nella gestione societaria (non può attribuirsi una veste meramente formale alla carica di amministratore delegato ricoperta) emerge che la politica societaria ha portato un aumento sensibile della situazione debitoria provocando un forte squilibrio fra costi e ricavi.

Tale situazione, a prescindere dalla circostanza se il Laurenza fosse stato informato o meno della forte situazione debitoria della Società al momento in cui lo stesso è subentrato nella compagine sociale, ha indubbiamente contribuito causalmente al fallimento della Società; il sensibilissimo aumento della situazione debitoria negli anni 2010-2012, caratterizzato da un fortissimo aumento delle esposizioni verso i fornitori, le banche ed il mancato pagamento dei debiti tributari nei termini previsti, a prescindere da loro eventuale rilievo civilistico o penale si pongono inevitabilmente in stretto rapporto causale con il fallimento della Società, tanto é vero che anche la CO.VI.SO.C. evidenziava tali aspetti nella relazione redatta a seguito dell'ispezione del 21 Novembre 2013.

Tale situazione non é mutata durante la gestione Laurenza, laddove la situazione debitoria é aumentata e non sono stati posti in essere interventi adeguati, soprattutto in termini di razionalizzazione e riduzione dei costi per evitare il tracollo finanziario. Se, da un, lato va dato atto che il Laurenza si é personalmente esposto mediante l'immissione di ingenti capitali finanziari nelle casse societarie, di contro appare evidente che la gestione societaria non ha cambiato impostazione, essendo esponenzialmente aumentato anche il debito, con particolare riferimento anche ai debiti tributari passati da Euro 5.819.385 del dicembre 2013 ad Euro 7.013.212 del Giugno 2014.

L'operazione descritta al punto C13 dell'atto di deferimento – cessione del marchio denominato AS Varese 1910 ad una neo costituita Società integralmente partecipata dall’Associazione sportiva Varese 1910”, avente come amministratore unico il Montemurro e, successivamente il Laurenza stesso – posta in essere unitamente alla collaborazione fattiva del Montemurro assurge quale ulteriore elemento rilevante al fine della valutazione delle condotte tenute dagli odierni deferiti.

Tale operazione ha consentito alla Società di poter iscrivere nell’attivo dello stato patrimoniale una partecipazione totalitaria pari ad Euro 1.245.000,00 e nel conto economico una plusvalenza di pari importo al fine di coprire solo figurativamente parte delle perdite societarie, giacché la somma in questione non è mai stata versata nelle casse della Società».

In relazione, infine, alle contestazioni formulate al sig. Laurenza, aventi riguardo alla violazione di cui all'art. 37, comma 1, delle NOIF, il TFN ha ritenuto sussistere la responsabilità dello stesso, mentre quanto al profilo sanzionatorio, il Tribunale ha valorizzato, ai fini della riduzione della sanzione rispetto alla richiesta formulata dalla Procura federale, la circostanza che il sig. Laurenza, mediante una ingente iniezione di capitali propri, ha cercato di tamponare - sebbene con iniziative estemporanee e non programmatiche - la grave situazione finanziaria, riconoscendo, dunque, detta circostanza, quale attenuante ai fini della riduzione dell'entità dell'inibizione.

Il Tribunale Federale Nazionale - sez. disciplinare, rigettate le eccezioni preliminari, ha quindi accolto il deferimento proposto dal Procuratore Federale nei confronti del sig. Laurenza Nicola e, per l’effetto, ha inflitto allo stesso la sanzione della inibizione per mesi 15 (quindici) e quella dell’ammenda di euro 10.000,00 (Euro diecimila/00).

Avverso la predetta decisione, pubblicata sul C.U. n. 44/TFN del 21 dicembre 2016, ha proposto ricorso, come difeso ed assistito, il sig. Nicola Laurenza.

ð Con un primo motivo di gravame censura, il reclamante, la decisione di mancato accoglimento dell’eccezione di improcedibilità del deferimento per violazione dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, evidenziando che la giurisprudenza della Corte federale di appello richiamata dal TFN «ha voluto di fatto modificare – e non solo interpretare – la norma riportata al sesto comma dell’art. 38 del CGS che recita inequivocabilmente che “tutti i termini previsti dal presente Codice (e non dalla semplice sezione del medesimo, ndr) sono perentori».

ð Con un secondo motivo di appello il reclamante contesta di aver contribuito a causare il dissesto economico della società «perché lo stesso era stato causato dalle precedenti gestioni».

La tesi difensiva ruota, in particolare, intorno alla circostanza che Laurenza, già dal 2010 sponsor del Varese tramite la società Oro in Euro e, poi, l’anno della promozione nella sede cadetta, main sponsor, ricevuta il 4 giugno 2013 la proposta di assumere direttamente le redini della società, sarebbe stato tratto in “trappola” quando, «rientrato da un viaggio di lavoro all’estero, il giorno 7 giugno» si «presentava dal sig. Rosati il quale, in compagnia del signor Montemurro» avrebbe comunicato allo stesso «che era già stata indetta una conferenza stampa per presentarlo come nuovo presidente del club e socio di minoranza», senza così avere «la materiale possibilità di poter prendere visione dei documenti della società: questa potrebbe essere considerata una colpa per la quale, peraltro, il signor Laurenza ha scontato la pena sulla propria pelle, con l’immissione nel club di ingente liquidità».

Insomma, in breve, Laurenza si sarebbe fidato delle rassicurazioni di Rosati e Montemurro in ordine alla sostenibilità della situazione economico-patrimoniale della società, assicurazioni, poi, rivelatesi infondate. E lo stesso sarebba accaduto in occasione dell’acquisto delle ulteriori quote di maggioranza (83%), sospinto, il reclamante, dall’amore «per il proprio club e l’entusiasmo per la squadra» e sollecitato «in questo anche dalla “piazza” e dalle istituzioni che ben conoscevano l’amore per la squadra e la sua serietà».

Quello che il reclamante definisce il “brutto risveglio” «già alla scadenza del 30 giugno», essendo i conti correnti azzerati, tanto che si vedeva «costreià tto a versare l’importo di euro 500.000,00 (oltre Iva) già previsto quale importo della sponsorizzazione, ma in un’unica soluzione e non secondo il piano concordato già in precedenza e provvedeva anche a garantire l’iscrizione al campionato fornendo la necessaria fideiussione». Inoltre, aggiunge il reclamante, «da quel momento non percepiva alcun compenso (diversamente dai precedenti amministratori) pagand addirittura di tasca propria le proprie trasferte per seguire la strada».

Evidenzia, poi, il reclamante come la stessa Procura federale ammetta che il sig. Laurenza va versato ingente liquidità nelle casse del Varese, «ben euro 5.000.000,00 (cinque milioni di euro)». Anzi, si aggiunge in ricorso, «se si coniderano le sponsorizzazioni degli anni precedenti e la fideiussione escussa dalla LNP-B al termine della s.s. 2014/2015, il signor Laurenza tirava fuori dalle sue tasche la considerevole somma di circa euro 8.000.000,00 (otto milioni di euro)».

ð Con un terzo motivo di gravame il reclamante lamenta erroneità della decisione del TFN relativamente alla cessione del marchio, evidenziando come, a suo dire, «la valorizzazione e conseguente cessione del marchio è un’operazione del tutto legittima nel nostro sistema sportivo».

ð Con ultimo motivo di gravame il sig. Laurenza deduce errata determinazione della sanzione, anche perché, essendo stata riconosciuta la sussistenza di una circostanza attenuante, il  TFN avrebbe dovuto ridurre tutte le richieste della Procura, instando, quindi, sotto tale profilo, per il riconoscimento di «un’ammenda in via simbolica o, comunque, ridotta nella misura massima possibile».

ð Queste le conclusioni di cui al reclamo:

«in via principale:

riformare l’impugnata decisione e per l’effetto accertare e dichiarare la nullità e/o l’improcedibilità del deferimento e/o comunque prosciogliere il signor Nicola Laurenza da ogni responsabilità per tutti i motivi meglio indicati nella precedente narrativa;

in via subordinata: riformare la decisione gravata con la corretta applicazione del criterio sanzionatorio e la conseguente diminuzione dell’ammenda irrogata».

All’udienza fissata innanzi questa Corte federale di appello per il giorno 9 febbraio 2017, poi aggiornata al 22 febbraio 2017, sono comparsi il dott. Luca Scarpa per la Procura federale e l’avv. Calloni per il ricorrente. La difesa del reclamante ha ribadito ed illustrato i motivi di motivi di gravame, mentre il rappresentante della Procura Federale ha insistito per la reiezione del ricorso.

Dichiarato chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti

MOTIVI

La Corte, letto l’atto di gravame, sentite le parti ed esaminati gli atti ufficiali, ritiene che il ricorso meriti parziale accoglimento, nei termini di seguito precisati.

Deve essere, dapprima, in via logicamente preliminare, esaminata l’eccezione di improcedibilità del deferimento per violazione dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

L’eccezione, pur suggestivte articolata, non è fondata.

Sotto tale profilo, questa Corte, riunita a Sezioni Unite, ha di recente risolto, come anche ricordato dallo stesso reclamante, la questione di diritto agitata anche nel presente giudizio, con la pronuncia pubblicata sul C.U. n. 075/CFA, con cui ha escluso la perentorietà dei suddetti termini. Orbene, questo Collegio non intende discostarsi dalla suddetta decisione ancora di recente assunta: di seguito, quindi, anche per non appesantire la presente decisione, si richiamano i tratti salienti del ragionamento logico-giuridico sotteso alla medesima.

L’azione disciplinare, anche laddove fosse stata esercitata dalla Procura federale oltre i trenta giorni dalla scadenza del termine concessi ai deferiti per l’invio della memoria o per richiedere di essere sentiti, giammai avrebbe potuto condurre il Tribunale ad una dichiarazione di improcedibilità o irricevibilità del deferimento per inosservanza dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS; ciò in quanto, appunto, non si tratta di termini perentori.

Rinunciando ad ogni ipotesi di ricostruzione unitaria dei termini rinvenibili nei codici di giustizia sportiva FIGC e CONI, sul presupposto che il legislatore sportivo ha previsto termini di diversa natura, ai quali ha ricollegato (o non), di volta in volta, conseguenze diverse in ordine all’inosservanza degli stessi, in mancanza di una sanzione specifica e diretta da ricollegare ai termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS agli stessi deve essere negata natura perentoria.

Nella prospettazione assunta dai giudici delle Sezioni Unite della decisione n. 075/CFA prima richiamata – e che qui evidentemente si condivide – la norma non contiene una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio. È compito dell’interprete, dunque, qualificare il termine di cui trattasi.

E qui viene in rilievo l’art. 38, comma 6, CGS a norma del quale “tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”. Norma che si applicherebbe, in sostanza, anche ai termini previsti dall’art. 32 ter, comma 4, CGS. Tale assunto non può essere condiviso.

Ragioni di natura sistematica inducono, allo stato, ad escludere che la perentorietà del termine di cui trattasi possa desumersi dalla generale, quanto generica, indicazione contenuta nello stesso predetto art. 38 CGS. Non fosse altro che, diversamente opinando, osservano i giudici delle Sezioni Unite di questa Corte, nella stesura della prima richiamata decisione, “non troverebbero spiegazione tutte quelle disposizioni disseminate nell’arco dell’intero codice di giustizia sportiva, che qualificano, appunto, come perentorio, un dato termine o sanzionano espressamente il mancato compimento di una data attività entro il termine assegnato”. Basti pensare, a titolo meramente esemplificativo e non già esaustivo, all’art. 34 bis (rubricato “Termini di estinzione del giudizio disciplinare e termini di durata degli altri giudizi”); all’art. 23, comma 2, in materia di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti; ed ancora, all’art. 32 sexies (intestato “Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione”).

È di tutta evidenza, quindi, che quando il legislatore federale ha voluto considerare perentorio un dato termine lo ha fatto (in modo specifico) espressamente o attraverso una formale qualificazione o per il tramite della previsione di una speciale conseguenza sanzionatoria per il caso di mancato adempimento o compimento dell’attività processuale indicata nel termine assegnato.

Sempre nel qui condiviso ragionamento giuridico svolto nella suddetta decisione, ad escludere la perentorietà del termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, vale anche la collocazione sistematica, essendo lo stesso inserito nel titolo III (“Organi della giustizia sportiva”), laddove l’art. 38 è, invece, inserito nel titolo IV (“Norme generali del procedimento). Ciò che sembra confortare il convincimento secondo cui il riferimento alla perentorietà, rinvenibile nella disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS, vale con riguardo ai termini indicati nello stesso art. 38 (primo tra tutti quello per la proposizione dei reclami e connessi adempimenti). Non a caso, del resto, la predetta norma è rubricata, appunto, “Termini dei procedimenti e modalità di comunicazione degli atti”.

Al più, prosegue la suddetta pronuncia, “il riferimento alla perentorietà di cui trattasi, anche alla luce della predetta collocazione sistematica, può ritenersi effettuato ai termini indicati per lo svolgimento della fase processuale, ma non anche a quella procedimentale o propedeutica all’instaurazione della fase contenziosa vera e propria. Del resto, è proprio in questa fase che i principi del giusto processo e parità delle parti trovano la loro massima espressione ed attuazione”.

Pertanto, appare logico ritenere che il legislatore abbia generalmente inteso attribuire natura perentoria (solo) ai termini attraverso cui si snoda il processo e in ordine ai quali il mancato espletamento di una data attività processuale nel termine imposto è suscettibile di ledere ex se i diritti e le garanzie difensive dell’altra parte.

Anche sotto siffatto profilo, dunque, la lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, già affermata, come detto, da precedenti decisioi delle Sezioni Unite di questa Corte, appare coerente con il sistema, senza contrastare con la pronuncia n. 27/2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni richiamata da numerose pronunce dello stesso Tribunale federale nazionale a sostegno della perentorietà dei termini di cui si discute (TFN CC.UU. nn. 43-19/2016-17). Infatti, “l’organo di vertice della giustizia sportiva si è espresso proprio sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare, termine che, non solo è riferito al processo e non già al procedimento istruttorio, ma è anche stabilito espressamente a pena di estinzione, come già, del resto, anche affermato da alcune recentissime decisioni di questa Corte”.

Sotto altro profilo, poi, si evidenzia che il procedimento della Procura federale si sostanzia in una “sequenza di attività successive legate da un ordine logico e funzionali al raggiungimento di un obiettivo (accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare di responsabilità)”, si tratta quindi di una “fase procedimentale-istruttoria collegata a quella (eventuale) successiva strutturata secondo le regole proprie di ogni processo, a cominciare da quella dell’assoluta parità delle parti e pienezza del contraddittorio. Un avvicinamento, dunque, per gradi al giudizio, attraverso fasi caratterizzate da esigenze diverse e disciplinate da differenti regole”. Posta, dunque, la natura procedimentale del termine di trenta giorni di cui trattasi, deve escludersi, anche sulla scorta di ciò, che lo stesso abbia natura perentoria con effetti decadenziali. Di conseguenza, al suo mancato rispetto non può ricollegarsi l'effetto della improcedibilità o irricevibilità della “intempestiva” citazione a giudizio.

In definitiva, in applicazione pratica di tali principi, ai quali questo Collegio intende allinearsi, deve concludersi che il termine di cui trattasi possa essere qualificato come acceleratorio. Si tratta, più precisamente, di un “termine volto ad assicurare la speditezza dei corrispondenti itinera procedimentali”, ossia ad imprimere un certo ritmo allo svolgimento del procedimento, in funzione di un equo contemperamento delle molteplici esigenze prima richiamate e di una celere definizione dei procedimenti istruttori, volti ad assicurare al giudizio, rapidamente, per quanto possibile, tesserati ritenuti responsabili di violazioni disciplinarmente rilevanti e, nel contempo, a scongiurare un inutile aggravio di attività processuale e di onere di difesa per l’indagato che, all’esito di una adeguata ponderazione del complessivo materiale istruttorio acquisito, risulti non imputabile della violazione in relazione alla quale è stato iscritto nell’apposito registro. Pertanto, all’eventuale infruttuoso decorso del termine di cui trattasi l’ordinamento sportivo non assegna una specifica sanzione di decadenza o una data efficacia preclusiva, non avendo previsto la produzione di un determinato effetto giuridico con ricaduta sulla (inammissibilità della) instaurazione del giudizio.

Degno di piena condivisione, poi, anche altro percorso logico-sistematico seguito dagli estensori della predetta, qui richiamata, pronuncia, attraverso il quale pure si giunge ad escludere la natura perentoria dei termini ex art. 32 ter, comma 4, CGS.

Si è già detto che non contenendo la norma (art. 32, ter, comma 4, CGS) una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio, è all’interprete che deve affidarsi la delicata qualificazione del termine di cui trattasi. Ebbene, esclusa la possibilità di considerare perentorio detto termine in virtù del mero richiamo all’art. 38, comma 6, CGS, “occorre riferirsi, per espresso disposto della norma di cui all’art. 1, comma 2, CGS, alle disposizioni del codice di giustizia sportiva del Coni. Così, infatti, recita la predetta norma: «Per tutto quanto non previsto dal presente Codice, si applicano le disposizioni del Codice della giustizia sportiva emanato dal CONI»”, che, tuttavia, non reca alcuna norma che qualifichi come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare entro i trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa di cui si è detto.

“Non rimane, pertanto, che rifarsi alla disposizione di cui all’art. 2, comma 6, CGS Coni che prevede espressamente che «Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva»”.

E allora, dal combinato disposto degli artt. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni la disposizione di riferimento per la fattispecie deve essere individuata in quella dettata dall’art. 152

c.p.c. (rubricato “Termini legali e termini giudiziari”), che così recita al comma 2: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, con la conseguenza che, non essendo dichiarato espressamente perentorio, tale non può essere considerato il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

Riepilogando, dunque, deve escludersi che i termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, in rilievo nel presente giudizio, abbiano natura perentoria. Con la conseguenza, dunque, che l’inosservanza degli stessi, nei termini e nei limiti sopra precisati, non avrebbe potuto condurre alla dichiarazione di improcedibilità / irricevibilità del deferimento emesso oltre lo stesso.

Passando, quindi, all’esame del merito ritiene questa Corte che il deferimento nei confronti del sig. Laurenza sia fondato. Tanto in ragione di alcuni specifici fatti – come dettagliatamente descritti ed addebitati al ricorrente nella qualità di presidente nelle stagioni sportive 2013/2014 e 2014/15 dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa e, in ambito civilistico, presidente del consiglio di amministrazione e socio di riferimento per il tramite della Oro In Euro Italia Spa dal 25 giugno 2013 all’8 giugno 2015 – ritenuti espressione di cattiva gestione e concausa del dissesto economico

patrimoniale della suddetta società, poi dichiarata fallita con sentenza n. 78 del 19 novembre 2015 del Tribunale di Varese.

L’affermazione della responsabilità, nella fattispecie, presuppone, tuttavia, come correttamente ritenuto dal reclamante, l’accertamento di profili di colpa dell’amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, accertamento con riferimento al quale non vi è motivo  per derogare ai comuni criteri in materia di onere della prova. Deve, peraltro, precisarsi che la colpa in questione non necessariamente deve riguardarsi sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società, ma può più ampiamente concernere anche la scorrettezza di comportamenti (pure in particolare sotto il profilo sportivo) nella gestione della società.

Orbene, procedendo nel solco di siffatte coordinate giurisprudenziali, emerge, dal corposo materiale probatorio acquisito al procedimento, sufficiente prova di plurimi episodi di mala gestio analiticamente ricostruiti dalla Procura federale e che hanno, nel complesso, contribuito a condurre al dissesto economico-finanziario la società di cui trattasi.

Per quanto qui particolarmente rileva, muovendo dal rilevante ruolo svolto dal ricorrente nel periodo sopra ricordato all’interno della società Varese, in virtù sia degli incarichi svolti che del relativo assetto societario, vanno qui richiamate le gravi condotte distorsive registrate nel periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento e sulla cui valenza illecita, stante il rapporto di chiara distonia con la normativa endofederale, non residuano dubbi come di seguito, in rapida sintesi, si evidenzia.

Segnatamente, trovano anzitutto conferma le reiterate condotte di cattiva gestione della società. È a tal fine sufficiente già una semplice analisi dei bilanci relativi agli esercizi 2013 e 2014 e della relativa documentazione contabile. La situazione contabile al 31 maggio 2013 allegata all’atto di cessione di quote del 25 giugno 2013 (Rosati è Laurenza) fa emergere uno squilibrio tra costi e valore della produzione, tale da generare una perdita di periodo pari ad euro 67.999,88. Squilibri riconfermati ed aggravati dalla rilevazione contabile al 30 settembre 2013 (perdita di oltre 2,3 milioni di euro).

L’ampio corredo probatorio su cui riposa l’atto di deferimento trova anche conferma nei rapporti Co.Vi.So.C. e, in particolare, in quello relativo alla ispezione del 21 novembre 2013, nel quale gli ispettori evidenziano, tra l’altro, che la significativa esposizione debitoria «non appare sanabile se non attraverso interventi straordinari dei soci ovvero ingenti risultati positivi generabili dalla campagna trasferimenti che a oggi non appaiono attuabili». Si legge, ad esempio, ancora  nel predetto rapporto: «la situazione contabile al 30.09.2013 evidenzia una perdita di periodo di € 2.304.334,84 che, unitamente alla perdita rinviata dell’esercizio chiuso al 31.12.2012, seppur in presenza di finanziamenti effettuati dai soci, richiede un immediato e non più procrastinabile intervento della compagine sociale essendo il capitale sociale ormai completamente azzerato».

Il bilancio redatto al 30 giugno 2014 evidenzia una perdita di euro 1.842.762, non di molto inferiore, come correttamente sottolineato in deferimento, «a quella di € 2.358.440 accumulata nell’intero 2013».

Dalla relazione Co.Vi.So.C. del 18 giugno 2015 emerge che la società aveva contabilizzato al 31.12.2014 un valore della produzione di euro 5.356.312 a fronte di costi della produzione pari ad euro 5.813.631; una perdita di periodo di euro 533.305; un patrimonio netto negativo per euro

1.987.481 (al lordo di finanziamento soci per euro 1.844.000); un debito attestatosi su euro 18.630.771, di cui 5.030.070 nei confronti di fornitori, 830.439 nei confronti di banche, 6.692.220 nei confronti dell’erario, 1.351.438 nei confronti di Istituti previdenziali.

Il suddetto approdo ermeneutico – quanto alla ritenuta sussistenza delle condotte distrattive in addebito – vale già di per se stesso a convalidare l’allarmante quadro di irregolarità lumeggiato nella decisione di prime cure.

Il diffuso ricorso ad operazioni di finanziamento “indebito” attuato, appunto, attraverso la continua esposizione debitoria verso enti, istituti e fornitori, il mancato intervento sull’aumento smisurato dei costi a fronte di un non correlato aumento dei ricavi, l’omesso ricorso a strumenti di gestione e/o di finanziamento adeguati e necessari al ripristino dell’equilibrio, l’incapacità di generare idonei flussi di cassa, sono già di per sé indice evidente di una cattiva gestione e delle relative ricadute sulla situazione economicopatrimoniale della società Varese, che già rendono di tutta evidenza la ritenuta, grave compromissione dei principi e dei valori su cui riposa l’ordinamento federale.

Ampia dimostrazione vi è, dunque, in atti in ordine alla responsabilità del reclamante per le contestazioni di cui al capo di incolpazione sopra riportato al n. 1, sub a) e b) e al n. 2. Del resto, come già affermato da questa Corte, la responsabilità di una grave crisi economico-finanziaria che sfoci nel dissesto della società è da ascrivere anche alla cattiva gestione degli amministratori, quando, come nel caso di specie, risultino omesse condotte virtuose tali da porre rimedio agli squilibri dei conti e, comunque, idonee iniziative di rivitalizzazione del capitale sociale (cfr. C.U. n. 21/CGF del 7 agosto 2014 e C.U. n. 335/CGF del 19 giugno 2014).

Ciò nondimeno, le condotte fin qui passate in rassegna non esauriscono il ventaglio  degli addebiti che, sul piano dell’ordinamento sportivo, è possibile muovere al ricorrente nella gestione della società Varese.

Ed, invero, va qui richiamato almeno un ulteriore specifico episodio oggetto di contestazione, parimenti sintomatico di irregolarità nella gestione amministrativa della società e che corrobora, nell’ambito di una necessaria visione di insieme, il grave disvalore della condotta tenuta dal ricorrente.

Viene, in particolare, in rilievo, la condotta descritta nel punto C 13 del deferimento, relativo alla contabilizzazione di una plusvalenza di euro 1.200.000,00 per effetto della cessione, in data 27 dicembre 2013, del marchio denominato “A.S. Varese 1910” alla neo costituita società La Sportiva s.r.l., interamente partecipata dalla A.S. Varese 1910 s.p.a. La società La Sportiva s.r.l. è risultata costituita proprio il 27 dicembre con la finalità di divenire cessionaria del brand “A.S. Varese 1910”, che le è stato venduto per un corrispettivo, risultato mai versato, di euro 1.200.000 ed è stata gestita dall’amministratore unico sig. Vincenzo Eustacchio Montemurro dal 16 gennaio al 12 luglio 2014 e dall’amministratore unico sig. Nicola Laurenza dal 12 luglio 2014 al fallimento.

Siffatta operazione ha permesso alla A.S. Varese 1910 s.p.a. di iscrivere nell’attivo dello stato patrimoniale del bilancio 2013 una partecipazione totalitaria di euro 1.245.000,00 e nel conto economico una plusvalenza di pari importo, così consentendo di limitare la perdita conseguita nel 2013 (che, diversamente, sarebbe stata di euro 3.558.440 anziché di euro 2.358.440) e di far assumere al patrimonio netto un valore positivo di euro 388.587 (diversamente, sarebbe stato di meno euro 811.413,00). Questa situazione di bilancio, in difetto di pronta ricapitalizzazione da parte dei soci) non avrebbe consentito alla società di ottenere l’iscrizione al campionato di competenza della stagione 2014/2015.

Fondata, dunque, anche la contestazione del deferimento sopra rubricata sub 3.

Non può, in definitiva, essere revocata in dubbio la natura illecita delle  suddette  condotte siccome in plateale contrasto anche con il disposto di cui all’articolo 94 delle NOIF e delle altre disposizioni federali che si pongono a presidio della effettività del versamento degli oneri previdenziali e fiscali e sulla correttezza e trasparenza della situazione patrimoniale ed economico- finanziaria necessaria per la regolarità dell’iscrizione ai campionati delle società affiliate.

Infine, pacifica e neppure contestata la violazione di cui al capo di incolpazione sopra rubricato

sub 4.

Ciò detto e affermata, dunque, la responsabilità del reclamante per tutte le violazioni allo stesso ascritte nell’atto di deferimento, quanto alla determinazione della misura sanzionatoria devono essere valorizzate una serie di circostanze attenuanti.

L’analisi dei bilanci relativi agli esercizi 2010, 2011 e 2012, ad esempio, mette in rilievo una situazione di evidente criticità economico-finanziaria, conseguenza, in primo luogo, di una sovrastante struttura dei costi, rispetto ai ricavi. Una gestione economica, dunque, che non riusciva a raggiungere l’equilibrio, con inevitabile ricaduta sulla gestione finanziaria, incapace di assicurare i necessari flussi di cassa.

La voce capitale investito risulta alimentata sostanzialmente dall’incremento della esposizione debitoria verso fornitori, erario, Istituti assicurativo-previdenziali, Istituto di credito. Il debito in costante crescita (3,4 milioni nel 2010, 9,4 milioni nel 2011, 11,4 milioni nel 2012).

Insomma, una situazione contabile, patrimoniale ed economico-finanziaria quella esistente all’atto dell’acquisto delle quote da parte del reclamante, già grave. E di ciò ne è evidenza e se ne dà atto nello stesso atto di deferimento.

Se ne deduce che l’apporto causale, da parte del sig. Laurenza, al dissesto della società non è di certo esclusivo e le ragioni del disequilibrio di bilancio hanno radici più lontane.

È, poi, effettivamente presumibile e, comunque, verosimile, ritenere, come sostenuto in reclamo, che il sig. Laurenza non fosse stato a conoscenza della reale situazione patrimoniale ed economico- finanziaria della società che acquistava. Peraltro, l’assunto sembra trovare anche conferma nelle dichiarazioni rese dal sig. Giuseppe D’Aniello (già segretario generale Varese) e, in parte, anche di quelle del sig. Michele Lo Nero. Circostanza, questa, che certamente non scrimina, ma che merita, tuttavia, nello specifico contesto di riferimento, di essere tenuta, quantomeno, presente ai fini della valutazione in termini di minor disvalore della condotta del reclamante.

A questi elementi circostaniali si aggiunge, poi, l’altra, pure invocata dal reclamante, e già valorizzata dal TFN, dei consistenti (ma, tuttavia, insufficienti) apporti di liquidità operati dal sig. Laurenza.

Sotto tale profilo, dunque, la sanzione merita di essere ridotta e, per le ragioni prima indicate, questa Corte ritiene congrua e giustamente remunerativa dell’effettivo disvalore sportivo che caratterizza le condotte illecite di cui trattasi, in considerazione della connotazione delle stesse, la sanzione della inibizione per anni 1 (uno), oltre quella dell’ammenda di euro duemila.

Per questi motivi la C.F.A., in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal sig.

Nicola Laurenza, riduce la sanzione dell’inibizione a mesi 12 e l’ammenda a € 5.000,00.

Dispone restituirsi la tassa reclamo.

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