F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2017/2018 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 024/CFA del 11 Agosto 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 109/CFA del 22 Febbraio 2017 (dispositivo) – RICORSO SIG. VINCENZO EUSTACHIO MONTEMURRO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 18 E AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTE AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1BIS COMMA 1 E 8, COMMI 1, 2 E 4 C.G.S., IN RELAZIONE ART. 21, COMMI 2 E 3 DELLE NOIF E ALL’ART. 19 DELLO STATUTO FEDERALE, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 3667/705PF15-16 GT/SDS DELL’11.10.2016 (FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ AS VARESE 1910 SPA) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale-Sezione Disciplinare – Com. Uff. n. 44 del 21.12.2016)

RICORSO SIG. VINCENZO EUSTACHIO MONTEMURRO AVVERSO LA SANZIONE DELL’INIBIZIONE PER MESI 18 E AMMENDA DI € 10.000,00 INFLITTE AL RECLAMANTE PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 1BIS COMMA 1 E 8, COMMI 1, 2 E 4 C.G.S., IN RELAZIONE ART. 21, COMMI 2 E 3 DELLE NOIF E ALL’ART. 19 DELLO STATUTO FEDERALE, SEGUITO DEFERIMENTO DEL PROCURATORE FEDERALE – NOTA N. 3667/705PF15-16 GT/SDS DELL’11.10.2016 (FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ AS VARESE 1910 SPA) (Delibera del Tribunale Federale Nazionale-Sezione Disciplinare - Com. Uff. n. 44 del 21.12.2016)

Il Procuratore Federale, visti gli atti del procedimento n. 705pf15-16, effettuate le attività di indagine di propria competenza deferiva al Tribunale Federale Nazionale, Sezione disciplinare, con nota prot. 36670/705pf15-16/GT/sds dell'11 ottobre 2016, tra gli altri, per quanto qui interessa il sig. Vincenzo Eustacchio Montemurro, amministratore delegato dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa nelle stagioni sportive 2010/11, 2011/12, 2012/13 e 2013/14 fino al 24 giugno 2014 (in ambito civilistico, consigliere dal 5 agosto 2008 al 24 giugno 2014 e amministratore delegato dal 27

ottobre 2008 al 24 giugno 2014, nonché socio con il 10% delle azioni dal 25 giugno 2013 al 2 giugno 2015) per le seguenti violazioni:

1) art. 1 bis, comma 1, CGS in relazione all’art. 21, commi 2 e 3, delle NOIF e all’art. 19 dello Statuto della F.I.G.C.:

a) per aver attuato la cattiva gestione della Società, in crisi economica e finanziaria al momento della sua cessazione dalla carica, la cui struttura era caratterizzata da un ingente indebitamento, sintomo dell’incapacità di autofinanziamento della Società, dovuta ad una gestione caratteristica deficitaria e non idonea a generare i flussi di cassa necessari, da un lato, a far fronte alle esigenze finanziarie di breve periodo e, dall’altro, a ripagare il debito contratto, che, peraltro, registrava un costante e progressivo incremento tale da ammontare alla fine della stagione sportiva 2013/14, in particolare al 30.6.2014, periodo coincidente con la sua cessazione dalla carica, un’esposizione debitoria non inferiore ad euro 17.920.366,00 circa e un patrimonio netto negativo per euro 1.454.176,00;

b) per aver sistematicamente ritardato ovvero omesso il pagamento degli oneri fiscali e contributivi sorti a carico dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa, che ha portato nel triennio 2010-2012 ad una crescita costante delle esposizioni debitorie nei confronti dell’erario e degli Istituti previdenziali, nonché alla necessità di chiedere e ottenere numerose rateizzazioni di tali debiti con gravi ripercussioni di natura finanziaria negli esercizi successivi che hanno contribuito a causare lo stato d’insolvenza della Società, debiti accertati nello stato passivo per euro 11.180.058,74;

  1. art. 1 bis, comma 1, CGS in relazione all’art. 8, commi 1, 2 e 4, CGS per aver contabilizzato nel bilancio al 31 dicembre 2013 dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa una plusvalenza fittizia di euro 1.200.000, scaturita dall’operazione di cessione senza corrispettivo del marchio “AS Varese 1910” alla società La Sportiva Srl, interamente partecipata dalla cedente e da lui gestita in qualità di amministratore unico dal 12 luglio 2014 alla data del fallimento (dichiarato dal Tribunale di Varese con sentenza n. 1 del 4 gennaio 2016), riducendo così la perdita d’esercizio al 31 dicembre 2013 dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa che sarebbe stata di euro di euro 3.558.440, invece che di euro 2.358.440 e fatto assumere al patrimonio netto un valore positivo di euro 388.587, che, diversamente, avrebbe avuto un valore negativo pari ad euro - 811.413, circostanza che non avrebbe consentito alla Società di ottenere l’iscrizione al campionato di competenza della stagione 2014/2015 in assenza di una immediata ricapitalizzazione da parte dei soci.

Nella sua difesa scritta il sig. Montemurro ha contestato la validità del  secondo provvedimento di proroga concesso alla Procura federale. Ha lamentato, infatti, che la proroga sia stata richiesta quando il termine fosse già scaduto, in assenza di motivi eccezionali idonei a legittimare la concessione del provvedimento, e la durata del provvedimento, in relazione alla circostanza che il secondo provvedimento di proroga non può essere concesso per un periodo superiore a venti giorni, mentre nel caso di specie la seconda proroga - così come la prima - é stata concessa per un periodo pari a quaranta giorni.

Sempre in via preliminare ha, poi, contestato, il sig. Montemurro, la violazione dell'art. 32 ter, comma 4, CGS in quanto la comunicazione di conclusione delle indagini é intervenuta oltre i termini ivi previsti.

Quanto al merito il predetto deferito ha sostenuto l'infondatezza delle contestazioni formulate, insistendo sulla genericità delle condotte contestate e l'assenza di prove idonee, sviluppando la tesi difensiva secondo la quale, pur rivestendo lo stesso la carica ufficiale di "amministratore delegato", nella sostanza ha solo svolto un ruolo di carattere sportivo, occupandosi, per lo più, della gestione a livello tecnico sportivo del club, evidenziando, infine, di essersi dimesso dalla carica al termine della stagione 2013-2014.

Alla seduta del 16 dicembre 2016 la Procura Federale ha replicato alle deduzioni difensive del deferito, chiedendo infliggersi le seguenti sanzioni: inibizione mesi 18 (diciotto) e ammenda € 10.000,00 (Euro diecimila/00).

Il TFN ha, anzitutto, rigettato le eccezioni formulate dal deferito.

«Infatti, in relazione alla pretesa illegittimità della proroga accordata alla Procura Federale per lo svolgimento delle indagini, va rilevato che dagli atti emerge che il procedimento risulta iscritto nel registro dei procedimenti in data 2 febbraio 2016. Ne deriva che, per il presente procedimento trova applicazione, per espressa previsione della norma transitoria prevista nel CGS, la disciplina previgente alla modifica dell’art. 32 quinques, comma 3, intervenuta giusta delibera del Presidente della FIGC, pubblicata con comunicato ufficiale n. 339/A del 12 Aprile 2016. La disposizione prevedeva un termine massimo di quaranta giorni per lo svolgimento delle indagini, fatta salva la possibilità che la Procura Generale dello Sport autorizzassecome correttamente avvenuto nel caso di specie – la proroga per la medesima durata, fino ad un massimo di due volte. Alcun dubbio, inoltre, sussiste in ordine al fatto che la proroga sia stata richiesta prima della scadenza del termine delle indagini.

Con riferimento, invece, alla supposta improcedibilità del deferimento per la violazione dei termini previsti dall'art. 32 ter comma 4, questo Tribunale si riporta a quanto recentissimamente statuito dalle Sezioni Unite della Corte Federale d'Appello che ha ritenuto la non perentorietà dei termini previsti dal succitato articolo (Comunicato ufficiale 075/CFA del 2 dicembre 2016).

Questo Tribunale, inoltre, non ritiene possa trovare accoglimento la richiesta di sospensione del procedimento in attesa della definizione del procedimento penale in corso giacché gli eventuali rilievi penali della vicenda (si ricordi che il procedimento risulta ancora in fase di indagine) si ritiene non possano aggiungere alcunché in ordine alle violazioni delle norme di disciplina dell'ordinamento sportivo contestate in tale sede».

Quanto al merito ha ritenuto «che la corposa indagine effettuata dalla Procura Federale ha correttamente posto in evidenza che, nel periodo considerato la gestione dell'Associazione sportiva Varese Srl é avvenuta secondo criteri e condotte violative delle norme contestate nel deferimento.

Infatti ciò che rileva, dagli atti prodotti in giudizio é che sin dal 2010, durante la gestione della Società da parte del Rosati Antonio, sono state poste in essere condotte non improntate a criteri di economicità e sana gestione finanziaria, soprattutto senza alcuna programmazione di carattere economico idonea a ristabilire una situazione di equilibrio finanziario che avrebbe quantomeno potuto evitare il fallimento societario.

Sotto la gestione del Rosati e del Montemurro, che contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, aveva un ruolo esecutivo nella gestione societaria (non può attribuirsi una veste meramente formale alla carica di amministratore delegato ricoperta) emerge che la politica societaria ha portato un aumento sensibile della situazione debitoria provocando un forte squilibrio fra costi e ricavi.

Tale situazione, a prescindere dalla circostanza se il Laurenza fosse stato informato o meno della forte situazione debitoria della Società al momento in cui lo stesso è subentrato nella compagine sociale, ha indubbiamente contribuito causalmente al fallimento della Società; il sensibilissimo aumento della situazione debitoria negli anni 2010-2012, caratterizzato da un fortissimo aumento delle esposizioni verso i fornitori, le banche ed il mancato pagamento dei debiti tributari nei termini previsti, a prescindere dal loro eventuale rilievo civilistico o penale si pongono inevitabilmente in stretto rapporto causale con il fallimento della Società, tanto é vero che anche la CO.VI.SO.C. evidenziava tali aspetti nella relazione redatta a seguito dell'ispezione del 21 novembre 2013.

Tale situazione non é mutata durante la gestione Laurenza, laddove la situazione debitoria é aumentata e non sono stati posti in essere interventi adeguati, soprattutto in termini di razionalizzazione e riduzione dei costi per evitare il tracollo finanziario. Se, da un, lato va dato atto che il Laurenza si é personalmente esposto mediante l'immissione di ingenti capitali finanziari nelle casse societarie, di contro appare evidente che la gestione societaria non ha cambiato impostazione, essendo esponenzialmente aumentato anche il debito, con particolare riferimento anche ai debiti tributari passati da Euro 5.819.385 del dicembre 2013 ad Euro 7.013.212 del Giugno 2014.

L'operazione descritta al punto C13 dell'atto di deferimento – cessione del marchio denominato AS Varese 1910 ad una neo costituita Società integralmente partecipata dall’Associazione sportiva Varese 1910, avente come amministratore unico il Montemurro e, successivamente il Laurenza stesso – posta in essere unitamente alla collaborazione fattiva del Montemurro assurge quale ulteriore elemento rilevante al fine della valutazione delle condotte tenute dagli odierni deferiti.

Tale operazione ha consentito alla Società di poter iscrivere nell’attivo dello stato patrimoniale una partecipazione totalitaria pari ad Euro 1.245.000,00 e nel conto economico una plusvalenza di pari importo al fine di coprire solo figurativamente parte delle perdite societarie, giacché la somma in questione non è mai stata versata nelle casse della Società».

Il Tribunale Federale Nazionale - sez. disciplinare, rigettate le eccezioni preliminari, ha quindi accolto il deferimento proposto dal Procuratore Federale nei confronti del sig. Montemurro Vincenzo Eustachio e, per l’effetto, ha inflitto allo stesso la sanzione della inibizione per mesi 18 (diciotto) e quella dell’ammenda di euro 10.000,00 (Euro diecimila/00).

Avverso la predetta decisione, pubblicata sul C.U. n. 44/TFN del 21 dicembre 2016, ha proposto ricorso, come difeso ed assistito, il sig. Vincenzo Eustachio Montemurro.

ð Con un primo motivo di gravame deduce, il reclamante, omessa, contraddittoria e illogica motivazione del TFN in merito all’art. 32 quinquies CGS e 32 ter, comma 4, CGS.

In particolare, il reclamante contesta l’invalidità / tardività della seconda proroga indagini chiesta dalla Procura federale e, quindi, la inutilizzabilità di tutto il materiale probatorio raccolto successivamente al 18 aprile 2016. Si legge in ricorso: «la prima proroga, rilasciata per la durata di 40 giorni, con decorrenza dal 9 marzo 2016 terminava lunedì 18 aprile 2016, data in cui veniva richiesta la seconda proroga, poi concessa solamente il giorno seguente in data 19 aprile 2016, ovvero il 41 esimo giorno».

Censura, poi, il reclamante la decisione di mancato accoglimento dell’eccezione di improcedibilità del deferimento per violazione dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, evidenziando che la giurisprudenza della Corte federale di appello richiamata dal TFN non statuisce

«in modo meccanico la non perentorietà del termine», ma ritiene che l’insieme delle attività poste in essere dalla Procura federale debba tener conto del prudente apprezzamento del Procuratore Federale di “adeguare” al singolo procedimento istruttorio, in relazione alla complessità della fattispecie ed alle eventuali difficoltà delle acquisizioni probatorie. E, sotto tale profilo, prosegue il reclamante, «il procedimento a cui qui si fa riferimento ha come “imputati” solo 7 soggetti, un numero esiguo rispetto ad altri procedimenti trattati dalla Procura federale e che non sembra poter giustificare i tempi di questo procedimento.

Il Procuratore aveva tutti i mezzi per poter procedere con la comunicazione di chiusura delle indagini prima del 14 giugno 2016 – e non dopo 2 mesi dal 18 aprile 2016 – e nella sua piena discrezionalità temporale con cui può “adeguare” al singolo procedimento istruttorio, in relazione alla complessità della fattispecie ed alle eventuali difficoltà».

ð Con un secondo motivo di appello il reclamante contesta il proprio ruolo esecutivo nella gestione societaria attribuitogli dal Tribunale federale.

A dire del reclamante il TFN non ha tenuto conto che lo stesso ha collaborato con il club di cui trattasi fino al mese di giugno 2014, ovvero fino ad 1 anno e 8 mesi prima del fallimento.

Si assegna, poi, il reclamante, una parte del merito delle due promozioni consecutive ottenute dal Varese (prima in Lega Pro e poi in serie B). Montemurro, insomma, «con sapiente abilità», avrebbe aiutato «il signor Rosati ad ottimizzare gli acquisti dei calciatori, “costruendo” una squadra affidabile e competitiva». Con ciò volendo evidenziare, il reclamante, di aver svolto un ruolo «in ambito tecnico-sportivo e non certo a livello amministrativo-finanziario, dove prima il signor Rosati e poi il signor Laurenza non avevano alcuna necessità di supporto, se non pratico nel seguire le loro indicazioni».

«Basti solo rilevare» aggiunge il sig. Montemurro, che dopo le dimissioni dello stesso «il rendimento agonistico peggiorò sempre più sino a retrocedere in Lega Pro nel 2015, dopo cinque stagioni di permanenza nel campionato di serie B», retrocessione che avrebbe «comportato un evidente aggravio delle condizioni economico-patrimoniali del Club, del tutto inevitabili e non imputabili al sig. Montemurro».

Richiamata giurisprudenza sportiva secondo cui «il solo presupposto oggettivo costituito dalla titolarità di una carica sociale non è sufficiente per affermare la responsabilità del soggetto nella causazione del fallimento della società» (C.U. n. 078/CFA s.s. 2016/2017) e secondo cui «la colpa non discende automaticamente dalla carica ricoperta ma deve involgere valutazioni rigorose sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società», evidenzia, il reclamante, che, «in qualità di amministratore delegato, aveva poteri esclusivamente di ordinaria amministrazione, come disposto dal presidente signor Rosati durante il consiglio di amministrazione del 20 giugno 2011».

ð               Con un terzo motivo di gravame il reclamante lamenta carente motivazione relativamente alla fattiva collaborazione nella cessione del marchio, evidenziando, tra l’altro, che

«La sportiva veniva costituita in data 27 dicembre 2013», a fronte di sue dimissioni nell’estate 2014 e successiva sottoposizione a restrinzione della libertà personale e che, dunque, sarebbe «evidente che in nessun modo» avrebbe «potuto esercitare alcuna funzione all’interno della società sia per le ragioni personali sopra evidenziate, sia per il fatto che l’idea commerciale legata allo stadio non si è poi potuta realizzare».

ð               Con ultimo motivo di gravame il sig. Montemurro lamenta incongruità ed eccessiva afflittività della sanzione irrogata.

Sotto tale profilo il reclamante ritiene che il TFN lo ha sanzionato «senza tenere in debita considerazione: 1. Il reale apporto del Montemurro; 2. La mancanza di prove che dimostrano la condotta posta in essere dal Montemurro; 3. Il lasso di tempo trascorso, quasi due anni tra le sue dimissioni e la dichiarazione di fallimento».

ð Queste le conclusioni scritte di cui al reclamo:

«in via preliminare e/o pregiudiziale:

riformare la decisione n. 44/TFN del 21 dicembre 2016 dichiarando irricevibile e/o improcedibile il procedimento e/o il deferimento e per l’effetto annullare la sanzione inflitta della inibizione e dell’ammenda per tutti i motivi dedotti in narrativa;

in via principale:

riformare la decisione n. 44/TFN del 21 dicembre 2016 prosciogliendo il signor Vincenzo Eustacchio Montemurro e per l’effetto annullare la sanzione inflitta della inibizione e dell’ammenda per tutti i motivi dedotti in narrativa;

in via subordinata:

nella denegata e non creduta ipotesi in cui codesta Ill.ma Corte federale d’appello dovesse ritenere, anche parzialmente, fondati gli addebiti mossi verso il signor Vincenzo Eustacchio Montemurro, previa applicazione di circostanze attenuanti, ridurre la sanzione nella misura minima edittale prevista».

All’udienza fissata innanzi questa Corte federale di appello per il giorno 9 febbraio 2017, il difensore del reclamante ha eccepito che dall’avviso dell’udienza ricevuto via PEC non risultava decorso il termine di venti giorni liberi per la comparizione in udienza, previsto dall’art. 41, comma 1, C.G.S., applicabile anche al giudizio di appello ai sensi del successivo art. 42.

La seduta veniva aggiornata al 22 febbraio 2017. All’udienza sono comparsi il dott. Luca Scarpa per la Procura federale e l’avv. Cesare Di Cintio per il ricorrente. La difesa del reclamante, preliminarmente eccepita violazione del termine a comparire di cui all’art. 41 CGS, nonché estinzione del giudizio, essendo trascorsi oltre sessanta giorni (61) dal preannuncio di reclamo, ha ribadito ed illustrato i motivi di gravame, evidenziando come il sig. Montemurro abbia effettivamente sempre svolto funzioni di direttore sportivo, occupandosi del mercato della squadra. Il rappresentante della Procura Federale ha insistito per la reiezione del ricorso.

Dichiarato chiuso il dibattimento, questa Corte si è ritirata in camera di consiglio, all’esito della quale ha assunto la decisione di cui al dispositivo, sulla base dei seguenti motivi.

La Corte, letto l’atto di gravame, sentite le parti ed esaminati gli atti ufficiali, ritiene che il ricorso meriti parziale accoglimento, nei termini di seguito precisati.

Devono essere, dapprima, in via logicamente preliminare, esaminate le diverse eccezioni svolte dal reclamante.

Le eccezioni, pur suggestivamente articolate, non sono fondate.

Il difensore del reclamante, alla prima udienza del 9 febbraio, ha, come detto, eccepito che dall’avviso dell’udienza ricevuto via PEC in data 30 gennaio 2017 non era decorso il termine di venti giorni liberi per la comparizione in udienza, previsto dall’art. 41, comma 1, C.G.S., applicabile anche al giudizio di appello ai sensi del successivo art. 42.

L’eccezione deve essere disattesa per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, in diritto, il termine a comparire di giorni venti è applicabile solo ai procedimenti «per illecito sportivo e per violazioni in materia gestionale ed economica», mentre nel caso di specie, la Procura federale ha contestato la violazione della disposizione di cui all’art. 1 bis, comma 1, CGS, seppur in relazione all’art. 8 CGS.

In secondo luogo, in fatto, anche laddove si fosse trattato di un procedimento al quale fosse stato applicabile il termine a comparire di giorni venti, nel caso di specie, il predetto termine a difesa sarebbe stato comunque rispettato, atteso che il dibattimento, originariamente fissato per l’udienza del 9 febbraio è stato, poi, aggiornato all’udienza del 22 febbraio. Pertanto, tenuto conto che l’avviso di convocazione delle parti è stato notificato il giorno 30 gennaio 2017, alla data dell’udienza del 22 febbraio erano comunque complessivamente decorsi venti giorni e, esattamente, giorni ventidue liberi.

Del pari priva di pregio l’eccezione di estinzione del giudizio. Il termine di sessanta giorni di cui all’art. 34 bis, comma 2, CGS, decorre, all’evidenza, dal deposito dei motivi del ricorso e non già, ovviamente, dal suo mero preannuncio.

Quanto alla eccezione di tardività della proroga delle indagini e conseguente inutilizzabilità del materiale probatorio successivamente acquisito dalla Procura federale, si ricava, dalle risultanze documentali acquisite al procedimento, che la richiesta di proroga è stata (tempestivamente) inoltrata dalla Procura federale quando ancora non si era consumato il termine per lo svolgimento delle indagini (18 aprile) e risulta essere stata autorizzata dalla Procura generale dello sport il giorno successivo, senza quindi alcuna soluzione di continuità. Si aggiunga che il termine prorogato decorre dalla comunicazione della autorizzazione.

Ad ogni buon conto, anche laddove così non fosse, non occorre dimenticare che, come espressamente disposto dalla norma di cui all’art. 32 quinquies CGS e come affermato da consolidata giurisprudenza degli organi federali di giustizia sportiva, la sanzione, per il caso dello svolgimento di indagini oltre il termine indicato, sarebbe stata quella della inutilizzabilità dei detti (tardivi) atti di indagine e non anche quella della inammissibilità o improcedibilità o irricevibilità del deferimento.

Peraltro, come noto, possono sempre essere utilizzati gli atti e documenti in ogni tempo acquisiti dalla Procura della Repubblica e dalle altre autorità giudiziarie dello Stato, con la conseguenza che anche a voler ritenere che le indagini successive alla scadenza della prima proroga non siano state compiute in modo utile, rimarrebbe comunque utilizzabile tutta la documentazione, ad esempio, acquisita in sede fallimentare.

In ogni caso, la questione rimane assorbita dalla definizione di quella più generale relativa alla natura perentoria o meno dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS. Sotto tale profilo, questa Corte, riunita a Sezioni Unite, ha di recente risolto la questione di diritto agitata anche nel presente giudizio, con la pronuncia pubblicata sul C.U. n. 075/CFA, con cui ha escluso la perentorietà dei suddetti termini.  Orbene, questo Collegio non intende discostarsi dalla suddetta decisione ancora di recente assunta: di seguito, quindi, anche per non appesantire la presente decisione, si richiamano i tratti salienti del ragionamento logico-giuridico sotteso alla medesima.

L’azione disciplinare, anche laddove fosse stata esercitata dalla Procura federale oltre i trenta giorni dalla scadenza del termine concessi ai deferiti per l’invio della memoria o per richiedere di essere sentiti, giammai avrebbe potuto condurre il Tribunale ad una dichiarazione di improcedibilità o irricevibilità del deferimento per inosservanza dei termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS; ciò in quanto, appunto, non si tratta di termini perentori.

Rinunciando ad ogni ipotesi di ricostruzione unitaria dei termini rinvenibili nei codici di giustizia sportiva FIGC e CONI, sul presupposto che il legislatore sportivo ha previsto termini di diversa natura, ai quali ha ricollegato (o non), di volta in volta, conseguenze diverse in ordine all’inosservanza degli stessi, in mancanza di una sanzione specifica e diretta da ricollegare ai termini di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS agli stessi deve essere negata natura perentoria.

Nella prospettazione assunta dai giudici delle Sezioni Unite della decisione n. 075/CFA prima richiamata – e che qui evidentemente si condivide – la norma non contiene una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio. È compito dell’interprete, dunque, qualificare il termine di cui trattasi.

E qui viene in rilievo l’art. 38, comma 6, CGS a norma del quale “tutti i termini previsti dal presente Codice sono perentori”. Norma che si applicherebbe, in sostanza, anche ai termini previsti dall’art. 32 ter, comma 4, CGS. Tale assunto non può essere condiviso.

Ragioni di natura sistematica inducono, allo stato, ad escludere che la perentorietà del termine di cui trattasi possa desumersi dalla generale, quanto generica, indicazione contenuta nello stesso predetto art. 38 CGS. Non fosse altro che, diversamente opinando, osservano i giudici delle Sezioni Unite di questa Corte, nella stesura della prima richiamata decisione, “non troverebbero spiegazione tutte quelle disposizioni disseminate nell’arco dell’intero codice di giustizia sportiva, che qualificano, appunto, come perentorio, un dato termine o sanzionano espressamente il mancato compimento di una data attività entro il termine assegnato”. Basti pensare, a titolo meramente esemplificativo e non già esaustivo, all’art. 34 bis (rubricato “Termini di estinzione del giudizio disciplinare e termini di durata degli altri giudizi”); all’art. 23, comma 2, in materia di applicazione di sanzioni su richiesta delle parti; ed ancora, all’art. 32 sexies (intestato “Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione”).

È di tutta evidenza, quindi, che quando il legislatore federale ha voluto considerare perentorio un dato termine lo ha fatto (in modo specifico) espressamente o attraverso una formale qualificazione o per il tramite della previsione di una speciale conseguenza sanzionatoria per il caso di mancato adempimento o compimento dell’attività processuale indicata nel termine assegnato.

Sempre nel qui condiviso ragionamento giuridico svolto nella suddetta decisione, ad escludere la perentorietà del termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, vale anche la collocazione sistematica, essendo lo stesso inserito nel titolo III (“Organi della giustizia sportiva”), laddove l’art. 38 è, invece, inserito nel titolo IV (“Norme generali del procedimento). Ciò che sembra confortare il convincimento secondo cui il riferimento alla perentorietà, rinvenibile nella disposizione di cui all’art. 38, comma 6, CGS, vale con riguardo ai termini indicati nello stesso art. 38 (primo tra tutti quello per la proposizione dei reclami e connessi adempimenti). Non a caso, del resto, la predetta norma è rubricata, appunto, “Termini dei procedimenti e modalità di comunicazione degli atti”.

Al più, prosegue la suddetta pronuncia, “il riferimento alla perentorietà di cui trattasi, anche alla luce della predetta collocazione sistematica, può ritenersi effettuato ai termini indicati per lo svolgimento della fase processuale, ma non anche a quella procedimentale o propedeutica all’instaurazione della fase contenziosa vera e propria. Del resto, è proprio in questa fase che i principi del giusto processo e parità delle parti trovano la loro massima espressione ed attuazione”. Pertanto, appare logico ritenere che il legislatore abbia generalmente inteso attribuire natura perentoria (solo) ai termini attraverso cui si snoda il processo e in ordine ai quali il mancato espletamento di una data attività processuale nel termine imposto è suscettibile di ledere ex se i diritti e le garanzie difensive dell’altra parte.

Anche sotto siffatto profilo, dunque, la lettura della natura non perentoria del termine di cui trattasi, già affermata, come detto, da precedenti decisioi delle Sezioni Unite di questa Corte, appare coerente con il sistema, senza contrastare con la pronuncia n. 27/2016 del Collegio di Garanzia dello Sport del Coni richiamata da numerose pronunce dello stesso Tribunale federale nazionale a sostegno della perentorietà dei termini di cui si discute (TFN CC.UU. nn. 43-19/2016-17). Infatti, “l’organo di vertice della giustizia sportiva si è espresso proprio sulla perentorietà del termine per la decisione del procedimento disciplinare, termine che, non solo è riferito al processo e non già al procedimento istruttorio, ma è anche stabilito espressamente a pena di estinzione, come già, del resto, anche affermato da alcune recentissime decisioni di questa Corte”.

Sotto altro profilo, poi, si evidenzia che il procedimento della Procura federale si sostanzia in una “sequenza di attività successive legate da un ordine logico e funzionali al raggiungimento di un obiettivo (accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare di responsabilità)”, si tratta quindi di una “fase procedimentale-istruttoria collegata a quella (eventuale) successiva strutturata secondo le regole proprie di ogni processo, a cominciare da quella dell’assoluta parità delle parti e pienezza del contraddittorio. Un avvicinamento, dunque, per gradi al giudizio, attraverso fasi caratterizzate da esigenze diverse e disciplinate da differenti regole”. Posta, dunque, la natura procedimentale del termine di trenta giorni di cui trattasi, deve escludersi, anche sulla scorta di ciò, che lo stesso abbia natura perentoria con effetti decadenziali. Di conseguenza, al suo mancato rispetto non può ricollegarsi l'effetto della improcedibilità o irricevibilità della “intempestiva” citazione a giudizio.

In definitiva, in applicazione pratica di tali principi, ai quali questo Collegio intende allinearsi, deve concludersi che il termine di cui trattasi possa essere qualificato come acceleratorio. Si tratta, più precisamente, di un “termine volto ad assicurare la speditezza dei corrispondenti itinera procedimentali”, ossia ad imprimere un certo ritmo allo svolgimento del procedimento, in funzione di un equo contemperamento delle molteplici esigenze prima richiamate e di una celere definizione dei procedimenti istruttori, volti ad assicurare al giudizio, rapidamente, per quanto possibile, tesserati ritenuti responsabili di violazioni disciplinarmente rilevanti e, nel contempo, a scongiurare un inutile aggravio di attività processuale e di onere di difesa per l’indagato che, all’esito di una adeguata ponderazione del complessivo materiale istruttorio acquisito, risulti non imputabile della violazione in relazione alla quale è stato iscritto nell’apposito registro. Pertanto, all’eventuale infruttuoso decorso del termine di cui trattasi l’ordinamento sportivo non assegna una specifica sanzione di decadenza o una data efficacia preclusiva, non avendo previsto la produzione di un determinato effetto giuridico con ricaduta sulla (inammissibilità della) instaurazione del giudizio.

Degno di piena condivisione, poi, anche altro percorso logico-sistematico seguito dagli estensori della predetta, qui richiamata, pronuncia, attraverso il quale pure si giunge ad escludere la natura perentoria dei termini ex art. 32 ter, comma 4, CGS.

Si è già detto che non contenendo la norma (art. 32, ter, comma 4, CGS) una esplicita previsione di perentorietà del termine entro cui, scaduto quello assegnato per l’audizione o per la presentazione della memoria difensiva, il Procuratore federale “deve” esercitare l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio, è all’interprete che deve affidarsi la delicata qualificazione del termine di cui trattasi. Ebbene, esclusa la possibilità di considerare perentorio detto termine in virtù del mero richiamo all’art. 38, comma 6, CGS, “occorre riferirsi, per espresso disposto della norma di cui all’art. 1, comma 2, CGS, alle disposizioni del codice di giustizia sportiva del Coni. Così, infatti, recita la predetta norma: «Per tutto quanto non previsto dal presente Codice, si applicano le disposizioni del Codice della giustizia sportiva emanato dal CONI»”, che, tuttavia, non reca alcuna norma che qualifichi come perentorio il termine per l’esercizio dell’azione disciplinare entro i trenta giorni dalla scadenza dei termini a difesa di cui si è detto.

“Non rimane, pertanto, che rifarsi alla disposizione di cui all’art. 2, comma 6, CGS Coni che prevede espressamente che «Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva»”.

E allora, dal combinato disposto degli artt. 1, comma 2, CGS Figc e 2, comma 6, CGS Coni la disposizione di riferimento per la fattispecie deve essere individuata in quella dettata dall’art. 152

c.p.c. (rubricato “Termini legali e termini giudiziari”), che così recita al comma 2: “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”, con la conseguenza che, non essendo dichiarato espressamente perentorio, tale non può essere considerato il termine di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS.

Né possono essere valorizzate in maniera qui decisiva le pregevoli considerazioni della difesa del reclamante, che pur si impegna in una lettura critica della decisione di questa Corte di cui al C.U. n. 075/CFA. Lettura pregevole, ma non condivisibile, anche laddove si tenga presente che, nel caso di specie, ricorrono, con ogni evidenza, quei profili di complessità della fattispecie e di possibile difficoltà delle indagini o di acquisizione probatoria e documentale evidenziati nella stessa predetta decisione di questa Corte.

Riepilogando, dunque, deve escludersi che i termini tutti di cui all’art. 32 ter, comma 4, CGS, in rilievo nel presente giudizio, abbiano natura perentoria. Con la conseguenza, dunque, che l’inosservanza degli stessi, nei termini e nei limiti sopra precisati, non avrebbe potuto condurre alla dichiarazione di improcedibilità / irricevibilità del deferimento emesso oltre lo stesso.

Passando, quindi, all’esame del merito ritiene questa Corte che il deferimento nei confronti del sig. Montemurro sia fondato. Tanto in ragione di alcuni specifici fatti – come dettagliatamente descritti ed addebitati al ricorrente nella qualità di amministratore e componente del consiglio di amministrazione di A.S. Varese 1910 s.p.a. dal 13.8.2008 al 24.6.2014 – ritenuti espressione di cattiva gestione e concausa del dissesto economicopatrimoniale della suddetta società, poi dichiarata fallita con sentenza n. 78 del 19 novembre 2015 del Tribunale di Varese.

Pacifico che il sig. Vincenzo Eustacchio Montemurro ha ricoperto la carica di amministratore delegato dell’associazione sportiva Varese 1910 Spa nelle stagioni sportive 2010/11, 2011/12, 2012/13 e 2013/14 fino al 24 giugno 2014, mentre in ambito civilistico è stato consigliere dal 5 agosto 2008 al 24 giugno 2014 e amministratore delegato dal 27 ottobre 2008 al 24 giugno 2014,

nonché socio con il 10% delle azioni dal 25 giugno 2013 al 2 giugno 2015.

L’affermazione della responsabilità, nella fattispecie, presuppone, tuttavia, come correttamente ritenuto dal reclamante, l’accertamento di profili di colpa dell’amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, accertamento con riferimento al quale non vi è motivo  per derogare ai comuni criteri in materia di onere della prova. Deve, peraltro, precisarsi che la colpa in questione non necessariamente deve riguardarsi sotto il profilo della sua influenza nella determinazione del dissesto della società, ma può più ampiamente concernere anche la scorrettezza di comportamenti (pure in particolare sotto il profilo sportivo) nella gestione della società.

Orbene, procedendo nel solco di siffatte coordinate giurisprudenziali, emerge, dal corposo materiale probatorio acquisito al procedimento, sufficiente prova di plurimi episodi di mala gestio analiticamente ricostruiti dalla Procura federale e che hanno, nel complesso, contribuito a condurre al dissesto economico-finanziario la società di cui trattasi.

Per quanto qui particolarmente rileva, muovendo dal rilevante ruolo svolto dal ricorrente nel periodo sopra ricordato all’interno della società Varese, in virtù sia degli incarichi svolti che del relativo assetto societario, vanno qui richiamate le gravi condotte distorsive registrate nel periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento e sulla cui valenza illecita, stante il rapporto di chiara distonia con la normativa endofederale, non residuano dubbi come di seguito, in rapida sintesi, si evidenzia.

Segnatamente, trovano anzitutto confermacome già rilevato nel giudizio di primo grado – le reiterate condotte di cattiva gestione della società, in relazione alla quale, come detto, il sig. Montemurro aveva i poteri di amministratore. È a tal fine sufficiente già una semplice analisi dei bilanci relativi agli esercizi 2010, 2011 e 2012, ad esempio, che mette in rilievo una situazione di evidente criticità economico-finanziaria, conseguenza, in primo luogo, di una sovrastante struttura dei costi, rispetto ai ricavi. Una gestione economica, dunque, che non riusciva a raggiungere l’equilibrio, con inevitabile ricaduta sulla gestione finanziaria, incapace di assicurare i necessari flussi di cassa.

La voce capitale investito risulta alimentata sostanzialmente dall’incremento della esposizione debitoria verso fornitori, erario, Istituti assicurativo-previdenziali, Istituto di credito. Il debito in costante crescita (3,4 milioni nel 2010, 9,4 milioni nel 2011, 11,4 milioni nel 2012).

L’ampio corredo probatorio su cui riposa l’atto di deferimento trova anche conferma nei rapporti o.Vi.So.C. e, in particolare, in quello relativo alla ispezione del 21 novembre 2013, nel quale gli ispettori evidenziano, tra l’altro, che la significativa esposizione debitoria «non appare sanabile se non attraverso interventi straordinari dei soci ovvero ingenti risultati positivi generabili dalla campagna trasferimenti che a oggi non appaiono attuabili». Si legge, ad esempio, ancora  nel predetto rapporto: «la situazione contabile al 30.09.2013 evidenzia una perdita di periodo di € 2.304.334,84 che, unitamente alla perdita rinviata dell’esercizio chiuso al 31.12.2012, seppur in presenza di finanziamenti effettuati dai soci, richiede un immediato e non più procrastinabile intervento della compagine sociale essendo il capitale sociale ormai completamente azzerato».

Il bilancio redatto al 30 giugno 2014 evidenzia una perdita di euro 1.842.762, non di molto inferiore, come correttamente sottolineato in deferimento, «a quella di € 2.358.440 accumulata nell’intero 2013».

Il suddetto approdo ermeneutico – quanto alla ritenuta sussistenza delle condotte distrattive in addebito – vale già di per se stesso a convalidare l’allarmante quadro di irregolarità lumeggiato nella decisione di prime cure.

Il diffuso ricorso ad operazioni di finanziamento “indebito” attuato, appunto, attraverso la continua esposizione debitoria verso enti, istituti e fornitori, il mancato intervento sull’aumento smisurato dei costi a fronte di un non correlato aumento dei ricavi, l’omesso ricorso a strumenti di gestione e/o di finanziamento adeguati e necessari al ripristino dell’equilibrio, l’incapacità di generare idonei flussi di cassa, sono già di per sé indice evidente di una cattiva gestione e delle relative ricadute sulla situazione economicopatrimoniale della società Varese, che già rendono di tutta evidenza la ritenuta, grave compromissione dei principi e dei valori su cui riposa l’ordinamento federale.

Ampia dimostrazione vi è, dunque, in atti in ordine alla responsabilità del reclamante per le contestazioni di cui al capo di incolpazione sopra riportato al n. 1, sub a) e b). Del resto, come già affermato da questa Corte, la responsabilità di una grave crisi economico-finanziaria che sfoci nel dissesto della società è da ascrivere anche alla cattiva gestione degli amministratori, quando, come nel caso di specie, risultino omesse condotte virtuose tali da porre rimedio agli squilibri dei conti e, comunque, idonee iniziative di rivitalizzazione del capitale sociale (cfr. C.U. n. 21/CGF del 7 agosto 2014 e C.U. n. 335/CGF del 19 giugno 2014).

Quanto alle deduzioni difensive in ordine al ruolo non effettivamente esecutivo svolto dal reclamante, che si sarebbe, invece, occupato degli aspetti più propriamente tecnico-sportivi, occorre, invero, ribadire che non è possibile, sulla base del solo dato costituito dalla decozione della società sportiva, incolpare il dirigente per la violazione dell’art. 1, comma 1, CGS, occorrendo, invece provare l’esistenza di condotte colpose e che, per contro, dette condotte non devono necessariamente  essere  tali  da  aver  determinato  il  fallimento,  essendo  sufficiente  che  siano apprezzabili dal punto di vista sportivo, siccome consistenti in illeciti propriamente sportivi ovvero gestionali.

Tali principi, peraltro coerenti con quelli, di carattere più generale, rinvenibili nella legge penale e nello stesso ordinamento sportivo, meritano di essere applicati anche in questa sede. Può ben accadere, infatti, che l’imprenditore sportivo incorra nel fallimento senza sua colpa e, in tal caso, non appare conforme ad equità e giustizia un’applicazione automatica delle sanzioni afflittive in capo a chi curava l’amministrazione sociale.

Nel caso di specie, tuttavia, il ruolo di natura effettivamente amministrativa e gestoria dell’incarico del reclamante sembra confermato, ad esempio, dalle stesse dichiarazioni del dott. Giuseppe D’Aniello (già segretario generale dell’A.S. Varese 1910 s.p.a.), secondo cui Montemurro ha sempre ricoperto attivamente la funzione di amministratore delegato fino a giugno 2014 e di quelle del dott. Michele Lo Nero che ha, tra l’altro, affermato che il sig. Laurenza ha sempre riferito di aver acquistato l’A.S. Varese dal sig. Rosati a fronte di una situazione economico-finanziaria non corrispondente alla realtà e che il fatto di essersi affidato nel primo anno al sig. Montemurro, persona molto vicina al sig. Rosati, non lo ha certamente aiutato.

Ciò nondimeno, le condotte fin qui passate in rassegna non esauriscono il ventaglio  degli addebiti che, sul piano dell’ordinamento sportivo, è possibile muovere al ricorrente nella gestione della società Varese.

Ed, invero, va qui richiamato almeno un ulteriore specifico episodio oggetto di contestazione, parimenti sintomatico di irregolarità nella gestione amministrativa della società e che corrobora, nell’ambito di una necessaria visione di insieme, il grave disvalore della condotta tenuta dal ricorrente.

Viene, in particolare, in rilievo, la condotta descritta nel punto C 13 del deferimento, relativo alla contabilizzazione di una plusvalenza di euro 1.200.000,00 per effetto della cessione, in data 27 dicembre 2013, del marchio denominato “A.S. Varese 1910” alla neo costituita società La Sportiva s.r.l., interamente partecipata dalla A.S. Varese 1910 s.p.a. La società La Sportiva s.r.l. è risultata costituita proprio il 27 dicembre con la finalità di divenire cessionaria del brand “A.S. Varese 1910”, che le è stato venduto per un corrispettivo, risultato mai versato, di euro 1.200.000 ed è stata gestita dall’amministratore unico sig. Vincenzo Eustacchio Montemurro dal 16 gennaio al 12 luglio 2014.

Siffatta operazione ha permesso alla A.S. Varese 1910 s.p.a. di iscrivere nell’attivo dello stato patrimoniale del bilancio 2013 una partecipazione totalitaria di euro 1.245.000,00 e nel conto economico una plusvalenza di pari importo, così consentendo di limitare la perdita conseguita nel 2013 (che, diversamente, sarebbe stata di euro 3.558.440 anziché di euro 2.358.440) e di far assumere al patrimonio netto un valore positivo di euro 388.587 (diversamente, sarebbe stato di meno euro 811.413,00). Questa situazione di bilancio, in difetto di pronta ricapitalizzazione da parte dei soci) non avrebbe consentito alla società di ottenere l’iscrizione al campionato di competenza della stagione 2014/2015.

Fondata, dunque, anche la contestazione del deferimento sopra rubricata sub 2.

Non può, in definitiva, essere revocata in dubbio la natura illecita delle suddette condotte siccome in plateale contrasto anche con il disposto di cui all’articolo 94 delle NOIF e delle altre disposizioni federali che si pongono a presidio della effettività del versamento degli oneri previdenziali e fiscali e sulla correttezza e trasparenza della situazione patrimoniale ed economico- finanziaria necessaria per la regolarità dell’iscrizione ai campionati delle società affiliate.

Ciò detto e affermata, dunque, la responsabilità del reclamante per tutte le violazioni allo stesso ascritte nell’atto di deferimento, quanto alla determinazione della misura sanzionatoria deve essere accolto il quarto motivo di gravame, alla luce delle considerazioni in ordine all’effettivo ruolo di gestione ed amministrazione svolto dal sig. Montemurro.

Occorre, anzitutto, tenere conto del fatto che il reclamante, quale amministratore delegato, aveva solo poteri di ordinaria amministrazione. Inoltre, una complessiva lettura delle emergenze documentali sembra condurre a ridimensionare l’effettivo ruolo di amministrazione e gestione del sig. Montemurro, a fronte del titolo formale allo stesso intestato in seno alla compagine sociale. Viene, infatti, in rilievo più una responsabilità della gestione tecnico-sportiva del club, come sostenuto dal reclamante.

Peraltro, il sig. Nicola Laurenza, in sede di audizione 26 aprile 2016, riferisce che all’atto del passaggio delle azioni, il sig. Rosati cedette anche il 10% delle azioni a lui personalmente intestate al sig. Montemurro: cessione, questa, che avvenne a titolo gratuito, rappresentando un riconoscimento di Rosati al reclamante per aver portato il Varese dall’eccellenza alla serie B ed a disputare anche la finale per la promozione in serie A. Il sig. Rosati, inoltre, gli riferì che il sig. Montemurro sarebbe rimasto in società per dare continuità ai progetti di crescita della squadra.

Quindi, se deve essere, come detto, affermata la responsabilità del sig. Montemurro per il suo apporto causale, per le ragioni sopra illustrate, al dissesto della società, non può, ai fini della concreta determinazione della pena, non essere tenuto in debito conto l’effettivo  “contributo” causale e di mala gestio del reclamante ed il ruolo concreto dallo stesso svolto nell’ambito della compagine sociale. Sotto tale profilo, dunque, la sanzione merita di essere ridotta e, per le ragioni prima indicate, appare congrua e giustamente remunerativa dell’effettivo disvalore sportivo che caratterizza le condotte illecite di cui trattasi, in considerazione della connotazione delle stesse, nonchè dell’effettivo ruolo svolto dal sig. Montemurro all’interno della compagine societaria, la sanzione della inibizione per mesi nove, oltre quella dell’ammenda di euro cinquemila.

Per questi motivi la C.F.A., in parziale accoglimento del ricorso come sopra proposto dal sig. Vincenzo Eustacchio Montemurro, riduce la sanzione dell’inibizione a mesi 6 e l’ammenda a € 5.000,00.

Dispone restituirsi la tassa reclamo.

DirittoCalcistico.it è il portale giuridico - normativo di riferimento per il diritto sportivo. E' diretto alla società, al calciatore, all'agente (procuratore), all'allenatore e contiene norme, regolamenti, decisioni, sentenze e una banca dati di giurisprudenza di giustizia sportiva. Contiene informazioni inerenti norme, decisioni, regolamenti, sentenze, ricorsi. - Copyright © 2024 Dirittocalcistico.it