F.I.G.C. – CORTE FEDERALE D’APPELLO – Sezioni Unite – 2017/2018 – figc.it – atto non ufficiale – Decisione pubblicata sul C. U. n. 36/CFA del 01 Settembre 2017 (motivazioni) relativa al C. U. n. 013/CFA del 19 Luglio 2017 (dispositivo) – C.O.N.I. – COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT – GIUDIZIO DI RINVIO EX ART. 62 COMMA 2 C.G.S. C.O.N.I. IN ORDINE: 1. ALLA VALUTAZIONE DI QUALI SIANO I CRITERI IN BASE AI QUALI L’OMISSIONE DELL’ATTIVITÀ DI VIGILANZA DI UN SINDACO DI UNA SOCIETÀ SPORTIVA POSSA INTEGRARE, MOTIVANDO SUI FATTI, IL PRINCIPIO DI CUI ALL’ART. 1 BIS C.G.S., IN RELAZIONE ALLA POSIZIONE DEL SIG. MAGRI MAURIZIO; 2. ALLA VALUTAZIONE DEI CRITERI IN BASE AI QUALI LA FUNZIONE DI AMMINISTRATORE DI SOCIETÀ SPORTIVA PRIVO DI DELEGA POSSA INTEGRARE, MOTIVANDO SUI FATTI, IL PRINCIPIO DI CUI ALL’ART. 1 BIS C.G.S., IN RELAZIONE ALLA POSIZIONE DELLA SIG.RA GHIRARDI SUSANNA E DEI SIGG.RI SCHINELLI GIOVANNI E BALESTRIERI ARTURO; SEGUITO DECISIONI DELLA CORTE FEDERALE DI APPELLO – SEZIONI UNITE – COM. UFF. N. 099/CFA DEL 7.2.2017 (Collegio di Garanzia dello Sport presso il C.O.N.I. – Sezioni Unite – Decisione n. 42/2017 dell’1.6.2017)
C.O.N.I. - COLLEGIO DI GARANZIA DELLO SPORT - GIUDIZIO DI RINVIO EX ART. 62 COMMA 2 C.G.S. C.O.N.I. IN ORDINE:
- ALLA VALUTAZIONE DI QUALI SIANO I CRITERI IN BASE AI QUALI L’OMISSIONE DELL’ATTIVITÀ DI VIGILANZA DI UN SINDACO DI UNA SOCIETÀ SPORTIVA POSSA INTEGRARE, MOTIVANDO SUI FATTI, IL PRINCIPIO DI CUI ALL’ART. 1 BIS C.G.S., IN RELAZIONE ALLA POSIZIONE DEL SIG. MAGRI MAURIZIO;
- ALLA VALUTAZIONE DEI CRITERI IN BASE AI QUALI LA FUNZIONE DI AMMINISTRATORE DI SOCIETÀ SPORTIVA PRIVO DI DELEGA POSSA INTEGRARE, MOTIVANDO SUI FATTI, IL PRINCIPIO DI CUI ALL’ART. 1 BIS C.G.S., IN RELAZIONE ALLA POSIZIONE DELLA SIG.RA GHIRARDI SUSANNA E DEI SIGG.RI SCHINELLI GIOVANNI E BALESTRIERI ARTURO;
SEGUITO DECISIONI DELLA CORTE FEDERALE DI APPELLO – SEZIONI UNITE -
COM. UFF. N. 099/CFA DEL 7.2.2017 (Collegio di Garanzia dello Sport presso il C.O.N.I. – Sezioni Unite - Decisione n. 42/2017 dell’1.6.2017)
Il Collegio di Garanzia dello Sport – Sezioni Unite – presso il CONI, con decisione n. 42/2017, in accoglimento dei ricorsi presentati dal dott. Maurizio Magri, dalla sig.ra Susanna Ghirardi, dal sig. Giovanni Schinelli e dal sig. Arturo Balestrieri (ma respingendo quelli proposti dal sig. Pietro Lonardi e dal sig. Tommaso Ghirardi), ha rimesso a questa Corte gli atti riguardanti il procedimento che ha condotto questa Corte Federale ad emettere la decisione n. 099/CFA del 7.2.2017 affinché, per quanto riguarda le doglianze espresse dal dott. Magri “valuti quali siano i criteri in base ai quali l’omissione dell’attività di vigilanza di un sindaco di una società sportiva possa integrare, motivando sui fatti, il principio di cui all’art. 1 CGS FIGC”, e, per quanto attiene a quelli proposti dalla sig.ra Ghirardi e dai signori Schinelli e Balestrieri, “valuti i criteri in base ai quali la funzione di amministratore di società sportiva privo di delega possa integrare, motivando sui fatti, il principio di cui all’art. 1 CGS FIGC”.
Il procedimento, di cui oggi è nuovamente cognizione, ha preso le mosse dall’atto di deferimento della Procura Federale del 30.6.2016 con il quale sono stati evocati in giudizio gli amministratori e i sindaci della Parma FC S.p.a. (in seguito anche solo Parma), tra i quali gli attuali ricorrenti, in relazione al fallimento della società dichiarato, su istanza della locale Procura della Repubblica e di alcuni creditori, dal Tribunale di Parma con sentenza n. 31 del 19.3.2015.
Nell’atto di incolpazione, il requirente ha premesso una ricostruzione cronologica delle vicende relative alle modificazioni avvenute nella compagine sociale, rappresentata sino al 19.12.2014 dal socio di maggioranza Eventi Sportivi S.p.a. (socio unico sino al 29.4.2014) e dalla società Energy T.I. Group, salvo altre quote minori e da quella data – per effetto della cessione delle azioni detenute dalla Eventi Sportivi S.p.a. - dalla Dastraso Holding Limited, con sede in Limassol, Cipro, nonché, successivamente, dal 9.2.2015, dalla MAPI Group, con sede in Slovenia.
La stessa cronologica ricostruzione è stata effettuata in relazione agli organi di amministrazione e di controllo.
La Procura ha, poi, effettuato una ricostruzione ed esposizione della situazione economico- patrimoniale dal 30.6.2011 sino al fallimento, procedendo ad un’analisi del conto economico, nelle voci dell’attivo e del passivo di bilancio, correlando le vicende ascrivibili a bilancio coi in rapporti finanziari in essere col socio unico Eventi Sportivi S.p.a. e dando conto dei risultati delle ispezioni della CO.VI.SOC, sino alla vigilia del fallimento stesso, nonché dei principali atti gestionali che avrebbero significativamente inciso sul definitivo dissesto societario.
A conclusione di tali analisi, la Procura ha ritenuto di poter ravvisare fattispecie di responsabilità in capo agli amministratori, esecutivi e non, al socio unico Eventi Sportivi S.p.a. meglio indicate nell’atto richiamato ma sostanzialmente - e in sintesi – riconducibili alla violazione dell’art. 1 bis CGS in relazione all’art. 21 NOIF e all’art. 19 dello Statuto Federale, mentre nei confronti dei sindaci è stata contestata la violazione dell’art. 1 bis, commi 1 e 5 CGS per aver negligentemente adempiuto alla loro funzione di controllo.
Il Tribunale Federale, nella riunione del 15.9.2016, per quanto qui ancora di interesse, ha prosciolto da ogni addebito gli attuali soggetti sottoposti all’odierna valutazione (Com. Uff. n. 17/TFN).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso a questa Corte, tra gli altri, la Procura Federale chiedendo che, in accoglimento della tesi accusatoria, tutti i prevenuti fossero sanzionati come da originaria richiesta.
All’esito del dibattimento, tenutosi il 10.11.2016, la Corte, in parziale accoglimento del ricorso proposto, ha irrogato alla sig.ra Ghirardi l’inibizione per anni 2 e l’ammenda di € 40.000,00, al sig. Schinelli l’inibizione per anni 2 e l’ammenda di € 25.000,00, al sig. Balestrieri l’inibizione per anni 1 ed €. 10.000,00 di ammenda e, infine, al sindaco Magri, l’inibizione di mesi 6 ed € 15.000,00 di ammenda.
La decisione è stata impugnata dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni il quale, all’esito dell’udienza del 26.4.2017 ha, come detto, rinviato gli atti a questa Corte per una nuova valutazione, per quanto riguarda il dott. Magri, in quanto dalla pronuncia della Corte Federale “non si evince sotto quale specifico aspetto si possa, quindi, attribuire al dott. Magri il mancato adempimento dei suoi doveri di sindaco alla luce del parametro di riferimento normativamente previsto e costituito dalla professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico…”; per quanto riguarda la sig.ra Ghirardi e il sig. Schinelli invece il Collegio ha censurato la decisione in quanto quei giudici avrebbero dedotto la loro “responsabilità sulla base di una mera elencazione di elementi fattuali senza indicare specificatamente i criteri in base ai quali tali elementi di fatto sono collegati in modo specifico ai profili della riscontrata responsabilità”, non esplicitando la connessione tra responsabilità e previsione dell’art. 1 bis CGS FIGC.
In relazione, poi, al punto della decisione riguardante l’altro consigliere di amministrazione, sig. Balestrieri, cessato il 14.2.2014, il Collegio di Garanzia dello Sport ha reputato che nella sentenza della Corte Federale non si evincerebbe, anche qui, come per il Magri, “sotto quale specifico aspetto si possa, quindi, attribuire al dott. Balestrieri il mancato adempimento dei suoi doveri di sindaco alla luce del parametro di riferimento normativamente previsto e costituito dalla professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico…” (pag. 15).
In ottemperanza a quanto disposto è stata convocata l’adunanza odierna nella quale, lette le memorie difensive di Balestrieri e Magri, la Procura Federale, rappresentata dal dott. Luca Scarpa, e gli avv.ti Dighorzi (Magri), Di Cintio, per delega dell’avv. Ferrari (Ghirardi, Schinelli) e Calcagno, per delega dell’avv. Centenaro (Balestrieri) hanno confermato le rispettive tesi, già ampiamente esposte nei precedenti gradi di giudizio e negli atti defensionali qui depositati.
LA CORTE
è chiamata, in ottemperanza a quanto disposto dal Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, giusta disposizione ex art. 62, comma 2 C.G.S. C.O.N.I., ad effettuare una nuova valutazione delle contestazioni elevate dalla Procura Federale di questa Federazione a carico dei signori Susanna Ghirardi, Giovani Schinelli e Arturo Balestrieri, quali componenti del Cda del Parma, privi di deleghe operative e del dott. Magri quale sindaco effettivo, in relazione alle condotte da loro tenute, nei rispettivi ruoli e causalmente rilevanti nel procedimento di progressivo degrado finanziario che ha portato alla situazione di irreversibile decozione della società, dichiarata dal tribunale parmense.
Giova precisare, in apertura, che vanno corretti due refusi in cui sono incorsi i giudici del Collegio di garanzia allorché (pag. 6) dichiarano di volersi soffermare sul profilo attinente alla violazione dell’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC (ripetuto più volte), riferendosi invece, come è comprensibile poi dal testo, all’art. 1 bis del CGS FIGC.
L’altro refuso è correlato alla posizione del dott. Balestrieri che, anziché quale consigliere di amministrazione del Parma, è indicato come sindaco della stessa società, nel passaggio in si è censurata la carenza di motivazione in punto di responsabilità derivante dal mancato adempimento dei suoi doveri (di sindaco appunto). La reale funzione svolta dal Balestrieri è chiaramente desumibile dal testo di quella decisione.
Le due imprecisioni non hanno però, in tutta evidenza, inciso sulla correttezza sostanziale della decisione e, su di essi, le difese non hanno formulato riserve o lamentele di sorta.
Ciò posto, quegli stessi giudici hanno inteso premettere, all’analisi delle singole condotte contestate dalla Procura Federale, un’approfondita ricostruzione della diversità esistente tra ordinamento statuale e ordinamento sportivo, visti sotto l’aspetto garantistico di “due diverse esperienze costituzionalmente rilevanti” (pag. 8) e sulla loro reciproca interconnessione, pur nel rispetto della diversa rilevanza come fonti del diritto.
Non si dubita, certamente, delle conclusioni cui sono pervenuti quei giudicanti - e che rappresentano indubbio patrimonio culturale di ogni operatore del diritto - per cui si ritiene di poter procedere oltre, ponendo il focus della verifica motivazionale richiesta, sotto il profilo della sua congruità, sul collegamento esistente tra condotte attive od omissive ed elementi fattuali richiamati nella sentenza di questa Corte esaminata dal Collegio di Garanzia.
Per quanto attiene alla posizione degli amministratori privi di deleghe operative, signori Susanna Ghirardi, Giovanni Schinelli e Arturo Balestrieri la censura operata dal Collegio di garanzia alla precedente decisione di questa Corte è nel senso che (in disparte l’elemento specifico della permanenza nell’incarico del Balestrieri) il riconoscimento della loro responsabilità, nel giudizio di appello, sarebbe stato fondato “sulla base di una mera elencazione di elementi fattuali” senza specificazione dei criteri di apprezzamento di un loro collegamento causale o teleologico con la dedotta responsabilità né “con la previsione di cui all’art. 1 del CGS FIGC (da intendersi art. 1 bis CGS FIGC n.d.r.)”. Collegamento che avrebbe dovuto essere contenuto in “una motivazione più diffusa e articolata”.
Ora, pur non volendo rieditare quei passi della precedente decisione in cui si fa diretto riferimento ai bilanci chiusi al 30.6.2012, al 30.6.2013 e al 30.6.2014, nonché ai verbali delle riunioni del Consiglio di Amministrazione dai quali era possibile avere contezza della “forte e crescente tensione finanziaria….ed all’aumento costante dei debiti tributari e del contenzioso fiscale e civile..(pag. 19 decisione impugnata), dev’essere sinteticamente richiamata, in premessa metodologica, la costruzione codicistica in materia di responsabilità di detti amministratori, titolari di un potere originario, autonomo di gestione, non subordinato all’assemblea, confermato – se non rafforzato, a seguito della riforma intervenuta, in coerenza con la normativa comunitaria, a seguito della legge delega n. 366/2001.
La norma fondamentale del dovere di reddere rationem del proprio operato si rinviene nell’art. 2392 c.c. che, in linea con quanto indicato dal precedente art. 2381 c.c., indica i parametri di valutazione dell’azione degli amministratori.
Detto che la responsabilità degli amministratori per i fatti che discendono dall’esercizio della propria funzione può trovare la propria fonte in illeciti compiuti verso la società o verso terzi, prescindendosi dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità a loro imputabile, deve dirsi che l’art. 2392 c.c., al pari di altre norme in materia di società, non pone un elenco tassativo degli obblighi che gravano sugli amministratori ma si limita a prevedere un generico rinvio alla legge o allo statuto. Questo rimando, che comporta sempre una doverosa analisi degli illeciti per verificare se essi, indipendentemente dalla loro natura, siano connessi ad una cattiva gestione, indica che siamo di fronte ad un’obbligazione di mezzi e non di risultato.
Ne consegue che deve farsi riferimento non alla diligenza del mandatario ma alla “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”, per inferire che la diligenza dell’amministratore è quella tipica del gestore di impresa che deve agire in modo informato (obbligo inserito nell’art. 2381 c.c.), valutando la propria professionalità in relazione all’esatto adempimento dell’incarico.
Cosicché, se è vero che il giudice non ha un controllo di merito sulle scelte gestorie, è anche vero che l’agire dell’amministratore è discrezionale ma non libero, tale da consentire che la verifica ex post, se non può attenere all’opportunità, certamente può riguardare le modalità del percorso decisionale seguìto e l’apporto di ogni singolo amministratore alla realizzazione di quell’azione determinata.
La riflessione finale è che ogni condotta, attiva od omissiva, in violazione dei doveri legali o pattizi, comporta la responsabilità dell’amministratore, da reputarsi, con vincolo solidale, fra tutti coloro che, in tale veste, hanno agito.
Necessario, in questo, che vi sia un adeguato nesso causale, che va verificato secondo le regole, oltreché generali, precisate nell’art. 2392 c.c., così come modificato dalla riforma.
Per questo, la norma va letta in necessaria coordinazione, ai nostri fini, tra primo e secondo comma, essendo entrambi destinati a disciplinare la responsabilità dell’amministratore per concorso attivo od omissivo con la condotta di altri nella produzione del danno.
Nello specifico, viene qui regolata la responsabilità dell’amministratore (inteso nel suo complesso) per i danni causati dalla condotta di un organo delegato. Ancorché in forma più attenuata rispetto alla previgente disciplina, l’attuale assetto non consente, tuttavia, di affermare che le deleghe operative esonerino da responsabilità gli altri consiglieri di amministrazione, ancorché esse siano ancorate alla disposizione dell’art. 2381, terzo comma, c.c.., per cui se per gli amministratori non operativi non vi è più l’obbligo di vigilare ma solo quello di valutare il generale andamento della gestione, ciò significa che accanto all’obbligo di informazione da parte degli organi delegati, vi è quello, parimenti strumentale al conseguimento dell’oggetto sociale, di controllo attraverso l’adempimento di doveri di diligenza e di intervento ex art. 2392 c.c..
Così, per effetto di quanto previsto dall’art. 2392, secondo comma, c.c., e dell’art. 2381, terzo comma, c.c., se è vero che esiste un obbligo di informare, da parte egli amministratori delegati, è altresì vero che esiste un pari obbligo degli amministratori deleganti di ricevere e ricercare informazioni, di modo che la mancanza di attivazione, in tal senso, di questi ultimi non potrà mai, anche per la giurisprudenza precedente alla riforma (Cass. Civ. n. 3652/1997), esonerarli da responsabilità connesse alla cattiva gestione, anche allegando l’ignoranza di fatti pregiudizievoli che avrebbero potuto essere conosciuti esercitando il potere/dovere di informazione (Cass. Sez. V pen. n. 23838/2007).
Richiamate queste generali nozioni e procedendo ad una disamina dei singoli fatti addebitabili agli amministratori deleganti, privi di deleghe operative, deve dirsi che i signori Susanna Ghirardi, Giovanni Schinelli e Artura Balestrieri (dimessosi il 24.2.2014) sono stati chiamati a far parte del Consiglio di Amministrazione il 28.1.2011 e, in tale veste, hanno approvato tutti i bilanci degli esercizi finanziari successivi, sino a quello precedente il fallimento (ad eccezione del Balestrieri).
Come già risulta in atti, analizzando i dati economici risultanti dai predetti bilanci, se nell’esercizio 2010/2011 vi era un utile, ancorché modesto, di € 658.000,00, negli anni successivi esso è andato progressivamente e costantemente degradando, sino a formare un disavanzo di 14 milioni di euro nell’esercizio 2013/2014.
Orbene, anche questo risulta dagli atti depositati, nella riunione del Consiglio di Amministrazione dell’11.1.2012 il presidente Tommaso Ghirardi, nell’illustrare la situazione finanziaria , già deficitaria per 8 milioni di euro, in relazione alle scadenze previste per il successivo mese di febbraio, riferì che tali perdite sarebbero state ripianate, almeno nelle intenzioni, facendo ricorso al sistema bancario, allo smobilizzo di crediti commerciali e chiedendo al socio Eventi Sportivi (ovvero alla società di cui egli stesso era il dominus) “un idoneo supporto finanziario” salvo, nella successiva riunione del 5.2.2012 (meno di un mese dopo), comunicare che l’ipotesi di ottenere crediti dal sistema bancario era impraticabile e, quindi, bisognava ricercare modalità diverse di ripianamento. Il tutto si risolse nella richiesta ad Eventi Sportivi S.p.a. di provvedere ad una urgente erogazione di risorse di cassa per circa €. 3.000.000,00.
Nelle successive riunioni, di cui ai verbali puntualmente citati nella precedente decisione di questa Corte, non si fece più riferimento a tale richiesta optando per la contrazione di nuovi debiti.
La conseguenza di tale incerta azione degli amministratori esecutivi è che nel corso del 2012 la situazione finanziaria acuì i suoi profili negativi, senza che la corsa verso lo stato di decozione venisse contrastata in alcun modo.
Lo stesso deve dirsi in relazione all’approvazione del bilancio al 30.6.2013, dove alla copertura di una perdita di esercizio di oltre 3 milioni di euro, su proposta degli amministratori esecutivi, con il consenso degli altri consiglieri, si decise di provvedere non con immissioni di liquidità ma attraverso un’operazione di carattere straordinario, quale è quella che nel giugno 2013 portò alla cessione del marchio e al contratto con GSport, operazioni foriere di entrate solo fittizie.
Anche in questo caso, come evidenziato dagli atti e dalle risultanze istruttorie depositate dalla Procura, nella riunione del Consiglio di Amministrazione del Parma del 19.6.2013 venne deliberato di cedere il marchio alla Parma Brand s.r.l. al prezzo di €. 31.000.000,00 e la pubblicità alla società GSport per 8 milioni di euro.
Ora, in disparte le modalità di esecuzione dei pagamenti, rateizzati su più anni e senza che venisse richiesta da Parma Brand, società riconducibile alla stessa famiglia Ghirardi, (tanto che nel dicembre 2014 venne fusa in Eventi Sportivi S.p.a., con un’operazione già preannunciata nella relazione sulla gestione 2012/ 2013), alcuna idonea garanzia, la cessione del marchio comportò che gli utili sperati, per 47 milioni di euro, compresa IVA, confluissero nella incorporante che vantava, asseritamente, un credito verso il Parma per “IVA di gruppo” , di pari importo.
La conseguenza è che, a fronte della cessione del marchio, il Parma non ricevette, praticamente, alcunché, almeno in misura tale da risolvere o mitigare il grave dissesto finanziario.
Su tale complessiva operazione, nei verbali del CdA non vi è alcun intervento, perlomeno perplesso, degli amministratori non operativi, i quali nulla obiettarono, non solo in rapporto alla Relazione illustrativa del Consiglio allegata al verbale di assemblea straordinaria approvativa del progetto di fusione e nella riunione dello stesso Consiglio del 27.11.2013, nel quale il Ghirardi illustrò il progetto, ma senza neanche, in alcun modo, sollecitare gli amministratori operativi a fornire riscontri oggettivi alle riferite manovre di tipo finanziario che avrebbero portato un miglioramento della posizione finanziaria.
Promesse e previsioni formulate in netto contrasto con la situazione reale che vedeva, a fronte di un capitale sociale del Parma, in origine, di 20 milioni di euro, un sistematico depauperamento dopo l’ultimo conferimento soci del 2011 allorché, riportato il patrimonio netto a circa 29 milioni di euro, si è assistito ad una costante saldo negativo degli esercizi successivi sino a giungere, al 30.6.2014, ad un patrimonio netto negativo pari a 37,6 milioni di euro, per effetto di ricavi sempre e sistematicamente inferiori ai costi.
Situazione che rilevava in maniera del tutto oggettiva se la stessa CO.VI.SOC., nel verbale di ispezione del 28.1.2013, mise in rilievo che la pesante situazione trovava un suo equilibrio precario solo per effetto di immissioni di liquidità del socio unico che ne garantivano la continuità aziendale, con il rischio di possibile, repentino, default ove tali immissioni fossero cessate.
La stessa allarmante fotografia risulta dai verbali CO.VI.SOC del 21.5.2013, del 27.112013, del 17.4.2014 (in cui si dava atto che non erano stati adottati i provvedimenti di cui all’art. 2446 c.c.) e di quelli successivi, sino alla dichiarazione del fallimento, tutti in atti.
A fronte di una chiara ed inequivocabile situazione di crisi finanziaria ed economica (capitale e patrimonio sociale compromessi) risalta il dovere degli amministratori, tutti, di conservare integri i beni sociali attraverso l’adozione di iniziative, come quelle indicate negli artt. 2446 e 2447 c.c., i quali depongono che in caso di perdite che portino ad una diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo “gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti”. Si tratta di disposizioni dirette a tutelare l’interesse sociale, quello dei soci ma anche e soprattutto dei terzi che debbono essere informati delle reali e veridiche condizioni economiche del soggetto giuridico col quale interloquiscono, tutelando così quello che è un principio di ordine pubblico economico.
Su cosa, in concreto debba fare l’amministratore delegante l’art. 2392, 2° comma, c.c. non lo enumera espressamente ma l’espressione “quanto potevano” è sintomatica di un dovere di diligenza a tutto tondo, di un parametro che attiene alla condotta più idonea, nel caso concreto, ad evitare il danno. “In materia societaria, alla violazione dell’obbligo di vigilanza gravante sull’organo amministrativo dell’ente, giusto disposto dell’art. 2392 c.c., consegue la responsabilità solidale di tutti i componenti del consiglio di amministrazione e, pertanto, la responsabilità (anche) di ciascuno dei singoli membri che, pur non essendo titolari, in via esclusiva, di poteri individuali di controllo, sono, pur sempre, singolarmente tenuti ad agire affinché tale vigilanza sia adeguatamente esercitata e rispondono, pertanto, dell’omissione di essa a meno che non forniscono la prova che, pur essendosi diligentemente attivati a tal fine, la predetta vigilanza non potè essere esercitata per il comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio” (Cass. civ. sez. I 24 marzo 1998 n. 3110).
Orbene, dagli atti depositati emerge, inequivocabilmente, che almeno nel triennio precedente il fallimento, gli amministratori qui evocati non hanno compiuto alcun atto in adempimento del loro obbligo di attiva vigilanza dell’operato dei delegati, tant’è che in tutti i verbali, già enumerati anche nella precedente decisione di questa Corte, può apprezzarsi la loro silente presenza, che li ha resi corresponsabili, pro parte, del dissesto dichiarato dal Tribunale di Parma.
Fattiva e concludente collaborazione che dev’essere affermata anche per la mancanza di prova contraria, da darsi da parte degli interessati, come da giurisprudenza testè citata e, in merito alla sua perniciosa rilevanza, le dimissioni presentate solo nel 2014 dal Balestrieri non costituiscono una qualche esimente per l’amministratore, stante la prolungata inerzia comunque dimostrata.
E questo, anche alla luce del parere interpretativo dato da questa Corte Federale (v. C. U. n. 21/CF del 28 giugno 2007) nel quale si evidenzia che la colpa rilevante dell’amministratore non necessariamente deve essere limitata alla influenza della sua condotta nella determinazione del dissesto della società, ma può anche - e più ampiamente - riguardare la scorrettezza di comportamenti (anche sotto il profilo sportivo) nella gestione della società.
Scorrettezza che, anche secondo quanto indicato nel Com. Uff. n. 3/CGF del 12.7.2011, può essere concretizzata dal fatto che i componenti del consiglio di amministrazione di una società di capitali sono titolari ope legis di un dovere di vigilanza sulla gestione della società medesima anche quando abbiano delegato i propri poteri a singoli amministratori; l’esercizio di tale controllo, e la connessa esigenza di sottrarsi ad eventuali responsabilità, si legge sempre nella medesima decisione, implica che quando non vi sia condivisione sul modus operandi del soggetto delegato l’amministratore debba esprimere formalmente il proprio dissenso rispetto ad esso. (In termini v. anche Com. Uff. n. 284/CGF 2011/2012)
Di tutto ciò non vi è traccia nei documenti allegati per cui deve ragionevolmente affermarsi che tutto il Consiglio di Amministrazione, non soltanto gli amministratori delegati alle operazioni, condividesse in toto l’azione di questi ultimi, con conseguente assoggettamento alle stesse responsabilità, seppur in forma graduata in ragione della minore, diretta incidenza sull’azione stessa.
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Per quanto riguarda, invece, la posizione del sindaco effettivo dott. Magri valgano le considerazioni che seguono.
Il Collegio di Garanzia dello Sport ha chiesto una nuova valutazione dei fatti oggetto della pronuncia di questa Corte di cui al Com. Uff. n. 099/CFA ritenendo, per quanto riguarda una sua precisa responsabilità, che il momento della perdita della continuità aziendale potesse farsi risalire alla data del 15.11.2014, successiva alle sue dimissioni, intervenute il 21 luglio precedente. Lo spostamento in avanti della data della perdita di continuità, secondo il Collegio di garanzia, priverebbe di supporto la motivazione in relazione alla (ritenuta) mancanza di professionalità e diligenza ex art. 2407, comma 1 c.c..
In questo, condividendo quanto osservato dal CTU del Tribunale di Parma che, nella sua relazione, avrebbe fissato al data successiva alle dimissioni il momento della perdita della continuità aziendale.
In mancanza di più articolata motivazione da parte del Collegio, deve reputarsi che quei giudici abbiano fatte proprie le argomentazioni del consulente che, invece, appaiono a questa Corte non del tutto convincenti, sia in linea generale e sia, nello specifico, in rapporto alla posizione del dott. Magri che, va ricordato, è stato componente dell’organo di controllo dal 23.11.2012 sino alla data del 21.7.2014.
La continuità aziendale (o going concern) ha le sue radici nei principi di economia aziendale ma trova giuridica allocazione tra i principi di redazione del bilancio (art. 2423 bis, 1° comma c.c.).
La sussistenza del presupposto citato non solo dev’essere verificata sistematicamente durante l’anno e,in via preliminare al passaggio della contabilità annuale al bilancio, cosicchè la valutazione “of an entity’s ability to continue as a going concern” non riguardi una mera prospettazione contabile ma riguardi la sussistenza dei presupposti di esistenza dell’impresa in un prossimo futuro. E’ per questo che la verifica del going concern coinvolge tutti gli organi della società e, in particolare, il collegio sindacale che deve monitorare “l’attuazione da parte degli amministratori di iniziative idonee a garantire la continuità aziendale” (v. Note di comportamento del collegio sindacale emesse dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili) poiché in assenza di continuità aziendale si verifica una causa di scioglimento ex art. 2484, comma 1 n. 2 c.c..; cosicché è opportuno che nella valutazione in merito alla sussistenza del going concern debba essere rispettato il principio di prudenza di cui all’art. 2423 c.c.
Prudenza che investe direttamente le procedure idonee a verificare le probabilità che l’impresa possa continuare ad operare e che deve tener presente due categorie di indicatori: finanziari e gestionali di cui al documento n. 570, raccomandato dalla Consob con delibera n. 16231/2007.
L’aspetto finanziario assume un’importanza fondamentale nella verifica dello stato di salute attraverso la necessità di porre in luce i prevedibili cash flow in entrata e in uscita, essendo la difficoltà di reperire nuove risorse finanziarie, ovvero nel rinnovare linee di credito già esistenti, un possibile segnale preoccupante per il futuro dell’azienda che, in assenza di risorse esterne, dovrebbe avere ragionevoli certezze circa un autofinanziamento a coprire tutto il suo fabbisogno; con la conseguenza che il merito creditizio diventa assolutamente incerto proprio in situazioni in cui non è ragionevole prevedere cash flow positivo che assicuri il rispetto delle obbligazioni debitorie o l’ammortamento dei prestiti.
Accuratezza di valutazione ribadita dalla Consob nel Documento Banca d’Italia/Consob n. 2 del 6 febbraio 2009 e, in giurisprudenza v. Cass. Civ. sez. I sent. n. 16168/2014.
Se questi sono i criteri per una valutazione della continuità aziendale che, ricordiamolo, è un principio, soprattutto, informatore del bilancio, non si può convenire con la premessa da cui ha preso avvio, sul punto, il Consulente del Tribunale nel valutare il momento in cui si sarebbe compromessa la continuità aziendale che la curatela aveva fissato al 31.12.2013 (bilancio) mentre il CTU l’ha spostato al 15 giugno successivo.
Infatti egli (pag. 89) assume – condivisibilmente che il requisito della continuità aziendale “non dovrebbe essere valutato esclusivamente in relazione agli elementi contabili ed alla mera quantificazione del patrimonio di una società “ ma poi lo rapporta (non condivisibilmente) alle “caratteristiche del settore di riferimento..” andando a dare rilievo economico (pag. 91 e 92) alla posizione in classifica della prima squadra, ai punti ottenuti in campionato, alle vittorie e alle sconfitte maturate.
Questo elemento dei risultati sportivi ricorre più volte nella relazione e finisce per introdurre un dato di valutazione che ne inficia l’esame complessivo, alterandone il quadro di composizione che dev’essere centrato sui soli fattori finanziari e produttivi.
Peraltro, lo stesso CTU ha preso in esame, ai fini di un giudizio prognostico sul momento di perdita di continuità aziendale, la situazione finanziaria e di bilancio al 2013, non conferendo particolare rilievo alle situazioni di grave crisi economica già evidenziatesi negli anni precedenti, pur prendendo atto che “è fuori discussione che la gestione del Parma FC fosse caratterizzata da forte discontinuità e da una forte tensione finanziaria” ma edulcorandola attraverso la considerazione che tale situazione era comune a molte altre società.
“Elemento fondamentale, per la continuità aziendale di tutte queste società, è rappresentato dalla capacità e solidità finanziaria dell’azionista di maggioranza e dal concreto e fattuale sostegno finanziario che la proprietà garantisce per far fronte ai bisogni finanziari della società e per coprire le perdite maturate..” (pag. 89) e mostrando di avere assoluta fiducia nel sostegno finanziario dell’azionista, “sempre garantito per iscritto e nei fatti dalla controllante Eventi Sportivi”.
Proprio questo, ad avviso di questa Corte, è il dato economico alterato e pernicioso che ha prodotto la deviazione della valutazione, in quanto non può essere considerato sufficiente a formulare il dato prognostico della continuità aziendale la voce “Crediti verso controllante”, così come figura nei bilanci dell’ultimo triennio e le lettere di patronage o support letters per ritenere che la grave situazione possa essere, nel concreto, agevolmente superata.
Il Presidente Ghirardi, come risulta dai verbali del Consiglio di Amministrazione, in particolare del 25.9.2013 ma anche nel corso di altre riunioni, aveva più volte annunciato che si poteva fare ricorso al mercato finanziario per ottenere linee di credito ma è altrettanto agevolmente rilevabile che tale attività di ricerca non aveva mai dato esito favorevole, anzi era immediatamente abortita, dato denunciato anche dal fatto, riportato in quegli atti, di un continuo cambiamento degli istituti bancari da contattare. Né miglior, ragionevole fiducia, poteva riporsi agli impegni dell’azionista di conferire liquidità.
Emblematica, al contrario, è la vicenda della cessione del brand che ha sottratto importanti risorse finanziarie, facendole confluire nelle casse della Eventi Sportivi S.p.a..
Si trattava, ad avviso di questa Corte, di una situazione di decozione e di progressivo sfaldamento dei cespiti che aveva origine in anni pregressi, in cui si è assistito, anche da parte del Collegio Sindacale, al costante atto di fede nelle parole del presidente del sodalizio, senza sollecitare la produzione e allegazione di documenti atti a comprovare l’effettivo introito di risorse utili a superare lo stato di crisi.
In questo, non si può pertanto condividere né l’individuazione del momento della perdita della continuità aziendale (elemento di valutazione che, come detto sopra, deve trovare fondamento in concreti fattori oggettivi, sia di bilancio ma anche apprezzabili dalle concrete condotte a rilevanza finanziaria) al novembre 2014, allorché si è preso atto che l’azionista non avrebbe più dato corso alle sue ripetute promesse di conferire liquidità (la Eventi Sportivi S.p.a. è fallita quasi contestualmente al Parma, n.d.r.), né che tale momento possa essere preso come unico motivo di discriminazione, per ravvisare in capo ad amministratori e controllanti le responsabilità che il codice civile prevede.
Certamente non il primo, in quanto già dal verbale del Consiglio di Amministrazione del 5.2.2012 (data precedente alla nomina del Magri che, quindi, doveva giocoforza avere ben presente la situazione economico-finanziaria della società) si può apprezzare come assolutamente palese lo stato di crisi, al quale l’azionista pensava di poter porre rimedio “attraverso una diversa modalità finanziaria” (non meglio indicata, nel concreto, né in quel momento né in seguito) attese le difficoltà (già da allora) incontrate per ottenere crediti in ambito bancario.
Situazione di chiusura dei finanziamenti ottenibili in quel mercato, come emerge anche nei verbali successivi, allorché non si fa più menzione della intenzione di ricorrere a tale via.
Certamente non il secondo, in quanto professionisti avveduti avrebbero dovuto richiedere all’azionista di maggioranza- presidente del Cda, idonee dimostrazioni della ragionevole certezza di poter acquisire risorse tali da sanare una situazione debitoria sempre più critica. Invece, anche il Collegio Sindacale ha fatto sostanziale dimostrazione di fede nelle parole del presidente Ghirardi e non ha adempiuto agli obblighi di controllo di cui all’art. 2403 c.c., ma soprattutto fatto buon uso dei poteri (rafforzati con la riforma) di cui all’art. 2403 bis c.c..
Di quanto grande fosse questa fiducia (e al tempo stesso di quanto consapevoli dello stato di crisi fossero gli amministratori/sindaci) ne è indiretta testimonianza quanto affermato dal CTU del Tribunale allorché assume che “Stante la situazione di fatto in cui si trovava la società (alla fine del 2013, inizio del 2014 n.d.r.) e le prospettive future, sia dal punto di vista sportivo che dal punto di vista gestionale…ci si chiede con quale stato d’animo un Consigliere d’amministrazione privo di deleghe e/o un membro del Collegio Sindacale, avrebbe dovuto (e potuto) prendersi la responsabilità di fronte ad una città intera – con le ovvie conseguenze in termini reputazionali e di sicurezza personale – di rilevare una causa di scioglimento della società, di richiedere l’accesso a procedure concorsuali o, nei casi più drastici, di attivare – quanto ai sindaci – la procedura prevista dall’art. 2409 c.c. …senza considerare poi le conseguenze che tale azione avrebbe potuto avere in termini di responsabilità risarcitoria…” (pag. 94 e ssgg. della relazione).
Ora, in disparte il fatto che il Collegio Sindacale (del quale il Magri non faceva più parte) alcuni mesi dopo queste “temute” iniziative le ha intraprese, sembra di poter cogliere, come detto, il senso di una ragionevole consapevolezza dello stato di crisi ma che, solo la dichiarata (da parte del CTU) o presumibile (da parte del Cda o Collegio Sindacale) paura di mortificare aspettative sportive, con conseguenti temute reazioni da parte della tifoseria, avrebbe impedito ai componenti degli organi collegiali di compiere le attività da loro dovute.
Per questi motivi la Corte ritiene che una lettura degli atti, alla luce dei principi contabili che presiedono alla valutazione del presupposto della continuità aziendale, consente di poter concludere, anche volendo prescindere, a tutto voler concedere, dalla diversa fissazione del momento in cui essa si sarebbe persa, come valutata da parte della curatela e del CTU, che il Collegio sindacale (e, per quanto qui riguarda il dott. Magri) sia venuto meno ai doveri/poteri ad esso demandati dal Legislatore.
A questo riguardo, l’art. 2407, 1° e 2° comma, c.c. è chiaro nel delineare le responsabilità del sindaco, come singolo e come parte dell’organo, così individuabili alla luce dei principi di cui alla Comunicazione della Consob 20.2.1997 n. DAC/RM/97001574 la quale, ancorché rivolta alle società quotate, reca criteri di valutazione utili in via generale, da applicarsi in armonia con quanto previsto dagli art. 2403 e 2430 bis c.c..
E’ ovvio che il necessario presupposto per poter ravvisare una siffatta responsabilità è la conoscibilità delle operazioni ma, risolta questa esigenza, il contrasto tra parametri e dati contabili, unito alle proposte, incerte, del Cda, deve sollecitare l’uso dei poteri del Collegio Sindacale, i cui componenti, pur non potendo sostituirsi agli amministratori, debbono saper cogliere responsabilmente gli indici di rischio e adottare le conseguenti determinazioni.
Determinazioni, o anche solo motivati dissensi, che non vi sono state, così da rendere solidalmente corresponsabili amministratori non delegati e sindaci (con una particolare connotazione negativa per questi ultimi alla luce della loro preparazione professionale e dei loro autonomi poteri).
Detto questo in punto di responsabilità ravvisabili a norma dell’ordinamento statale, il Collegio di Garanzia ha correttamente indicato come il comportamento di costoro debba essere valutato non solo in relazione alle norme generali dell’ordinamento generale ma anche alla luce dell’ordinamento settoriale, in particolar modo dell’art. 1 bis del CGS FIGC.
Sulla base di una simile impostazione non si può non ribadire, in questa sede, che il tesserato, atleta o dirigente che sia, ai sensi del comma 1, nonché i soggetti “cui è riconducibile, direttamente o indirettamente, il controllo delle società stesse, nonché coloro che svolgono qualsiasi attività all’interno o nell’interesse di una società o comunque rilevante per l’ordinamento federale”, ai sensi del comma 5, debba tenere una condotta che non importi lesioni all’ordinamento sportivo.
Violazioni, come per i precetti contenuti in ogni ordinamento e che ne costituiscono l’architrave, che debbono essere intese come direttamente incidenti sull’esistenza stessa del fenomeno consociativo che si vuole, attraverso il rispetto delle regole, che abbia un regolare e armonico svolgimento proprio nel leale rapporto tra gli associati.
Non può sfuggire che, nella specie, essendo l’ordinamento sportivo fondato su continui raffronti agonistici tra società e individui, la regola aurea è che tali confronti avvengano in condizioni paritarie, assicurate anche, ma non solo, dal rispetto di condizioni economiche che non ne alterino il contesto generale: se nell’ordinamento generale dev’essere tutelato l’affidamento dei rapporti commerciali attraverso il presidio di condizioni di trasparenza e sana gestione, in questo ambito va assicurata la stessa tutela di par condicio tra i concorrenti.
Per questo, ogni attore deve tenere condotte, atteggiamenti, che non siano distorsivi di quelle misure atte a non alterare condizioni di mercato ma anche, contemporaneamente, idonee ad assicurare il regolare svolgimento dei campionati o, in linea generale, delle contese sportive.
Ne consegue che il soggetto, titolare di funzioni dirigenziali o di controllo societario deve, comportandosi lealmente e con ragionevole avvedutezza, evitare di porre in essere eventi che compromettano i rapporti commerciali – ledendo la fiducia dei soggetti terzi – ma anche, nell’ambito settoriale di competenza, il regolare andamento delle competizioni cui partecipa, così giungendo ad una armonica fusione dei precetti di cui all’ordinamento generale e a quello settoriale sportivo
Di modo che la violazione delle regola di condotte stabilite dall’ordinamento statale non può non ripercuotersi, con analoga, evidente, lesività, sull’ordinamento sportivo, informato, come quello, alla lealtà, correttezza e serietà dei rapporti tra consociati.
In tal senso si ritiene che le condotte, attive o soprattutto omissive, dei sigg.ri Susanna Ghirardi, Giovanni Schinelli, Arturo Balestrieri (nella qualità di componenti del Cda del Parma, privi di deleghe operative) e del dott. Maurizio Magri (quale componente del Collegio sindacale della medesima società) abbiano, nel periodo in cui hanno ricoperto le rispettive cariche, violato i precetti di cui all’art. 1 bis, comma 1 CGS in relazione a quanto previsto dall’art. 19 dello Statuto federale e all’art. 21 delle NOIF ( i primi tre) e l’art. 1 bis, commi 1 e 5 CGS il Magri, come già ritenuto da questa Corte nella decisione impugnata dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport.
Questa Corte, tuttavia, procedendo ad un’ulteriore analisi dei riflessi di incidenza dei singoli comportamenti sul definitivo e irreversibile stato di decozione della società, deve tener nel debito conto due circostanze.
La prima è quella che riguarda gli amministratori non operativi (Susanna Ghirardi, Schinelli e Balestrieri) i quali, pur certamente manchevoli, indubbiamente rivestivano un ruolo di sollecitazione e di cogestione che andava ad impattare su dinamiche fortemente orientate dal Presidente dott. Tommaso Ghirardi e dall’Amministratore delegato e componente del Comitato esecutivo dott. Pietro Leonardi. La loro diretta e certa responsabilità, proprio per rispetto del generale principio per cui ogni condotta lesiva dev’essere valutata in relazione all’effettivo disvalore, sembra trovare una attenuazione che conduce questo Collegio ad irrogare, ad ognuno dei predetti, la sanzione dell’inibizione allo svolgimento di ogni attività in seno alla FIGC, a ricoprire cariche federali e a rappresentare società nell'ambito federale per mesi 5, nonché a pagare un’ammenda di €. 8.000,00 (euro ottomila/00) cadauno.
La stessa sostanziale valutazione, ma riferita al solo elemento oggettivo della data delle sue dimissioni, precedenti di alcuni mesi la richiesta e successiva declaratoria di fallimento, va fatta nei confronti del dott. Magri; valutazione favorevole mitigata, però, dalla maggiore capacità incisiva del suo ruolo e dal possesso di specifica e qualificata professionalità che gli avrebbe consentito, con un ponderato giudizio prognostico, di far risaltare, prima e meglio, la reale situazione deficitaria della società.
Al dott. Magri, per quanto considerato, questa Corte ritiene di poter irrogare, in ragione della sua condotta essenzialmente omissiva, la sanzione dell’inibizione allo svolgimento di ogni attività in seno alla FIGC, a ricoprire cariche federali e a rappresentare società nell'ambito federale per mesi 6, nonché a pagare un’ammenda di €. 10.000,00 (euro diecimila/00).
Nulla per le spese trattandosi di giudizio di rinvio da parte del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI.
Per questi motivi la C.F.A., giudicando in sede di rinvio, applica la sanzione dell’inibizione
a:
- GHIRARDI Susanna
- SCHINELLI Giovanni
- BALESTRIERI Arturo
di mesi 5 e l’ammenda di € 8.000,00;
- MAGRI Maurizio
di mesi 6 e l’ammenda di € 10.000,00;
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